Leonardo Sciascia di cui ricorre quest’anno il trentennale dalla morte amava le incisioni, ne era un appassionato collezionista. Apprezzava quell’alfabeto di segni che molto somigliava a quell’arte la più vicina al bianco e nero della scrittura. «Perché questo è il vero incisore: – ha scritto a proposito di una mostra di E. Janich – lo sviluppare mentalmente ogni segno, il percepire immediatamente l’affiorare del negativo e il passaggio dal negativo al positivo – e insomma vedere ogni segno che traccia sulla vernice o sulla lastra nuda come quando uscirà, da sotto il torchio, sul foglio».
Eppure l’arte dell’incisore è ancora largamente in ombra nella storia e nella critica, pur contando su antiche tradizioni e su maestri d’indubbio valore.
Da qui la mostra che ho curato presso l’Accademia di Belle Arti di Roma dedicata a Luigi Bartolini: Linee di libertà. Incisioni 1915-1936. Maestro fondamentale dell’arte incisoria del Novecento oggi è forse trascurato e poco conosciuto, anche se sempre stimato ed apprezzato dai pochi intenditori, appassionati cultori.
Ho voluto riportare l’artista all’Accademia di Via di Ripetta, dove nei lontani anni ‘10-‘12 del Novecento, è stato brillante studente. E poi l’officina laboratoriale del Maestro, densa di motivi sperimentali e caratterizzata da una profonda ed intima verità poetica, ben si sposa con gli interessi del Dipartimento Arti Visive dell’Istituto dove il laboratorio, nella sua accezione originaria di labor-oratorium, è elemento fondante della didattica, della sperimentazione e della ricerca.
Fare una mostra di incisioni non è voler focalizzare l’attenzione solo su una disciplina specialistica, ma è piuttosto sottolineare la sua relazione stretta con la pittura. Sono convinto che il disegno e l’incisione siano indissolubilmente legati alla pittura. C’è fra esse una relazione magnetica biunivoca ed imprescindibile: ciò che nella pittura è ebbrezza visionaria, sensazione emozionale, vertigine informale ed irrazionale del colore, nell’incisione trova una sua ragione e chiarificazione in una strutturazione della forma e dello spazio precisa ed inequivocabile.
Sono due ambiti espressivi con procedimenti speculari: l’incisione ed il disegno lasciano libere e smaterializzate le parti in luce ed inseguono le zone d’ombra e penombra fino a sprofondare nel buio (nero) più profondo e denso di materia. La pittura invece nasce da un mezzo tono d’ombra, oppure da un buio profondo, e da qui risale lentamente alla conquista della luce e del colore.
C’è un momento in cui il pittore può smarrire la sua rotta, il suo orientamento e perdersi nella vertigine e nel limbo della sensazione, in quel momento sono necessari il disegno e l’incisione che lo aiutano a ritrovarsi: la luce ed il colore acquistano forma ben precisa e valore spaziale e strutturale, necessario all’organizzazione ed articolazione del linguaggio. La luce, diceva Hopper, per concretizzarsi nella sua essenza e pienezza visiva ha bisogno di strutturarsi ed organizzarsi attraverso la forma del disegno e dell’incisione.
Viene naturale pensare nel Novecento all’opera di Morandi ed accostarla a quella di Bartolini, per la splendida sintonia e il parallelismo di uno sguardo metafisico tra l’opera incisoria e la pittura nel primo e per l’invenzione lirica e visionaria nel secondo che, ugualmente, dall’incisione transita nella pittura.
Bartolini, è un caso a sé stante, anche per la sua poliedricità che si manifesta nell’emozionalità del segno dell’incisione e del linguaggio pittorico e nel sentire poetico della scrittura, coniugando emozione e ragione. Da qui l’agile trascorrere dalla scrittura alla incisione, dalla pagina alla lastra. E spesso, come scrive Giuseppe Appella, gli esiti dei segni incisi sono più felici di quelli scritti.
«Ecco, l’incisione, più dei racconti e dei dipinti, rende la freschezza (raggiunta con un lavoro irrequieto e appassionato), l’immediatezza e la luce improvvisa (frutto di continui pentimenti): tre capacità, proprie di Bartolini, cresciute alla scuola leopardiana delle “Operette morali” e leggibili nel foglio che compendia i sogni, le graffiature, le puntinature, tracciate sulla lastra (latta, scatole battute, coperchi), le molteplici morsure, la stampa, dimenticando, tra un passaggio e l’altro, quello che sa per quello che sente».
Assistiamo, nelle sue incisioni, ad una metamorfosi continua e ad una urgente trasformazione del segno, che si concretizzano in una serie reiterata di stati di stampa successivi, nei quali si inseriscono anche interventi di puntasecca, fra un esemplare e l’altro. C’è in lui un’urgenza espressiva, a tratti anche espressionista, che si traduce in un segno denso, talvolta impetuoso, irregolare ed esuberante, che si contrappone a una rarefatta trama di segni di soave e poetica leggerezza.
Fattori, Goya, Rembrandt sono stati amati da Bartolini e richiamati da Appella per sottolineare la capacità dell’artista «di cogliere voci, immagini e sapori della vita (“cantare assieme alla natura”), in uno stato di grazia armoniosa che gli permetterà di tracciare un diario quotidiano folto di tutte le sfumature dell’emozione».
Sulle lastre affiorano i tratti della campagna maceratese, gli scorci di interni domestici, l’aria della provincia, gli umili gesti di uomini e donne della vita quotidiana. «Un mondo figurativo, un’atmosfera familiare, fatti di mormorio e di canti, e di estasi, sorrisi, luci, solitudini».
Luigi Bartolini, artista lirico e neoromantico su un binario parallelo e diverso dalla sospesa spazialità metafisica e dallo stupore contemplativo di Morandi, lavora direttamente dal vero sulla lastra, immerso totalmente nel dato di natura, in uno stato di totale coinvolgimento emozionale. È nella natura e nel suo religioso ascolto, che trova gli stimoli per esprimere il suo universo poetico misterioso e ineffabile. Una natura a tratti esuberante, rigogliosa e selvatica, spesso colta nella dimensione meno appariscente e minimale di sottobosco e di microcosmo di fauna minore.
È attraverso questa inventiva e questo sentimento poetico che Bartolini schiva la trappola del compiacimento dell’ottocentismo, risultando moderno, fuori dall’avanguardia futurista e dalla metafisica, in un cammino tutto suo e con uno sguardo stupefatto di singolare bellezza ed emozionalità visionaria.