di Besma Mohamed
Il presente articolo ha come oggetto lo studio dell’agire politico nelle sue dimensioni ideologiche, biologiche e tecnologiche. È un percorso che cerca di rintracciare, anzitutto accostando la riflessione di Louis Althusser e quella di Michel Foucault, gli strumenti teorici per trattare il tema della politica intesa come forma dell’espressione, tenendo conto dell’esigenza di smarcarsi da una concezione della politica in termini di ideologia.
Attraverso lo studio dei mutamenti delle forme politiche, questo articolo propone quindi un’indagine sull’approccio semiotico della pratica politica come forma dell’espressione. È un tema riconducibile a una doppia prospettiva: da un lato si prendono in esame le condizioni o il presupposto delle trasformazioni della politica (come impianto ideologico e come forma d’espressione); dall’altro si analizza il ruolo del sistema segnico verbale e non verbale e delle procedure tecnologiche atte a creare e/o a riformare la politica.
Cultura, valori sociali, norme politiche, ideologie e credenze religiose circolano nel mondo attraverso la comunicazione, nei loro aspetti verbali e non verbali. Il linguaggio non verbale, che si manifesta nei gesti, nelle posizioni, negli atteggiamenti, nella postura e nel distanziamento, continua a essere un nodo di vari significati anche in ambito politico, dove è soggetto a manipolazioni per obiettivi individuali o collettivi. I movimenti, soprattutto in ambito politico, sono compiuti in funzione della situazione particolare o in vista di un fine.
Lo scopo è quello di mostrare come, e in che modo, avviene il passaggio dalla politica ideologizzata alla politica basata sulle strategie discorsive; come il «lavoro manuale» s’incrocia con il «lavoro intellettuale»; come l’ideologia s’incrocia con il sistema segnico; come il corpo s’incrocia con la tecnologia; come avviene il passaggio dal «bio-potere» al «tecno-potere». In questa indagine si tenterà di ricostruire il rapporto di reciprocità che si instaura tra politica e ideologia, tra politica e sapere, tra modi di produzione, strategie discorsive e ideologie, tra discorso politico e corporeità: il corpo in movimento articola, infatti, la comunicazione politica mettendosi al centro di essa.
Il corpo politico, in tal senso, dovrà essere inteso alla stregua di un dispositivo pensante che sa agire, muoversi e giocare nello spazio in modo intelligente così da ottenere determinati obiettivi. Di conseguenza, bisognerà mettere a fuoco le indagini di alcune dottrine che hanno dimostrato la rilevanza assunta dall’intercorporeità spontanea e manipolata in ambito politico come forma di comunicazione. Questo lavoro è una riflessione di partenza finalizzata a poter inquadrare il valore universale dell’interazione nelle sue manifestazioni politiche.
Sul carattere ideologico dell’operare politico
La maggior parte del lavoro del politico si fonda sulla parola e sulla comunicazione. Norme politiche, ideologie e credenze circolano nel mondo attraverso la comunicazione, nei suoi aspetti verbali e non verbali. Indagare la comunicazione all’interno di gruppi politici è il compito della prospettiva semiotica, che, strettamente connessa alla comunicazione, può collaborare con le scienze politiche nella costruzione di “relazioni di potere” e nella produzione del significato.
L’approccio semiotico alla politica è diventato sempre più centrale negli ultimi anni. Un discorso politico costruisce il proprio potere ricorrendo a strategie discorsive, alle azioni, al saper fare, all’enunciazione e alle sue tattiche. L’attenzione della semiotica si è infatti trasferita dall’epistemologia strutturale degli anni Sessanta e Settanta all’osservazione e all’analisi della dimensione del discorso. Il termine «enunciazione» indica, per l’appunto, il modo in cui l’individuo cerca di costruire e negoziare la sua identità e le relazioni con l’altro ricorrendo a linguaggi verbali e gestuali.
I linguaggi, sia verbale che gestuale, sono l’unico modo attraverso cui l’individuo può affermare la propria identità. «È dentro e attraverso il linguaggio che l’uomo si costituisce in quanto soggetto» [1]. Il discorso politico, economico, religioso o storico sta alla base del «sociale». È tramite il linguaggio, le tecniche, le procedure e le azioni, che un individuo si riconosce come soggetto politico. L’ideologia è stata un rilevante motore della storia e della lotta sociale. Per lungo tempo, infatti, la politica è stata pensata in termini di ideologia: un complesso di idee sulla società e di fenomeni che Sorel ha chiamato «miti» o «grandi illusioni».
La politica è inclusa in ogni pratica sociale. Un individuo appartenente a qualsiasi classe sociale può essere riconosciuto come soggetto politico che ordina rapporti di potere e crea il movimento di associazione. Il potere, come sostiene Michel Foucault, è sparso in tutta la superficie del campo sociale e non è circoscritto nello Stato e nei suoi apparati. Louis Althusser critica il concetto di ideologia che intende come «un sistema di rappresentazioni inconsapevole, con il quale gli uomini raffigurano non il rapporto con le reali condizioni di esistenza ma il modo immaginario con cui vivono questo rapporto» [2]. L’individuo adotta comportamenti, credenze e sistemi segnici imposti dalla classe dominante e li vive come condizioni naturali. Le ideologie si trasmettono attraverso sistemi di segni. Ideologie e comunicazione, pertanto, sono strettamente connesse.
L’ideologia s’incarna nel rapporto immaginario degli individui con le loro «condizioni reali di esistenza». Si tratta, dunque, di credenze, idee e rappresentazioni, presenti sia sul piano spirituale che su quello materiale. La credenza in enti astratti o materiali, infatti, sortisce degli effetti consistenti sulle condizioni reali di esistenza. Marx definisce l’ideologia come l’insieme delle dottrine etiche, politiche, filosofiche e religiose che giustificano e fanno retroagire i rapporti di produzione. La concezione ideologica delle forme sociali fa sì che la classe dominante abbia il progetto di società dominante e che gli individui, come dice Marx, «facciano cose che non sanno di fare» o che sanno solo in parte. Si tratta di forme di programmazione a livello inconsapevole (sistema segnico inconscio). Ferruccio Rossi-Landi si chiede a tal proposito:
«Come mai vasti gruppi di individui vengono portati, in maniera ascosamente necessaria, a credere nelle stesse cose e a vivere tali loro credenze, a consumarsele quotidianamente non già come precisi prodotti storici, ma in modo (come si diceva) spontaneo o addirittura pseudo-naturale, per così dire riadoperandole nella loro nuova immediatezza?» [3]
I mezzi di comunicazione, la propaganda e la scuola, secondo Rossi-Landi, contribuiscono alla diffusione delle ideologie dominanti, alla produzione dell’opinione pubblica e in parte alla formazione della coscienza degli individui. Questi mezzi però rimangono estrinseci.
«La loro descrizione è necessaria, ma non sufficiente. Bisogna penetrare nei meccanismi della formazione della coscienza degli individui, ma per così dire non dalla parte degli individui bensì da quella della società che li produce e condiziona» [4].
Althusser distingue tra apparato di Stato repressivo che funziona «con la violenza» e apparati statali ideologici che funzionano ideologicamente. L’apparato statale possiede uno status pubblico, mentre gli apparati statali ideologici sono entità private, tipo chiese, partiti, unioni commerciali, imprese culturali, giornali. L’apparato statale, repressivo o ideologico, come scrive Althusser, funziona «sia con la violenza che con l’ideologia». La distinzione consiste nel fatto che «l’Apparato repressivo funziona massicciamente e prevalentemente attraverso la repressione, pur funzionando in secondo luogo ideologicamente […]. Gli apparati statali ideologici funzionano massicciamente e prevalentemente in maniera ideologica, ma operano secondariamente tramite repressione» [5]. L’ideologia che unisce gli apparati statali ideologici è l’ideologia della classe dominante, che garantisce un accordo o «un’armonia», come dice Althusser, tra gli apparati statali ideologici e l’apparato statale repressivo.
Durante il Medioevo la Chiesa era l’apparato ideologico statale dominante, che esercitava funzioni educative, comunicative e culturali. Fu la Rivoluzione francese ad abolire i privilegi del clero, secolarizzando la Chiesa e trasferendo il potere statale della nobiltà feudale ai mercanti capitalisti-borghesi. Gli apparati statali dominanti possiedono il controllo di produzione e circolazione e hanno un ruolo determinante nella riproduzione di rapporti di sfruttamento. I grandi proprietari terrieri e la borghesia del XIX secolo, cioè l’apparato statale ideologico dominante, assicurano il loro dominio sulla classe operaia sottomettendola allo sfruttamento capitalistico. Si tratta di un potere che «[…] si esercita essenzialmente come istanza di prelievo, meccanismo di sottrazione, diritto di appropriarsi di una parte delle ricchezze, estorsione dei prodotti, di beni, di servizi, di lavoro e di sangue» [6].
L’apparato religioso, quello educativo, quello sindacale, quello della famiglia, quello culturale, quello dei mezzi di comunicazione, tutti gli apparati creano ideologie che interpellano gli individui in quanto soggetti. Suggeriamo allora che l’ideologia «agisce» o «funziona» in maniera che essa «recluta» soggetti fra gli individui (li recluta tutti), o trasforma gli individui in soggetti (li trasforma tutti) con questa operazione molto precisa che noi chiamiamo l’interpellare, riconducibile al modello del più banale interpellare poliziesco di ogni giorno: «Ehi, lei, laggiù!».
«e per fare un esempio concreto, supponiamo che la scena teorica immaginata avvenga per strada, l’individuo interpellato si volta e con questa semplice conversione fisica di 180 gradi, egli diventa soggetto. Perché? Perché ha riconosciuto che l’interpellare era diretto proprio a lui, e che era proprio lui l’interpellato (e non un altro). L’esperienza mostra che le telecomunicazioni pratiche dell’interpellare sono tali che l’interpellare non manca praticamente mai il suo uomo: richiamo verbale, o fischio, l’interpellato riconosce sempre che è proprio lui che viene interpellato. È tuttavia un fenomeno strano e che non si spiega soltanto, malgrado il gran numero di coloro che hanno qualcosa da rimproverarsi, con il senso di colpa – a meno che tutti abbiano effettivamente qualcosa da rimproverarsi costantemente, e dunque che tutti sentano confusamente di avere almeno, e in ogni momento, dei conti da rendere, cioè dei doveri da rispettare, non fosse altro che quello di rispondere ad ogni interpellare. Strano» [7].
Sull’omologia fra lavoro manuale e lavoro intellettuale di Rossi-Landi
Con Rossi-Landi l’economia politica diventa parte della scienza generale dei segni, della semiotica. E la politica, in quanto sistema segnico, si intreccia con la teoria semiotica, dal momento che le ideologie si esprimono linguisticamente. Anche per Michail Bachtin, come per Rossi-Landi, «qualsiasi espressione verbale dell’uomo è una piccola costruzione ideologica» [8]. Egli insiste sulla connessione segno-ideologia e sull’importanza di uno studio dei problemi di ideologia condotto in termini semiotici. Bachtin si occupa di asserire il carattere ideologico di ogni segno. Ogni ideologia è veicolata da segni verbali e non verbali. Non plausibile sembra però la tesi di Bachtin secondo cui tutte le enunciazioni sono impregnate di ideologia. L’ideologia è uno dei caratteri del segno.
Rossi-Landi definisce l’ideologia come progettazione, col quale termine s’intende il processo di riproduzione sociale. Le istituzioni ideologiche retroagiscono sui modi di produzione materiale e produzione linguistica (lavoro immateriale) o, come le definisce Rossi-Landi, «lavoro manuale» e «lavoro intellettuale». Secondo lo studioso, la comunicazione svolge un ruolo centrale nel momento dello scambio, fra la produzione e il consumo. Il linguaggio non verbale che si manifesta nei gesti, nelle posizioni, negli atteggiamenti, nella postura e nel distanziamento continua a essere un nodo di vari significati anche in ambito politico dove verrà manipolato per obiettivi personali e collettivi. I movimenti, soprattutto in ambito politico, sono compiuti in funzione della situazione particolare e in vista di un fine.
Un’ideologia dominante retroagisce sui sistemi segnici esercitando una forte influenza sulle reazioni verbali. Si tratta di un processo di programmazione dei comportamenti in cui agiscono sistemi segnici verbali e non verbali quasi sempre inconsapevoli. L’individuo accoglie sistemi segnici e comportamentali e li vive, inconsapevolmente, come naturali. Il semiologo italiano fa l’esempio delle persone che vanno a morire in guerra per soddisfare la classe dominante e servire i loro interessi.
«Il volontario che va a morire per la classe dominante e ne è magari contento, si muove in mezzo ai sistemi segnici non-verbali della sua comunità e del suo gruppo sociale anche se non parla: il suo comportamento è pieno di significati che vengono trasmessi utilizzando in maniera per lo più inconsapevole codici appartenenti a sistemi segnici non-verbali. Lo stesso si può dire del tifoso o del razzista. Ma, d’altra parte, anche a un livello ideologico elaborato come quello del filosofo o del teologo, […] non possono essere assenti i sistemi segnici non verbali» [9].
Nel processo di riproduzione i produttori svolgono le loro attività su tre piani: modi di produzione, sistemi segnici e ideologie. I sistemi segnici, infatti, conciliano o mettono in contatto i modi di produzione con le istituzioni ideologiche. L’uomo politico adopera sistemi segnici, verbali e non verbali, per persuadere e guadagnare consenso. In questo studio adottiamo la definizione semiotica di Rossi-Landi, secondo la quale «la classe dominante è la classe che possiede il controllo dei codici e della produzione, circolazione e interpretazione dei messaggi che con quei codici si possono costruire» [10]. Il linguaggio in quanto lavoro e creazione svincola l’individuo nel suo agire dal sistema segnico che l’ideologia dominante controlla e riproduce. La parola, scrive Batchin, «è la più precisa ma anche la più complessa rifrazione dell’insieme delle norme socio-economiche» [11], essendo il linguaggio coscienza e capacità di risposta, di intervento, di trasformazione e di interpretazione.
«Si tratta della coscienza come voce, come segno esterno e interno, come dialogo interiore, come replica, come parola a due voci, che si rivela nel rapporto con la coscienza altrui, manifestando rispetto a quest’ultima la propria alterità. Si tratta della parola come espressione totale, come ideologia, come visione del mondo, come espressione della propria alterità, che non si lascia definire e determinare una volta per tutte, che resta inclassificabile, e al di fuori di ogni determinatezza reificata» [12].
Il passaggio dall’ideologia al sapere
Michel Foucault rigetta la concezione del potere basato sull’ideologia dominante, critica cioè la conservazione del potere da parte una classe sociale all’interno di una prospettiva basata sulla centralità dello Stato. Il potere non può essere preso o posseduto, come non può essere localizzato nello Stato e nei suoi apparati.
«Un potere repressivo, scrive Foucault, è un potere povero nelle sue risorse, economico nei suoi procedimenti, monotono nelle tattiche che usa, […] un potere che non avrebbe altro che la potenza del “no”; incapace di produrre alcunché, atto solo a porre limiti, sarebbe essenzialmente anti-energia; il paradosso della sua efficacia sarebbe di non potere nulla, se non far sì che ciò che sottomette non possa a sua volta fare nulla» [13].
Il potere non si possiede, non si reprime, ma produce relazioni. Secondo Foucault, è l’insieme delle relazioni di potere. Invece di cercare i soggetti che esercitano il potere, è necessario indagare come è esercitato. Il potere non deve produrre ideologia, ma sapere. Foucault ribadisce l’esigenza di smarcarsi da un’analisi in termini di ideologia e critica il concetto di ideologia opponendola al sapere:
«Non credo che quel che si forma alla base, nel punto terminale dei reticoli di potere, siano delle ideologie […] sono degli strumenti effettivi di formazione e di accumulazioni del sapere, sono dei metodi di osservazione, delle tecniche di registrazione, delle procedure di indagini di ricerca, degli apparati di verifica. Tutto questo vuol dire che il potere, quando si esercita nei suoi meccanismi sottili, non può farlo senza formare, organizzare e mettere in circolazione un sapere o piuttosto degli apparati di sapere che non sono semplici accompagnamenti o edifici ideologici» [14].
Foucault contrappone l’ideologia, come falso pensiero fondato sul sentimento e sulla fede, al pensiero scientifico fondato sul sapere, che si articola nelle forme di pratiche discorsive. Il filosofo francese sostiene la tattica discorsiva alla stregua di «un dispositivo di sapere e di potere che, proprio in quanto tattica, può risultare trasferibile e quindi diventa la legge di formazione di un sapere, e nello stesso tempo, la forma comune alla battaglia politica». Le relazioni di potere permettono la produzione dei discorsi che hanno i loro effetti all’interno delle classi sociali.
L’impegno politico in lotte concrete, negli anni che intercorrono fra la pubblicazione dell’Archeologia dei saperi e la pubblicazione di Sorvegliare e punire, ha permesso a Foucault di concentrarsi sul tema delle relazioni di potere. «Senza l’apertura politica realizzata in quegli anni non avrei probabilmente avuto il coraggio di riprendere il filo di questi problemi e di continuare la mia indagine sul versante della penalità, delle prigioni, delle discipline» [15]. L’interesse al tema delle relazioni di potere consente al filosofo francese di concentrare l’attenzione sulla teoria della pratica discorsiva.
«Ciò che mancava al mio lavoro, era questo problema del “regime discorsivo”, degli effetti di potere propri al gioco enunciativo. Li confondevo troppo con la sistematicità, la forma teorica di qualcosa come il paradigma. Al punto di confluenza de La storia della follia e de Le parole e le cose c’era, sotto due aspetti molto diversi, questo problema del potere che avevo ancora mal isolato» [16].
Foucault riconosce il nesso biologia/politica (la dimensione biologica del campo politico), scorgendo il passaggio dal potere di morte al potere di vita.
«Potrebbe dirsi che al vecchio diritto di far morire o di lasciar vivere si è sostituito un potere di far vivere o di respingere alla morte. [ … ] Per la prima volta probabilmente nella storia, la realtà biologica si riflette in quella politica; il fatto di vivere non è più il fondo inaccessibile che emerge solo di tanto in tanto, nelle vicende della morte e della sua falsità; esso passa, almeno in parte, nel campo di controllo del sapere e dell’intervento del potere» [17].
Per lo studioso, al centro dei rapporti di potere sta l’organismo biologico, la vita della collettività (condizioni sanitarie, natalità e mortalità).
«Biopolitica significa la gestione, per mezzo di biopoteri locali, di quanto pertiene alla salute, all’igiene, all’alimentazione, alla sessualità, nella misura in cui questi campi vengono reclutati, come oggetto di intervento, al sapere politico» [18].
Il corpo parlante nell’ambito politico: per l’incarnazione delle idee in movimenti
Il corpo, come possibilità per essere nel mondo e per accedere all’insieme di significati che il mondo include, porta il segno di sé e del gruppo. I politici, come gli attori di una rappresentazione teatrale, si muovono ai margini del palco e affidano la scena al corpo, ai suoi movimenti, ai suoi gesti, allo spazio che occupa, al silenzio. Il porre attenzione e imparare a gestire e decodificare l’aspetto non verbale della comunicazione ci consente di aprire le porte a un universo di significati che altrimenti rimarrebbero incomprensibili.
Il corpo in movimento articola la comunicazione politica mettendosi al centro di essa. Diversi sono i discorsi che attraversano il corpo e costruiscono l’eterogeneità dei suoi linguaggi e delle sue dimensioni. Il potere passa attraverso i corpi. Con Foucault il corpo diventa metodo e fine del potere. Quando parlo del corpo mi riferisco a un organismo complesso ed eterogeneo che agisce, sente e pensa; un corpo in movimento che entra in relazione e interagisce con gli altri corpi; un corpo che costruisce e s’impadronisce dello spazio; un corpo che vibra.
Lo studio del corpo in quanto nodo di significati necessita il riferimento alle espressioni corporee. Le espressioni facciali e corporee sono fondamentali sia per il soggetto che deve apparire credibile e salvare la propria faccia sia per il destinatario che deve adeguarsi alla situazione e saper distinguere ciò che è vero da ciò che è falso. Un’eccellente padronanza del linguaggio della politica richiede la padronanza di una grammatica fatta di sguardi, sorrisi, pose ed espressioni di slancio.
Nella comunicazione politica sono fondamentali i segnali di apertura. I segnali di apertura adottati per esempio da Obama coinvolgono tutto il corpo, con una ricorrenza della mano aperta. L’attuale presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, Obama e gli altri politici che li hanno preceduti, hanno fatto dell’America la patria della politica spettacolo. I politici risultano più persuasivi quando gesticolano di più. La gestualità rende il discorso politico più chiaro, comprensivo, enfatico e persuasivo. Nei loro discorsi devono dare importanza alle tecniche con cui comunicano il loro stato d’animo, le loro emozioni e sensazioni. Quando veicola un messaggio il politico trasmette una rappresentazione di sé. Ecco perché vero politico deve possedere l’assoluto controllo del proprio corpo per non rischiare la perdita della sua credibilità. Il successo della comunicazione politica è il risultato di una buona gestione dello spazio e della distanza. La distanza interpersonale assume una fondamentale funzione comunicativa. È l’oggetto di studio della prossemica.
La distanza fra le persone è uno dei sistemi di comunicazione non verbale più sistematici. Per quanto riguarda il politico, ogni suo comportamento o movimento nello spazio, è eseguito in relazione e in funzione a ciò che vuol suscitare nel pubblico. Generalmente, i politici si trovano ad agire a una distanza pubblica: una distanza che va al di là di ogni coinvolgimento fisico. Essi gestiscono lo spazio intorno a loro in modo da preservarlo il più possibile da intrusioni esterne. La conquista di voti, però, richiede una sorta di vicinanza tra il politico e i propri elettori. Una distanza sociale tra gli elettori e l’uomo politico permette a quest’ultimo di apparire credibile: l’uomo politico deve agire a una distanza sociale per apparire credibile e mantenere le sfumature espressive di mimica e voce. Un leader deve avere la competenza prossemica che gli permette di variare la sua posizione nello spazio e di modulare la distanza che lo separa dagli altri quando parla con loro.
L’uso intelligente del dualismo distanza-vicinanza sia nell’ambito politico che negli altri ambiti della comunicazione è un fatto strategico, che condiziona e determina il successo. Durante la conversazione, l’attore cerca di mantenere o salvare la faccia ricorrendo a strategie, tattiche, misure e precauzioni. Goffman usa il termine «giochi di faccia» per indicare questi dispositivi che si mettono in atto per salvare la faccia. Nell’interazione l’attore sociale presenta una faccia che viene riconosciuta dagli altri fino a quando non affiorano, su quella scena, elementi che sono in contrasto con l’identità rappresentata. I giochi di faccia impediscono che durante l’interazione si verifichino incidenti. L’attore sociale deve evitare quei contatti in cui c’è la probabilità che egli possa sentirsi a disagio e compromettere la faccia.
Il processo comunicativo è quasi sempre asimmetrico. Colui che svolge il ruolo di attore ha una minor possibilità di controllare la propria comunicazione non verbale rispetto al destinatario. Quest’ultimo avrà la possibilità di controllare le azioni e i gesti dell’attore. Nell’interazione, infatti, l’attore fa passare involontariamente messaggi tramite gesti accidentali. Da qui l’importanza del controllo non solo della parola ma che del corpo. La fuga di informazioni corporee è segno di fallimento della nostra maschera sociale. Il nostro corpo, il sedimento di un’intera vita, racchiude la nostra personalità, le nostre esperienze e i nostri abitudini fisiche.
John Fitzgerald Kennedy è considerato l’iniziatore di una politica in cui la comunicazione non verbale vince sulle parole. Egli ha lanciato il linguaggio del corpo durante la campagna contro Richard Nixon affermando che ciò che si vede arriva all’elettore prima di ciò che si sente. Infatti, dopo il confronto avvenuto il 26 settembre 1960, tra il vice presidente Richard Nixon e il senatore del Massachusetts John Kennedy, gli elettori-telespettatori hanno modificato la propria intenzione di voto. I dibattiti hanno avuto larga influenza sulla loro opinione. I telespettatori furono influenzati dalla presenza forte e dalla gestualità di Kennedy. Nixon, che si presentava pallido per dei problemi al ginocchio, fu scelto ed eletto dalla maggioranza di coloro che lo avevano ascoltato alla radio [19].
La postura, i movimenti, la respirazione e il colorito della pelle, cioè il livello non verbale della comunicazione, mettono a nudo pensieri ed emozioni del politico. Perciò, quest’ultimo si deve far carico, oltre che della chiarezza del messaggio, anche dell’intero processo comunicativo, cioè della relazione che si sta costruendo tra emittente e ricevente. Nei discorsi politici il come si comunica ha una valenza decisamente più alta di cosa si comunica.
La corporeità come incarnazione della mente umana
L’agire politico, caratterizzato da un insieme strutturato di regole e di elementi, può essere considerato come una lingua. Si tratta di un sistema di segni che influenza la cognizione. Nel presente articolo adotteremo la definizione ispirata alla teoria di Lakoff del pensiero politico che ammette un influsso del linguaggio sulla cognizione superiore. Così il pensiero politico fondato sui concetti si trasforma in pensiero discorsivo.
La psicoanalisi afferma il radicamento del pensiero nell’esperienza sensoriale. Impressioni sensoriali, movimenti e comportamenti giocano un ruolo importante rispetto alla nostra intelligenza. Una mente inserita in un corpo vivente di cui fa parte è una mente incorporata. I meccanismi (processi) cognitivi sono incarnati in processi senso-motori.
«Lo sviluppo deve dunque essere inteso come capacità di tenere insieme vari sistemi percettivi e motori, in grado di attivare quello che il cervello pensa, quello che l’ambiente offre come stimolo e quello che l’interazione tra l’organismo e l’ambiente richiede» [20].
Il pensiero si manifesta e s’incarna nella percezione, nell’azione e nel corpo: un’entità sostanziale per la comprensione della natura della mente.
«La cognizione è incarnata quando è profondamente dipendente dalle caratteristiche del corpo fisico del soggetto, cioè quando aspetti del corpo, al di là del cervello, giocano un ruolo significativo causale o fisicamente costituito nel processo di cognizione» [21].
Lo sviluppo dei processi mentali dipende dalla rete neuronale del cervello e dall’interazione del corpo con l’ambiente, tramite la percezione e l’azione su di esso. Non possiamo studiare i processi mentali indipendentemente dal sistema sensomotorio e dal corpo, un dispositivo cognitivo da cui parte l’attività mentale. Lo sviluppo mentale muove dall’ambiente e dall’interazione con l’altro e dall’interazione tra organismo e ambiente in cui vive.
«Il pensiero umano è essenzialmente un fatto sociale, per cui il pensiero non consiste in ‘avvenimenti nella testa’, ma in un traffico di simboli significativi, e il suo habitat naturale è il cortile di casa, il mercato e la piazza principale della città» [22].
L’incrociarsi del corpo con il fattore tecnologico: la politica dei cyborg
Nell’età presente, il corpo, considerato come lo scenario affollato di tutte le manifestazioni psichiche prodotte dalla mente umana e teatro delle emozioni, s’incrocia con la tecnologia dando vita al corpo bio-tecnologico. La rivoluzione informatica ha radicalmente cambiato i rapporti sociali e ha riconfigurato l’organizzazione del lavoro e la forma del potere. La tecnologia ha generato mutamenti nel nostro modo di agire e di pensare. I mezzi artificiali, quali la multimedialità, internet e la realtà virtuale moltiplicano le potenzialità comunicative e conoscitive accessibili a tutti gli individui. C’è più possibilità di reciproca comprensione, però, tra due persone vicine che non tra due persone lontane. I mezzi meccanici, artificiali, rendono la comunicazione imperfetta.
«La politica dei cyborg è la lotta per il linguaggio, contro la comunicazione perfetta, contro il codice unico che traduce perfettamente ogni significato, dogma del fallologocentrismo. Ecco perché la politica dei cyborg difende il rumore e invoca l’inquinamento, godendo della fusione illegittima tra animale e macchina» [23].
Gli strumenti tecnologici limitano le capacità sensoriali e indeboliscono i sensi. Gli individui, infatti, comunicano attraverso il virtuale e non attraverso i cinque sensi. La tecnologia influenza il corpo e le sue facoltà, lo impatta al livello biologico, psicologico e culturale, svuota il corpo del suo contenuto o significato e dà vita al corpo cyborg o corpo artificiale: un «organismo che integra elementi esterni per espandere le funzioni del proprio corpo». Nel mondo cyber il biologico viene alterato e danneggiato dagli strumenti tecnologici. Il biologico viene sostituito dal bio-tecnologico. Il senso non è più aspetto dell’esperienza individuale e collettiva.
«Il senso non è più un’esperienza, né un’interpretazione sociale, ma una forma del sistema, che la indica alla contingenza dell’esperire vivente come una direzione di marcia a un viandante smarrito. Il senso sistemico diviene l’unico senso ammissibile all’agire sociale, producendo una società che non esprime alcun legame interpersonale» [24].
L’essere umano è più complesso del linguaggio verbale e del formato digitale in cui cerca di esprimersi, più complesso delle parole che vengono pronunciate o scritte. Il linguaggio verbale e i mass-media non sono adeguati alla verità delle cose. Enrico Galavotti sostiene che il linguaggio più significativo è quello segnico; un linguaggio spontaneo che si manifesta liberamente. Un gesto, uno sguardo, anche un silenzio, forniscono sempre informazioni sulla nostra personalità all’interlocutore che abbiamo di fronte. Il gesto spontaneo rimanda al senso più vero delle cose. Può essere capito senza formalizzarsi in un linguaggio orale o scritto. La realtà virtuale, invece, ha creato uno sdoppiamento dell’identità: identità reale e identità virtuale. Il formato digitale e i mass-media costituiscono «misure cautelative» attraverso cui l’attore si difende dal «lapsus corporeo». Esiste, infatti, accanto al «lapsus verbale», il «lapsus motorio». Il lapsus è un errore involontario commesso nel parlare o nell’agire. Si tratta di un «errore intenzionale che viene compiuto quando a un movimento o azione mentale volontaria non corrisponde la rispettiva e normale concretizzazione motoria o mentale» [25]. Il lapsus costituisce, secondo Freud, un canale attraverso il quale trovano sfogo pensieri; si tratta della manifestazione di un desiderio inconscio. La presenza di fattori altamente destabilizzanti per il soggetto genera la comparsa del «lapsus motorio».
Il corpo in movimento esprime i contenuti inconsci che vengono negati o non detti. Oltre ad essere il luogo delle emozioni, il corpo è infatti il luogo delle rivelazioni. Il corpo testimonia su di sé la datità del dolore, della felicità, e di tutta l’esperienza vissuta dall’essere umano.
«È sul nostro corpo che il dolore scrive il suo enigmatico linguaggio ed è attraverso il nostro corpo che possiamo dire il dolore e l’amore che costituiscono la trama delle nostre giornate, dei nostri rapporti, il riferimento dei nostri innumerevoli tradimenti, la meta del nostro incessante patire» [26].
Dialoghi Mediterranei, n. 35, gennaio 2019
Note
[1] Cfr. É. Benveniste, «Della soggettività nel linguaggio» (1957), in Problemi di linguistica generale, Il Saggiatore, Milano 1994.
[2] G. Giannantoni, La ricerca filosofica: Storia e testi, Loescher, Torino 1985, vol. 3: 767-768.
[3] F. Rossi-Landi, Ideologia. Per l’interpretazione di un operare sociale e la ricostruzione di un concetto, Meltemi, Roma, 2005: 116.
[4] Ibidem.
[5] Cfr. L. Althusser, Lo Stato e i suoi apparati, Editori Riuniti, Roma 1997.
[6] M. Foucault, La volontà di sapere. Storia della sessualità 1, Feltrinelli, Milano 1978: 120.
[7] L. Althusser, Sull’ideologia, Dedalo, Bari 1976: 30-31.
[8] Michail Bachtin e il suo circolo. Opere 1919-1930, a cura di A. Ponzio, Bompiani, Milano 2014: 543.
[9] F. Rossi-Landi, Ideologia. Per l’interpretazione di un operare sociale e la ricostruzione di un concetto, cit.: 181.
[10] Ivi: 111.
[11] Michail Bachtin e il suo circolo. Opere 1919-1930, cit.: 543.
[12] Ivi: 111.
[13] M. Foucault, La volontà di sapere, cit.: 76.
[14] Id., Bisogna difendere la società, Feltrinelli, Milano 1998: 36.
[15] Id., Microfisica del potere, Einaudi, Torino 1977: 5.
[16] Ivi: 7.
[17] M. Foucault, La volontà di sapere, cit.: 122.
[18] S. Chignola, Biopotere e biopolitica: sulle tracce della discussione (testo della conferenza tenuta dall’autore a Porto Alegre, PUCRS – Ponficia Universidade Católica do Rio Grande do sul, 25-26 settembre 2016), consultabile in: http://www.euronomade.info/?p=7351.
[19] L. Baiguini, Il pubblico nelle tue mani. Tecniche e abilità per tenere con successo discorsi e presentazioni, Franco Angeli, Milano 2004: 49.
[20] L. Sabbadini, La disprassia in età evolutiva: criteri di valutazione ed intervento, Springer-Verlag Italia, Milano 2005: 15.
[21] F. G. Paloma, Embodied Cognitive Science: Atti incarnati della didattica, Edizioni Nuova Cultura, Roma 2013: 18.
[22] Il brano è di Clifford Geertz ed è tratto da G. Ligi, Antropologia dei disastri, Laterza, Roma-Bari 2009.
[23] Cfr. U. Fadini, La vita eccentrica. Soggetti e saperi nel mondo della rete, Dedalo, Bari 2009.
[24] Ivi.
[25] P. Petrini, A. Renzi, A. Casadei, A. Mandese, Dizionario di psicoanalisi con elementi di psichiatria e psicodinamica, FrancoAngeli, Milano 2013: 213.
[26] M. Combi, Il grido e la carezza. Percorsi nell’immaginario del corpo e della parola, Meltemi, Roma 1998: 21.
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