di Angelo Pitrone
Tra il 1989 e il 1996 ho partecipato a diverse campagne di ricerca archeologica in Nord Africa, a Leptis Magna, in Libia, presso la cittadina di Homs, 130 Km ad est di Tripoli. Il mio ruolo era quello di curare la documentazione fotografica delle ricerche.
Erano gli anni dell’embargo economico verso lo Stato del colonnello Gheddafi. Qualche anno prima, nel 1986, Gheddafi aveva lanciato i missili su Lampedusa. Gli americani avevano bombardato Tripoli e altre aree urbane del nord della Libia.
Ma si andava lo stesso, via terra, attraverso la frontiera tunisina. Noi, un gruppo di ricerca archeologica dell’Università di Messina, guidati dal professore Ernesto De Miro che riprendeva gli scavi, dopo un decennio di rapporti interrotti tra Italia e Libia, viaggiavamo con un pulmino che, imbarcato a Trapani e sbarcato a Tunisi, dopo un percorso lungo la costa nordafricana, entrava in Libia dalla frontiera est della Tunisia e, dopo le formalità di rito a Tripoli, proseguiva verso est fino a Ohms, dove c’era la sede delle nostre ricerche: la città romana di Leptis Magna.
Ovviamente il viaggio è stato, per me, anche un’occasione per scoprire e documentare luoghi diversi, sull’altra sponda del Mediterraneo, cercando di evitare il folcloristico e di capire la realtà che occasionalmente ci si trovava davanti. Come dicevo, il viaggio cominciava da Tunisi e, dopo una snervante attesa di alcune ore alla dogana del porto, già quasi sera, si entrava in città, alla ricerca dell’albergo.
La prima volta, credo nel luglio del 1991, la situazione era apparentemente tranquilla, potevamo muoverci senza difficoltà. All’improvviso dei posti di blocco militari per strada controllavano i taxi con i turisti. Erano gli anni della prima crisi del Golfo, la guerra con Saddam che aveva invaso il Kuwait. Era la prima volta che attraversavo la Tunisia e molte particolarità del paesaggio mi ricordavano la nostra Sicilia.
La comparsa di un treno, tra il porto e Tunisi, colpì la nostra curiosità. Era stracarico di passeggeri e viaggiava addirittura con le porte aperte. Ovviamente il caldo afoso di luglio era la nota dolente di tutto il viaggio, mentre i villaggi diventavano sempre più movimentati man mano che la frontiera libica si faceva sempre più vicina. Ai bordi della strada si incrociavano uomini con banchetti improvvisati dove si potevano comprare dinari libici al mercato nero, e bidoncini di benzina a prezzi di contrabbando.
Anche la frontiera libica aveva tempi biblici per l’attraversamento, una burocrazia farraginosa e incomprensibile. Ovviamente prezzolata. Ma incredibilmente senza armi in vista.
La lunga strada che attraversa la costa libica da est ad ovest fino a Bengasi, passando per tutte le maggiori città del nord compresa la capitale, Tripoli, era una moderna autostrada a quattro corsie con numerosi cavalcavia, con la segnaletica scritta rigorosamente in arabo,frequenti pannelli con l’effige marziale del colonnello Gheddafi e periodici check-point di controllo, sorvegliati da una milizia spesso svogliata e annoiata.
Era facile incrociare qualche furgoncino Peugeot con delle pecore accovacciate sul cassonetto o dei cuccioli di cammello. Poi, alla fine, ecco comparire il tabellone giallo dell’area archeologica di Leptis, con la scritta equivalente in arabo. Il viaggio era finito, adesso si cominciava a lavorare.
Leptis è una grande città, per la sua dimensione e la bellezza e integrità dei monumenti.
Fondata dai Fenici, raggiunge la sua apoteosi con l’impero romano, nel III secolo d.C., con uno splendido teatro, la Basilica, il vecchio Foro colonnato, una infinità di statue sparse tra i ruderi della città, un grande circo e un possente porto con la banchina ancora intatta.
Il tutto a ridosso del mare che lambisce le colonne di cipollino e di granito dirute, tra qualche testa di gorgone.
Questo è il mio viaggio a Leptis, di circa 23 anni fa, quando stava finendo il ‘900 e noi fotografi andavamo avanti ancora con la pellicola.
Dialoghi Mediterranei, n.9, settembre 2014
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Angelo Pitrone, ha insegnato Storia e tecnica della fotografia all’Università di Palermo, si è dedicato alla fotografia di paesaggi e luoghi siciliani, usata spesso come commento figurativo a celebri opere letterarie di Pirandello, Sciascia, Tomasi di Lampedusa. È autore di diversi libri fotografici e ha curato numerose mostre in Italia e all’estero. Tra le più recenti si segnala quella presso la Galleria X3 di Palermo, Palermo-Cordoba. Andata e Ritorno (2012). È socio del Centro Nazionale Studi Pirandelliani e collabora col Centro culturale Pier Paolo Pasolini di Agrigento.
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