di Rosy Candiani
In un periodo in cui il Mediterraneo torna – spesso drammaticamente – al centro degli eventi della storia, anche l’attività intellettuale – riflessione teorica o produzione artistica – si interroga, ripropone, per contrastare o esorcizzare gli eventi della quotidianità, l’attenzione su questo piccolo bacino, da sempre centro irradiante di cultura, di scambi, anche di scontri, ma soprattutto di condivisione e integrazione tra le popolazioni delle sue sponde.
Il pensiero può soffermarsi su sentimenti identitari più o meno allargati: l’italianità o la magrebinità o la mediterraneità: onde circolari nell’acqua del mare ristrette o più ampie, effetti di un fenomeno fisico di ripercussione che nell’arte – la musica, come la danza o le arti visive – portano sempre comunque a un movimento di interazione, ad apporti che generano cambiamenti quando non metamorfosi.
Nell’arte i cerchi di appartenenza sfumano la forma perfetta dei contorni: come i cerchi nell’acqua al lancio di una pietra si fanno più indistinti, si allargano e dialogano tra loro, in figure di inclusione che vanno oltre i confini della individualità, della appartenenza o della geografia.
Spesso occasionali, nella pratica artistica, che si identifica in certo senso con tutte le forme di tradizione e riproduzione orale, questi incontri fecondi di scambi arrivano a creare quei ponti che la realtà identitaria ufficiale rifiuta o fatica a riconoscere, e generano risultati nuovi, perché meticci e perché fanno riaffiorare le comuni arcaiche origini.
In questa direzione l’occasione della celebrazione dell’Anno del Mediterraneo (“Italia, cultura, Mediterraneo”), voluta dal Ministero degli Affari esteri italiano, ha visto Tunisi e il suo Istituto italiano di Cultura come capofila di iniziative diverse, alcune delle quali hanno prodotto dialoghi e collaborazioni inaspettati e fruttuosi, in particolare nel mondo della danza, dove l’espressione artistica del movimento e del corpo supera molte delle barriere identitarie individuali.
Il progetto di uno spettacolo, la visita alla scoperta delle sale della Città della Cultura [1] o del teatro Nazionale a Tunisi, l’incontro con i ballerini e i responsabili delle Compagnie di Danza alla Città stessa sono le tappe verso l’idea di aprire lo spettacolo italiano a una proposta di collaborazione. È indubbio che l’energia e l’entusiasmo culturale dei due responsabili tunisini, Nesrine Chaabouni e Karim Touwayma, sono stati determinanti per ispirare aperture e per superare tutte le immancabili difficoltà di un progetto inedito e sviluppato a distanza.
Insieme nella vita come nell’attività artistica, Nesrine e Karim sono accomunati nella loro carriera da tappe che richiamano, ancora, la metafora del cerchio e delle onde: l’appartenenza alla scuola del grande coreografo Imed Jemaa, poi le esperienze e specializzazioni in Paesi europei che ampliano la loro formazione; a Parigi lei, in Germania lui, e poi in Italia; la elaborazione individuale di progetti innovativi finanziati dal Ministero degli Affari Culturali che, in una strategia di sostegno e valorizzazione dei giovani e delle loro capacità, ha conferito loro incarichi importanti per lo sviluppo della danza e delle compagnie di ballo stabili in Tunisia.
Karim Touwayma è direttore artistico del “Nuovo Balletto della danza tunisina”, mentre Nesrine Chaabouni è direttrice artistica del polo “Balletto e Arti Coreografiche” del teatro dell’Opera della Città della Cultura e al contempo del “Balletto dell’Opera” di Tunisi. Entrambi coreografi e ballerini di danza contemporanea, sviluppano la loro visione personale dell’arte coreutica nei loro lavori individuali, per poi trasfonderla nelle realizzazioni comuni e nei progetti che li vedono coordinatori nei ruoli istituzionali: un flusso di apporti creativi personali, che diventano fusione e arricchimento, e non sostituzione.
Uscire dal cerchio della propria formazione, ritornarci arricchiti, per arricchire la realtà culturale del proprio Paese, e uscirne ancora nella trasmissione di questo sapere della condivisione soprattutto ai più giovani.
Nesrine Chaabouni è interessata alla fusione pluridisciplinare, al dialogo tra l’invenzione coreografica, l’arte del suono, le arti visive e le nuove tecnologie; come molte artiste tunisine dedica gran parte del suo lavoro alla donna tunisina di oggi, al suo ruolo propulsivo e fondante nella società [2].
Karim Touwayma trasmette nel suo lavoro il forte legame con le sue origini nel Sud tunisino dove, fin da bambino, ha assimilato le musiche e le danze rituali dello “Stambeli”, di cui è professore e interprete. Le sue creazioni artistiche si propongono di rivalutare l’eredità delle comunità dello stambeli, le danze e musiche della minoranza dei neri africani radicata in Tunisia nei secoli, ma artisticamente e culturalmente emarginata.
Dunque, collaborazioni artistiche tra questi responsabili del polo coreutico e i coreografi italiani in tournée a Tunisi nate da contatti non precostituiti e pianificati, ma foriere di risultati di grande coinvolgimento, per gli interpreti e per il pubblico. In particolare sono due le proposte recenti, nate con lo stesso percorso preliminare, dall’incontro tra due differenti compagnie italiane di danza con le compagnie tunisine, sfociate in due spettacoli che toccano corde e stati emozionali diversi.
Il primo può essere definito un percorso “mentale”, che fa leva sui riferimenti culturali, storici e mitici, tra Italia e Tunisia, Roma e Cartagine, Didone ed Enea. Il secondo è un percorso emozionale, che trova corrispondenza nelle appartenenze ancestrali comuni, nel ritmo di danze e suoni che pulsano nelle vene senza mediazioni e/o incrostazioni culturali, patrimonio popolare dei Paesi del Mediterraneo.
L’idea di festeggiare la Giornata mondiale della Musica con un “Viaggio in Italia la musica e i balli del Belpaese”, con l’Orchestra popolare italiana diretta da Ambrogio Sparagna e il corpo di ballo diretto da Francesca Trenta, si presentava come proposta “facile” e popolare, ammiccante alle nostalgie delle feste tradizionali per la comunità italiana, e alle conoscenze un po’ stereotipe sulla musica italica per i tunisini: fisarmonica, violino, mandolino e percussioni, tarantelle e pizzica in ritmi orecchiabili e un po’ ripetitivi.
L’incontro tra Francesca Trenta e Karim Touwayma ha scardinato le prospettive, portando in evidenza una espressività comune che è stata immediatamente percepita dai ballerini italiani e dai giovani tunisini. Poche sessioni di prove hanno creato una fusione istintiva e viscerale, fondata sulla comunanza della strumentazione e sui ritmi: l’analogia tra la tarantella e la lounga tunisina; la ritmicità sfrenata e incalzante della pizzica e della taranta, danze popolari e rituali che nelle forme originarie si perpetuano ossessive fino alla trance liberatoria, con le stesse finalità, per le comunità soprattutto rurali, che presenta lo stambeli tunisino.
Queste radici comuni sono state perfettamente interpretate nelle danze finali dall’intreccio di ritmi e costumi tra danzatori del corpo di ballo italiano e giovani danzatori tunisini, e hanno consentito a Touwayma di dare visibilità artistica alle identità eterogenee della Tunisia e alla minoranza nera dello stambeli, radicata nel Paese nei secoli ma marginalizzata. Con uno splendido quanto inaspettato cammeo finale, rappresentato dalla maliarda e raffinata reinterpretazione della storia di Boussadeia: il re nero che cerca la figlia rapita dai mercanti di schiavi della costa girando i villaggi e le case, cantando canzoni amate dalla figlia, nella speranza che lei le ascolti e si mostri, e offrendo caramelle ai bambini.
Si tratta di un mito popolare ancora molto noto e vivo nelle feste popolari che Touwayma ha reinterpretato e attualizzato al contesto con grande raffinatezza; ha sostituito agli stracci pezzati e ai barattoli ai piedi per attirare l’attenzione nei villaggi un costume di incrostazioni di conchiglie, lustrini e tessuti cangianti: un corpetto rosso su una sottana turchese per un Boussadeia sinuoso e vagamente ermafrodita nella sua esibizione in “assolo”.
L’altra creazione tuniso-italiana ha impronta meno istintiva, più elaborata, concepita, fin dal progetto del coreografo Luca Bruni con la compagnia italiana Oplas, come incontro con il Polo “Balletto e Arti coreografiche” del teatro dell’Opera. I frequenti soggiorni a Tunisi di Bruni l’hanno ispirato nella scelta del soggetto, che allusivamente lega l’incrociarsi dei passi di danza della collaborazione artistica con l’intersecarsi nei secoli del cammino di Roma e Cartagine.
Partendo dall’opera barocca Dido and Aeneas di Henry Purcell (opera in tre atti, del 1689), la trasposizione coreutica di Bruni ne propone una rivisitazione con la reinterpretazione musicale di Marco Schiavoni e l’allestimento scenico di Mario Ferrari. Il risultato è un viaggio coreografico attraverso la storia e una versione contemporanea di Purcell dove i gesti sostituiscono le voci per proporre la mitica e drammatica storia di Didone, o Alyssa, fondatrice e regina di Cartagine, e di Enea, il principe troiano designato dagli dèi a dar origine a Roma. Il riferimento è al quarto libro dell’Eneide di Virgilio, alla sua epopea di eroe virtuoso e rispettoso del volere divino, a scapito dei sentimenti privati e della passione: un mito che attraverso i secoli è ben noto ancor oggi nella sua complessa simbologia della natura umana.
La creazione coreografica è una panoplia di simboli e grida la sua contemporaneità, a partire dalla giovane età degli interpreti. Torna l’immagine della circolarità, simbolo di chiusura e appartenenza, ma anche di scambi: raccolti in cerchio i giovani ballerini, che interpretano i personaggi principali dell’opera, raccontano nei gesti e nei movimenti la propria esperienza e la propria storia, al di là della forza del destino e della passione tra Didone ed Enea, drammaticamente troncata, ricordata dai momenti di canto lirico in accompagnamento.
La maestosità della musica barocca di Purcell è innestata di sonorità orientali ben percepibili. Scenografia e costumi sono minimalisti, ma allusivi della terra tunisina: realizzati con materiali biologici e fibre derivanti dalla lavorazione dell’ulivo, una delle piante simbolo della Tunisia.
Ateliers e workshop guidati da Bruni hanno realizzato un avvicinamento tra giovani danzatori delle rive nord e sud del Mediterraneo, un incontro e fusione di gesti e di corpi, che mostra allo spettatore una osmosi perfetta, simbolo di vicinanza artistica, o, meglio, della universalità del linguaggio dell’arte [3].
Impregnati della propria cultura, e anche della propria fisicità, questi protagonisti dei progetti italo-tunisini nel dialogo, nel lavoro in comune hanno condiviso esperienze, valorizzato le loro peculiarità, ma anche scoperto affinità musicali e coreutiche, appartenenti al cerchio delle terre che attorniano il Mediterraneo, con un costruttivo arricchimento reciproco.
Nell’auspicio che – per riprendere l’immagine delle onde concentriche che sfumano dal centro allontanandosi – questo momento di condivisione allarghi i suoi effetti in un movimento circolare progressivo di apertura, accoglienza e arricchimento verso le nuove generazioni.
Dialoghi Mediterranei, n. 39, settembre 2019
Note
[1] La Città della Cultura (Medinet Ethakafah) è il polo culturale di progetto decennale voluto e portato a termine dal Ministro degli Affari Culturali Mohamed Zinelabidine e inaugurato il 23 Marzo del 2018.
[2] Il suo prossimo lavoro sul tema sarà Le figlie di Arianna.
[3] Per una sintesi del balletto proposto a Tunisi si può seguire il link https://www.youtube.com/watch?v=JnGxuVvKRe0 , anche se la scelta privilegia la musica di Schiavoni, sia pure nelle sonorità orientali, su quella di Purcell.
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Rosy Candiani, studiosa del teatro e del melodramma, ha pubblicato lavori su Gluck, Mozart e i loro librettisti, su Goldoni, Verdi, la Scapigliatura, sul teatro sacro e la commedia musicale napoletana. Da anni si dedica inoltre a lavori sui legami culturali tra i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, sulle affinità e sulle identità peculiari delle forme artistiche performative. I suoi ultimi contributi riguardano i percorsi del mito, della musica e dei concetti di maternità e identità lungo i secoli e lungo le rotte tra la riva Sud del Mediterraneo e l’Occidente.
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