Introduzione
Nell’ambito della socio-linguistica del contatto, diversi studi hanno analizzato quali fattori sociali e linguistici sono in grado di favorire la produzione e riproduzione di una varietà etnica della lingua, conosciuta anche come ethnolect o multi-ethnolect [1], ossia quella varietà linguistica parlata da un determinato gruppo culturale e/o etnico. Ad esempio, numerose ricerche sono state condotte sull’African American English, una varietà linguistica dell’inglese parlata da molti afro-americani negli Stati Uniti, rispetto alla quale Lisa Green, nel suo libro African American English: A linguistic introduction, evidenzia come tale varietà sia associata a particolari modelli fonologici, morfologici, sintattici, semantici e lessicali [2]. È per questa ragione che sarebbe dunque erroneo definirlo come una mera versione incorretta dell’inglese mainstream [3].In ambito europeo, simili studi sono stati condotti sulle varianti multi-etniche del tedesco conosciute come Kiezdeutsche parlate da giovani di seconda generazione di origine turca ed araba [4], sviluppate dunque dal contatto tra la lingua del Paese di destinazione e quella di origine. Anche in Paesi di più recente immigrazione, quali l’Italia, sono state isolate varietà etniche della lingua. Così, in un’indagine empirica condotta a Torino con un gruppo di immigrate peruviane, Alessandro Vietti, ha messo in luce la presenza di una varietà peruviana dell’italiano, esito di un apprendimento imperfetto dell’italiano e del contatto tra ambienti culturali e linguistici distinti all’interno di un contesto urbano permeabile a ibridazioni linguistiche [5].
Accanto alle analisi dell’ethnolect, altre ricerche si sono incentrate sulle pratiche di ibridazione del linguaggio conosciute come code-switching (o commutazione del codice), in base alle quali, all’interno di una stessa conversazione, soggetti bi-lingue alternano le lingue usate [6]. Seppur meno strutturate rispetto all’ethnolect o multi-ethnolect menzionati precedentemente, tali pratiche di ibridazione sono spesso connesse; come sostenuto da Ad Backus, infatti, le varianti etniche stabili derivano da precedenti forme meno stabili di ibridazione del linguaggio. Di conseguenza, lo studio di questi casi incipienti di code-switching può fornire importanti indicazioni sulla formazione di varietà etniche della lingua più consolidate [7].
Nel suo studio sull’utilizzo alternato della lingua da parte di migranti bilingue residenti in Portorico, ad esempio, Shana Poplack identifica tre forme di code-switching (commutazione inter-frasale, commutazione intra-frasale e commutazione extra-frasale)[8], alle quali le persone bilingue o multilingue fanno ricorso, più o meno coscientemente, per svariati motivi, come confermato da successive ricerche in differenti contesti sociali: tra questi, per riempire lacune lessicali o per riformulare una frase in una lingua laddove la persona non sia in grado di portarla a termine nell’altra lingua [9]; per indicare l’intenzione di includere una persona nella conversazione o, al contrario, per escluderne altre; per segnalare l’appartenenza identitaria ad un gruppo ibrido di parlanti bilingui o multilingui [10]; o, infine, per generare un effetto umoristico [11].
Per contro, meno attenzione ha ricevuto ad oggi lo studio di queste pratiche di ibridazione del linguaggio adottate all’interno del contesto familiare da parte di membri della stessa generazione e membri di differente generazione. Ciò pare ancora più rilevante nel caso italiano, dove l’analisi di tali pratiche pare particolarmente carente. Presentando le pratiche di ibridazione del linguaggio dei membri delle prime e seconde generazioni e degli individui di generazione 1.5 di origine marocchina residenti in Italia, tale contributo si propone di mettere in luce quali forme di ibridazione del linguaggio inter-generazionale ed intra-generazionale vengono prodotte e ri-prodotte all’interno della comunità marocchina in Italia, tenendo in conto i differenti livelli di competenza linguistica dell’italiano e arabo, e quali funzioni svolgono all’interno del contesto familiare.
Metodo e dati
Questo articolo è basato sui dati ottenuti a seguito dello svolgimento di 14 interviste video-telefoniche, condotte via Skype, WhatsApp e Telegram tra l’11 Giugno 2019 e il 2 Settembre 2019, i cui rispondenti sono stati selezionati attraverso un ampio campionamento a valanga (snowball sampling), una tecnica di campionamento in base alla quale un nucleo iniziale di soggetti fornisce i riferimenti per reclutare altri potenziali membri del campione.
Ciascuna intervista ha avuto una durata media di 25 minuti ed è stata condotta in italiano ed arabo (dialetto marocchino), lasciando gli intervistati liberi di usare entrambe le lingue e di passare da una all’altra. Quando necessario, gli intervistati sono stati invitati a fornire esempi tratti dalla comunicazione bilingue che si sviluppa nel quotidiano all’interno del loro ambiente familiare.
Risultati
Le interviste video-telefoniche condotte hanno confermato l’uso di varie forme di ibridazione del linguaggio in ambito familiare da parte delle diverse generazioni di migranti di origine marocchina residenti in Italia.
La forma più semplice di ibridazione del linguaggio, detta commutazione inter-frasale del codice, avviene al confine tra due frasi. Per esempio, la frase in arabo marocchino per dire «Ciao, stai bene? Cosa è successo ieri?» – Salam, labas? Ashnu tra el bareh? – può assumere la seguente forma nella conversazione tra due individui bilingui: Salam, labas? Cosa è successo ieri? Seppur questa forma di ibridazione sia utilizzata trasversalmente da tutti i soggetti intervistati, indifferentemente dalle loro competenze linguistiche e dalla generazione alla quale appartengono, tale pratica risulta essere una delle due forme di ibridazione del linguaggio maggiormente utilizzate dagli intervistati di prima generazione con una conoscenza incompleta dell’italiano (detti anche bilingui «sbilanciati»).
La seconda forma di ibridazione del linguaggio è detta commutazione inter-frasale del codice, in quanto, a differenza della precedente, si produce all’interno della stessa frase. Così, la frase in arabo marocchino per dire: «certo, va bene fratello, facciamo quello che vuoi!» – eh, wakha a khoya, ndiru lli bghiti! – è spesso riformulata come: certo, va bene khoya, facciamo lli bghiti!
A seconda di quale lingua assume il ruolo di «lingua matrice» (o dominante) e «lingua incassata» nella conversazione principale, il ricorso a questa forma di ibridazione consente al parlante di enfatizzare parti diverse della medesima frase. Inoltre, queste enunciazioni mistilingue richiedono una maggiore padronanza linguistica rispetto alla precedente: non sorprende infatti che, tra gli intervistati, siano maggiormente i parlanti bilingue appartenenti alle generazioni più giovani e i bilingui «bilanciati» di prima generazione a farvi maggiormente ricorso.
Una terza forma di ibridazione, detta tag-switching o commutazione extra-frasale del codice, prevede l’inserimento di una singola parola o locuzione all’interno di una frase che altrimenti sarebbe monolingue. Per esempio la frase in arabo marocchino per dire «vuoi questo, vero?» – bghiti hada, yak? – potrebbe essere pronunciata come: vuoi questo, yak?
Dalle interviste condotte e dagli esempi che gli intervistati hanno fornito, questa terza forma di ibridazione risulta essere una delle soluzioni linguistiche maggiormente usate in ambito familiare dai membri della prima generazione con una competenza bilingue scarsa o comunque sbilanciata a discapito dell’arabo, data la sua maggior accessibilità, come nel caso della commutazione inter-frasale del codice.
Accanto alle tre pratiche già identificate dalla letteratura in materia, tuttavia, è possibile isolare un’ulteriore forma di ibridazione del linguaggio, la quale prevede una frammentazione al livello della singola parola. Così, la frase in arabo marocchino per dire «cosa hai mangiato ieri?» – ashnu kliti el bareh – nella ibridazione della comunicazione diviene: ashnu mangiti el bareh? Il verbo arabo (kliti) viene scomposto in due parti, delle quali solo la sua originale desinenza araba (-ti) è mantenuta, mentre la radice è sostituita da quella italiana (mangi-).
Anche in questo caso, la ibridazione del linguaggio sembra una pratica più o meno conscia utilizzata dai soggetti intervistati per porre enfasi su una parte del discorso, nella fattispecie, il verbo «mangiare». Inoltre, come suggerito dalle interviste condotte e dagli esempi forniti dagli stessi soggetti anche questa forma di ibridazione del linguaggio è maggiormente impiegata da membri della prima generazione dotati di una buona competenza di entrambe le lingue e di una certa spontaneità nell’usarle entrambe, così come dai membri appartenenti alle generazioni più giovani, e in particolar modo dagli individui della generazione 1.5, cioè quei soggetti che migrarono in giovane età. Al contrario, i membri delle generazioni più giovani sprovvisti di una buona conoscenza dell’arabo marocchino tendono a ricorrere ad altre forme di ibridazione, come la commutazione intra-frasale del linguaggio.
Pare inoltre interessante notare che, nonostante l’arabo e l’italiano abbiano strutture morfosintattiche dissimili, il prolungato contatto di questi sistemi linguistici all’interno degli ambiti familiari consenta ad alcuni di loro di sviluppare una comunicazione ibrida, nella quale l’arabo marocchino funge da lingua «matrice», definendo le basi per la comunicazione, mentre l’italiano ricopre il ruolo di lingua «incassata».
Al di là delle differenze nelle pratiche di ibridazione tra generazioni, le interviste condotte hanno rivelato, in prima approssimazione, differenze nelle forme ibride di linguaggio intra-generazionale ed inter-generazionale a seconda della particolare situazione in cui si trovano i parlanti appartenenti alla comunità marocchina in Italia. In altre parole, le ibridazioni del linguaggio non servono esclusivamente a porre maggiore enfasi su determinante parti del discorso, ma riflettono anche un adattamento dinamico alle varie situazioni comunicative della vita reale, come ad esempio le competenze linguistiche dell’interlocutore, il grado di formalità della conversazione e il carico emozionale che questa comporta.
Tale carattere situazionale del linguaggio intra-generazionale ed inter-generazionale emerge chiaramente negli stralci di intervista presentati di seguito, le quali evidenziano questo processo di adattamento dinamico non solo alle competenze linguistiche del familiare ma anche al quadro situazionale all’interno del quale si sviluppa la conversazione.
«Quando parlo con mia nonna [...] parlo solo in arabo con lei, ma la conversazione è molto semplice perché non so parlare benissimo arabo. Con i miei genitori che invece parlano meglio [italiano] posso usare qua e là qualche frase o parola in italiano. Quando scrivo su whatsapp con i miei genitori uso solo l’italiano perché mi sento più a mio agio [...] ho una sorella piccola di 12 anni [...] con lei invece parlo quasi sempre solo in italiano».
[Adnan 24 anni, Milano]
«Io sono nata in Marocco […] ma mio fratello è nato in Italia e parla peggio di me arabo…per questo parlo spesso in italiano con lui. Con mia sorella maggiore parlo un misto di arabo e di italiano. Invece con i miei genitori, soprattutto mio padre mi sembra strano quando gli parlo in italiano. Ogni tanto ci parliamo in italiano ma lo facciamo più per fare battute e ridere di qualcosa».
[Lubna 28 anni, Torino]
«In casa mia quando si parla di qualcosa di abbastanza serio, io cerco di sforzarmi di parlare in arabo. Non so perché lo faccio esattamente…credo perché suona più serio [l’arabo marocchino] e penso che se parlo in arabo con i miei genitori, la mia opinione la prenderanno più in considerazione.
Quando litighiamo io e mia madre è diverso…ognuno preferisce usare la lingua che parla meglio, mia madre l’arabo ed io l’italiano [...] in quei momenti non cerchi di creare ponti con nessuno, vuoi solo che il tuo messaggio arrivi chiaro senza esitare troppo».
[Kawtar 33 anni, Milano]
Inoltre, dalle interviste condotte si evince come il tipo di comunicazione sviluppato nell’ambito familiare sia influenzato anche da fattori esterni quali, ad esempio, l’emigrazione di ritorno di un familiare.
«Ho uno zio che ha deciso qualche anno fa di rientrare in Marocco dopo molti anni che viveva in Italia [...] Ho notato che adesso che vive in Marocco, ci parliamo molto di più in arabo che in italiano. Io credo che questo l’ha iniziato lui, però io piano piano mi sono adattata…e adesso anch’io gli parlo più in arabo che italiano. Sai…ora quando parlo italiano lo faccio solo per usare una parola qua o là che non mi viene in mente in arabo [...] perché so che lui [mio zio] la conosce [...] oppure usa l’italiano per fare battute o prendermi in giro».
[Fadwa 30 anni, Vercelli]
Nello stralcio riportato sopra, si nota infatti come, a seguito della decisione del familiare dell’intervistato di ritornare al Paese di origine, il ricorso all’italiano in questa pratica di comunicazione transnazionale diventa progressivamente meno importante, quasi relegato a una funzione scherzosa o espressiva.
Conclusioni
Lo studio di delle pratiche di ibridazione del linguaggio allo «stato magmatico» può fornire indicazioni importanti sullo sviluppo di forme più stabili di ibridazione che potrebbero «solidificarsi», con l’uso ripetuto nel tempo, all’interno di una specifica comunità. In particolare, l’analisi di tali pratiche nell’ambito familiare fornisce le condizioni ideali per studiare i meccanismi di produzione e riproduzione di queste forme di ibridazione del linguaggio nella comunicazione intra-generazionale ed inter-generazionale, soprattutto se comparato a contesti più ufficiali – e dunque più formali – nei quali si esige una comunicazione monolingue.
L’ibridazione del linguaggio da parte dei membri della comunità di origine straniera oggetto di tale studio sembra espletare funzioni molto diverse tra loro, caratterizzate da gradi differenti di intensità di ibridazione e di consapevolezza da parte degli intervistati.
In primo luogo, le forme di ibridazione analizzate spesso riflettono una esigenza eminentemente pragmatica. Il bilinguismo viene usato degli interlocutori a proprio vantaggio, per produrre una comunicazione più fluida. Questa funzione dell’ibridazione del linguaggio, detta «referenziale», è particolarmente rilevante nella comunicazione inter-generazionale, in quanto permette ai bilingui «sbilanciati» delle prime generazioni e quelli della generazione 1.5 o di seconda generazione di comunicare tra loro più agevolmente.
Accanto a questa funzione, l’ibridazione del linguaggio assume una funzione di «segnaletica» nella comunicazione, nota anche come «fática». Gli intervistati sembrano ricorrere al proprio bilinguismo, più o meno consapevolmente, per segnalare quali elementi del discorso sono da considerare più importanti di altri, seppur in modo diverso a seconda della generazione di appartenenza. Se infatti questa funzione dell’ibridazione del linguaggio viene usata con maggiore regolarità dai membri delle generazioni più giovani, il ricorso alla stessa pratica da parte dei soggetti della prima generazione sembra riflettere più la prassi comunicativa di specifici ambiti familiari piuttosto che essere una caratteristica tipica della comunicazione. In altre parole, si nota una maggiore variabilità nel ricorso a questa funzione da parte delle prime generazioni di immigrati.
Inoltre, queste pratiche di ibridazione possono ricoprire una funzione cosiddetta «poetica», in base alla quale il parlante ricorre alla lingua «incassata» per divertimento o per una qualche finalità artistica. Le interviste condotte hanno più volte confermato che, in alcuni ambienti familiari, i membri della prima generazione ricorrono all’italiano come lingua dominante nella loro conversazione quando «rompono» con la consuetudine, segnalando più o meno consciamente che la conversazione è considerata comica o in qualche modo divertente (spesso l’effetto comico è prodotto dall’ inconsueto atto di code switching attuato dal familiare, più che dal contenuto della conversazione). Al contrario, quando una conversazione condotta in ambito familiare è considerata più «seria» dell’ordinario, gli intervistati appartenenti alle generazioni più giovani impiegano maggiormente l’arabo marocchino, a prescindere dal loro livello di conoscenza di tale lingua. Questo può essere interpretato come un modo di segnalare nell’ambito familiare la condivisione di un medesimo quadro emozionale all’interno del quale si svilupperà la conversazione, trasversale alle generazioni e alle competenze linguistiche.
Infine, le varie forme di ibridazione del linguaggio ricoprono una funzione «identitaria», detta anche «espressiva», specialmente nella comunicazione intra-generazionale da parte dei membri delle generazioni più giovani. In questo caso, la scelta di ibridazione del linguaggio riflette la multi-identità di questi soggetti, scelta che sembra derivare da una maggiore consapevolezza rispetto agli altri casi del non sottostare a codici mono-linguistici strutturati, rifuggendo qualsiasi incasellamento binario su base identitaria e creando attivamente un’identità altra. Agendo sulla lingua del Paese di origine dei genitori e su quella del Paese in cui sono nati o dove hanno vissuto la loro infanzia, tali soggetti producono un linguaggio ibrido o, per meglio dire, forme ibride di linguaggio.
Dialoghi Mediterranei, n. 41, gennaio 2020
Note
[1] Clyne, M. (2000), Lingua franca and ethnolects., in “Sociolinguistica”, 14: 83 -89.
[2] Green, L. J. (2002), African American English: A linguistic introduction, Cambridge: Cambridge Univ. Press.
[3] Pullum, Geoffrey K. 1999, African American vernacular English is not Standard English with mistakes, in Rebecca S. Wheeler (ed.), The Workings of Language: From Prescriptions to Perspectives, Westport, CT: Praeger: 39-58.
[4] Freywald, U., Mayr, K., Özçelik, T., & Wiese, H. (2011), Kiezdeutsch as a multiethnolect, in F. Kern, & M. Selting (Eds.), Ethnic styles of speaking in European metropolitan areas, Amsterdam, Netherlands: John Benjamins: 45-73.
[5] Vietti, A. (2005), Come gli immigrati cambiano l’italiano: L’italiano di peruviane come varietà etnica, Milano: FrancoAngeli.
[6] Matras, Y. (2009), Language Contact, Cambridge: Cambridge University Press.
[7] Backus, A. (2003), Can a mixed language be conventionalized alternational codeswitching? in Y. Matras, & P. Bakker (Eds.), The Mixed Language Debate. Theoretical and Empirical Advances (Trends in Linguistics; No. 145), Berlin: Mouton de Gruyter: 237-270..
[8] Poplack, S. (1980), Sometimes I’ll start a sentence in Spansih y termino en español: Towards a Typology of Code-switching. Linguistics, 18: 581-618.
[9] Alfonzetti, G. (1992), Il discorso bilingue. Italiano e dialetto a Catania, Milano, Franco Angeli.
[10] Volker Hinnenkamp (2003), Mixed Language Varieties of Migrant Adolescents and the Discourse of Hybridity, Journal of Multilingual and Multicultural Development, 24: 1-2: 12-41.
[11] Siegel, J. (1995), How to get a laugh in Fijian: Code-switching and humor, Language in Society, 24(1): 95-110.
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Zakaria Sajir, ha conseguito il dottorato nel giugno 2018 presso la University of Leicester nel Regno Unito attraverso uno studio comparato di natura quantitativa sulle diverse forme di partecipazione politica espresse dai membri di cinque comunità di origine marocchina residenti nelle città di Bruxelles, Lione, Torino, Barcellona e Madrid. Da settembre, lavora presso la American University en Madrid come professore a contratto nel corso Immigrant Experience & Public Health.
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