di Mariza D’Anna
Sono trascorsi cinquant’anni dal primo settembre del 1969, quando il giovane colonnello Muammar Gheddafi prese il potere in Libia mandando in esilio il re Idris al Senussi e cambiando la vita di ventimila italiani che vivevano nel Paese nordafricano. Ma giornali o tv non hanno ricordato l’anniversario, come se un pezzo di storia italiana fosse caduto nell’oblìo. Il 1969 invece è una data che chiude un’epoca iniziata con il colonialismo degli inizi del secolo scorso, controversa per la politica e dolorosa per migliaia di famiglie che improvvisamente si trovarono nullatenenti senza un tetto e un luogo dove andare dopo che il 21 luglio dell’anno successivo Gheddafi emanò il decreto di espulsione e confiscò tutti i loro beni mobili e immobili.
Solo Rai Storia domenica 1 settembre ha ricordato quell’esodo con un documentario sugli italiani di Libia, la cosiddetta Quarta sponda del periodo fascista. Il lavoro del 2004 di Giuseppe Giannotti dal titolo “Taliani”, servendosi di suggestive immagini dell’Istituto Luce, ripercorre sessant’anni di storia, dal 1911 fino al 1970, che a dispetto del tanto tempo trascorso restano un argomento spinoso da affrontare e per questo poco battuto. A onor del vero recentemente Paolo Mieli e Corrado Augias, firme tra le più autorevoli del giornalismo italiano, con interviste, commenti e testimonianze hanno riaperto il cassetto del colonialismo italiano in Libia e in Eritrea evidenziandone le profonde contraddizioni, alimentate da una ondivaga politica internazionale che mai ha ammesso le proprie responsabilità né ha dato ancora ai suoi cittadini un pieno ristoro.
Poco avrebbero potuto fare i ventimila, tornati nullatenenti in un’Italia che li vedeva scomodi testimoni di un periodo fascista che voleva solo cancellare, se non avessero avuto il supporto dell’AIRL, l’Associazione italiana rimpatriati di Libia, nata nel 1972 solo due anni dopo i rimpatri, che incessantemente ha svolto e svolge un ruolo di impulso e stimolo nei confronti dei Governi che si sono succeduti, oltre che di sostegno e informazione a favore dei connazionali, iscritti o no, che con la Libia hanno avuto in qualche modo a che fare.
L’Associazione, da qualche anno diventata una onlus, non si è fatta intimorire dal tempo passato e dopo 50 anni è ancora molto attiva grazie al sostegno delle quote dei soci, all’otto per mille e sporadici contributi. Così la definisce la sua presidente, Giovanna Ortu, e lo sottoscrive nella home page del sito ufficiale: «L’Associazione non è un club di nostalgici chiuso nelle sue memorie, che pure sono alla base della nostra identità e del profondo legame che ci unisce, ma una comunità moderna e dinamica che ha saputo inserirsi nella società italiana e che ha ottenuto riconoscimenti e fiducia ai più alti livelli della Istituzioni». Passando in rassegna il ruolo che AIRL ha svolto in questi lunghi anni si comprende bene come non sia un’associazione anacronistica e datata ma al contrario sia una dinamica realtà sempre in movimento e si comprende perché molti dei ventimila italiani le sono rimasti vicino, trovandovi un supporto ideale e concreto.
È un processo complesso quello accaduto a questo piccolo popolo italiano di Libia che ama ancora definirsi “tripolino” e che manifesta tutt’oggi una forte identità con il Paese nordafricano non solo per nostalgica memoria ma per un forte legame che aveva costruito in una terra straniera dove aveva vissuto un processo di identificazione, una simbiosi che è stata contraddittoriamente raccontata dagli storici: da alcuni mettendo in evidenza la supremazia del popolo italiano sui locali, da altri sottolineando la vicinanza e la solidarietà tra i due popoli. Non è la sede opportuna per dibattere di questi argomenti, qui preme sottolineare l’energico ruolo che ha avuto l’Associazione nel diventare collante di un popolo “perso” nella propria Patria.
Dal 1979 ininterrottamente, per esempio, Airl pubblica una rivista bimestrale a colori – dal titolo “Italiani di Libia” – che da “modesto foglio” negli anni si è arricchito di tanti contenuti. La rivista, di cui è direttore editoriale Daniele Lombardi, funziona come “tribuna ufficiale” e valido strumento di informazione e comunicazione dell’attività che l’Associazione svolge a favore dei tripolini di cui, nodo centrale, sono stati e sono ancora oggi gli indennizzi promessi dallo Stato italiano in applicazione del Trattato italo-libico. Dal 2008 si è impegnata a far inserire nella legge di ratifica, l’art. 4 che ha stanziato inizialmente 150 milioni di euro a favore dei rimpatriati a cui si sono aggiunti ulteriori 50 milioni con il decreto Milleproroghe del 2012.
Già Emilio Colombo, presidente del Consiglio all’epoca dei rimpatri, aveva dato un assaggio di come sarebbe stato complicato e oneroso ricevere l’equivalente di quanto confiscato in denaro, vuoi per la difficoltà delle valutazioni da effettuare e vuoi per la farraginosità delle leggi emanate dal Parlamento sull’argomento che rendevano necessari ricorsi e controricorsi e laute parcelle da pagare agli avvocati, contro uno Stato che si contrapponeva ad ogni richiesta. Il presidente Colombo, subito dopo l’espulsione, aveva sottolineato “l’inevitabilità dell’evento” elencando le cifre che riguardavano le migliaia e migliaia di ettari e imprese confiscate dalla Nuova Jamahiria. Oggi dei 200 milioni distribuiti con grande fatica ne restano ancora 18 che lo Stato non vuole erogare. Ed è grazie ad AIRL, vera spina nel fianco dei Governi, se anche questa questione rimane viva.
L’attività dell’AIRL è andata in tante direzioni. Ha organizzato assemblee, incontri, convegni, giornate di formazione con giornalisti libici ma si è occupata anche dell’assistenza solidale ai feriti nell’insurrezione del 2011 che portò all’uccisione di Gheddafi. Ha promosso progetti di ricerca sulla ricostruzione della memoria degli Italiani (con un questionario dal titolo “la Libia, la storia e noi” in collaborazione con il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Chieti-Pescara) e collaborato con la Luiss di Roma per un master di II livello in Economia e istituzioni dei Paesi islamici. Da quest’anno si è anche dotata di una ricca emeroteca, un progetto, che ha avuto il supporto della Regione Lazio, che ha come sottotitolo “Un secolo di giornali tra Italia e Libia” presentato a Latina dove ha sede l’associazione. Grazie alla digitalizzazione sono stati resi accessibili e fruibili centinaia e centinaia di articoli pubblicati da quotidiani e riviste sulle vicende sociali e politiche che hanno riguardato i “tripolini” e che sarebbero rimasti a uso e consumo degli addetti ai lavori.
La custodia della memoria è il terreno più delicato sul quale l’AIRL si muove: né indennizzi, né denaro potevano restituire frammenti di vita, infanzia e adolescenza, luoghi e sensazioni che partecipano al bagaglio di ogni singola esistenza. Con la pubblicazione di brevi racconti personali, di fotografie di vita quotidiana inviate dai soci ha mantenuto vivo il ricordo ma non ha tralasciato la memoria dei morti, dei tanti morti italiani rimasti sepolti in Libia e dimenticati. Un impegno tra i più significativi dell’AIRL è stato proprio quello di avviare il recupero del cimitero cattolico di Hammagi per restituire la dignità ai connazionali defunti. Solo pochi, nel 1970, riuscirono a far rimpatriare le salme dei propri cari e mai nessuno dei familiari potè tornare per deporre un fiore nelle tombe che subivano il degrado dell’incuria e del tempo che passava e di cui lo Stato italiano non si era fatto carico. Grazie all’impulso di AIRL, nella primavera dal 2000, si è costituito un Comitato bilaterale che iniziò a occuparsi del cimitero che poi venne risanato grazie ai fondi messi a disposizione della Farnesina. I lavori si sono conclusi nel 2008 e nel 2009, alla presenza del sottosegretario Mantica, vi è stata l’inaugurazione: oltre ottomilacinquecento salme erano state ricollocate in cassette di legno poi tumulate. La memoria di chi non c’è più tramandata dai figli e dai nipoti ha avuto e continua ad avere un ruolo vitale nell’Associazione.
I rapporti con tanti amici arabi che l’Associazione con i suoi componenti ha mantenuto hanno rinsaldato l’amicizia di chi aveva vissuto fianco a fianco pacificamente e con grande solidarietà ed affetto e tante testimonianze arrivano proprio dai libici che hanno subìto il regime di Gheddafi e che oggi purtroppo vivono tra la guerra e il caos sociale.
Per aver affondato le radici nel colonialismo l’epoca degli italiani in Libia è stata poco dibattuta dagli storici che hanno espresso punti di vista e percezioni spesso contrapposte. Solo per i “tripolini” di allora nulla è cambiato. Il contesto sociale in Libia oggi è profondamente mutato e i Paesi nordafricani ne hanno subito le conseguenze più drammatiche con il fenomeno dell’immigrazione dai Paesi di origine e con il razzismo nei Paesi di approdo. Presentando il numero della rivista geopolitica dedicata al Nord Africa e alla situazione della Libia, il direttore di Limes Lucio Caracciolo ha detto: «Al Nord Africa noi italiani siamo usi guardare con occhi strabico, strabismo distante, divinamente autocompiaciuto come nella Venere di Botticelli. Ne derivano due opposte rappresentazioni geopolitiche: la prima, fino a ieri dominante, immagina questo spazio sideralmente lontano dagli occhi, dal cuore e dalla mente; al meglio, esotico. L’altra, oggi prevalente, lo designa incombente minaccia, trampolino dell’invasione aliena che travolgerà la nostra civiltà. Spesso le percezioni si intrecciano, contribuendo ad offuscare vista e pensiero». Una rappresentazione lucida della realtà ma lontanissima per chi in Libia è vissuto ed è cresciuto, intrecciando con il suo popolo un profondo senso dell’essere uguali.
Dialoghi Mediterranei, n. 41, gennaio 2020
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Mariza D’Anna, giornalista professionista, lavora al giornale “La Sicilia”. Per anni responsabile della redazione di Trapani, coordina le pagine di cronaca e si occupa di cultura e spettacoli. Ha collaborato con la Rai e altre testate nazionali. Ha vissuto a Tripoli fino al 1970, poi a Roma e Genova dove si è laureata in Giurisprudenza e ha esercitato la professione di avvocato e di insegnante. Ha scritto il romanzo Specchi (Nulla Die) e Il ricordo che se ne ha (Margana), memoria familiare ambientata in Libia.
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