di Luca Bertinotti
Pur avendo una certa familiarità con la provincia aquilana, solamente un paio di anni fa ho appreso dell’esistenza della festa di San Domenico Abate a Cocullo e delle sue modalità di svolgimento, che la rendono un unicum nel suo genere [1].
Dopo qualche opportuna lettura di approfondimento sulla celebrazione [2], il primo maggio scorso ho raggiunto il borgo montano allo scopo di partecipare alla processione religiosa in veste di osservatore/fotografo. Giungendo a Cocullo, ho constatato una buona pianificazione nell’accoglienza dei numerosi visitatori che, già verso le dieci di mattina, formano un torrente di persone lungo le vie di un paese demograficamente in affanno durante i restanti giorni dell’anno [3].
La mia permanenza nella località abruzzese è stata relativamente breve ma, ciononostante, ricca di intense suggestioni e di interessanti spunti fotografici per il reportage che desideravo compiere [4]. A Cocullo non mancano le bellezze locali che illuminano il giorno della festa, sfoggiando un abbigliamento tradizionale che nulla ha da invidiare ai costumi delle donne della vicina Scanno [5], meta più celebre nell’ambiente artistico-fotografico [6]. Tuttavia, ciò che catalizza davvero l’attenzione del visitatore a Cocullo è altro.
Ad accogliere gli ospiti dallo sguardo sempre più stupefatto, mentre si addentrano nei rioni del borgo, sono, distribuiti qua e là, i veri protagonisti della giornata, i serpenti. Inoltre, lungi da essere soltanto dei figuranti nel contesto dell’evento o dei placidi gregari di quella comunità ofidica che ha occupato il paese, con essa vengono i serpari [7], la vera linfa vitale che nutre la peculiarità folkloristica di Cocullo: gentili signore [8] e distinti signori che mettono a disposizione dei curiosi il loro bagaglio di conoscenze e le loro abilità, apprese nel rispetto di una tradizione che resiste da secoli e che è riuscita a tramandarsi fino ad oggi [9].
Queste persone sono insolite figure di contatto fra l’ambiente umano e quello dei rettili: esse non temono i serpenti e non recano loro danno, ma anzi ben conoscono le diverse specie locali, le accudiscono con cura e le sanno maneggiare con la dovuta cautela. Senza la loro preziosa attività, che si prolunga ben oltre le 24-48 ore della festa di San Domenico Abate [10], la festa stessa non sarebbe mai potuta esistere né, forse, esisterebbe tuttora.
Continuo a osservare le immagini scelte per accompagnare i contributi scritti su Cocullo e sulla sua singolare festa patronale, mentre rifletto sui motivi profondi che stanno alla base della seduzione che essa sa esercitare. Certamente gran parte del fascino della cerimonia deriva dal paradosso cultuale generato dall’inconsueto accostamento fra il santo e il maligno.
Il primo maggio di ogni anno, nel paese abruzzese, i serpenti, esseri diabolici per antonomasia nell’immaginario collettivo occidentale, vengono spogliati di quello stigma negativo che solitamente li accompagna. Si realizza così una sorta di miracolo. Per un giorno saettoni, bisce e cervoni (con minor decisione i mordaci biacchi) depongono le loro sembianze orripilanti e si fanno toccare, accarezzare, portare al collo come trofei, provocando l’ammirazione degli astanti – in larga parte fotografi e videomaker – nei confronti degli impavidi che accettano il loro abbraccio. Nel contempo, i serpari, compiendo il rito della deposizione ofidica, realizzano un atto di comunione spirituale fra i fedeli, il santo e l’Onnipotente.
La statua del santo, repleta di rettili che la avviluppano e, di conseguenza, la proteggono, può procedere indisturbata nella folla eterogenea dei festanti, attraversandola più volte, come a distribuire con maggiore intensità la visione di quel miracolo compiuto e a ribadirla agli occhi di chi la riesce a cogliere oltre la selva dei telefoni cellulari ipnotizzati dai serpenti.
Spostando il punto di osservazione ed estremizzando il concetto, per certi aspetti il rituale ricorda un esorcismo collettivo [11] che, tra l’altro, riscatta e sublima la figura biblica del serpente. In tal senso, mi viene istintivo considerare che da animale demoniaco esso sembra farsi “neo-cordone ombelicale” per tentare di riportare in contatto l’uomo con la divinità.
Mi ricompongo nel mio ruolo di osservatore/fotografo, ammettendo che i miei “pensieri a voce alta” sono scaturiti guardando l’evento con un occhio solo, attraverso una lente fotografica che forse ne amplifica i dettagli e ne distorce i confini. Lascio, dunque, a chi compete la corretta lettura interpretativa dei significati religiosi, antropologici e storico-sociali di una festa paesana tanto complessa. Analogamente, spettano ad altri le considerazioni su come e in qual misura possa essere mutato nel corso degli anni il sentimento devozionale dei partecipanti alla liturgia religiosa e su quanto gli aspetti di spettacolarizzazione possano aver contribuito a trasformare il tempo della festa.
L’ultima fotografia, quella del paese sovrastato dai fuochi artificiali di chiusura, mi ricorda che siamo giunti al termine della ricorrenza e, mentre i botti tuonano in alto, sopra la piazza che presto si svuoterà per quasi un anno fino alla prossima ricorrenza, io mi sto già allontanando da Cocullo.
Dialoghi Mediterranei, n. 38, luglio 2019
Note
[1] In realtà, anche in altri paesi abruzzesi è forte la devozione a San Domenico di Sora. A Pretoro (CH), la prima domenica di maggio, viene inscenata una rappresentazione sacra (“Lu Lope”) che rievoca il miracolo del santo e del lupo. Prima di questa e al termine della cerimonia religiosa, si svolge una processione con la statua del beato e con i serpari, separatamente. Fra i serpenti gli esemplari più notevoli ricevono un premio alla fine della sfilata (cfr. https://tinyurl.com/y6lgxgzc).
[2] In particolare Lapiccirella Zingari 2017, Giancristofaro 2018.
[3] Stona forse solo un poco la lunga fila di bancarelle, collocate lungo la via d’accesso principale, che propongono una quantità esorbitante di prodotti, fra cui anche articoli che col luogo e con la festa del santo onestamente c’entrano ben poco. Ma tant’è e va bene così!
[4] La scelta per lo sviluppo digitale delle immagini scattate è ricaduta sull’utilizzo del bianco e nero. La privazione del colore, da una parte, induce l’osservatore a concentrare maggiormente l’attenzione sulle geometrie della composizione fotografica e, d’altra, contribuisce ad “antichizzare” le scene colte nelle istantanee.
[5] In linea d’aria sono meno di 20 i chilometri che separano i due paesi di Cocullo e di Scanno. Procedendo lungo la SR479, provenendo da Cocullo, lungo il tragitto s’incontrano la splendida valle del Sagittario, con il suo canyon dalle gole a tratti impressionanti, e, successivamente, le placide acque del lago di Scanno. Inoltre, circa 1 km prima di raggiungere Scanno, una deviazione sulla sinistra permette di raggiunge Frattura Vecchia (1300 mt slm), uno dei più interessanti insediamenti abbandonati d’Italia, posto in posizione panoramica su un vasto pianoro a cui fanno da sfondo le alte vette del Monte Genzana. Frattura è abbandonato ormai da oltre un secolo, a seguito dei danni provocati dal terremoto della Marsica del 1915.
[6] La cittadina di Scanno è stata meta d’interesse fotografico per importanti artisti dell’immagine quali, fra gli altri, Henri Cartier-Bresson, Mario Giacomelli, Renzo Tortelli, Gianni Berengo Gardin, Ferdinando Scianna, Pepi Merisio e Hilde Lotz-Bauer.
[7] I serpari sono gli ultimi custodi dell’antico retaggio dei “ciaralli”, figure di cerusici e di addomesticatori di serpenti in epoca medievale, a loro volta latori di tradizioni e di saperi di più arcaica provenienza, certamente derivati da culti precristiani (Giancristofaro ibid).
[8] Fra i serpari, è particolarmente nutrita la rappresentanza femminile.
[9] Cfr. Profeta 1975 e 1993, Di Nola 1976, Giancristofaro ibid., Lapiccirella Zingari ibid.
[10] Cfr. Giancristofaro ibid.
[11] Il concetto di esorcismo di massa è già stato discusso da Alfonso Maria Di Nola nei suoi studi sul rito di Cocullo (Di Nola 1976, anche in Giancristofaro ibid).
Riferimenti bibliografici
G. Profeta, Un culto pastorale sull’Appennino, Pescara, Libreria dell’Università, 1993.
G. Profeta, Il rito delle serpi di Cocullo e la sua funzione socio-culturale, L’Aquila, Japadre, 1975.
A.M. Di Nola, Gli aspetti magico-religiosi di una cultura subalterna italiana, Torino, Boringhieri, 1976.
L. Giancristofaro, Cocullo. Un percorso italiano di salvaguardia urgente, Granarolo dell’Emilia (BO), Patron, 2018.
V. Lapiccirella Zingari, La festa di San Domenico Abate e il rito dei serpari di Cocullo. Per la candidatura Unesco, in «Dialoghi Mediterranei», n. 27, 1 settembre 2017.
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Luca Bertinotti, medico ospedaliero, fotografo amatoriale, amante della ricerca in più campi, spinto dalla curiosità per luoghi, personaggi, tradizioni, eventi, spesso fuori dall’ordinario, ha fondato nel 2012 l’Associazione ‘9cento, di cui è attualmente Presidente. Ha pubblicato Croci del Mistero. Origine, sviluppo e declino delle Croci della Passione. È autore di numerose esposizioni fotografiche, fra cui Un lungo viaggio nell’abbandono, mostra che ha preannunciato, in varie sedi, il Convegno nazionale Da borghi abbandonati a borghi ritrovati, evento di cui è stato principale sostenitore e che ha coronato il suo interesse di ricerca maggiore: il tema dei paesi spopolati d’Italia.
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