di Alfonso Campisi
L’occupazione della Tunisia da parte della Francia nel 1861 è stata considerata dagli italiani una conquista fatta al “loro paese” e mai accettata e tollerata.
I siciliani infatti erano arrivati in massa in Tunisia e ogni imbarcazione della Sicilia trasportava diverse centinaia di persone. Secondo il censimento del Consolato francese in Tunisia del 1898 effettuato dalla polizia coloniale, i siciliani erano 64 mila, e in meno di due anni erano passati a 80 mila. Diventeranno più di 150 mila prima dell’indipendenza del 1956.
I siciliani che fuggono dalla povertà economica della Sicilia e gli italiani del Meridione, sbarcati in Tunisia, si sono insediati prima sulle zone costiere e poi, secondo la loro specialità lavorativa e professionale, si sono sparsi in tutto il Paese compreso il grande sud, nelle aree minerarie di Metlaoui, e in piccola parte anche a Djerba e Tozeur.
Molto rapidamente i siciliani si integrano con la cultura tunisina, con la popolazione locale e presto faranno parte del paesaggio, così simile a quello che hanno lasciato in Sicilia. Il clima, la campagna, la vegetazione e persino le rovine romane sono uguali a quelli della Sicilia. Sembra che in questo viaggio tra due continenti, nulla sia cambiato, a parte la lingua.
Infatti la prima difficoltà incontrata dagli immigrati siciliani in Tunisia è stata proprio la lingua parlata nel Paese. Erano per lo più siculofoni e non italofoni, diversi rispetto ad altri italiani già presenti in Tunisia, spesso di confessione ebraica, intellettuali, rifugiati politici, provenienti dalla Toscana. Questo è uno dei tanti motivi per cui bisogna analizzare il flusso migratorio siciliano in maniera diversa e distinta da quello toscano o italiano. Bisogna, del resto, riconoscere che il problema della comunicazione sorgeva già tra gli “italiani” stessi, cosa dire allora tra tunisini, francesi e siciliani!
Nel corso del tempo, il siciliano si integra anche linguisticamente rispetto ai tunisini, comincia a parlare francese, tunisino arabo ma raramente italiano, poco parlato a casa dove la lingua dominante utilizzata tra gli adulti o anche tra i bambini e i loro genitori era il siciliano. La comunità siciliana si francesizza sempre più, soprattutto nel momento in cui le autorità coloniali chiuderanno nel 1944 le ultime scuole italiane rimaste aperte e presenti un tempo in tutto il Paese, a favore di una politica di naturalizzazione e di diffusione della lingua e cultura francese.
La lingua francese diventa così il linguaggio dell’integrazione, dell’elevazione sociale e del successo professionale, come dirà il poeta Mario Scalesi, il grande “poète maudit” di Tunisia, di origine siciliana e di espressione francese, paragonato per la bellezza e la qualità delle sue poesie a Baudelaire e a Rimbaud. Scalesi affermava, infatti, che «è grazie alla Francia e alla lingua francese che io ho avuto accesso alla cultura».
Tuttavia i siciliani continueranno a parlare la lingua siciliana a casa, tra parenti e amici: il siculo-tounsi, un misto di siciliano, tunisino e francese, una sorta di Sabir che diventerà il linguaggio di tutta la comunità e l’elemento fortemente identitario, utilizzato anche quando il parlante non voleva essere compreso dalle altre comunità.
Il termine siculo-tounsi, da me coniato e nato dall’unione di una parola neo-latina e di una parola araba tunisina (la parola tounsi significa tunisino), diventerà il principale strumento di comunicazione all’interno della comunità siciliana. Una lingua, caratterizzata dall’ibridismo degli apporti identitari, divertente, colorata, diretta, immediata, talvolta volgare, e che comprenderà molte “espressioni fiorite” di entrambe le lingue: il siciliano e il tunisino. Le parole francesi saranno molto più riservate alla compiacenza e alle gentilezze di ogni tipo. Un lessico sintetico, sommario, limitato alle necessità immediate dei parlanti, e una sintassi semplificata in relazione alle lingue neo-acquisite, nate dalla necessità di comunicare.
All’interno della comunità siciliana di Tunisia, troviamo le stesse parole e le stesse espressioni nelle tre lingue (siciliano, francese e arabo-tunisino), utilizzate secondo le situazioni e l’interlocutore. Gli studi che conduco come linguista su questa lingua, oggi in via di estinzione, parlata dai vecchi siciliani di Tunisia rimasti nel loro Paese o emigrati in Italia, Francia o altrove, sono quasi assenti, trattandosi esclusivamente di una lingua orale, spesso denigrata, uno strumento di espressione del proletariato o addirittura del sotto-proletariato siciliano di Tunisia, soggetto talvolta al razzismo e all’esclusione sociale.
Se riprendiamo la citazione di Frantz Fanon, nel suo articolo intitolato “Le syndrome nord-africain” troviamo esattamente la sindrome di colui che emigra in un paese colonizzato, che diventa oggetto di razzismo e di rifiuto da parte del colonizzatore; questo potrebbe in parte spiegare il perché dell’assimilazione e della convivenza dei siciliani con i tunisini più che con i francesi.
Albert Memmi, nel suo libro Portrait du colonisé, posiziona il siciliano tra il colonizzatore e il colonizzato: «i siciliani – scrive – sono meno distanti dai colonizzati rispetto ai francesi». Il siciliano fungerebbe quindi da trait-d’union tra il colonizzato e il colonizzatore, elemento fondamentale che testimonia la ricchezza del siculo-tounsi.
Pochissimi documenti esisterebbero oggi su questa lingua e sulla sua ricchezza linguistica. I manoscritti più conosciuti, risalenti all’epoca coloniale, erano quelli di Kaddour Ben Nitram, il cui vero nome era Edmond Martin, ferito nella guerra 14-18, comportandosi da eroe. Egli aveva scelto il nome di Kaddour perché il suo compagno di guerra, un mitragliatore tunisino che frequentava il grande caffè di Halfaouine, si chiamava Kaddour, per il resto il suo nome non era altro che formato dagli anagrammi di Martin a cui aveva aggiunto “Ben” per fare colore locale. Nato a Tunisi, è stato un grande compositore famoso nel dopoguerra e conosciuto per gli studi dei vari sabir parlati nella capitale e per un lavoro artistico sviluppatosi intorno a questo fenomeno linguistico.
Il “re dei sabirs e dei dialetti nordafricani”, così come venne definito Kaddour Ben Nitram, ha lasciato tracce che permettono di affrontare un aspetto interessante della storia sociale e culturale della Tunisi del XIX e XX secolo.
Uno dei testi più interessanti del ricco contributo linguistico siculo-tunisino-francese, è il seguente dialogo che rappresenta una scena della vita tunisina, in presenza di due donne siciliane, donna Pippina e donna Sussida con il pescatore tunisino Moghammed (pronuncia siciliana di Mohamed), che vende il pesce al mercato di Tunisi. Alla fine della lite tra i tre personaggi, ci sarà l’intervento del corso Battistacciu, agente di polizia e, infine, il confronto dei trasgressori al commissariato.
Negli ultimi anni, sto cercando di ricostruire, con i pochi mezzi a mia disposizione, la lingua dei siciliani di Tunisia, lingua cara alla mia famiglia, che ha lasciato la Tunisia nel 1943 per emigrare in Francia, Italia e Stati Uniti, una lingua che si arricchisce ancora oggi di contributi italiani, francesi e americani. Con la “Cattedra Sicilia per il dialogo di culture e civiltà” da me fondata presso l’università de La Manouba di Tunisi, con l’aiuto dei Dipartimenti di linguistica e filologia siciliana dell’Università di Catania e dell’Università di Palermo e insieme a ricercatori e dottorandi tunisini, stiamo riuscendo a raccogliere, nelle varie biblioteche di Tunisia, buona parte delle pubblicazioni e manoscritti dell’epoca in siculo-tounsi, per cercare di evitare la scomparsa di questa lingua, cosa che potrà accadere anche alla metà delle cinquemila lingue attuali che potranno scomparire fra un secolo, portati via dalla grande macchina della comunicazione.