di Eugenio Grosso
La tregua è finita. La frase è scandita dai colpi d’artiglieria che si schiantano al suolo. La scadenza ufficiale era il 29 ottobre alle 6pm, ora di Qamishlo. In realtà il cessate il fuoco, un accordo siglato da russi e turchi per permettere alle truppe SDF (Forze Democratiche Siriane) di arretrare a 30 km dal confine turco-siriano, non è mai iniziato. Gli scambi di colpi si sono susseguiti ininterrotti durante queste 150 ore.
Adesso però le esplosioni si sono fatte più frequenti e più vicine. I guerriglieri curdi che controllano Tel Tamr, una cittadina a circa 30 km dal confine turco, hanno incendiato della benzina e creato una cortina di fumo per prevenire i bombardamenti dell’aviazione turca.
Il cielo stellato di ieri sera ha lasciato il posto a una nube di fumo nero che brucia la gola e non fa respirare. I turchi vogliono prendere Tel Tamr e cacciare i curdi ancora più a sud, lontano dal confine, è opinione diffusa tra le truppe.
«Sono arrivato a Qamishlo alle 12, ho salutato e sono ripartito. Mentre ero via abbiamo perso sette villaggi». Yusif è un comandante YPG, le Unità di Protezione Popolare, ha un sorriso amaro mentre rovista nel pianale del pick up. Trova quello che stava cercando: una granata. Con cura la infila nella tasca sinistra del suo porta-caricatori. Imbraccia il fucile e parte camminando verso la campagna.
«Serkeftin» saluta Yusif, fino alla vittoria, come tutti i guerriglieri del mondo. «Serkeftin» lo ripetono in molti oggi. Lo pronunciano i guerriglieri curdi ma anche i civili che fuggono dalle truppe del Free Syrian Army, l’opposizione anti Assad oggi alleata dell’esercito turco.
La gente scappa con ogni mezzo, portando con sè tutto ciò che può. Una donna si apre un varco tra la folla di soldati siriani tirandosi dietro una mucca. Un uomo indossa solo la scarpa sinistra. Cammina scalzo nel deserto lamentandosi: «i miei animali sono morti, non ho più niente». Spinge le poche pecore rimaste un po’ più in là, sputa per terra e maledice.
È una processione continua di moto e minivan che sfrecciano sempre nella stessa direzione. Portano materassi, cibo, elettrodomestici. Quello che si lascia indietro oggi domani sarà perso per sempre. Lo sa Mohammad che il 9 ottobre è scappato da Sere Kaniye, una cittadina sul confine con la Turchia.
«Avevo un negozio d’abbigliamento ma ormai è perduto. Ho fatto in tempo solo a raggruppare i miei figli e scappare, quella era la cosa più importante». Lo racconta mentre con una mano leggera accarezza la testa di Adana, suo figlio, che sorride accanto a lui. Adesso Mohammed si prepara a lasciare anche Tel Tamr prima che i turchi la raggiungano.
Nelle ultime luci del pomeriggio, mentre all’ospedale militare iniziano ad arrivare i primi feriti, la cittadina si trasforma in un paese fantasma. Le saracinesche sono tutte serrate, solo i negozi di alimentari continuano a vendere.
Agli sfollati servirà cibo e i negozianti non vogliono lasciare nulla alle milizie che razzieranno il paese. Questa notte Tel Tamr potrebbe cadere o essere solo l’inizio di una lunga resistenza.
Dialoghi Mediterranei, n. 41, gennaio 2020
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Eugenio Grosso, fotogiornalista italiano che si occupa di temi sociali e di conflitto. Nel 2015 ha realizzato diversi servizi nei Balcani e in Nord Europa seguendo le rotte dei migranti attraverso Grecia, Macedonia, Serbia, Ungheria e infine Francia. Tra il 2016 e il 2017 ha vissuto in Iraq durante la campagna per liberare la città di Mosul dall’occupazione di ISIS. Nel 2018 ha pubblicato un libro fotografico sulla sua esperienza di quel periodo.
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