di Linda Armano
«For fifty year I have studied anthropology; for forty years I have taught it. Yet the idea that anthropology is not just a subject to be taught and studied, but educational in its very constitution, has crept up on me only over the last decade or so» (Ingold, 2018: VIII).
Con queste parole Tim Ingold apre la prefazione del suo libro Anthropology and/as education, in cui, continua l’autore, i principi dell’antropologia sono anche principi educativi. Genericamente il termine “educazione” rievoca il contesto scolastico, dove tutti noi abbiamo imparato a leggere, a scrivere e ad immagazzinare informazioni, per poi specializzarci all’interno di determinate branche della conoscenza, dalla letteratura alle scienze, alle arti, al fine di incrementare la nostra istruzione e quindi, la nostra civilizzazione. Nelle società democratiche è dovere dello Stato assicurare ai suoi cittadini un’adeguata educazione, attraverso un percorso scolastico. La pratica educativa e l’istituzione che la cura, scrive Ingold, sembrano coincidere nella nostra società. Permane dunque l’idea classica di “cultura”, ossia quella concezione che era presente in epoca vittoriana e di cui Tylor rivoluzionò il significato. Un’interpretazione che intende la cultura come risorsa del singolo e, in quanto tale, non accessibile a tutti; è anche un’idea che, basandosi sulla metafora agricola, presuppone che la persona, attraverso lo studio, da incolta diventi raffinata. Estremamente sostenuta in epoca vittoriana, tale concezione sembra conservarsi anche nel senso comune odierno tendendo a dividere la popolazione tra colti ed incolti.
La conoscenza trasmessa si diversifica di cultura in cultura e in base alle istituzioni che ne facilitano il passaggio di generazione in generazione. La scuola, nella nostra società, è perciò una di queste innumerevoli istituzioni. Tutti gli animali imparano aggiustando i loro comportamenti sulla base delle spinte dettate dalle condizioni ambientali. Sottolinea Ingold però che:
«It is quite another matter, however, to set up virtual scenarios in anticipation not currently prevalent but that might plausibility be encountered at some time in the future, so as to instruct novices in how to deal with them. Deliberate instruction of this kind – or what is generally known as pedagogy – may indeed be iniquely human» (Ingold, 2018: 2).
La pedagogia è nota come l’arte di insegnare e, come si è detto, la scuola non è certamente l’unica istituzione in cui praticare tale arte. Negli ultimi anni innumerevoli altre pratiche di insegnamento sono state inserite nel curriculum scolastico, spaziando dallo storytelling a particolari rituali di iniziazione. In varie parti del mondo sono infatti sorte le “scuole indigene” in cui l’idea di trasmissione della conoscenza si discosta, totalmente o per certi aspetti, dalla struttura canonica imposta dallo Stato.
Lo scopo di questo contributo è quello di offrire un esempio di “scuola indigena” costruita a Kelowna nella regione canadese di Okanagan in British Columbia. In particolare, la riflessione si concentrerà, dopo aver tracciato la storia di questo progetto, sugli scopi educativi ed “antropologici” della scuola. Quest’ultima si chiama sənsisyustən House of Learning. Sorta all’interno della riserva indiana nella parte occidentale della città, la scuola privata è aperta sia a studenti indigeni sia a ragazzi non indigeni. L’obiettivo della scuola è di riformulare l’idea di “trasmissione della conoscenza” con lo scopo di mostrare che i metodi di insegnamento comunemente utilizzati nelle altre scuole private e pubbliche della città ma anche, in generale, del Paese si discostano totalmente dalla loro visione del mondo. Come sottolineato dallo staff della sənsisyustən House of Learning durante il nostro colloquio, la creazione della scuola indigena ha automaticamente messo in luce, per contrasto, che il sistema scolastico comunemente utilizzato, lungi dall’essere una trasmissione del sapere, è un mero allenamento all’attenzione.
Continuità con la vita. Il processo storico verso la realizzazione di sənsisyustən House of Learning
Prima di descrivere la realizzazione del progetto della scuola indigena sənsisyustən House of Learning, vorrei soffermarmi su un’idea di John Dewey, filosofo e pragmatista, oltre che teorico dell’educazione, che nei primi anni del 1900 scrisse il libro Democracy and Education. An Introduction to the Philosophy of Education. Aprendo il primo capitolo l’autore scrive: «The most notable distinction between living and inanimate things is that the former maintains themselves by renewal» (Dewey, 1916: 1). Il punto di partenza di Dewey non è quindi la scuola, e nemmeno le persone o l’umanità in generale. Piuttosto che muovere dall’idea di educazione per poi estenderla alla dimensione umana e non umana, egli comincia dalla direzione opposta. Per comprendere cos’è l’educazione, Dewey afferma che la prima cosa verso cui le persone dovrebbero tendere è la frequentazione dell’intrinseca natura della vita (Dewey, 1916: 2). Aldilà dell’apparente semplicità dell’esempio, dovremmo innanzitutto capire, spiega il filosofo, cosa differenzia le piante e gli animali dalle pietre. Allo stesso tempo però, tutti gli elementi della natura, spiega Dewey, non andrebbero separati tra di loro. Ogni forma esistente è connessa alle altre all’interno di una relazione reciproca. La continuità della vita non è quindi una questione individuale, ma si estrapola nel sociale. E l’educazione, nel suo senso generale, in accordo con Dewey, è il significato profondo di questa continuità sociale. La vera essenza dell’educazione va ricercata, secondo l’autore, al di fuori delle mura scolastiche, e certamente non all’interno della pedagogia mediata attraverso strumenti cognitivi specializzati come il linguaggio e le rappresentazioni simboliche, ma va cercata nella sfera della trasmissione e nell’ambito della comunicazione. Precisa Dewey che: «Society not only continues to exist by transmission, by communication, but it may fairly be said to exist in transmission, in communication» (Dewey, 1916: 5). Ora queste parole sembrano aderire perfettamente alla logica della scuola indigena di Kelowna e, più in generale, alla visione dei Syilx della regione di Okanagan e di altre comunità native canadesi.
Come sottolinea Ingold, il termine “comunicazione” assume oggi la valenza di «informare tramite messaggi». Ma questa spiegazione non aderisce certamente con ciò che Dewey sostiene. L’autore di Democracy and Education. An Introduction to the Philosophy of Education è particolarmente interessato a capire come le persone, con differenti background socioculturali e diverse esperienze di vita, riescono a raggiungere un accordo tra di loro. In altre parole, come esse possono intrecciare, seppur anche in soli frangenti, le loro vite assieme. Sostiene Ingold che, nella visione occidentale odierna sembra non esserci più un intrinseco legame tra “comunicazione”, “comunità” e “comune” a meno che, sottolinea l’antropologo:
«Perhaps, following medieval precedent, one could turn “common” into a verb; to “communicate” would then be “to common”. In context of education, this communing is above all an achievement of persons of different generations. Its educative power, furthermore, lies in the fact that information does not pass from head to head without distortion. For if I am to share my experience with you, it is not enough to package and send it as it is. You might receive the package but will be none the wiser for it. For sharing to be educative I have to make an imaginative effort to cast my experience in ways that can join with yours, so that we can – in a sense – travel the same paths and, in so doing, make meaning together. It is not that you end with a piece of knowledge implanted in your mind that once had belonged only to me; rather we come into a concordance that is new to both of us. Education is transformative» (Ingold, 2018: 4).
Accanto ai tradizionali sistemi pedagogici seguiti, seppur con varianti a seconda dei Paesi, nelle scuole pubbliche o private, esistono altre proposte pedagogiche che, diffuse in tutto il mondo, differiscono solo lievemente tra Paese e Paese. In altre parole, esse creano una sorta di proposta educativa, insegnata in determinate scuole, che critica la metodologia scolastica dominante. Alcuni famosi esempi sono il metodo Steineriano e quello Montessori. Se il primo approccio conferisce particolare importanza all’aspetto emozionale ed immaginativo, il secondo ha come fondamento l’incremento dell’indipendenza dello studente attraverso la risoluzione di problemi pratici e la compartecipazione all’insegnamento.
Negli ultimi anni sono emerse anche altre forme di insegnamento scolastico, solitamente utilizzate per l’homeschooling che, soprattutto nei Paesi anglosassoni, fanno largo uso della tecnologia. Come spiegano Marguerite Wotto, Sujit Kumar Basak e Paul Bélanger, particolarmente diffusi negli Stati Uniti e in Canada, come supporto alla scuola parentale, vi sono infatti:
«E-learning is “the learning supported by digital electronic tools and media” and m-learning is the “e-learning using mobile devices and wireless transmission” (Hoppe et al., 2003: 255)and finally, the “Digital learning is any type of learning that is facilitated by technology or by instructional practice that makes effective use of technology” and it occurs in all learning areas and domains. While having significant impact on the sustainable development and on the living conditions, e-learning, m-learning, and d-learning seem to be very closely related. But there are some differences among them. M-learning is the subset of e-learning and d-learning is the com-bination of e-learning and m-learning» (Wotto, Basak, Bélanger, 2018: 194)
Negli ultimi anni, in Canada, come negli Stati Uniti e in Australia, assieme ad altri Paesi caratterizzati da una forte presenza coloniale, anche all’interno delle scuole e come base della struttura scolastica, sono emerse iniziative che, partendo da una rivitalizzazione della lingua delle popolazioni indigene, hanno dato vita ad esperienze capaci di favorire una integrazione, oltre che una rinforzamento comunitario, degli studenti nativi. Se anche a Kelowna esistono queste pratiche, la scuola indigena sənsisyustən House of Learning va ben oltre, assumendo una vera e propria funzione aggregativa per i Syilx oltre che una possibilità di conoscenza della cultura nativa anche per chi non appartiene alla comunità indigena. La mission della scuola è: «Whatever and whenever life is going on, so too is education». Nel 2016, prima della sua realizzazione, i membri della comunità Syilx si riunirono in assemblee, organizzarono workshop rivolti ai genitori e allo staff scolastico, impegnati nella elaborazione di proposte educative aderenti alla cultura indigena, e vennero convocati i rappresentanti della municipalità al fine di presentare loro i dati raccolti.
I lavori iniziarono nel 2018 e terminarono per l’apertura della scuola nell’anno scolastico 2019/2020. Come affermano i membri della comunità Syilx, i giovani costituiscono il futuro della comunità e in quanto tali devono essere sostenuti da una cultura nativa che faccia loro prendere coscienza delle loro origini. Come mi spiegò uno degli insegnanti della scuola, tale istituzione è il frutto di un inevitabile sincretismo con la cultura occidentale, ancora fortemente ritenuta una presenza colonizzatrice dalla comunità indigena. Ma è anche una nuova possibilità di trasmissione, attraverso pratiche di insegnamento native, della conoscenza e coscienza Syilx che altrimenti andrebbero scemando nel corso delle generazioni. Questo aspetto, in effetti, rappresenta la generale preoccupazione di tutte le popolazioni indigene canadesi le quali attribuiscono una particolare importanza alla conservazione del sapere e delle attività tradizionali tramite la comunicazione. È sorprendente quindi l’aspetto comune, esposto sopra, tra Dewey e la visione culturale dei Syilx. Ciò che a prima vista colpisce è senza dubbio la possibilità, ben spiegata da Unni Wikan, dell’essere insieme nel mondo e comprendersi l’un l’altro nonostante retaggi culturali differenti; di andare al di là delle apparenze e degli artifici esteriori per arrivare a ciò che conta davvero, cioè a quanto vi è di comune nelle esperienze umane (Wikan, 1992: 467).
Durante la nostra chiacchierata l’insegnante sottolineò però che la scuola è, in qualche modo, anche un prodotto del sistema scolastico-razziale messo in atto in Canada attraverso le residential schools. Appoggiato dalle Chiese cattoliche, anglicane, metodiste e presbiteriane il Governo canadese organizzò le residential school, dal 1870 fino al 1996, con uno scopo assimiliazionista nei confronti delle popolazioni indigene (inclusi anche gli Inuit e i Métis). Per centovent’anni il governo istituì e mise in pratica le sezioni 113 e 122 dell’Indian Act. In generale, quest’ultimo è una legge federale applicata alle popolazioni indigene e serve, tra le altre cose, a regolamentare le riserve. In particolare, le sezioni 113 e 122 autorizzavano, in nome della legge, il prelievo dei bambini indiani dalle loro famiglie per essere relegati nelle 130 residential school costituite nel territorio canadese e gestite dalle Chiese (Ryan, 2011). I minori dai quattro ai diciotto anni venivano trasferiti a centinaia di chilometri di distanza ed obbligati spesso a subire maltrattamenti di vario genere, come è stato denunciato, grazie ad importanti testimonianze, negli ultimi anni.
All’interno delle residential school, gli insegnamenti venivano differenziati per genere. Alle bambine si insegnava a rammendare e a svolgere le faccende di casa. I bambini si occupavano invece di pulire le stalle, di aggiustare macchinari e lavorare nei campi. Si stima che furono coinvolti più di 150 mila bambini indigeni e la conseguenza peggiore di tale sistema fu la quasi scomparsa della conoscenza e delle attività tradizionali indigene. Le residential school sono inoltre note per aver causato la morte di migliaia di bambini, soprattutto a causa della diffusione della tubercolosi, del vaiolo nonché delle precarie condizioni igieniche. Quando riuscivano a ritornare nei loro villaggi, questi ragazzi non parlavano e non comprendevano più la lingua nativa e non ricordavano più nulla della loro cultura d’origine. Si vedevano così espulsi sia dal sistema culturale occidentale, che nei loro confronti continuava ad essere razzista e coloniale, sia dalla loro stessa comunità. Insomma, non avevano più la possibilità di rientrare in nessun mondo possibile, in nessun sistema di valori capace di offrire un orizzonte di senso alla loro crisi esistenziale (De Martino, 1977). Di qui l’emergere di problemi legati all’abuso di alcol e di sostanze stupefacenti, oltre che all’aumento di suicidi. Purtroppo, tale situazione non è ancora scomparsa. Grazie ad una ricerca condotta da Nicole Muir e da Yvonne Bohr si apprende che:
«The quality of parenting has a significant effect on the physical and emotional health of children throughout their development. When inadequate parenting results in unhealthy family relationships and deteriorates to the point where it is neglectful or abusive, children in Canada are generally placed into the care of child welfare agencies. The National Household Survey (NHS) of Aboriginal Peoples in Canada found that, in 2011, while Aboriginal people represented 4.3% of the total population of Canada, almost half (48.1%) of the 30,000 children in foster care in Canada were Aboriginal. In 2011, 3.6% of Aboriginal children were in foster care in contrast to 0.3% of non-Aboriginal children. Aboriginal families are led by significantly younger parents who have experienced more maltreatment when they themselves were children. These parents’ histories of abuse, especially the abuses experienced in residential schools, may have negatively affected their capacity to parent and are likely responsible for overrepresentation of Aboriginal children in the foster care system in Canada» (Muir, Bohr, 2014: 67).
Le residential school hanno però radici storiche più lontane. Durante la chiacchierata con uno degli insegnanti della scuola indigena di Kelowna, è emerso che, già all’inizio del XVII secolo, i missionari inglesi stabilirono, in varie parti del Canada, delle scuole per i bambini indigeni: «It was believed that this would be the best method of civilizing and Christianize the natives» (Intervista a Jordan Coble, dicembre 2019). Perciò, di fronte alla crisi esistenziale subìta per generazioni dalle comunità indigene, i Syilx hanno risposto puntando sulla diffusione della conoscenza come sinonimo di educazione, di riscoperta, di mantenimento dei propri valori e come nuova e potente possibilità di stare al mondo. La sənsisyustən House of Learning assume quindi un valore fondamentale per la comunità e si pone sia come luogo di incontro sicuro in cui i Syilx iscrivono i loro figli, sia come esempio da imitare per contrastare il sistema coloniale ancora sostenuto dalle politiche del governo.
Dagli anni Settanta del Novecento, il governo canadese cominciò ad emanare alcune leggi affinché anche gli studenti appartenenti alle First Nations potessero frequentare le scuole pubbliche. Il concetto di integrazione era, in quegli anni, solo formale. In realtà, all’interno delle scuole pubbliche, gli studenti indigeni venivano socialmente emarginati e costretti a continuare a subire forme di razzismo, sia in senso fisico che verbale. Negli anni Settanta inoltre gli insegnanti non erano preparati per un’integrazione di questi studenti e, nel curriculum scolastico, non erano previste forme di aiuto per le persone native. Il Chief ed attore Dan George, capo della Tsleil-Waututh Nation, popolazione residente nell’area sudorientale di Vancouver, nel suo monologo rivolto al governo durante una commedia teatrale affermò, nel 1972, che:
«You talk big words of integration in the school. Does it really exist? Can we talk of integration until there is social integration…unless there is integration of hearts and minds you have only a physical presence…and the walls are as high mountain range» (Dan George, 1972).
Come dichiarato da Chief Dan George, l’integrazione scolastica per gli studenti indigeni era purtroppo, in quegli anni, solo una questione fisica e non certamente socioculturale. Anzi, la cultura delle First Nations canadesi non era né rispettata né riconosciuta ufficialmente in quanto anche nelle scuole veniva applicato un approccio assimilazionistico e gli indiani “erano invitati” a dimenticare le loro origini linguistico-culturali. In risposta alle preoccupazioni circa il sistema educativo scolastico da parte delle popolazioni indigene, il House of Commons Standing Committee preparò un report relativo alla situazione educativa indiana. Tale report, presentato in Parlamento il 22 giugno 1971, metteva in luce alcuni aspetti preoccupanti tra cui: il 96% dei bambini indiani lasciava prematuramente la scuola e nessuno finiva le scuole superiori. Di conseguenza, circa il 50% degli uomini appartenenti alle First Nations non aveva un lavoro e la disoccupazione femminile saliva al 90%. Molte famiglie indigene non potevano permettersi di finanziare la scuola per i loro figli ed acquistare libri di testo. Inoltre, in alcune zone del Canada, come per esempio quelle dell’estremo nord, i nativi non sapevano parlare inglese e, a volte, parlavano a malapena la loro lingua. Da questo report quindi, il governo canadese, oltre che le Chiese, dovettero ammettere pubblicamente il fallimento delle residential school.
Nel 1969 il governo canadese aveva emesso un paper sull’Indian policy esplicitando l’eliminazione di qualsiasi forma di riconoscimento culturale ufficiale delle comunità indigene. Queste ultime, riunite in un’assemblea generale nazionale, risposero attraverso la stesura di un report rivendicando la correttezza che loro, nonostante tutto, avevano sempre mantenuto nei confronti del governo attraverso i Trattati che ogni gruppo nativo canadese aveva firmato dal XVIII secolo. In questo report, gli indigeni avanzarono esplicitamente i diritti sull’educazione scolastica, sulla sanità, sulla casa e sullo sviluppo di attività economiche.
Nota Verna J. Kirkness (1999) come il sistema educativo e “didattico” indigeno è, se applicato, uno tra i più validi ed universali percorsi che si potrebbero adattare a qualsiasi sistema scolastico nel mondo, al contrario invece delle consuete strutture didattiche utilizzate oggi, seppur con delle varianti, in Occidente. Il sistema educativo indigeno concepisce infatti l’insegnamento e l’apprendimento non come due categorie gerarchicamente distinte, ma compenetranti l’una con l’altra, un metodo capace di costruire solide relazioni comunitarie. Come affermò George Manuel, leader indigeno canadese e capo del National Indian Brotherhood (organizzazione che, confrontandosi con il governo, mira a sostenere gli interessi indigeni canadesi): «It isn’t a five hour, five-days-a-week exercise for a dozen years or so. It is a life-long commitment» (George Manuel, 1976).
L’Indian Control of Indian Education promulgato subito dopo il report di House of Commons Standing Committee on Indian Affairs, esplicitava quattro punti fondamentali con lo scopo di costruire una negoziazione all’interno del sistema didattico-scolastico ufficiale:
1) Responsabilità: in riferimento agli 11 trattati firmati tra le popolazioni appartenenti alle First Nations canadesi ed il governo, quest’ultimo deve provvedere a stanziare dei fondi per favorire un equo inserimento degli studenti indigeni nelle scuole della nazione. Viene inoltre esplicitato che i familiari degli alunni indiani possono partecipare, come partner, all’interno della scuola al fine di promuovere un’equilibrata modalità educativa per i loro figli;
2) Programmi strutturati per studenti appartenenti alle First Nations: lo scopo è di far sentire gli alunni indigeni accettati in un ambiente capace di condividere con loro valori culturali in grado di sostenerli nel percorso scolastico;
3) Insegnanti e counselors: il governo federale deve impegnarsi ad erogare fondi per la preparazione di insegnanti e counselors indigeni a sostegno degli studenti appartenenti alle First Nations. Anche gli insegnanti non indigeni possono avere il diritto di usufruire di tali fondi per avere una formazione culturale con lo scopo di poter costruire delle negoziazioni tra la struttura didattica della scuola e la visione culturale indigena;
4) Servizi: le attività nelle scuole devono venire incontro alle necessità delle popolazioni locali. Inoltre, nel documento si precisa che le strutture al di sotto degli standard di sicurezza devono essere ristrutturate.
Dal 1985 le popolazioni appartenenti alle First Nations iniziarono anche a scendere in strada per il riconoscimento dei loro diritti e spesso continuano a farlo tutt’oggi. Molti indigeni canadesi infatti affermano che gli ultimi trent’anni sono stati particolarmente importanti per la loro storia in quanto non solo anni di lotta ma anche di cambiamento attraverso tentativi di decolonizzazione e di difesa dei loro diritti. Tutti ribadiscono inoltre che, nonostante i ripetuti progetti da parte dei vari governi, della Chiesa e di diverse istituzioni e malgrado le numerose offese razziste da parte di molti canadesi non indigeni, i nativi continuano la loro lotta ammettendo inoltre che, grazie ad essa, non sono stati assimilati del tutto.
Il progetto della scuola sənsisyustən House of Learning nella riserva indiana a Kelowna
La progettazione della scuola sənsisyustən House of Learning fu possibile grazie ai finanziamenti INAC, rivolti in particolare alle First Nations canadesi. Il 15 marzo 2018, i membri della comunità indigena votarono a favore dell’erogazione dell’ultimo contributo di $1,459,207 proveniente da INAC, per un totale di $8,866,046. Negli ultimi anni, attraverso tale finanziamento pubblico, il governo canadese provvede a stanziare $49 milioni all’anno per la realizzazione di progetti a favore delle comunità native all’interno delle scuole. Per la maggior parte dei casi, questi fondi sono utilizzati dalle popolazioni native per programmi di counselling e di mediazione linguistico-culturale. In questi casi vengono infatti interpellati gli elders gli anziani più esperti che, collaborando con lo staff scolastico, agevolano l’inserimento nelle scuole di studenti indigeni. Questi fondi sono anche utilizzati per sopperire alle spese delle rette scolastiche nelle scuole superiori che le famiglie indigene devono sostenere, oppure per l’acquisto di libri. Circa 3.500 studenti appartenenti alle First Nations canadesi hanno utilizzato, dal 1996, anno in cui INAC venne istituito, fino ad oggi questo tipo di finanziamenti. Per avere accesso ai finanziamenti INAC bisogna obbligatoriamente appartenere a comunità native, aver risieduto in Canada durante gli ultimi dodici mesi e mantenere una buona media scolastica. I fondi INAC possono inoltre essere erogati solo con cadenza annuale.
La priorità della scuola sənsisyustən House of Learning è supportare non solo gli studenti Syilx, ma anche, indirettamente, tutti i membri della comunità. Nella scuola si dà fondamentale importanza alla relazione tra gli elders e i giovani creando, in questo modo, una comunicazione diretta tra generazioni e quindi una trasmissione di valori, tradizioni e norme, attraverso il racconto di leggende indigene (che rappresentano la componente principale per la cultura Syilx) che si affiancano all’insegnamento delle materie scolastiche previste dal curriculum del governo canadese. Ciononostante, nella sənsisyustən House of Learning, il metodo didattico seguito dagli insegnanti rispecchia lo stile di vita comunitario. La trasmissione della conoscenza, soprattutto quella relativa alla simbologia del territorio, avviene attraverso la cosiddetta “learning experience”. Gli elders, con cadenza mensile, accompagnano gli studenti della scuola in aree considerate sacre e raccontano, rievocando leggende e fatti accaduti tramandati per generazioni, cosa avvenne in una determinata area del territorio. Molti studi (Javo, Alapack, Heyerdahl, Ronning, 2003; Cheah and Chirkov, 2008) mostrano come sia sorprendente che, nonostante le violenze distruttive del colonialismo e i reiterati tentativi assimilazionisti del governo, alcuni aspetti della vita tradizionale indigena sono stati mantenuti intatti. In particolare: «(In the) present day Aboriginal mothers still emphasized the importance of family, respect for Elders, and maintained cultural values significantly more than European Canadian mothers» (Muir, Bohr, 2014: 70). Inoltre, Simard e Blight documentano, nella loro ricerca (2008), come alcune tradizioni e leggende indigene sono addirittura sopravvissute per 500 anni. Secondo gli studiosi la spiegazione risiederebbe nel fatto che:
«Another way that traditional child rearing practices were maintained is that not all Aboriginal children went to Residential schools as some parents resisted this. Although these children stayed with their family, other forms of colonization still likely affected the transmission of child rearing practices. It does appear that traditional child rearing methods, although perhaps altered by colonialism and trauma, are still being widely practiced and transmitted by Aboriginal peoples» (Simard, Blight 2008: 32).
La sənsisyustən House of Learning si basa sulla concezione indigena di famiglia allargata e l’aula scolastica viene concepita come metafora della comunità. Gli insegnanti, oltre ad insegnare le materie di studio, sono particolarmente attenti ad impartire lezioni che consentano agli studenti di vivere “una buona vita”. Questo concetto è diffuso in tutte le comunità indigene canadesi ed assume per loro un significato profondo che si concretizza nella realizzazione di relazioni rispettose verso gli altri, nella cooperazione comunitaria, in un comportamento di umiltà verso gli elders e verso tutti coloro che sono in grado di trasmettere la cultura tradizionale; ed infine attraverso un profondo rapporto con la natura.
Un programma speciale è inoltre rivolto al coinvolgimento dei padri degli studenti. Questo aspetto appare interessante anche dal punto di vista della ricerca, in quanto la letteratura antropologica e pedagogica pone poca attenzione al ruolo paterno nell’educazione dei figli, privilegiando invece l’analisi della figura materna. Non mancano certamente alcuni studi interessanti. Ball (2009) per esempio, focalizzandosi sul ruolo dei padri indigeni in Canada attraverso un’etnografia multisituata, sostiene che molti uomini appartenenti a comunità native canadesi non sanno esattamente quanti figli biologici hanno e, anche se lo sanno, molti ammettono di non essere stati coinvolti né nel loro mantenimento economico, né nella loro educazione. Nel caso specifico, all’interno della sənsisyustən House of Learning i padri partecipano attivamente nella costruzione di pezzi d’arredo della scuola ed è previsto il loro coinvolgimento anche nell’eventuale o futura manutenzione ordinaria.
Il rispetto è un valore particolarmente preteso all’interno della scuola indigena sənsisyustən House of Learning e anche questo aspetto viene ripreso dal generale sistema educativo comunitario dei Syilx. Il rispetto è rivolto, non solo verso particolari figure come gli elders, ma soprattutto verso la conoscenza nativa dei luoghi, delle attività tradizionali, delle cerimonialità, dei canti. Tutti questi elementi della tradizione devono essere ricordati dagli studenti dai quali gli insegnanti pretendono un’accurata disciplina mnemonica oltre che una profonda partecipazione spirituale.
Un’altra parte particolarmente importante degli insegnamenti nella scuola è relativa alla lingua. Quest’ultima è stata anzi il punto di partenza per la progettazione dell’istituto. La lingua dei Syilx si chiama nsyilxcən e, con alcune varianti, viene parlata da tutte le comunità indigene appartenenti ai Salish che costituiscono un gruppo etnico-linguistico della costa pacifica americana, estendendosi dalla British Columbia verso gli Stati di Washington e dell’Oregon negli USA. I Salish sono composti da otto comunità native (Okanagan Indian Band, Westbank First Nation, Penticton Indian Band, Osoyoos Indian Band, Lower Similkameen Indian Band, Upper Similkameen Indian Band, Upper Nicola Indian Band, and Colville Confederated Tribes). In accordo con il FPCC report, solo il 3,7% delle popolazioni native della regione di Okanagan sanno parlare, in modo fluente, il nsyilxcən. Sette anni prima dell’apertura della scuola indigena a Kelowna, i Syilx misero in piedi un progetto, finanziato dall’INAC e voluto da First People’ Cultural Council, per la rivitalizzazione della lingua nativa all’interno del museo Sncəwips Heritage Museum che si trova nella riserva indiana nella parte ovest della città. Il First People’ Cultural Council è una corporazione indigena che ha come obiettivi la salvaguardia e la promozione della lingua, dell’arte, della cultura e delle attività tradizionali dei gruppi nativi della British Columbia. In particolare, questa corporazione provvede a trovare i fondi e le risorse necessarie per finanziare progetti a favore delle comunità indigene e gioca un ruolo di mediatrice tra queste ultime e le forze politiche centrali. Il First People’ Cultural Council è stato cruciale anche per la realizzazione della sənsisyustən House of Learning e grazie ad esso si sono potuti mettere in opera i fondi giunti dall’INAC.
Durante il nostro colloquio, l’insegnante della scuola mi spiegò che, grazie al progetto di rivitalizzazione della lingua nsyilxcən organizzata nel museo indigeno sette di anni fa, il personale scolastico ha potuto incrementare la sua conoscenza linguistica (alcune persone, native e non, hanno dovuto impararla totalmente) e in questo modo ora la può tramandare alle nuove generazioni di studenti all’interno della scuola sənsisyustən House of Learning. Poco prima della sua apertura venne attivata inoltre, nella riserva indiana, la The Syilx Language House, ossia una società non-profit creata, in maniera specifica, per formare parlanti nsyilxcən grazie all’insegnamento diretto offerto dagli elders. Attraverso la lingua questi ultimi hanno cominciato a tramandare anche la conoscenza nativa dell’uso di piante mediche, di cerimonie e di canti indispensabili durante i rituali. Grazie al contestuale processo di acquisizione della lingua, oltre che all’accresciuta consapevolezza della sua importanza da un punto di vista culturale da parte della comunità Syilx e di altre comunità Salish, la nsyilxcən è ora riconosciuta, dal governo federale, come lingua ufficiale.
Conclusioni
È certo che il contesto scolastico è diventato, negli ultimi dieci anni, un ambiente di autodeterminazione per le First Nations canadesi. La scuola indigena sənsisyustən House of Learning ne rappresenta infatti un esempio. Purtroppo, rimane solo uno dei pochi casi sviluppati in Canada, e probabilmente l’unico se si considera la struttura didattico-educativa su cui la scuola indigena di Kelowna si basa. Essa infatti, seguendo il “protocollo indigeno”, che esplicita i valori culturali e i corretti comportamenti da tenere nella comunità, presta particolare attenzione al “futuro generazionale” inteso, nel caso specifico, come una vera e propria categoria culturale. Il futuro non è interpretato, dai Syilx, semplicemente come categoria temporale, ma è carico dei saperi e della spiritualità che, ereditati dagli antenati, sono trasmessi da centinaia di anni dagli elders.
Il sistema educativo è quindi impregnato delle memorie di cui sono interpreti gli elders stessi, all’interno della comunità, considerati a tutti gli effetti insegnanti per cui ogni adulto è responsabile di assicurare ai propri figli, come a tutti i bambini del gruppo, un insegnamento attraverso cui essi abbiano la possibilità di vivere una buona vita. All’interno della scuola sənsisyustən House of Learning vengono inoltre accompagnati e pubblicamente notificati i ragazzi che hanno vissuto il rito di passaggio dalla fase infantile alla fase adulta, in quanto anche i bambini, sia indigeni che non indigeni, devono essere partecipi di tutto ciò che succede nella comunità Syilx.
La parte centrale dell’insegnamento indigeno, e quindi anche quello trasmesso nella scuola sənsisyustən House of Learning, sta nella credenza che tutta la conoscenza sia sacra e derivi, attraverso gli antenati e via via grazie agli elders, dal Grande Spirito. Come ha affermato l’insegnante della scuola indigena sənsisyustən House of Learning durante la nostra chiacchierata:
«In sənsisyustən House of Learning the education is under our authority, we have the right and the opportunity to put in place what we believe to be quality education for our people. We owe it to our people, after decades of oppressive church and government control, to release them from this slavery by creating the kind of education that will truly liberate us so we can have the interdependence once enjoyed by our ancestors» (Intervista a Jordan Coble, dicembre 2019).
Dialoghi Mediterranei, n. 42, marzo 2020
Riferimenti bibliografici
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Linda Armano, ricercatrice in antropologia, ha frequentato il dottorato in cotutela tra l’Università di Lione e l’Università di Venezia occupandosi di Anthropology of Mining, di etnografia della tecnologia e in generale di etnografia degli oggetti. Attualmente collabora in progetti di ricerca interdisciplinari applicando le metodologie antropologiche a vari ambiti. Tra gli ultimi progetti realizzati c’è il “marketing antropologico”, applicato soprattutto allo studio antropologico delle esperienze d’acquisto, che rientra in un più vasto progetto di lavoro aziendale in cui collaborano e dialogano antropologia, economia, neuroscienze, marketing strategico e digital marketing. Si pone l’obiettivo di diffondere l’antropologia anche al di fuori del mondo accademico applicando la metodologia scientifica alla risoluzione di problemi reali.
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