A memoria d’uomo, tutte le civiltà del pianeta hanno edificato religioni di ogni tipo, onorandone le deità rappresentatrici e, in corrispondenza ad esse, hanno sviluppato culti, riti e pratiche, quasi sempre sotto il controllo di un clero, più o meno organizzato e potente. Caratteristiche comuni a tutte le religioni [1] sono, da un lato, il concetto di Dio contenente l’attribuzione di trascendenza dal mondo a cui tendere nella speranza dell’immortalità, e dall’altro, il fatto di somigliare all’uomo, per quanto in meglio riguardo a intelligenza, potenza e lungimiranza, anche se a volte è più rigido, altre più misericordioso, in funzione delle peculiarità dei popoli che lo adottano. Ciò, esattamente al contrario di quanto vorrebbero ammettere alcuni religiosi, che non è l’uomo ad essere creato da Dio a sua immagine e somiglianza ma, al contrario, è Dio ad essere immaginato a immagine e somiglianza dell’uomo.
Si può dire, in sintesi, che l’idea di Dio racchiude, in tutte le culture, due caratteristiche, distinte, altrettanto fondamentali, ma di diverso livello. La prima connotazione, di livello più elevato – che caratterizza, stabilmente e pressoché nello stesso modo, tutte le divinità della storia dei popoli – riguarda la qualità di Dio di essere fuori dal tempo e dallo spazio, qualità che gli permette di conoscere ovunque e simultaneamente, passato, presente e futuro, mentre l’uomo è vincolato sulla Terra in una condizione di vita temporanea. Accanto a questa facoltà soprannaturale, non attingibile dall’uomo e che colloca la divinità al di fuori e al di sopra delle capacità umane, l’idea di Dio ha sempre contenuto connotazioni di tipo prettamente umano, ancorché elevate a livelli sovraumani: proprietà che, a differenza della facoltà di trascendenza dal mondo fisico, non sono né uguali per i diversi popoli sulla Terra né stabili nel corso della storia, come dimostra, ad esempio, il graduale passaggio dalle divinità umanoidi del mondo greco ai monoteismi moderni dove le connotazioni di tipo umano sono diventate con il tempo di gran lunga meno evidenti. Un percorso storico, questo, che attraverso morti e rinascite, variabile nel tempo da popolo a popolo, continua a riformulare la rappresentazione della divinità nel corso del tempo, in funzione dell’evolversi delle conoscenze.
Un’idea, quindi – quella di Dio – che mescolando elementi di fede con elementi di tradizione e di conoscenza, inevitabilmente intrecciati all’interno delle singole coscienze e condivisi all’interno di uno specifico contesto ambientale, propone una idealizzazione dell’essere umano, trasportato fuori dai suoi limiti spaziotemporali e caratterizzato da proprietà generali e particolari, assolute e relative, riguardanti valori che sono necessariamente contrassegnati da un’etica prettamente umana, vincolata alle aspettative determinate dal concorso delle due opposte modalità umane di conoscenza, quella razionale e quella intuitiva. Una situazione, questa, dalla quale non sembra possibile sfuggire a causa del limite naturale, insuperabile, che la peculiare condizione umana pone ad una conoscenza obiettiva e assoluta di ciò che ci circonda, per il fatto di essere mortale e vincolata alla Terra, piccolissima pietra sperduta nell’immenso universo. Limite oggi certificato dalla stessa scienza sia da motivi prettamente fisiologici, sia per quanto riguarda livelli e metodi di conoscenza. I primi per la intrinseca limitazione del nostro cervello, costretto a mediare fra i contrastanti stimoli della dualità razionale-irrazionale dei due emisferi, l’altra in considerazione delle intrinseche limitazioni del metodo scientifico all’interno dei suoi stessi presupposti [2].
L’uomo, però, non intende cedere a queste limitazioni, e ha sempre creduto di poterle oltrepassare con l’immaginazione. Ai primi del Novecento, la pretesa della scienza di avere raggiunto il culmine del sapere, indusse molti a pensare di potere eliminare Dio dalla scena, ritrovandosi poi, paradossalmente, a confrontarsi con gli interrogativi ancora più complessi derivati dai più elevati livelli di conoscenza raggiunti con l’avvento della fisica quantistica di cui accennerò nel seguito. Condizione, questa, che non può che riproporre di fatto e necessariamente l’idea di Dio, magari con caratteristiche più evolute e mediate su porzioni sempre maggiori di popolazione umana, ma in ogni caso un’idea sempre molto complessa e non oggettivabile dove permangono, pressoché inalterate, le proprietà soprannaturali della onniscienza collegata all’essere fuori dal tempo e dallo spazio, mentre si vanno modificando le caratteristiche ‘umane’ della divinità verso forme dipendenti sia dalla cangiante condizione umana sia dall’evolversi delle conoscenze.
Evoluzione inevitabile, questa, che mantiene e alimenta la tendenza a fare dipendere la complessa idea di Dio dalle specifiche lacune della conoscenza, mai del tutto eliminabili, alle quali soltanto un atto di fede può porre rimedio. Atto di fede, comunque, che, per quanto discusso sopra, non può che rispecchiare le aspettative umane, sia quelle a carattere personale sia quelle legate alla cultura della comunità di appartenenza; entrambe presentanti una vastissima gamma di variazioni, finanche su concetti fondamentali come quello di ‘bene’ sul quale si fonda l’idea di Dio, specie quando riferito al confronto fra ‘bene’ personale e ‘bene’ comune. Aspettative che spesso, a causa di questa variabilità, determinano conflitti anche molto aspri fra singoli, fra popoli e, naturalmente, fra religioni diverse, tali da condurre anche a guerre e massacri come la storia passata e presente ci racconta.
I limiti del realismo scientifico [3]
All’inizio dell’impresa scientifica, nel diciassettesimo secolo, si affermava una fisica fondata sul ‘realismo’ scientifico[4], una linea di pensiero di matrice dualista che raffigura un mondo fatto, da un lato, di oggetti e relazioni dalle proprietà intrinseche, e dall’altro di osservatori, supposti essere in grado, per mezzo di appropriati esperimenti, di identificare queste proprietà senza modificarle[5]. Questa trascuranza del processo di condizionamento reciproco fra soggetto osservatore e oggetto osservato [6] permise una enorme facilitazione nella costruzione della struttura matematica descrivente i fenomeni naturali, consentendo la formulazione di semplici ed eleganti teorie, senza le quali non sarebbero state possibili le fondamentali conquiste della scienza e della tecnologia e le loro significative ricadute in tutti i settori del vivere civile. Conquiste che hanno consolidato nel tempo la fede nella ‘razionalità scientifica’ (fino a farla considerare dal positivismo come unica razionalità possibile), con la conseguente convinzione, più volte affiorata, che il fine di una rappresentazione del tutto obiettiva della realtà, prescindendo da ogni possibile influenza soggettiva, fosse quasi raggiunto[7].
Si trattava, evidentemente, di una semplicistica sopravvalutazione che venne presto demolita con le indagini del microcosmo le quali, a cavallo fra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, videro l’emergere di una fisica attestante la reciproca influenza fra l’uomo e la natura. Uno stravolgimento concettuale, questo, enfatizzato alcuni decenni dopo dai risultati delle ricerche sulla autoorganizzazione dei sistemi lontani dall’equilibrio termodinamico, condotti da Ilya Prigogine, che testimoniano come la stabilità e la sopravvivenza di ogni sistema vivente, e pertanto anche dell’uomo, dipenda dallo scambio virtuoso di informazione ed energia stabilito con l’ambiente, trasmettendoci così una visione del mondo che ci propone il verificarsi di fenomeni del tutto incomprensibili agli schemi classici di pensiero e che pertanto non si accorda più con il senso comune radicato da secoli.
Ricordiamo, in particolare, che in Meccanica Quantistica lo stato di un sistema fisico isolato viene rappresentato da un vettore y in uno spazio matematico astratto (spazio di Hilbert) dove agiscono degli operatori non commutativi[8] associati alle quantità (chiamate “osservabili”) che di quel sistema si vogliono misurare. La misura dell’osservabile è rappresentata dall’applicazione del corrispondente operatore sul vettore di stato y. La funzione d’onda y che corrisponde al vettore di stato y obbedisce all’equazione di Schrödinger che ne definisce deterministicamente l’evoluzione nel tempo, mentre il suo modulo quadro |y|2 fornisce le probabilità di ottenere i valori numerici che caratterizzano lo stato dell’osservabile al momento e nella condizione fisica in cui la misura è effettuata. All’atto della misura, la funzione d’onda y, da indice di un insieme di probabilità a priori previste deterministicamente, ‘collassa’ nel valore – a priori impredicibile – corrispondente al risultato ottenuto[9]. Questo ci dice che non è possibile anticipare il risultato di una misura, come invece prevede il realismo, ancorché teoricamente; in altre parole, anche ammesso di conoscere con precisione infinita lo stato di un sistema, i suoi stati futuri possono solo essere rilevati al momento – e alle condizioni – in cui ne facciamo la misura[10].
Altri disturbi alla concezione classica della realtà vengono dal principio di complementarietà e dal fenomeno dell’entanglement. Il primo è sostanziato dalla dualità onda-particella, ovvero dalla proprietà della luce e delle particelle elementari di possedere congiuntamente una precisa localizzazione e una totale dispersione nello spazio: due proprietà chiaramente incompatibili dal punto di vista classico ma osservabili separatamente sullo stesso oggetto per mezzo di opportuni esperimenti[11]. L’entanglement, che coinvolge il principio di causalità, consiste nel fatto che, in un sistema isolato descritto da un unico stato y separato in due sottosistemi descritti da due distinti stati y1 e y2, un’eventuale misura fa rilevare che la memoria della loro interconnessione iniziale si è conservata. In particolare, se a un certo istante viene invertito il senso di rotazione (spin) di una particella (separata e allontanata da un’altra particella alla quale era inizialmente unita in un unico sistema), nello stesso istante, e per quanto lontana si possa trovare, pure l’altra particella inverte il suo spin, rivelando la presenza di correlazioni istantanee senza scambio di informazione che violano il limite c della velocità di ogni trasmissione di segnale, stabilito dalla teoria della relatività, così evidenziando il carattere non locale della realtà. È da rilevare che questo fenomeno – immaginato nel 1935 come Gedankenexperiment da Albert Einstein per contrastare la meccanica quantistica – fu confermato teoricamente nel 1964 dal teorema di Bell e verificato sperimentalmente nel 1982 da Alain Aspect con la sua équipe.
Un ulteriore fenomeno incompatibile con il senso comune riguarda i concetti di vuoto e di antimateria. Nel 1928, Paul Maurice Dirac postulò l’esistenza di una particella con energia negativa (il positrone o antielettrone), dando fiducia a una soluzione dell’equazione (precedentemente non considerata) che descrive un elettrone relativistico: particella che fu effettivamente trovata nel 1932 da Carl Anderson. Affidandosi a questa intuizione, Dirac propose di quantizzare [12] il campo elettromagnetico considerandolo come un insieme di oscillatori armonici con energia eguale a un multiplo intero positivo del ‘quanto’ elementare di energia hv (dove v è la frequenza del campo), e pertanto mai esattamente uguale a zero. Di conseguenza, anche il vuoto, per il fatto di ospitare i campi elettromagnetici, doveva necessariamente avere un’energia residua (energia di punto zero)17 data dalla somma delle energie minime degli oscillatori che costituiscono il campo. Dirac ne concluse che, fornendo sufficiente energia, si può estrarre un elettrone dal vuoto lasciando in esso un ‘buco’ di energia – ad esempio, un positrone –, circostanza che si verifica sperimentalmente: si tratta della creazione dal vuoto di una coppia elettrone-positrone la cui energia totale di partenza è zero; da qui il detto che ‘il vuoto è pieno’ (vacuum is not empty) [13].
Ci sembra, infine, importante (specie per quanto riguarda l’aspetto teologico) sottolineare la caratteristica di assenza di tempo che, senza disturbare il concetto di dinamicità, appare a scale fisiche estremamente piccole (al livello della scala di Planck, circa 10-33 cm), in particolare all’epoca del Big Bang. Non si tratta, in questo caso, di un fenomeno osservato (né potrebbe esserlo) e neanche di un esperimento mentale, bensì di una implicazione delle procedure matematiche astratte – nello specifico, la geometria non commutativa – che in MQ descrivono con grande precisione tanti fenomeni sperimentalmente verificabili.
Si noti che i risultati ottenuti nell’indagine del microcosmo sono stati conseguiti con l’adozione dell’approccio exofisico tipico del realismo: paradossalmente, è accaduto che la scienza ha scoperto l’interazione e ha evidenziato la presenza di fenomeni imprevisti – e inaccettabili dal senso comune – utilizzando un sistema di procedure fondato sulla loro negazione, come se il rigoroso uso della ragione avesse in ogni caso trovato la via per la rivelazione di aspetti ‘irrazionali’ della Natura. Da che cosa scaturisce questo paradosso? Non è forse l’estrinsecazione di una condizione strutturale della mente che si sostanzia di antinomie perché essa stessa è bipolare’? Forse il misterioso velo dietro il quale, secondo Eraclito, la Natura amerebbe nascondersi, è co-intessuto con la mente che lo osserva, e pertanto è possibile che sia la scienza stessa a portare alla luce alcune proprietà della materia che, pur incomprensibili alla sua ragione, sono forse compatibili con le categorie del pensiero prelogico e fusionale-partecipativo constatate da Lévy-Bruhl in relazione a una ‘mentalità primitiva’ che affida la sua espressione a un linguaggio riflettente un grado molto elevato di integrazione corporea e intensità emozionale [14], e pertanto più immediatamente accessibili alla condizione che caratterizza lo stato primitivo dell’evoluzione filo- e ontogenetica dell’uomo.
La scienza e la nostra immagine del mondo
Al di là dei limiti di cui si è detto, la nostra conoscenza della struttura dell’Universo è oggi ad un altissimo livello; le potenti strutture conoscitive della fisica, della chimica e della cosmologia, e gli strumenti osservativi oggi disponibili, riescono a spiegare in grande dettaglio non solo i fenomeni alle nostre dimensioni ma anche quelli non direttamente osservabili del mondo atomico e subatomico, senza contare le straordinarie e maestose manifestazioni del cosmo. Sono conoscenze di qualità e di quantità il cui merito è evidentemente del metodo scientifico, fatto di logica, matematica e verifica sperimentale, e sostenuto dalla condivisione a livello planetario della interpretazione dei suoi risultati al fine di costruire un’immagine coerente e condivisa del mondo in cui viviamo; immagine che finisce con il permeare totalmente il clima culturale di ogni società umana, rendendo inevitabile il parlare e il pensare con inconscio riferimento ad essa. Di questa immagine che la scienza ha dato del mondo e dei connessi strumenti tecnologici, tutti fanno esplicitamente uso, nessuno ne è esente; neanche i credenti, e in particolare, neanche i teologi, in quanto partecipi della vita sociale di ogni giorno: nessuno, in nessuna epoca, può evitare di percepire l’immagine del mondo costruita dalla scienza e respirarne l’atmosfera, la quale plasma il gusto artistico, i criteri di valutazione e le preferenze intellettuali di tutti, credenti e non credenti, vincolandoli nelle scelte e nei comportamenti di ogni giorno, fornendo motivazioni vitali e formando attitudini etiche [15].
La scienza ha costruito un corpus coerente e solido di conoscenze che all’inizio fu molto osteggiato dalle religioni consolidate. Ricordiamo l’avventura di Galileo fra i successi, gli errori e la condanna della Chiesa, in un momento in cui lo stesso Tommaso D’Aquino considerava la ricerca del sapere un atto di fede e guardava ad un’alleanza fra scienza e religione. Ricordiamo il trasferimento della Terra dal centro dell’universo ad una posizione subalterna di rotazione intorno al sole da parte di Keplero e Copernico. Ricordiamo le dispute sull’età della Terra e la creazione dell’uomo fornito di anima immortale, al contrario di quanto avviene per gli altri esseri viventi. Ricordiamo l’opposizione della Chiesa Cattolica al ‘materialismo’ intrinseco alla teoria degli atomi (un’opposizione ancora più tenace che per l’eliocentrismo) posto dal dibattito sulla relazione fra materiale e spirituale, dibattito che si cristallizzerà sulla parte centrale del dogma cattolico, l’eucarestia e la transustanziazione. Ricordiamo, di contro, il recupero di questa opposizione con l’avvento del dualismo onda-particella di cui si è parlato.
Impresa scientifica e sfera religiosa
L’immagine del mondo costruito dalla scienza, pur essendo sempre passibile di modifiche, anche radicali, ci permette di comprenderlo ad un buon livello, e pertanto, anche all’interno dei suoi limiti, la scienza deve essere fiera di quanto ha fatto. Di contro, la scienza abbandona il suo proprio ruolo quando lascia credere di potere avere adesso o in futuro la risposta alle grandi domande: cosa ci facciamo in questo universo di miliardi e miliardi di galassie, con i nostri cento miliardi di neuroni nel nostro cervello, persi nell’immensità del cosmo? Da dove veniamo? L’universo ha un senso? In ciò la scienza non avrà mai le risposte. Se resta nello spazio mentale che le è proprio, se non si lascia prendere la mano dai suoi stessi successi, la scienza non ha motivo di preoccuparsi del problema di Dio. Il campo dell’impresa scientifica e la sua sfera d’azione sono in essenza totalmente distinti dalla sfera religiosa. La scienza non può offrire l’immortalità come prospettiva, come non può offrire la resurrezione o la reincarnazione. Può solo accontentarsi di prolungare la vita, grazie ai progressi della scienza medica. Nello stesso tempo, però, grazie alla diffusione del sapere, alla lotta alle paure nate dall’ignoranza, la scienza, ormai quasi onnipresente nella società moderna, può svolgere un importante ruolo nella ricerca di senso di cui parlano le religioni; ad esempio, quando afferma che non esistono razze umane pure, e che dunque il razzismo è privo di fondamento ma, in genere, quando ci insegna a non dissimulare i fatti e a interpretarli ed esaminarli con rigore, in particolare quando ci narra l’origine dell’universo o il modo in cui il DNA codifica il programma genetico.
D’altra parte, se è vero che la cultura scientifica e tecnologica influenza in modo determinante il comportamento di ogni giorno, è anche vero che la religiosità è un bisogno che caratterizza diffusamente tutti gli esseri umani. Un insopprimibile bisogno di farci domande sull’esistenza e sul senso della vita e di darci delle possibili risposte che non ha nulla di razionale ma che richiama il desiderio di trascendenza. Una trascendenza del tutto teorica e inconoscibile dalla quale ci difendiamo dalle paure terrene e alla quale affidiamo le nostre speranze ultraterrene; una trascendenza che, essendo diversamente concepita da popolo a popolo, produce al nostro interno risposte diverse sull’esistenza e sul senso della vita, fondamentalmente a causa dell’influenza di specifiche tradizioni locali alle quali sono spesso legate le premesse di base di cui si discute più avanti. Premesse diverse al punto che se nei credenti le risposte a questi interrogativi fanno riferimento a un Dio personale, negli atei e negli agnostici non sono neanche considerate, ritenendo il cosmo autosufficiente, ma con ciò implicitamente affermando l’impossibilità di rispondere in modo razionale condiviso.
Credenti o no, tuttavia, l’immagine che abbiamo del mondo nelle sue tante espressioni della natura e della vita, costituisce uno sfondo del quale tutti, in quanto persone immerse nel contesto culturale dell’epoca in cui viviamo, facciamo uso, implicitamente o esplicitamente, utilizzandone gli strumenti di descrizione e di fruizione nelle nostre attività di ogni giorno. Lo stesso Sant’Agostino sottolineò che se un cristiano manifesta la sua ignoranza in fatto di scienza, ridicolizza la dottrina cristiana agli occhi dei pagani. Oggi, il teologo polacco Michał Heller, professore di filosofia presso la Pontificia Università cattolica intitolata a Giovanni Paolo II a Cracovia e membro aggiunto dell’Osservatorio Vaticano [16] dice che se il teologo si ostina a ignorare i risultati della ricerca scientifica, rischia di fare uso di una rappresentazione obsoleta del mondo, e rischia pertanto di limitare di molto la sua efficacia pastorale perché la gente, oggi molto informata, non è in grado di accettare verità teologiche che siano in conflitto con la realtà delle cose. Argomenti, questi, sempre validi, considerato che le conoscenze aumentano con il tempo e che pertanto qualcosa che in una data epoca è supposta vera per un atto di fede, può modificarsi in modo imprevisto, il che costringe il teologo a riformulare la dottrina [17].
L’evidenza del contributo della scienza al formarsi di una precisa immagine del mondo non può, ovviamente, oscurare il fatto ineluttabile che il ‘pensiero religioso’ e il ‘pensiero scientifico’ differiscono fondamentalmente negli assunti di base, i quali, essendo per loro natura indipendenti da ogni logica, possono determinare deduzioni ‘logiche’ diverse, ancorché egualmente condivisibili. Sono proprio queste differenze negli assunti di base che, se bene analizzate, possono spiegare il perché la ricerca di dialogo fra fedi diverse si trasformi a volte in conflitto ‘ideologico’ fra singoli o fra comunità di persone che, non essendo in equilibrio fra la predisposizione razionale e la predisposizione intuitiva [18] hanno fatto una bandiera non negoziabile dei propri assunti di base, bandiera per la quale lottano più o meno furiosamente. Tensione, questa, che spiega perché il confronto fra fedi diverse (e in particolare fra Fede e Scienza) viene da sempre e a tutte le latitudini, caratterizzato da un’alternanza fra dialogo e conflitto fra i più intensi e controversi; uno scontro particolarmente lacerante laddove ogni fede religiosa non riconosca gli assunti di base di ogni altra fede (in particolare le evidenti conquiste della Scienza) e laddove la scienza stessa non riconosca i limiti del metodo scientifico su questioni riguardanti i concetti che trascendono la nostra esperienza quotidiana [19].
Dio e delle lacune della conoscenza
Uno degli argomenti sull’idea di Dio, su cui Michał Heller pone maggiormente l’attenzione è l’argomento che indica ironicamente come Teologia del ‘Dio-delle-lacune’. Si tratta dell’atteggiamento ‘ideologico’ da parte di molti credenti, che pretendono di colmare con l’intervento di Dio le lacune delle conoscenza scientifica o, da parte di molti non credenti che rigettano l’idea di Dio convinti che le tutte le lacune della conoscenza siano soltanto temporanee.
Uno degli esempi più emblematici della teologia del Dio-delle-lacune è riferito da Heller riportando le conclusioni dello scrittore Robert Jastrow il quale, nel suo libro Dio e gli Astronomi [20], pretende di paragonare l’ipotesi scientifica del Big Bang nel 1927 alla creazione del mondo da parte di Dio. In effetti, l’ipotesi del Big Bang raffreddò il conflitto fra la teoria biblica della creazione e la teoria newtoniana di un Universo esistente da sempre e i teologi, trasformando arbitrariamente l’ipotesi in scoperta scientifica, si affrettarono per interpretarla come una conferma che il racconto biblico era corretto e che pertanto il Big Bang corrispondeva alla creazione dell’universo da parte di Dio.
Tuttavia, lo stesso scienziato e sacerdote George Lamâitre, che per primo aveva avanzato l’ipotesi del Big Bang, contestò questa identificazione, ribadendo che la dottrina della creazione dell’Universo non ha nulla a che vedere con essa. Lo stesso Heller, d’accordo con Lemâitre, fa notare che il nostro Universo potrebbe essere emerso per mezzo di un processo quantistico di tunneling da una precedente situazione di esistenza fisica [21]; circostanza che non permette di associare al Big Bang il concetto teologico di creazione. Da parte sua, uno scienziato non credente, Lee Smolin, afferma che quel quid incognito, responsabile del coerente flusso degli eventi che caratterizza il mondo e la vita, non si trova nel mondo stesso, ma si nasconde dietro di esso [22], riferendosi con questa frase a tutto quel dominio sconosciuto dal metodo scientifico che può, al massimo, essere ‘intuito’ a livello individuale, in modo non oggettivabile, come avviene nelle introspezioni meditative e nelle ispirazioni, ovvero a quella modalità intuitiva di conoscenza che indichiamo come ‘non razionale’.
Tutto questo per dire che non si può pretendere di usare la scienza per dare giudizi di verità su argomenti che trascendono la realtà sperimentalmente verificabile; semmai, come esseri provenienti dalla Natura, potremmo, in linea di principio, essere in grado di intuire – anche se in modo impossibile da giustificare con convinzione – il possibile ‘progetto’ da cui nasce la Natura di cui noi facciamo parte e che è pertanto contenuto in noi stessi. A questo proposito, il fisico Gerald Schröder, d’accordo con Lee Smolin, scrive che «Se l’Universo è veramente l’espressione di un’idea, il nostro cervello potrebbe essere l’unica antenna capace di captare l’informazione connessa con quell’idea»[23].
Nuove fedi da grandi personalità
Sappiamo che è sempre molto difficile fare accettare novità che sconvolgano usi e costumi correnti – specie quando questi sono radicati da secoli in una comunità – senza correre il concreto rischio di essere invisi o, al limite, anche perseguitati alla guisa di ‘eretici’, come è successo tante volte, e non solo per quanto riguarda la fede religiosa [24]. Queste difficoltà non hanno però evitato, nel corso della storia, l’ascesa nel contesto sociale di personalità di grande carisma, carica morale e capacità comunicative che, sfidando con dolore e con determinazione le limitazioni imposte dalle imperanti ortodossie, sono riuscite a stabilire nuovi e rivoluzionari modelli di vita per lunghi periodi di tempo. La rivoluzione compiuta da Gesù, con la sua predicazione, supportata da una travolgente e limpida forza morale che gli fece superare sofferenze e umiliazioni indicibili, è forse uno degli esempi più illuminanti di questo processo di rifiuto dell’ortodossia dei costumi e dei pregiudizi sul prossimo, qualsiasi ne sia l’interpretazione che se ne possa dare da posizioni teologiche o secolari diverse. Rivoluzione, quella di Gesù, che ancora affascina una grande moltitudine di persone (parliamo di oltre 2 miliardi di cristiani sui circa 7 miliardi di abitanti della Terra) e che mantiene ancora oggi il suo fascino dopo duemila anni [25].
Se si volesse guardare a Gesù solo alla luce di questa eccezionalità, il fenomeno potrebbe apparire fuori da ogni norma statistica. Nondimeno, considerando i grandi numeri in gioco, caratterizzanti le molte decine di miliardi di persone e le numerosissime fedi religiose che si sono succedute dagli inizi della civiltà umana ad oggi, la probabilità di un evento del genere non è necessariamente fuori dalla norma e, in ogni caso, la predicazione di Maometto, seicento anni dopo quella di Gesù, con la conseguente emersione di una nuova importante fede religiosa, ne è la prova. Né è improbabile che possa accadere ancora nel futuro nei riguardi delle nuove ortodossie di costume che si vanno via via stabilizzando nelle diverse società umane, anche se a più elevati livelli di vita culturale e sociale.
La società umana è cambiata moltissimo nell’ultimo secolo principalmente a causa delle tecnologie di comunicazione e di trasporto. Oggi è possibile acquisire immediata conoscenza di usi, costumi, linguaggi e religioni di ogni paese del mondo, usi che in passato non erano alla portata e la cui conoscenza era solo riportata da altri che viaggiavano e interpretavano: una conoscenza di tipo ‘mitico’ che non influenzava di molto il modo di essere delle singole società umane. Oggi le cose cambiano così rapidamente che sono i nipoti a insegnare ai nonni mentre prima, per secoli, è stata la saggezza conoscitiva dei vecchi a insegnare ai giovani. E in ogni caso gli stessi giovani sono costretti a imparare continuamente nuove cose data la velocità impressa dai cambiamenti scientifici e soprattutto tecnologici. Tutto ciò non può non influire sul nostro modo di affrontare i nuovi problemi che la vita ci pone. Se fin ad ora la limitata complessità del nostro cervello ha utilizzato in modo standard i livelli inconsci di conoscenza, abbastanza stabili nel tempo, facendoli risalire alla coscienza in modo da aiutare la parte razionale nei suoi momenti di difficoltà a districarsi in complicate situazioni pratiche, l’aumento inarrestabile di conoscenze tende a saturare le nostre possibilità cerebrali e si pone quindi il problema di future mutazioni che possano far fronte alle nuove necessità cognitive, come del resto è sempre successo nell’evoluzione umana [26].
Dialoghi Mediterranei, n. 41, gennaio 2020
Note
[1] Dai sumeri agli egiziani e ai babilonesi; dai persiani agli assiri; dagli indiani ai cinesi.
[2] Si richiamano qui implicitamente i teoremi di incompletezza sui sistemi formali, pubblicati da Kurt Gödel nel 1931, secondo i quali ogni sistema formale, per quanto completo possa essere, può sempre produrre proposizioni indecidibili; cfr. Nagel & Newman, 1992.
[3] Cfr. M. Alfano & R. Buccheri, Oltre la razionalità scientifica, Lateranum, 2012: LXXVIII, 2
[4] Cf. M. Alai (ed.). Il realismo scientifico di Evandro Agazzi. Atti del convegno di studi, Urbino, 17 novembre 2006, Montefcltro, Urbino 2009 [edizione speciale di Isonomia\.
[5] Cf. A. Einstein – B. Podolsky – N. Rosen, Can Quantum-Mechanical Description of Physical Reality Be Considered Complete?, in Physical Review Al (1935): 777-780. Questa rappresentazione comporta – oltre all’illusorietà del fluire del tempo – la paradossale nozione di Block Universe (ovvero, l’immagine di un universo quadri-dimensionale, statico, osservabile dall’esterno nella sua totalità spaziotemporale) e l’altrettanto paradossale ricerca di una Teoria del Tutto che definisca esaustivamente le proprietà c le interconnessioni di tutti i fenomeni.
[6] Trascuranza che viene indicata come atteggiamento ‘exofisico’ (in opposizione all’atteggiamento ‘endofisico’), termini coniati da David Finkelstein nel 1983; cfr. O. Rössler, Endophysics. The world as an interface, World Scientific, Singapore, 1998.
7 Riferendosi al problema del corpo nero e al risultato della misura della velocità della luce fatta da Michelson e Morley, Lord Kelvin (al secolo William Thomson) disse, nell’aprile del 1900, che solo due piccole nubi oscuravano il cielo terso della scienza. Già nello stesso anno, Max Planck risolse il primo problema introducendo il ‘quanto d’azione’ che dava l’avvio alla fisica quantistica e, in seguito, Albert Einstein pubblicò le teorie della Relatività Ristretta e della Relatività Generale, sconvolgendo le precedenti convinzioni sulla luce e sullo spazio-tempo.
[8] Un’operazione fra due termini si dice commutativa se, invertendo il loro ordine, il risultato dell’operazione non cambia. L’applicazione successiva di due operatori quantistici non è commutativa perché dipende dall’ordine con cui questi sono applicati allo stato y.
[9] Si tratta del cosiddetto ‘problema della misura’, che ha dato vita a uno dei più profondi e complessi dibattiti sulla MQ.
[10] Per esigenze di semplicità e chiarezza, questi argomenti sono qui riassunti senza distinguere fra i diversi ma confluenti formalismi della teoria: la meccanica ondulatoria di Schrödinger, la meccanica matriciale di Heisenberg, l’algebra di Dirac ecc. Per approfondimenti, cfr. G. Auletta, Foundations and Interpretation of Quantum Mechanics, in the light of a Critical-Historical Analysis of the Problems and of a Synthesis of the Results, with a Foreword by G. Parisi, World Scientific, Singapore, 2000: 37-39.
[11] Per approfondimenti sulla dualità onda-particella e sulle difficoltà interpretative della MQ. cfr. J.M. Jauch, Are Quanta Real? A Galileian Dialogue. Indiana University Press, Bloomington-London 1973 (tr. it. di G. Longo, Sulla realtà dei quanti. Un dialogo galileiano. Adelphi, Milano 19962) e R. Buccheri, La Rivoluzione quantistica, in M. Hack – P. Battaglia – R. Buccheri, L’idea del tempo, UTET, Torino 2005: 167-189.
[12] Prima dell’avvento della teoria dei quanti, si riteneva che tutte le grandezze fisiche variassero con continuità.
[13] Cfr. V. Weisskopf, La rivoluzione dei quanti. Una nuova era nella storia della fisica, Jaca Book, Milano, 1990: 28-31.
[14] Cfr. M. Alfano & Rosolino Buccheri, Il Symbolon fra le simplegadi di Mito e Logos, in A. Aiardi et alii (edd) Il Simbolo nel mito attraverso gli studi del Novecento, CISM-AMSLA, Ancona, 2008: 269-302.
[15] Cfr. Michal Heller, Tensione Creativa, Saggi sulla scienza e sulla religione, Akousmata•orizzonti dell’ascolto, Ferrara, 2012.
[16] Michał Heller (1936), è docente di filosofia della scienza e di logica presso l’Istituto Teologico di Tarnów.
[17] Cfr. La dualità fra fede e scienza, in “Dialoghi Mediterranei”, n.19, maggio 2016
[18] La prima tipica dell’atteggiamento razionale, rivolto alla verifica empirica di ogni affermazione con il corrispondente rigetto in assenza di dimostrazione ‘certa’ e la seconda tipica dell’intuizione e delle percezioni provenienti dall’inconscio.
[19] Cfr. La dualità fra fede e scienza, in “Dialoghi Mediterranei”, n.19, maggio 2016
[20] Robert Jastrow, 1978: 125. «[…] per lo scienziato che ha vissuto confidando nel potere della ragione, la storia si conclude come un incubo. Ha scalato le montagne dell’ignoranza, sta per conquistare la cima più alta e, non appena si è sollevato sull’ultima roccia, viene salutato da un gruppo di teologi che stanno lì da secoli».
[21] Così suggeriscono i lavori di Stephen Hawking sull’evaporazione dei buchi neri (Cfr. Hawking, 1993: 133-144)
[22] Lee Smolin, 1998: 253.
[23] Gerard Schröder 2002: 128
[24] Un significativo esempio nel contesto del nostro discorso è costituito dalla vicenda di Akhenaton, il faraone eretico che già nel 1370 a.C. tentò senza successo, per la feroce opposizione dei sacerdoti di Amon fedeli alla tradizione politeista, il culto di Aton, un Dio unico paladino dell’amore e dell’uguaglianza, improponibile per quei tempi.
[25] La popolazione aderente alle cinque maggiori religioni (Cristianesimo, Islamismo, Induismo, Buddismo, Taoismo) ammonta a circa l’80% degli abitanti del mondo).
[26] È recente la notizia della scoperta di un gene (NOTCH2) che 3,5 milioni di anni fa ha iniziato a differenziarsi fino a dare origine a tre nuovi geni la cui attività ha aumentato di tre volte il numero dei neuroni nel nostro cervello che si è così triplicato rispetto a quello dell’australopiteco, allora esistente.
Riferimenti bibliografici
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Rosolino Buccheri, già Dirigente di Ricerca del CNR in Astrofisica e Fisica Cosmica, direttore dell’Area della Ricerca CNR di Palermo e docente di Istituzioni di Fisica Nucleare e di Storia del Pensiero Scientifico all’Università di Palermo. Ha rappresentato l’Italia alle missioni spaziali della NASA e dell’E.S.A. e annovera la scoperta della prima pulsar binaria superveloce. È autore di oltre duecento pubblicazioni, coautore del libro L’idea del Tempo con Margherita Hack e co-curatore di diversi libri. È Accademico dell’Accademia Siciliana dei Mitici e Presidente dell’Associazione di Astrofili ORSA. Ha recentemente pubblicato Fra il mito della certezza e la certezza del mito. L’evoluzione della conoscenza fra legge e casualità, Saladino editore, Palermo 2019
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