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Prima e dopo la caduta del muro. La Germania di Julia Franck

 coperinadi Antonella Franzese

Sono passati trent’anni da quel 9 novembre del 1989 quando la caduta del muro di Berlino ha cambiato il corso della storia e il volto dell’Europa. L’anno 1991 sancisce la fine della guerra fredda, la dissoluzione dell’Unione Sovietica e pone fine a un mondo diviso in due blocchi, figlio della seconda guerra mondiale.

Le tematiche espresse in Lagerfeuer, il romanzo della scrittrice tedesca Julia Franck, classe 1970, ci inducono ad affrontare alcune riflessioni e porci interrogativi sugli aspetti controversi della natura umana al fine di comprendere gli eventi contemporanei come i fenomeni migratori. L’opera, ambientata nel campo profughi Marienfeld di Berlino nella fase antecedente al crollo, ci introduce in un periodo carico di tensione, contrassegnato da ingiustizie e perversioni dovute a un sistema corrotto e lesivo della dignità umana.

La prospettiva di Julia Franck, attraverso la narrazione degli eventi occorsi a Marienfeld negli anni della “cortina di ferro”, costituisce un inedito nella letteratura tedesca; dal suo romanzo emerge la volontà di congedarsi da questo momento storico e la necessità di un attento riesame di tale secondo passato tedesco [1]. Con Lagerfeuer l’autrice ha cercato di interpretare questioni strettamente legate al problema dell’identità nazionale tedesca.

 «La valutazione dei quarant’anni di una Germania divisa apre infatti nuove e vecchie ferite [...] se prima il “superamento del passato” riguardava il nazismo – e dunque tutti i tedeschi – oggi invece la Vergangenheit il passato da mettere in discussione è il cosiddetto socialismo reale di quella DDR ormai scomparsa» [2].

il-muro-intornoL’anno 1989 non compare nelle vicende di questo romanzo, temporalmente collocato nel decennio antecedente e focalizzato sulle esperienze dei quattro protagonisti prima dei grandi cambiamenti; al momento della scrittura dell’opera, tuttavia, la nuova “ora zero” era già presente nell’esperienza dell’autrice. Julia Franck con Lagerfeuer trova una personale chiave di interpretazione della Vergangenheitsbewältigung (superamento del passato) e rielabora l’esperienza traumatica presente nella memoria collettiva del popolo tedesco ponendo una personale cesura storica.

Nel raccontare le sue vicende autobiografiche Julia Franck formula ripetuti e sistematici riferimenti alle vicende che hanno coinvolto in prima persona sua nonna materna, come, ad esempio, la scelta di molti ebrei di ritornare nella Germania orientale a conclusione della guerra, una scelta a suo avviso utopistica come quella rappresentata dall’Ovest per molti cittadini orientali. Questo passo del romanzo riflette il particolare autobiografico:

Meine Groβmutter darf reisen, das durfte sie immer. Verfolgte des Naziregimes hielt man nicht fest. Sie schienen freiwillig gekommen zu sein und zu bleiben. Meine Mutter sagt, sie hatten gar keine Wahl. Wer nach dem Krieg zurückkehren wollte, musste in den Osten. Aber ich glaube es war eine Fata Morgana. Eine Utopie. Ungefähr das, was für viele von uns, also im Osten, heute der Westen ist. Das bessere Ich eines verwüsteten Landes, eines gescheiterten. Ich würde eher sagen, sie wurde aus der Ferne von der sozialistischen Idee betäubt [3].

815jx9tahplIngeborg Hunziger, nonna di Julia Franck, è una figura di riferimento per figlia e nipoti e resta il legame principale con la Germania Orientale dopo l’espatrio: scultrice di professione fa dell’ideologia politica la ragione primaria della sua esistenza, persegue scelte difficili in nome del suo credo basato sulla giustizia sociale: non lascerà mai la Germania Est come faranno invece figlia e nipoti, disapproverà senza comprendere le ragioni di tale decisione. Appare l’analogia con la figura femminile rappresentata nel quinto romanzo, edito nel 2011, Rücken an Rücken attraverso la scultrice Käthe, madre dei giovani protagonisti Ella e Thomas.

Nel precedente romanzo Die Mittagsfrau, affronta invece il periodo storico della Germania durante la Repubblica di Weimar e il secondo conflitto mondiale e rielabora parte di una dolorosa vicenda familiare. I riferimenti all’ebraismo vengono esplicitati attraverso il personaggio di Helene che riveste un ruolo centrale; gli elementi relativi alla simbologia e alla ritualità religiosa ebraica, tuttavia, vengono fortemente ridimensionati e si riflettono limitatamente in alcuni oggetti oppure riemergono attraverso il filtro dei ricordi:

Das Judentum Helenes und der Familie ihrer Mutter wird in dem Roman nicht besonders herausgestellt, sondern findet sich meist nur in Spuren, symbolisiert in einzelnen Gegenständen oder in der Erinnerung an einen religiösen Ritus, mit dem man nicht mehr vertraut ist [4].

La Franck è più propensa a celare la sua origine per non essere etichettata con un particolare genere, gruppo letterario o religioso e poter così preservare appieno la sua libertà espressiva e rivendicare l’indipendenza artistica.

Solche Zurückhaltung in Bezug auf jüdische Motive ist in der neueren deutschen Literatur eher ungewöhnlich. Dort wird oft das Jüdische eher betont, nicht selten auch um von einem Markttrend zu profitieren. Doch derartige „Folklore“ interessiert Julia Frank grundsätzlich nicht, sagt sie [5].

berlino-del-muroLa nuova attenzione posta sulla periodizzazione storica inserita nel frangente della crisi della Repubblica di Weimar e della Germania nazista e il particolare autobiografico legato alla storia paterna della Franck, regalano pagine cariche di intensità alla letteratura tedesca contemporanea. Senza intenzioni moralizzanti viene data un’interpretazione inedita del passato tedesco, anteponendo la soggettività e l’esperienza individuale al dato storico rispetto a quanto invece aveva scritto Günter Grass nel romanzo Die Blechtrommel, dal quale emerge una presa di coscienza da parte dei tedeschi degli orrori commessi nel seguire Hitler nella più totale follia:

Die Mittagsfrau considers the limited opportunities for women, the chaos of Weimar Berlin and the tragedies of Nazi Germany. Yet unlike novelists of previous generations, such as Grass, Frank makes few explicit connections between German history and the everyday lives of her characters in a moralizing way, instead foregrounding subjectivity and individual experience. Inspired by the story of her paternal grandmother, this novel is more concerned with the protagonist’s highly individual experience than with the specifically German history that determines it [6].

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Pubblicato nel 2003, Lagerfeur è il romanzo della definitiva consacrazione della scrittrice, tradotto in lingua italiana con il titolo Il muro intorno ha interessato anche il regista tedesco Christian Schwochow che ha creato un film, Westen (2013).

Ambientato nel centro di accoglienza di Berlino Marienfeld nel 1978, il romanzo si ispira ad esperienze vissute dalla Franck e ripercorre alcune fasi storiche del periodo di transizione fra le due Germanie attraverso quattro principali voci narranti, frutto dall’immaginario poetico dell’autrice. L’opera, pur non avendo un carattere autobiografico, tende tuttavia a trasmetterci atmosfere, umori e suggestioni vissute personalmente dall’autrice, creando una sottile tensione fra ciò che il lettore apprende e ciò che può solamente immaginare. Si evidenziano desideri e ambizioni dei profughi ed emerge il dolore e la disperazione dei protagonisti dovuta alle speranze fallite, in uno scenario privo di consolazione ove non vi sono lacrime da versare. Si delinea tuttavia l’ipotesi di una rinascita in uno spietato gioco fra destini.

Come verrà evidenziato, l’uomo assume comportamenti controversi: laddove ci si aspetterebbe maggiore compassione e solidarietà, emergono aspetti inquietanti insiti nell’essere umano. La banalizzazione del male assume nuove sembianze e forme, si presenta ad esempio in un contesto di normale quotidianità studentesca, negli umilianti interrogatori ai quali sono sottoposti i nuovi arrivati, nel giudizio perentorio del funzionario dell’ufficio di collocamento. Il romanzo è in definitiva un’occasione per riflettere sull’uomo e sulla società e comprendere il miracolo politico della riunificazione della Germania attraverso le vicende personali e intime accadute ai cittadini in transito.

Julia Franks Antrieb zu diesem Roman war also vermutlich eine autobiografische Erregung. Doch die eigene Geschichte hat sie nicht so traumatisiert, dass ihr eine souveräne Annäherung an das Thema unmöglich wurde. Im Gegenteil. Aus dem persönlichen Betroffensein erwachsen ihr Kompetenz und eine starke Haltung. Ein Glücksfall: Lagerfeuer ist ein ganz bemerkenswerter Roman [7].

Nel 2009, in occasione del ventesimo anniversario della caduta del Muro, Julia Franck cura l’antologia Grenzübergänge, comprendente una serie di racconti che rimandano alle esperienze di transizione dall’Est all’Ovest riconducibili al vissuto dei diversi autori che aderirono alla raccolta [8]. Nell’opera l’autrice sostiene la necessità di superare confini e barriere attraverso la scrittura: «Im Dazwischen, auf der Schwelle, hier befindet sich die Grenze; ihre Überwindung wie ihre Öffnung liegt im Erzählen» [9]. Confini non solo fisici ma anche mentali, barriere di varia natura da sempre difficili da oltrepassare per l’uomo. Uno degli aspetti più preziosi della «svolta» è costituito dal transito in un «territorio intermedio» dove le esperienze umane assumono aspetti significativi proprio per il carattere di straordinarietà di tale esperienza: l’attraversamento della «soglia» riveste un’enorme importanza fino a permettere il superamento e l’apertura dei confini.

Sin da bambina Julia fu al corrente di determinate contingenze e verità e per quanto non potesse intuirne i risvolti, era a conoscenza di come alcune tematiche dovessero essere sottaciute e non potessero essere affrontate apertamente. L’impossibilità di potersi esprimere apertamente per tutta l’infanzia ha rappresentato un’ulteriore spinta creativa e condotto l’autrice alla scrittura: Julia Frank non conobbe mai le circostanze che portarono alla fuga del padre nel corso del 1975, rimaste segrete fino alla sua morte sopraggiunta nel 1987 per malattia.

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Berlino, 1961 (ph. Henri Cartier Bresson)

La città di Berlino rappresenta per l’autrice un inevitabile punto di riferimento e assume un’importanza primaria poiché rappresenta il legame con il suo passato familiare ed è anche lo scenario dei recenti successi letterari e dell’attuale realizzazione professionale.

Con Lagerfeuer, Julia Franck contribuisce alla divulgazione di una parte fondamentale di storia della Germania attraverso la narrazione di vicende che coinvolgono alcuni profughi in un’alternanza fra finzione e realtà: in questa rappresentazione vite parallele si intersecano in un viaggio al confine fra due ideologie. L’autrice rivela molti aspetti di questa fase di passaggio della Germania divisa, evidenziando le umiliazioni e le violenze subite dai migranti e provando a immergere la narrazione negli spazi intimi dei cittadini in transito nel superamento dei confini. L’eccezionalità della fase storica al centro del romanzo sottolinea l’azione distruttrice e destabilizzante compiuta dagli organi statali di controllo e repressione sui «cittadini di mezzo».

Lo strappo con il passato è violento e costringe i profughi a un distacco forzato e prematuro dagli affetti fino a spezzare le relazioni familiari; il vuoto lasciato diviene assordante al punto da creare smarrimento, facendo compiere ai personaggi scelte controverse. Julia Franck esplora la condizione dell’uomo che ha perso i suoi punti di riferimento, ritrovandosi in una realtà estranea in cui non riesce più ad identificarsi.

La metafora della liquidità di Zygmunt Bauman riflette il crollo delle ideologie che sta avvenendo nell’era post moderna. Analogamente, in Lagerfeuer, la mancanza di solidi ancoraggi politici causa la dissoluzione del sistema, un dissesto del tessuto sociale nel quale l’uomo è ormai spaesato. L’analisi sulla condizione umana in queste particolari circostanze storico-sociali è parte sostanziale del romanzo: un romanzo multiprospettico narrato dalle quattro voci dei protagonisti nel centro di accoglienza Marienfeld di Berlino delinea esperienze umane parallele che si intersecano ed alternano nella finzione narrativa. I personaggi si muovono all’interno di un confine convenzionale fra Est e Ovest, un non-luogo della disperazione e della speranza, un Lager circondato da un Muro all’interno di una città divisa da un altro Muro.

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Berlino, 1961 (ph. Henri Cartier Bresson)

Il prologo delle Grenzerfahrungen [10], «esperienze limite» della famiglia monoparentale che si appresta a fare il suo ingresso a Ovest, è scandito dalle note musicali di Boney Rivers of Babilon. Questo spiritual degli anni ’70, epoca in cui è ambientato il romanzo, attinge al Salmo 137 della Bibbia e racconta dell’esilio del popolo ebraico a Babilonia dopo la conquista di Gerusalemme nel 586 a.C.; in esso viene descritta la nostalgia degli ebrei che, seduti piangenti sulle rive dei fiumi di Babilonia, ricordano Gerusalemme e si rifiutano di cantare un canto gioioso in terra straniera. Il sottotesto musicale rispecchia gli animi dei profughi giunti nel desiderato Occidente, dove la speranza si dilegua nel falò conclusivo e lascia spazio al disorientamento esistenziale, alla frustrazione e all’amarezza della condizione precaria dei migranti tedeschi diretti verso un territorio «altro». Le sovrastrutture ideologiche dominano in quegli anni nella vita dei profughi e contaminano anche a Ovest le loro esistenze dilaniate in uno sconcertante paradosso dovuto agli effetti della guerra fredda.

L’autrice approfondisce la psicologia dei protagonisti per comprendere le ragioni che hanno spinto ciascuno di essi a prendere la difficile decisione di trasferimento in Occidente. La crudele fiaba moderna ci presenta il modello archetipico della foresta, simbolo di paure inconsce, sotto forma di un centro profughi nel cuore della Berlino di fine anni ’70.

Julia Franck colloca al centro dei suoi romanzi le donne, capaci di condurre la narrazione come una forza motrice. Dai romanzi frankiani emergono modelli familiari atipici che sono specchio del tempo e delle trasformazioni sociali in rapida evoluzione. La questione della maternità riveste particolare importanza nell’opera complessiva della Franck poiché dimostra l’identità materna performativa e presenta modelli di maternità che confliggono con le aspettative sociali. Le soluzioni adottate dall’autrice nel mettere in scena tali modelli alternativi di donna, lasciano trapelare la sua visione sul concetto di libertà: le donne non inseguono false illusioni consolatorie, ma propongono visioni concrete di obiettivi e possibilità, pronte ad assumersi il rischio del possibile insuccesso.

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Anton Cechov

L’aspetto che più colpisce di questa autrice è il rispetto per le libertà individuali e per le scelte personali anteposte alla possibilità del fallimento, un rischio che comunque vale la pena correre. Le sue parole sono filtrate da pathos e da una capacità innata di cogliere la semplicità e l’anima delle cose con equilibrio e sobrietà: questo è parte del talento che la contraddistingue. I critici l’hanno definita ‘nipote letteraria di Čechov’ per le innumerevoli analogie con il grande novelliere e drammaturgo russo [11]. Come nelle opere di Čechov anche la Franck rappresenta una realtà in decadimento: «uomini e donne falliti, delusi o illusi, che rimpiangono il passato, sperano l’amore impossibile o si dedicano a ideali astratti, vivono un soffocante clima di noia e un desiderio di cambiamento irrealizzabile»[12], antieroi presi al laccio del quotidiano. «Una dote di Čechov è la chiarezza con cui riesce a far vedere al lettore, nel giro di poche frasi [...] personaggi, ambienti»[13]; questa caratteristica è evidente anche nella prosa frankiana.

Julia Franck apprezza e sente affinità con uno stile di scrittura definito «Poetik der Wahrnehmung»[14], caratterizzato da sobrietà linguistica ma allo stesso tempo carica di emozione: «nüchterne Sprache mit so viel Plastizität im Denken – eben keineswegs in irgendeiner psychologisierenden Weise – nicht ohne Emotionalität auszulösen» [15]; tale poetica è orientata in prevalenza su quanto è possibile osservare. Julia Franck pone grande importanza al pensiero connesso alle emozioni ed afferma: «Denn Ästhetik ist ohne emotionale Qualität undenkbar, wircklich undenkbar» [16].

Fra i temi principali dell’autrice: «Tod, Liebe, eine gewisse Unbehaustheit, das Aufbäumen gegen das Unmögliche – das sind ihre Themen» [17]. L’autrice pone l’attenzione su ciò che viene idealizzato dagli uomini: «und gerade auch, was ein kulturell überliefertes Ideal wie Liebe anbelangt, also so etwas wie Geborgenheit, Zärtlichkeit, Zweisamkeit…» [18].

Le donne sia nell’opera di Čechov che nei lavori della Franck sono presenze massicce, reggono intere pagine di narrazione e abitano il mondo dei rispettivi romanzi da agenti protagoniste. Entrambi gli autori colgono la moltitudine di problematiche connesse all’indagine sulla femminilità, ed esaminano una molteplicità di tipologie umane. La Franck mostra particolare affinità e interesse nel portare in scena l’universo femminile indagando i vari ruoli che le donne sono chiamate a ricoprire: donne lavoratrici, madri, mogli, figlie, amanti, prostitute, donne che aspirano all’emancipazione, ma che più spesso falliscono nel loro intento.

Lagerfeuer della Franck è un’opera di grande qualità letteraria per la capacità dell’autrice di maneggiare la lingua tedesca con agilità e chiarezza. La scelta di narrare attraverso l’opera alcune pagine della recente storia tedesca, innalza l’autrice e la colloca fra i maggiori autori contemporanei tedeschi: capace di integrare la prosa letteraria ad aspetti sociali e storici.

Julia Franck è cosciente delle difficoltà quotidiane che le donne devono affrontare; la sua storia familiare è stata il primo confronto con tali aspetti: sua madre infatti, donna single, dovette allevare da sola le proprie figlie senza l’aiuto costante di una figura maschile di riferimento. L’autrice ripeterà la medesima esperienza diventando a sua volta madre single di due bambini. Il suo approccio alla vita è ben sintetizzato dal titolo dell’articolo Lust am Leben che porta la sua firma, apparso sul Kölner Stadt-Anzeiger [19]. In esso si evidenzia:

«Frank’s essay Lust am Leben […] brings another perspective to the motherhood debate by questioning the class-specific assumption that both Herman and Radisch make: namely, that women can choose to stay home to care for their children»[20].

L’autrice spiega con chiarezza il suo modo di concepire le relazioni fra uomo e donna, di essere madre felice e lavoratrice per vocazione e riuscire a conciliare le due mansioni. Anche dai suoi romanzi trapela la voglia di vivere da parte delle figure femminili: i personaggi vengono immancabilmente inseriti in un contesto sfavorevole e pieno di ostacoli, non riescono così a determinare il corso delle rispettive esistenze e subiscono uno scacco dalla vita.

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Sede dell’ex Centro di accoglienza tedesco di Marienfeld

La solidarietà femminile della Franck e la sua affinità e sensibilità femminista, si manifestano dando voce alle donne dei romanzi. Esplora i dilemmi esistenziali e le sfide che esse devono compiere. Alimenta il dibattito sociale e porta l’attenzione su questi aspetti del femminile. Indaga i risvolti più intimi delle relazioni nella vita delle donne, ne comprende i limiti e le frustrazioni perché sono gli stessi della vita reale che lei ben conosce in quanto donna, madre, lavoratrice e artista. Anche se i suoi personaggi femminili vengono posti di fronte a situazioni senza via d’uscita e falliscono, ciò non avviene per il peso di una società patriarcale, se non in minima parte e solo in alcuni casi; gli ostacoli sono insiti soprattutto nel momento storico rappresentato o dovuti tutt’al più all’esito di una cattiva sorte. In Lagerfeuer, ad esempio, anche gli uomini del romanzo si trovano a dover affrontare le stesse difficoltà così che si può affermare che nella prosa frankiana «non vi è utopia femminista»[21]. Julia Franck affronta i problemi delle donne con aderenza alla realtà senza cercare la consolazione di false illusioni, la sua è una visione concreta di obiettivi e possibilità o, per meglio dire, è la dura e reale presa di coscienza dell’impossibilità di realizzazione e della caduta dei sogni.

«On the other hand, Biendarra sees Frank and her colleagues as belonging to “a new, post-feminist generation that is motivated to portray relations between the sexes and between women more ironically and distantly than its predecessors”, and as one that sees gender roles as fluid» [22].
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Museo dell’ex Centro di accoglienza tedesco di Marienfeld

Lagerfeuer è l’unico testo letterario a trattare della significativa e circoscritta realtà del centro di accoglienza tedesco di Marienfeld nella città di Berlino ai tempi della guerra fredda. Il centro era una sorta di sconfortevole anticamera per accedere all’Ovest, dove in migliaia hanno trovato temporanea ospitalità in attesa dell’effettivo ingresso nel tanto desiderato Occidente. Il campo di prima accoglienza Marienfeld ha avuto il valore simbolico di «porta verso la libertà», soprattutto fino al 1961, periodo precedente alla narrazione, ambientata invece a fine anni Settanta. Tedeschi dell’Ovest e politici si recarono a Marienfeld per dimostrare la loro solidarietà nei confronti dei profughi della DDR. Per chi invece proveniva dalla DDR ed aveva realmente vissuto all’interno del campo, esso era considerato un «oggetto nemico»[23], poiché qui venivano alla luce le debolezze del proprio sistema politico.

Quello della guerra fredda che fa da sfondo alle vicende di Lagerfeuer è stato un periodo oscuro e inquietante, radicato nella storia nazionale tedesca e nelle coscienze dei cittadini. Tuttavia, nonostante le ingiustizie e le brutture di cui si è fatto testimone, non può essere messo sullo stesso piano del secondo conflitto bellico e degli eventi a esso connessi, come testimonia il dibattito storiografico:

«[...] gli storici appartenenti ad una scuola di pensiero che opera all’interno di una dimensione comparatistica ammoniscono dal porre sullo stesso piano il comunismo della DDR ed il nazionalsocialismo che in un punto differiscono in maniera sostanziale: il comunismo non ha prodotto nessun fenomeno equiparabile a quello oggi definito come “Auschwitz”»[24].

Numerosi studi hanno cercato di far luce sulle dinamiche che hanno mosso gli animi corrotti nella storia umana, molti sono ancora gli interrogativi aperti [25]. Attraverso il racconto di vita dei quattro protagonisti apprendiamo come essi abbiano cercato una soluzione alternativa all’oppressione del sistema socialista da cui fuggono.

cq5dam-thumbnail-cropped-1000-563La conclusione del romanzo

In der Kantine gab es Gans für alle. Ein Stück Fleisch mit Soβe. Rotkohl und Klöβen, so viel man wollte [26].

L’inizio dell’ultimo capitolo rimanda all’idea della fiaba dei fratelli Grimm con la casetta di marzapane: le pietanze sono quelle tipiche del Natale; l’arrosto d’oca, la carne in umido, il cavolo rosso e canederli a volontà. La cena della vigilia di Natale sarà il preludio del «falò» ove la tensione raggiunge l’apice. I cittadini riuniti nella mensa del centro di accoglienza cercano di creare un sereno spirito natalizio ma l’esito sarà tragicomico e grottesco per ridicolizzare le perversioni del sistema.

Vengono messe in luce le false speranze e l’euforia esasperata ed illusoria che ha pervaso quegli anni in un’ondata di ottimismo isterico a ridosso della «svolta» negli anni ’90. L’integrazione richiederà tempi e sforzi notevoli: essi si protraggono sino ai nostri giorni. L’incendio rappresenta la violenza distruttrice che riflette il trauma vissuto dai tedeschi durante il passaggio segnato dal dolore per la perdita di spazi propri e relazioni stabili e durevoli. È il passaggio dalla fase solida a quella liquida postulato da Bauman, ove il liquido ha la caratteristica di cambiare forma e adattarsi al nuovo «contenitore»: i cittadini di transito hanno dovuto dimostrare la massima flessibilità e duttilità nel far fronte al cambiamento.

Giunti ad Occidente migliaia di cittadini hanno affrontato una nuova realtà, secondo quanto afferma Ingo Schulze, durante l’intervista rilasciata al quotidiano “La Stampa”. Egli sostiene che è avvenuto «uno slittamento di dipendenze e di libertà: è stato questo il passaggio dalla DDR alla Germania riunificata. […] Ed ammette apertamente di considerare il sistema attuale criticabile quanto quello della Germania Est [...]» [27].

Giorgio Bocca, nelle prime pagine del suo libro Piccolo Cesare, occupandosi di politica italiana, affronta un discorso che si allarga a tutte le democrazie occidentali e scrive:

«Quando cadde il muro di Berlino si pensò che avesse vinto la democrazia. Invece aveva vinto il mercato, che della democrazia non sopporta i controlli. [...] Molti [...] hanno visto la rivincita del mercato come una nuova frontiera, l’unica rimasta nel fallimento delle utopie egualitarie e socialiste»[28].

L’albero in fiamme nell’ultimo capitolo di Lagerfeuer diventa il simbolo dello sgretolamento dell’ideologia socialista e degli stravolgimenti dovuti al nuovo sistema del liberismo economico e riflette la realtà politica e sociale in continua trasformazione nella Germania che si avvia al processo di riunificazione.

L’esperienza dei profughi tedeschi pone una riflessione più ampia sui fenomeni delle migrazioni a cui assistiamo ogni giorno impotenti con Mare Nostrum. Oggi, dopo il 1 dicembre 2019, l’Europa assume una nuova forma con il mandato della Commissione Europea presieduta dalla tedesca Ursula von den Leyen e si impegna a proseguire la sfida dell’ultimo trentennio: secondo la politica tedesca, «l’Europa è un tesoro da salvare»: ella dovrà ora considerare gli epocali fenomeni migratori e dare il via a una nuova Europa che tenga conto di tali nuovi scenari.

Dialoghi Mediterranei, n. 41, gennaio 2020
Note
[1] Cfr. A. Chiarloni, La prosa della riunificazione. Il Romanzo in lingua tedesca dopo il 1989, Edizioni dell’Orso, Alessandria 2002: 73.
[2] A. Chiarloni, La prosa della riunificazione. Il Romanzo in lingua tedesca dopo il 1989, cit.: 71-72; Id., Come uscire dal labirinto, in «L’indice dei libri del mese», 8 (1997): 15.
[3] J. Frank, Lagerfeuer, Fischer Taschenbuch Verlag, Frankfurt am Main 2012: 68; trad. it. Il muro intorno, Le Lettere, Firenze 2006 [«Mia nonna può viaggiare ed ha sempre potuto farlo. Perseguitata dal Regime Nazista, non ci si ricorda. Sembravano essere venuti e rimasti liberamente. Mia nonna dice che non avevano alcuna scelta. Chi voleva ritornare dopo la guerra doveva andare nell’Est. Ma credo che fosse un miraggio, un’utopia. Più o meno quello che per molti di noi dell’Est rappresenta oggi l’Ovest. Il meglio di me di un paese devastato, fallito. Direi piuttosto che è stata stordita a distanza da idee socialiste», trad. mia].
[4] B. Spoerri, Bitte keine jüdische Folkloreeine Begegnung mit der Buchpreisgewinnerin Julia Frank, in «Jüdische Allgemeine», 18.10.2007: https://www.juedische-allgemeine.de/allgemein/bitte-keine-juedische-folklore/[«L‘ebraismo di Helen e della famiglia di sua madre non viene messo particolarmente in evidenza nel romanzo, ma si trovano per lo più tracce,in cui viene simboleggiato in singoli oggetti o nel ricordo di riti religiosi sui quali non si conta più», trad. mia].
[5] Ibidem [«Tale riluttanza in riferimento ad argomenti religiosi, è alquanto insolita nella letteratura tedesca più recente; in essa spesso viene evidenziato l‘elemento ebraico non di rado per trarre vantaggi dalle tendenze di mercato. Questo aspetto ‘folcloristico‘ non interessa fondamentalmente Julia Frank, essa dichiara», trad. mia].
[6] A. Merley Hill, Playing House, Motherhood, Intimacy and Domestic Spaces in Julia Frank’s Fiction, Peter Lang, Bern 2012: 5.
[7] Th. Brussig, Unsanfte Landung, «Der Spiegel», 40 (2003). [«L‘impulso di Julia Franks a scrivere questo romanzo è stata presumibilmente una inquietudine autobiografica. La propria storia non l‘ha traumatizzata al punto da renderne impossibile un avvicinamento assoluto alle tematiche. Al contrario. Il fatto di essere personalmente  coinvolta ne accresce la sua competenza e la sua posizione. E in un colpo di fortuna: Lagerfeuer è un romanzo davvero degno di nota», trad. mia].
[8] J. Frank, Grenzübergänge, S. Fischer Verlag, Frankfurt am Main 2009. Oltre alla stessa autrice presero parte all’iniziativa i colleghi Marcel Beyer, Marica Bodrozic, Thomas Brussig, F.C. Delius, Günter Grass, Sarah Haffner, Thomas Hettche, Thomas Hürlimann, Franziska Groszer, Uwe Kolbe, Judith Kuckart, Dagmar Leupold, Emine Sevgi Özdamar, Annette Pehnt, Catalina Rojas Hauser, Claudia Rusch, Viola Roggenkamp, Ingo Schulze, Jens Sparschuh, Hans-Ulrich Treichel, Lothar Trolle, Roger Willemsen.
[9] Ibidem: 22.
[10] Stiftung Haus der Geschichte der Bundesrepublik Deutschland: :http://www.hdg.de/traenenpalast/ausstellung/.
[11] M. Hinz, Als Kind wollte sie Eisbären zum Tanzen bringen, heute erzählt sie von den Facetten der Liebe und der Erotik zwischen Ost und West, «Kultur SPIEGEL», 9/1999: 40: http://www.spiegel.de/spiegel/kulturspiegel/d-14897282.html.
[12] C. Acerbi, I racconti di Cechov: una questione di sguardo, dal portale di «Cultura Cattolica»: http://culturacattolica.it/default.asp?id=108&id_n=4590.
[13]   Ibidem.
[14]   Ibidem: 42.
[15]   Ivi : 42.
[16] Ibidem [«L’estetica è impensabile senza qualità emotive, davvero impensabile», trad. mia].
[17] M. Hinz, Als Kind wollte sie Eisbären zum Tanzen bringen, «Kultur SPIEGEL», 9/1999 (30.8.1999): 40 [«La morte, l’amore, la mancanza della Patria, la ribellione contro l’impossibile – queste sono le sue tematiche», trad. mia].
[18] Ibidem. [e proprio anche, per quanto riguarda un ideale trasmesso culturalmente quale l’amore, anche  protezione, dolcezza, promiscuità...]
[19]  J. Frank, Lust am Leben, «Kölner Stadt-Anzeiger», 29.4.2006: http://www.ksta.de/lust-am-leben-13585840.
[20] A. Merley Hill, Female Sobriety: Feminism, Motherhood, and the Works of Julia Frank, Project Muse, Women in German Yearbook: Feminist Studies in German Literature & Culture, Volume 24, Nebraska Press, 2008: https://muse.jhu.edu/article/254032.
[21]  A. Merley Hill, Female Sobriety, Nebraska Press, 2008.
[22] Ivi.
[23] Ibidem.
[24] I. Geiss, Die Totalitarismen unseres Jahrhunderts. Kommunismus und Nationalsozialismus im historisch- politischen Vergleich, in Totalitarismus im 20. Jahrhundert. Eine Bilanz, der internationalen Forschung, a cura di E. Jesse, Bundeszentrale für politische Bildung, Bonn 1999: 160-175.
[25] A. Bienati, Dall’inchiostro al sangue. Quando il crimine è legalizzato, Proedi Editore, Milano, 2003.
[26] J. Frank, Lagerfeuer, Fischer Taschenbuch Verlag, Frankfurt am Main 2012: 280. [Nella mensa c‘era l‘anatra per tutti. Un pezzo di carne con il condimento. Cavoli rossi e  gnocchetti quanti si voleva, trad. mia].
[27]T. Mastrobuoni, La nuova Germania mi fa paura, in «La Stampa», 20 marzo 2015: http://www.lastampa.it/2015/03/20/cultura/scuola/e20/cronaca/muro-di-berlino/la-nuova-germania-mi-fa-paura-tzgFIPv1iCXTDfUdlTztyN/pagina.html.
[28] G.  Bocca, Piccolo Cesare, Feltrinelli, Milano 2002: 9.

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Antonella Franzese, interprete e traduttrice, si è specializzata in inglese e tedesco presso la Scuola Superiore per interpreti e traduttori “Silvio Pellico” di Milano. Ha successivamente conseguito il diploma in Arti dello Spettacolo e Danza presso la University of London e una laurea magistrale all’Università degli Studi di Milano con una tesi sulla produzione narrativa di Julia Franck. È stata docente di lingue straniere alla Scuola Steineriana Cometa, al Liceo Artistico Statale “U. Boccioni” di Milano e attualmente svolge attività di insegnamento presso altri istituti milanesi. Ha conseguito, inoltre, il Master in interpretariato di conferenza partecipando a numerosi convegni e incontri internazionali. È mediatrice linguistica per vari enti e presso il Tribunale di Milano.

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