di Nicoletta Malgeri
L’accoglienza come modello di sviluppo locale. Questa è la politica di cui si è fatto promotore, nel corso degli ultimi vent’anni, l’ex sindaco del comune di Riace [1], Domenico Lucano. Una politica dai caratteri del tutto “rivoluzionari”, soprattutto se si tiene conto del contesto in cui si inserisce il piccolo comune calabrese. Riace è, infatti, uno dei 42 comuni della Locride, un’area che, sia per il forte isolamento geografico che per l’arretratezza socio-economica, si potrebbe definire come la “Calabria della Calabria”, ossia l’ultimo territorio dell’ultima regione d’Italia. In una terra come la Locride, caratterizzata, ancora oggi, da una presenza pervasiva della ’ndrangheta, e, giorno dopo giorno, soggetta ad un crescente stato di abbandono (la Locride è passata dai circa 200 mila abitanti del 1951 agli attuali 130 mila abitanti) [2], Riace ha saputo fare la differenza e tracciare un nuovo percorso. Un percorso fatto di umanità, accoglienza, integrazione, lotta alla mafia, lotta alla povertà.
Da quando Riace ha fatto della politica dell’accoglienza una pratica strutturale e funzionale al lento processo di decadimento e spopolamento del proprio territorio, e non un’azione di puro assistenzialismo, il paese ha cambiato il proprio volto. Una lettura degli ultimi dati ISTAT dà conferma, in termini numerici, del sostanziale mutamento: Riace è il solo comune della Locride in forte crescita demografica. Dal 1° Gennaio 2012 al 1° Gennaio 2019, conosce un aumento della popolazione del 24% [3].
La nuova storia che ha attraversato il piccolo borgo calabrese, ha inizio nel lontano 1° luglio 1998, quando lungo le spiagge della Marina di Riace avviene il primo sbarco di circa trecento uomini provenienti dal Kurdistan [4]. Da quel giorno tutto cambia per la comunità del luogo. Le case disabitate vengono messe a disposizione per i nuovi arrivati; vengono aperte sette botteghe artigianali, una della ceramica, una della tessitura, una del legno, una della carta, una del vetro, una del cioccolato e una del ricamo, in cui vi lavorano una operatrice riacese affiancata da un’operatrice immigrata; viene inventata una “moneta locale” in grado di garantire ai profughi un potere d’acquisto, nonché la dignità di potersi autogestire [5]; viene introdotto un sistema di raccolta differenziata dei rifiuti, gestito da due operatori ecologici, ancora una volta, un riacese e un immigrato, con l’ausilio di un animale tradizionale del luogo, l’asinello, che attraversa con facilità gli stretti e, a volte, ripidi vicoli del borgo, e un carretto che recita la scritta “siamo abituati a spingere, non a respingere” [6]; viene riaperta la scuola e l’asilo per i bambini del paese; vengono aperti corsi di alfabetizzazione per gli immigrati; viene costruita, per mezzo di un’opera di bonifica e di terrazzamento, una fattoria didattica, che vede, al proprio interno: strutture costruite con materiali di scarto, pensate per ospitare gli animali, alberi e arbusti da frutto comuni di varie specie, arnie per l’apicoltura, ed infine, una casupola destinata a diventare un caseificio per la produzione dei formaggi. Due anni fa, nell’agosto 2017, l’ex sindaco Lucano decide, perfino, di ospitare all’interno del Comune del paese un ambulatorio medico gratuito e solidale, l’ambulatorio Jimuel, per curare la fascia più debole della popolazione.
La nuova storia di Riace, però, subisce un duro colpo nell’ottobre 2018. Lucano viene arrestato e posto ai domiciliari, su provvedimento della Procura di Locri, con l’accusa di favoreggiamento della immigrazione clandestina e fraudolento affidamento diretto del servizio di raccolta dei rifiuti. A distanza di due settimane, il Tribunale del Riesame revoca gli arresti domiciliari e dispone, per questi, il divieto di dimora a Riace. Una misura che costringerà Lucano a stare lontano dalla propria terra per ben 11 mesi, ed avrà forti ripercussioni su gran parte della comunità del luogo. Il “modello Riace”, con l’esilio di Lucano, sembra dissolversi. Le botteghe artigianali vengono chiuse, così come il ristorante Taverna Donna Rosa, gestita da riacesi e immigrati, e la fattoria didattica. Il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’Interno stabilisce la chiusura dello SPRAR, nonché il trasferimento dei suoi ospiti [7]. Una decisione che pone costoro dinanzi a una scelta: rimanere a Riace, pur non potendo più beneficiare del sistema di accoglienza, oppure lasciare il paese per entrare in altri progetti SPRAR, attivi in altri comuni. Questo comporterà un nuovo fenomeno di svuotamento del borgo.
La notizia degli arresti domiciliari di Lucano fa, però, sin da subito, gran rumore. Singoli cittadini, associazioni, volontari, da tutta Italia e tutta Europa, si stringono attorno a Riace e si mettono in moto per far sentire il proprio sostegno. Un sostegno che, ben presto, avrà degli effetti pratici per la comunità del luogo. In apertura del nuovo anno, precisamente il 12 gennaio 2019, infatti, nel vicino comune di Caulonia Marina, vengono poste le basi per la creazione di un comitato promotore per la nascita di una nuova Fondazione, dal nome “È stato il vento”. Un comitato che coinvolge una rete di associazioni e movimenti, dalla Recosol (Rete dei Comuni Solidali) all’Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione), e si muove con l’intento di raccogliere i fondi necessari per rilanciare il paese, attraverso «la promozione dei valori dell’accoglienza degli immigrati e dei rifugiati e il sostegno delle attività di sviluppo locale della comunità riacese» [8]. La nascita della Fondazione fa sperare in un rilancio de territorio del piccolo comune della Locride.
Domenico Lucano
La mia ricerca sul campo a Riace era iniziata già nell’agosto 2018. Nel maggio 2019 decido di ritornare in paese e raccogliere ulteriori informazioni sui cambiamenti vissuti dalla comunità nel corso degli ultimi mesi. In questa occasione intervisto Domenico Lucano. L’ex sindaco, da quando non è più a Riace, risiede nel vicina località di Caulonia Marina. È lì che ha luogo la mia intervista:
«Erano anni in cui tanti andavano via [9]. C’era un’azienda, la Ionica Agrumi, che in qualche modo garantiva una piccola occupazione, anche stagionalmente. Ma come si può vivere in una realtà dove non c’è lavoro? L’agricoltura è stata abbandonata e sono stati utilizzati questi canali solo per le richieste di disoccupazione agricola. Ma la vera agricoltura, si aveva quando Riace era un paese a dimensione contadina, agricola, pastorizia. Poi l’emigrazione. Questo svuotamento era evidente. Vedi che non c’è l’asilo, non c’è la scuola. Queste sono attività primarie. Quando ti accorgi che rimane solo un agglomerato di case non sai nemmeno come ripartire»[10].
Queste parole con cui esordisce Lucano, mettono in evidenza le difficili condizioni economiche in cui versava il paese. Nell’arco di soli cinquant’anni, il comune ha perso circa un terzo della propria popolazione, passando da 2331 abitanti nel 1951 a 1605 nel 2001 [11]. La crisi ha comportato una significativa diminuzione della produzione agro-silvo-pastorale su cui per decenni, la comunità ha basato la propria sussistenza. Quel mondo contadino, che Lucano sembra ricordare con una certa nostalgia, a poco a poco, rimane solo un ricordo. Probabilmente una collaborazione tra Riace e i paesi limitrofi avrebbe potuto rilanciare il territorio e farlo uscire da uno stato di crescente marginalità e isolamento. Eppure, tale collaborazione, come sottolinea Lucano, non c’è mai stata:
«Tra Riace e i comuni vicini c’è stato sempre un po’ di contrasto. Con le comunità molto vicine, come Stignano e Camini, non c’è stata mai collaborazione. Un esempio banale: lo scuolabus che da Camini deve portare i ragazzini a scuola a Riace Marina passa da Riace, però, non offre il servizio a Riace. Ognuno è per i fatti suoi. Il tentativo di fare comunità con gli altri comuni non ha avuto un esito felice. C’è stata, invece, una collaborazione sui programmi di accoglienza. Da questo punto di vista Riace, utilizzando questa relativa notorietà, è riuscita a fare rete. Fare rete significava in qualche misura sopperire alle precarietà che sono fisiologiche di questo progetto»[12].
Lucano si rende conto, fin da subito, di alcuni elementi di criticità del progetto nazionale di accoglienza. Primo fra tutti, il suo essere orientato più all’assistenza che all’integrazione e all’inserimento sociale:
«Io mi sono reso conto, per esperienza diretta, che per fare accoglienza non ci vuole molto denaro, soprattutto in una realtà come Riace. Invece il progetto SPRAR è strutturato in maniera troppo uniforme. Non tiene conto delle diverse realtà ed è basato prevalentemente sull’assistenza e sulla prima accoglienza (mangiare, dormire), e poco sulle attività di integrazione. Ho pensato: l’accoglienza non costa molto e meno a Riace rispetto a Trieste, Milano, Torino. Ad esempio gli affitti a Riace e a Roma non sono uguali. E allora si doveva tenere conto anche a livello centrale di strutturare i progetti non in maniera uniforme. Per me i soldi erano anche troppi»[13].
Il progetto SPRAR ha, inoltre, per Lucano, un altro grave limite, legato alla sua breve durata. Gli immigrati, infatti, possono godere dei servizi di inserimento e sostegno per un tempo limitato e del tutto inadeguato (pochi mesi, a volte prolungabile fine a oltre un anno). Tempi così ristretti non permettono loro di poter raggiungere un’effettiva autonomia economica, nonché una piena integrazione nella comunità. A maggior ragione in una realtà come Riace, in cui sono scarse le opportunità lavorative. Ma, il vero problema, per l’ex sindaco, è che l’immigrato, una volta uscito dal progetto, si trova costretto ad andare altrove:
«È il dopo progetto ad essere un grande problema, perché in Italia non c’è una legge sull’asilo dove i rifugiati vengono assistiti per tutta la vita. C’è solo questo progetto dello SPRAR, che è a termine. Questo ci faceva molto penare, perché da una parte i rifugiati non vogliono andare via perché non hanno dove andare, non trovano più assistenza in nessun luogo, e poi, essere fuori dal progetto, significava affrontare la realtà. La realtà non riuscivano ad affrontarla perché bisogna avere un lavoro. Questo del lavoro è il problema centrale» [14].
Per gli immigrati, come sottolinea Lucano l’Italia è solo un luogo di passaggio:
«Poi c’è una decisione che è inevitabile: andare fuori dall’Italia. Le persone arrivate qui fanno resistenza per rimanere. Il fatto di andarsene per loro è sempre una decisione molto sofferta. Nelle grandi città questo distacco è vissuto in maniera meno drammatica. In città la persona è un numero. Da Riace poi andavano fuori dall’Italia, negli Stati del Nord Europa. Questi paesi come Riace sono stati delle aree di passaggio. Sapevano che la permanenza a Riace era una cosa provvisoria. Il loro arrivo era “Almeno ritroviamo un poco la pace, poi di nuovo dobbiamo ricominciare”. Questa situazione di ricominciare è costante nell’atteggiamento di queste persone, un atteggiamento di provvisorietà» [15].
Nel corso dell’intervista, inoltre, l’ex sindaco, fa emergere un altro dato importante. L’esperimento di accoglienza e integrazione ha avuto un esito felice solo per il borgo superiore e non per la Marina di Riace. Qui, il progetto sembra essere stato caratterizzato da elementi poco qualificanti e secondo modalità simili ad altre realtà italiane:
«Nel 2009 c’è un’altra evoluzione: la parte del centro storico che era stato il luogo in cui abbiamo strutturato l’accoglienza come vita sociale, per la prima volta arriva a Riace Marina. Questo disegno che vede il ripopolamento dei luoghi dell’area interna, il recupero dei servizi, l’idea di una comunità che riparte dalle periferie, l’idea di una piccola comunità con i laboratori, le botteghe artigianali, a Riace Marina si sconvolge. Anche se abbiamo tentato: con una scuola che abbiamo ristrutturato, con l’idea di riproporre lo schema di Riace superiore. Però non ha funzionato. Non ha funzionato perché erano evidenti gli interessi economici. Dal 2009 fino ad arrivare al 2014, col passare del tempo, ci si è approfittati ancora di più di questo sistema di accoglienza. Le attese che si sono create sul territorio è che si è capito che c’era un utile molto consistente» [16].
I risultati delle elezioni amministrative del paese, tenutesi lo scorso 26 maggio, sembrano confermare la presenza di “due comunità”, quella di Riace Marina e quella di Riace Superiore, quasi in contrapposizione fra loro. Una Riace Marina, che sembra aver colto unicamente l’aspetto di ricaduta economica positiva del progetto, abbandonandolo quando questa è venuta meno. Una Riace Superiore, invece, che vi è rimasta, nonostante tutto, fortemente legata. Infatti, la lista civica, “Riace rinasce, trasparenza e legalità”, guidata da Antonio Trifoli, fortemente sostenuta dalla Lega, vede la vittoria con il 41% dei voti, mentre, la lista di Maria Spanò, “Il cielo sopra Riace”, nella quale era candidato come consigliere comunale lo stesso Lucano, ha preso solo il 29,01%. Eppure, quest’ultima lista, ottiene, seppur per pochi voti di differenza, la maggioranza nel borgo superiore.
Le due anime contrapposte del paese
Nell’arco di soli sei mesi il borgo di Riace subisce le azioni della nuova amministrazione comunale, che sembra muoversi in una direzione diametralmente opposta rispetto a quella perseguita dall’ex sindaco Lucano. Azioni che sembrano voler rinnegare e distruggere i risultati raggiunti negli ultimi vent’anni. La “damnatio memoriae”, che Trifoli sembra mettere in atto, riguarda, innanzitutto, i messaggi di umanità e solidarietà che l’ex sindaco aveva voluto “disseminare” lungo tutto il paese, attraverso le immagini e le scritte di murales e cartelli. Trifoli, infatti, nel mese di settembre, decide di eliminare il cartello storico, posto all’ingresso del borgo, con su scritto “Riace, paese dell’accoglienza”, per sostituirlo con il nuovo cartello “Benvenuti a Riace, il paese dei santi medici e martiri Cosimo e Damiano”. La giustificazione che ha dato il sindaco è la seguente: «è un’iniziativa dell’amministrazione in occasione del 350° anniversario dell’arrivo della Reliquia di San Cosma a Riace» [17].
Eppure, a breve distanza di tempo, ai primi di ottobre, il nuovo sindaco fa un gesto a cui è difficile trovare una giustificazione. Trifoli, decide di rimuovere un altro cartello, collocato in prossimità dell’entrata nel borgo. Un cartello che vede raffigurato, su uno sfondo blu, un giovane di colore, con indosso una maglietta rossa di “Radio Out”, e la scritta “Uno, due, tre, quattro, cinque, dieci… cento… passi…”. Si tratta del cartello che la precedente amministrazione comunale aveva voluto dedicare alla figura di Peppino Impastato [18], il noto giovane giornalista e attivista di sinistra ucciso dalla mafia nel 1978 per la sua dura battaglia contro il potere di Cosa Nostra.
Tra la fine del mese di ottobre e i primi di novembre la nuova amministrazione comunale decide di rimuovere altri due progetti fortemente voluti dall’ex sindaco Lucano. Il Comune di Riace ordina la demolizione della fattoria didattica e la chiusura dell’ambulatorio Jimuel. Un ambulatorio che, riportando le parole di Isidoro Napoli, fondatore dell’associazione di cooperazione umanitaria, Jimuel Internet Medics for Life [19], era stato aperto a Riace perché:
«La nostra associazione si rivolge agli ultimi, a chi non può, a chi è dimenticato, a quelli che fanno “la pacchia” secondo l’ex ministro Salvini; a Riace perché l’ex presidente del Consiglio Renzi disse un giorno, in una intervista, di andare ad assisterli a “casa loro”. Per noi Riace “è casa loro” perché era l’unico posto dove venivano assistiti con amore e accolti come esseri umani. A Riace perché era un punto simbolo, un esempio del modo in cui debbono accogliersi gli esseri umani quando sono in difficoltà. E, quindi, logica conseguenza, l’ambulatorio non solo per i rifugiati ma anche per i residenti. Chi aveva bisogno bussava alla nostra porta e la porta è sempre stata aperta»[20].
Quell’ambulatorio che ha garantito, nel corso degli ultimi due anni, precisamente dall’agosto 2017, servizi sanitari gratuiti, di medicina di base, di pediatria, di ginecologia, di cardiologia, di endocrinologia, di gastroenterologia, a vantaggio degli abitanti locali, dei migranti e, perfino, dei cittadini dei comuni vicini, è destinato a chiudere. La motivazione ufficiale data dalla nuova amministrazione è la seguente: «Servono i locali per ospitare il commissario liquidatore» [21]. La soluzione che viene proposta dal nuovo sindaco è lo spostamento dell’ambulatorio nei locali della guardia medica. Locali che, però, risultano essere del tutto inadeguati e non autorizzati all’esercizio [22].
Eppure Trifoli non è riuscito a demolire la politica che ha valso al comune il nome di “Riace, paese dell’accoglienza”. Il merito di tutto ciò va riconosciuto, in gran parte, alla nuova Fondazione “É stato il vento”, che si muove sul territorio nel tentativo di difendere e sviluppare quelle pratiche. La raccolta fondi, lanciata dalla Fondazione, ha permesso la riapertura delle sette botteghe artigianali del borgo, chiuse dall’agosto 2018; il completamento del frantoio di comunità, progettato da Lucano; l’apertura di un asilo parentale; la ristrutturazione dell’ex sede dell’associazione Città Futura, Palazzo Pinnarò; l’apertura di un doposcuola, un servizio che consente, a bambini e adolescenti, di migliorare il proprio rendimento scolastico grazie all’aiuto di due insegnanti del luogo.
Domenico Lucano, dopo undici mesi di esilio, nel mese di settembre, è di nuovo a casa, nella sua amata Riace. Dal suo rientro ha deciso di seguire in prima persona tutte le attività rilanciate dalla Fondazione. Lo scorso novembre anche io ritorno nel borgo per osservare in maniera diretta il lavoro degli operatori ivi impiegati. Nelle botteghe artigianali sono impiegate complessivamente sedici persone, tra riacesi e immigrati. La maggioranza di queste sono donne. Con loro mi intrattengo a dialogare durante le ore di lavoro. Alcune di esse sono arrivate a Riace e hanno deciso di non andarsene via, perché ormai la ritengono casa loro. Altre, invece, da sempre ci vivono e non hanno pensato mai di abbandonarlo. Chi di loro è da molti anni coinvolto in questi progetti, dà una mano a chi invece è nuovo al mestiere.
Nelle botteghe si impara a cucire, a tessere, a decorare su terracotta, a dipingere su vetro, a ricamare, a intagliare il legno, etc. Per tutte queste donne, svolgere un’attività del genere, rappresenta un vero e proprio riscatto sociale, un motivo di orgoglio, nonché un modo per rendersi utili all’interno della propria comunità.
Nel frantoio di comunità, situato in una struttura del borgo, opportunamente ristrutturata e assortita con macchinari tecnicamente all’avanguardia, invece, vi lavorano circa una ventina di persone, ancora una volta tra immigrati e riacesi. Qui viene prodotto olio extra vergine di oliva standard e olio extra vergine di oliva biologico. La raccolta delle olive avviene nei terreni messi a disposizione dagli abitanti riacesi che intendono partecipare al progetto. Un operatore del posto, Vincenzo, così mi spiega il processo di produzione:
«Il processo inizia dalla bilancia elettronica, dove vengono pesate le olive. Poi, le olive vanno su un asse elevatore che le trasporta al defogliatore, un macchinario che si occupa di aspirare tutte le impurità dalle olive stesse. Dopodiché, le olive cadono nella lavatrice e qui vengono sciacquate. Il processo prosegue nel frangitore, un macchinario che schiaccia le olive e le fa diventare una pasta. Da qui, le olive passano nelle gramule, delle cisterne dove c’è una spirale che gira, riscaldata ad una certa temperatura, e lì abbiamo tre vasche, che contengono circa 5 quintali ciascuno di olive, e in queste vasche la pasta gira per almeno 45 minuti. Lì avviene la prima separazione dell’olio. Quando passano i 45 minuti le olive sono pronte e con una pompa le mandiamo nella centrifuga, dove avviene la separazione fra le parti dure e le parti liquide. La parte dura viene scartata e va a finire nel raschiatore della sansa, sansa che poi noi vendiamo ai sansifici, che la trattano e la trasformano in pellet, oppure, la raffinano e ne fanno degli oli per gli ingranaggi industriali. La materia liquida va, invece, nel separatore, che si occupa di separare l’olio dall’acqua. L’acqua reflua viene scartata e va a finire in delle cisterne, mentre l’olio che esce è l’olio che poi noi vendiamo in tanica»[23].
La riapertura di tutte queste attività fa sperare in una possibile ripartenza per il piccolo borgo di Riace. Il primo a crederci è l’ex sindaco Lucano che, in chiusura della mia intervista, afferma:
«Adesso la cosa positiva che vedo è che c’è un sistema in Europa che identifica in Riace un punto di riferimento per le loro azioni. Quello che garantiva lo SPRAR, ora, a Riace, lo garantirà la Fondazione “È stato il vento”. Paradossalmente gli SPRAR chiuderanno e Riace, invece, potrà ripartire […] Oggi Riace può ripartire senza l’aiuto dello Stato. Io credo che il valore di Riace è un valore aggiunto. Chi “viene viene” a Riace si trova una storia che comunque ha lasciato il segno, da cui non si potrà prescindere, che non si potrà cancellare e che influenzerà il corso degli eventi»[24].
Dialoghi Mediterranei, n. 41, gennaio 2020
Note
[1] Cfr.https://it.wikipedia.org/wiki/Riace .
[2] Cfr.https://it.wikipedia.org/wiki/Locride_(Calabria).
[3] Cfr. http://www.demo.istat.it/bilmens2010gen/index.html.
[4] Cfr. N. Malgeri, L’utopia della normalità. Le immagini e le voci di Riace, in “Dialoghi Mediterranei”, n. 34, dicembre 2018
[5] Ibidem.
[6] T. Barillà, Mimì Capatosta. Mimmo Lucano e il modello Riace, Fandango, 2017: 84.
[7] Cfr.https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/10/13/riace-il-viminale-ordina-trasferimento-migranti-ospiti-dello-sprar-rendicontare-spese-fino-a-chiusura/4691280/.
[8] Cfr.https://estatoilvento.it/.
[9] Anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso.
[10] Testimonianza da me raccolta in data 9 maggio 2019.
[11] Cfr. https://www.tuttitalia.it/calabria/86-riace/statistiche/censimenti-popolazione/.
[12] Testimonianza da me raccolta in data 9 maggio 2019.
[13] Testimonianza da me raccolta in data 9 maggio 2019.
[14] Ibidem.
[15] Ibidem.
[16] Ibidem.
[17] Cfr.https://www.ilpost.it/flashes/cartello-riace-accoglienza/.
[18] Cfr.http://www.treccani.it/enciclopedia/giuseppe-impastato/ .
[19] Cfr.https://jimuel.org/.
[20] Cfr.https://www.alganews.it/2019/11/10/riace-e-lo-sfratto-della-solidarieta/.
[21] Cfr.https://larivieraonline.com/il-paradosso-riace.
[22] Cfr.https://www.telemia.it/2019/11/jimuel-o-n-l-u-s-quando-aprimmo-un-ambulatorio-a-riace/.
[23] Testimonianza da me raccolta in data 12 novembre 2019.
[24] Testimonianza da me raccolta in data 9 maggio 2019.
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Nicoletta Malgeri, laureata in Storia e tutela dei beni artistici dell’Università degli Studi di Firenze. Appassionata di arte e disegno, coltiva interessi conoscitivi per i beni culturali ed etnoantropologici in particolare. Mantiene vivo il suo legame affettivo e intellettuale con la Calabria, sua terra d’origine.
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