di Sandro Pieroni
“Ri-dare valore alla terra” è stato il titolo di un progetto, selezionato da Regione Toscana a rappresentarla ad Expo 2015, che intendeva riassumere i tre aspetti peculiari nella strategia di un corretto e sostenibile uso delle risorse locali in Garfagnana: conservare la biodiversità, valorizzare il paesaggio, salvaguardare il territorio.
Questi tre aspetti, in realtà parti indissolubili di un’unica strategia per lo sviluppo sostenibile delle cosiddette “aree interne”, ovvero i territori rurali d’Italia più esposti ad un continuo e progressivo spopolamento, meritano alcuni approfondimenti.
In Garfagnana l’andamento demografico tra il 2002 ed il 2016 ci dice che, a fronte di un dato regionale che vede un aumento della popolazione del 7,1%, la depauperazione in termine di abitanti è del 7,6%; come se in dieci anni fosse completamente scomparso un paese di 1.700 persone. Ma ciò che preoccupa ulteriormente è che, mentre la popolazione anziana aumenta del 5,5%, quella tra 0 e 14 anni cala del 6,8%; une vero e proprio grido di dolore di un territorio destinato inevitabilmente all’abbandono.
Eppure i territori rurali si dimostrano preziosi serbatoi culturali, spesso dalle inespresse potenzialità, in grado di rappresentare opportunità di sviluppo realmente sostenibili, laddove la valorizzazione economica delle risorse coincide con la salvaguardia delle conoscenze e della cultura dei luoghi. I forti caratteri identitari delle piccole produzioni agricole tradizionali di questi territori sono in grado di dare il necessario valore aggiunto al prodotto, dunque garantire una sostenibilità economica altrimenti impossibile secondo i canoni classici di mercato e, allo stesso tempo, conferire all’intero territorio quel vantaggio competitivo sostenibile che lo rende unico ed irripetibile, quindi appetibile da parte dei fruitori turistici.
Nella visione strategica delle cosiddette “Aree Interne” di Fabrizio Barca, già nel documento del Ministero per lo Sviluppo Economico “Un progetto per le aree interne dell’Italia” (ottobre 2012), si sottolinea come sia indispensabile «promuovere la diversità naturale e culturale e il policentrismo. Di fronte alle tante nazioni, non solo in Europa, che inseguono la diversificazione territoriale e il policentrismo, le aree interne italiane possono vantare una straordinaria biodiversità climatica e naturale che ha a sua volta favorito la diffusione e la sopravvivenza di prodotti agricoli straordinariamente diversi».
Ecco che, nelle strategie di sviluppo per queste aree, non si possa che evidenziare la necessità di definire un percorso basato sull’approccio comune, partecipativo ed “identitario” legato all’identità di genius loci e radici culturali locali in grado di rafforzare il senso di appartenenza della popolazione residente. La ri-valutazione dei valori condivisi conduce ad una fase in cui il termine “identità” diviene plurale e dunque cultura e culture nell’area, ovvero fare del territorio il luogo di composizione delle pluralità identitarie. Il recupero degli elementi di queste culture è una spinta concreta verso il non abbandono del territorio, requisito principale sul quale si basa tutta l’azione di valorizzazione e tutela dello stesso.
Spesso le produzioni locali hanno, nel corso del tempo, plasmato quel paesaggio, frutto della costante interazione tra uomo ed ambiente, che oggi assume sempre di più un valore produttivo nei confronti della multifunzionalità delle aziende, della interazione tra i diversi comparti produttivi (turismo, artigianato) e nella salvaguardia del territorio.
Il paesaggio, risultato dell’interazione tra l’uomo e la natura, rappresenta le tracce lasciate nella storia e che, stratificate nel tempo si leggono ancora come “segni” che caratterizzano l’immagine identitaria del territorio. Si tratta sempre di un “patrimonio esclusivo” che connota un determinato modo di vivere e che, in certi casi, è così particolare e significativo da diventare esso stesso bene unitario, un paesaggio culturale che, come tutti i beni, ha bisogno di essere dapprima riconosciuto e valutato, poi tutelato e valorizzato per essere, infine, fruito pubblicamente. Ecco perché nelle strategie di sviluppo delle nostre aree interne, rurali, la tutela, la buona conservazione, la riqualificazione, la valorizzazione del paesaggio, costituiscono un obiettivo prioritario. Il paesaggio, nel suo ruolo di pubblico interesse nei settori culturali, ecologici, ambientali e sociali e può costituire una risorsa incentivante le attività economiche, contribuendo anche alla creazione di opportunità occupazionale.
L’attività agricola nelle aree interne è un’attività insostituibile per la tutela e presidio del territorio e, più in generale, per il perseguimento di obiettivi di sviluppo sostenibile sulla base di equilibrate relazione tra bisogni sociali, attività economiche e ambiente. È sempre più evidente perciò l’importanza di poter contare su di un’immagine forte del territorio che offra lo strumento per competere sui diversi mercati (turismo, produzioni tipiche, strutture di eccellenza nei settori dell’accoglienza), quindi di un vero e proprio cultural planning, ovvero l’utilizzo strategico e integrato del complesso delle risorse dell’ambiente naturale e antropizzato, che ha come obiettivo lo sviluppo economico e identitario del territorio. In questa accezione, il cultural planning è parte di una più ampia strategia di pianificazione e riqualificazione in grado di produrre crescita economica complessiva.
Purtroppo, a fronte della consapevolezza del forte ruolo delle comunità locali nei processi partecipativi di sviluppo, suffragati dalle politiche europee per lo sviluppo rurale così come ribadite anche nella Dichiarazione di Cork 2.0 (2016) e dalle politiche nazionali della SNAI (Strategia Nazionale Aree Interne), alcune regioni, tra cui la Toscana, hanno contribuito non poco, in questo ultimo decennio, ad indebolire progressivamente la governance dei territori, accentrando competenze e depauperandoli di risorse umane.
In questo senso va soprattutto la scelta di disfarsi delle Comunità Montane che rappresentavano l’unico strumento di più ampio respiro rispetto ai piccoli e piccolissimi comuni, in grado di occuparsi dello sviluppo economico, con capacità propositiva e progettuale importante. L’aver tolto ai territori, di fatto, la capacità di determinare le proprie traiettorie di sviluppo sta ora impedendo ai territori della montagna, rurali ed interni, una governance che, a partire dalla forte condivisione delle proprie risorse con le comunità, possa disegnare per queste aree, lo sviluppo sostenibile inteso come ecosistema culturale, economico e sociale interdisciplinare, concettualmente e nella pratica, integrato fra attori pubblici e privati.
Né può essere preso, a giustificazione di questa visione accentratrice, l’eccessivo numero dei Comuni quale elemento di inefficienza e difficoltà. Facendo il raffronto con Regioni pressoché della stessa superficie, la Toscana conta 273 Comuni, la Lombardia 1.507, il Piemonte 1.181; la Toscana ha una media di 13.661 abitanti per Comune, la Lombardia 6.675, il Piemonte 3.688. Tant’è che, quando lo stesso processo di fusione dei Comuni, pur se fortemente incentivato, ha dovuto essere condiviso con la volontà delle Comunità, lo stesso ha faticato ad essere attuato (in Toscana sono avvenute, ad oggi, solo 14 fusioni tra Comuni (5%), in Lombardia 30 (2%), in Piemonte 20 (1,5%) e per lo più motivato dalla valutazione economica dell’incentivo, che da reali disegni di sviluppo. Non è con questi strumenti che si riesce a tamponare il progressivo abbandono. In Toscana nei 13 Comuni che si sono fusi tra loro (escluso l’ultimo nato nel 2019, necessariamente non valutabile), dal momento dell’avvenuta fusione, in 10 di essi la popolazione ha continuato a diminuire.
Con l’abbandono si rischia di far scomparire per sempre produzioni stupende, non solo per le caratteristiche organolettiche, ma anche per ciò che rappresentano da un punto di vista della cultura e della tradizione. Con la loro scomparsa perderemmo non solo il patrimonio genetico ancora presente, ma anche la stessa “biodiversità culturale” ed il relativo patrimonio di conoscenze e competenze.
In Toscana molto è stato fatto per arrestare, soprattutto nelle aree interne, l’emorragia della perdita della biodiversità agraria coltivata ed allevata, grazie alla presenza ancora forte di profondi valori identitari culturali radicati nella popolazione che ha consentito la sopravvivenza di varietà e specie altrove scomparse.
Ma i percorsi fin qui avviati, anche con la costituzione delle banche del Germoplasma (L.R.64/04), di conservazione e ricerca non possono dirsi completati se il patrimonio delle conoscenze e dei saperi non verrà riconsegnato alla popolazione dei luoghi in un modello partecipativo in cui non sono solo i produttori ad essere coinvolti, ma la visione si allarga a tutti gli attori, dai consumatori, agli operatori del turismo e del commercio, interessando i diversi livelli sociali, economici e produttivi, creando una vera e propria rete di comunità che ruota intorno alle produzioni agricole per quello che l’agricoltura rappresenta nel suo più profondo e primario significato che è quello della produzione del cibo. Si tratta di un processo innanzitutto culturale in cui le comunità di contadini, coltivatori ed allevatori, si ri-appropriano della propria cultura e ne fanno motivo di orgoglio e di appartenenza secondo un percorso di alto valore sociale.
Occorre urgentemente sviluppare, attorno al tema dell’identità, un percorso sostenibile di sviluppo mettendo al centro, in questi territori, l’attività agricola nell’accezione più ampia della sua multifunzionalità, ritenendo che la sostenibilità del mondo rurale assuma dimensioni virtuose quando sia presente un’agricoltura che viene attuata con metodi che permettono il mantenimento delle componenti ambientali del territorio inteso come sistema naturale con forti valenze antropiche.
Tutto ciò è ancora più impellente laddove l’attività agricola risulta essenziale, non solo e non tanto sotto il profilo produttivo, quanto piuttosto come elemento essenziale nella percezione del paesaggio, momento chiave per lo sviluppo economico, poiché interpreta perfettamente gli elementi “spazio-uomo-cultura-storia” che hanno progressivamente trasformato l’ambiente in paesaggio.
Con l’abbandono si favoriscono non solo l’estensione della copertura forestale, che in Toscana aumenta al ritmo di 12 ettari/giorno, ma anche pericolosi fenomeni di degrado e dissesto idrogeologico. D’altra parte l’indispensabile presenza dell’uomo a tutela del territorio si può realizzare solo se si riesce a trasformare il potenziale delle risorse disponibili in reale occasione produttiva economicamente sostenibile.
La salvaguardia del territorio, la conservazione della biodiversità, la valorizzazione del paesaggio, possono, insieme, promuovere importanti processi di sviluppo con un forte potere attrattivo nei confronti di soggetti esterni, sia per le presenze turistiche, sia per nuove generazioni di agricoltori e allevatori, per quello che Van der Ploel chiama il fenomeno di “ri-contadinizzazione” delle aree rurali.
Le seguenti schede tematiche descrivono sommariamente il territorio della Garfagnana caratterizzato da elementi di criticità economica e sociale, e l’azienda Regionale Cerasa che rappresenta un importante presidio del territorio e presso la quale è stato sviluppato un modello sostenibile di valorizzazione delle risorse territoriali.
La Garfagnana
La popolazione complessiva nell’area della Garfagnana ha subito, nel periodo 2002-2016, una riduzione complessiva del 9,7% evidenziando, soprattutto nei Comuni più periferici una contrazione con valori anche più accentuati ben al di sopra del 15%. Sulla popolazione complessiva della Garfagnana se ne sono andati, in questi ultimi 35 anni, 1 abitante su 4, più di 13.000 persone che hanno abbandonato il territorio.
Ma il dato più preoccupante è che negli ultimi 15 anni mentre la popolazione anziana aumenta del 2,5%, quella dei ragazzi da 0 a 14 anni diminuisce di oltre il 12%. Dunque un territorio che invecchia e, cosa ben più grave, che non ha prospettive per una futura ripresa demografica.
Nel complesso appare palese, per il territorio, la difficoltà di accesso ai servizi essenziali. La distanza dai punti di erogazione, gli elevati tempi di percorrenza e la polverizzazione dei centri abitati, rendono particolarmente rilevante il problema degli spostamenti interni, dalle frazioni periferiche ai poli strutturati del fondovalle. La popolazione che si sposta giornalmente per motivi di studio o di lavoro oscilla fra il 26 e il 48% dei residenti, con i valori sostanzialmente in linea con la media regionale, che è del 50% e nazionale che è del 49%. Il problema diventa evidente per quanto concerne il livello di dispersione della popolazione; infatti se i dati medi a livello provinciale e regionale oscillano fra il il 7% e il 13% di popolazione residente in nuclei sparsi, in Garfagnana sono presenti valori che arrivano in alcuni casi al 59% con medie che oscillano, comunque, ben al di sopra del 20%.
Anche i parametri degli indici di vecchiaia, di dipendenza strutturale, di ricambio della popolazione attiva e di struttura della popolazione attiva evidenziano un costante deterioramento della situazione. Di fatto risulta limitato l’accesso ai poli Universitari di riferimento: Pisa, Firenze, la Spezia, Genova e Parma, e agli istituti secondari di II grado, condizionando troppo spesso e in maniera del tutto inaccettabile, le scelte e la qualità del percorso formativo, mortificando le potenzialità degli studenti.
Come spesso succede nei territori montani della nostra penisola, il progressivo abbandono della montagna a favore dei centri del fondovalle ha fatto ridurre in maniera preoccupante il presidio del territorio che è sempre più sottoposto ad un pericolo potenziale elevato per frane, alluvioni, eventi sismici, che non facilitano, nel complesso, il permanere delle comunità.
A livello ambientale la presenza dei due parchi: il Parco Regionale delle Alpi Apuane ed il Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano, quest’ultimo riconosciuto come Riserva UNESCO e MAB, oltre alle loro specifiche politiche di promozione e valorizzazione, rappresentano un potenziale poco utilizzato. In particolare risulta evidente la necessità di una stretta sinergia tra il sistema dei parchi dell’area costiera della Liguria di levante (Parco nazionale delle 5 terre, Parco Regionale del fiume Magra), che potrebbero portare a ricadute fondamentali per l’indotto turistico complessivo.
Lo stesso dicasi per il valore della filiera agro-alimentare che necessita di azioni di rinnovamento e di maggior integrazione con le politiche di promozione e valorizzazione delle risorse culturali e ambientali. Le inadeguate connessioni tra processi formativi e richiesta di professionalità idonee all’attuale mercato del lavoro penalizzano la presenza di produzioni di eccellenza nella filiera agro-alimentare e la loro “resa” di mercato, anche connessa alla polverizzazione delle aziende e alla incapacità di fare rete.
Le prospettive concrete per invertire le tendenze in atto sono legate alla corretta opera di riassetto e pianificazione, alla riqualificazione dei servizi ed al corretto sfruttamento delle risorse presenti nell’area. Solo all’interno di questo preciso quadro di riferimento sarà possibile delineare un nuovo modello di sviluppo per il territorio.
Complessivamente sul territorio si sono inseriti diversi livelli di sistemi Amministrativi dei quali l’Unione dei Comuni potrebbe rappresentare la forma che, nel tempo, attraverso l’evoluzione delle Comunità Montane, può creare i presupposti per tutte quelle attività di servizio a supporto dei piccoli Comuni che ne fanno parte.
Sebbene la tendenza all’accorpamento abbia assunto forme assai variegate (oltre all’Unione dei Comuni sono presenti gli esempi di fusione tra Comuni), l’Unione dei Comuni esercita ad oggi le funzioni associate ed i servizi affidati dai Comuni pur non riuscendo ad organizzare una completa governance del territorio più appropriata ed efficace, senza quindi poter garantire rapporti inter-istituzionali sinergici per soddisfare i bisogni delle comunità.
L’Azienda Agricola Cerasa
L’area di Cerasa è collocata nel versante appenninico della Garfagnana nel Comune di Pieve Fosciana. L’altitudine va dagli 850 ai 1100 mt di quota ma si può considerare accorpata alla più vasta area demaniale del crinale appenninico.
Di proprietà della Regione Toscana, è gestita da quasi 40 anni da una famiglia di pastori. Si tratta di uno degli ultimi appezzamenti a pascolo di superficie rilevante posto ad una quota vegetazionale medio-alta ancora in pieno utilizzo ed in buono stato di manutenzione per la costante presenza degli abitanti. L’area è servita dalla viabilità comunale che, da Pieve Fosciana, in circa 15 chilometri, attraverso l’abitato di Sillico raggiunge dapprima l’abitato di Sturata e quindi Cerasa.
L’azienda è costituita da un ampio prato pascolo irriguo e da un castagneto da frutto. In particolare il castagneto si estende al di sopra del centro aziendale per circa 4 Ha e presenta rilevanti esemplari di castagni da frutto per lo più della varietà Capannaccia, alcuni dei quali monumentali per l’imponenza e la dimensione del tronco. Il castagno è qui al suo limite altitudinale, tant’è che la porzione più alta del castagneto tende a sfumare nel ceduo a faggio che in parte sta occupando di nuovo gli spazi all’interno del castagneto.
A Cerasa è stato avviato il programma per la reintroduzione e la valorizzazione della razza ovina “Garfagnina bianca”. Questa razza fa parte di quel gruppo di razze ridotte, fino a pochi anni fa a poche decine di esemplari. Un tempo molto diffusa sul territorio venne troppo frettolosamente abbandonata a partire dagli anni sessanta, a favore di razze sicuramente più produttive ma molto più esigenti sia in termini di alimentazione che di condizioni ambientali, quindi, in definitiva, con costi di conduzione notevolmente più alti.
La famiglia che abita a Cerasa si è da sempre dedicata all’allevamento ovino, nel 2004 si è presa in carico un gruppo di una ventina di esemplari, recuperato in azienda dal Centro Pilota Sperimentale per l’Ovinicoltura “San Marco” di Castel del Monte (AQ) gestito dal MIPAF. La professionalità e l’esperienza dei gestori di Cerasa hanno garantito il necessario know how e la piena collaborazione con l’Associazione Allevatori, l’ASL e gli Istituti universitari di Pisa e Firenze. In pochi anni è stato possibile riportare la consistenza della razza a quasi 1000 esemplari, diffusi in diverse piccole aziende del territorio.
Attualmente l’azienda dispone di un nucleo di circa 90 esemplari iscritti al Libro genealogico che fungono da centro di irradiazione e diffusione verso altri allevatori della zona. Il latte, trasformato in azienda, è utilizzato per la produzione di formaggio pecorino.
La validità economica della razza Garfagnina bianca, sia in termini qualitativi che quantitativi ma, soprattutto, per la capacità dei prodotti come il formaggio, la ricotta, la carne, di fare proprio il valore aggiunto derivante dalla forte identità territoriale, è risultata oltremodo positiva.
Quello che non hanno saputo fare i premi al mantenimento della razza previsti dai fondi strutturali della CE, lo ha fatto il saper dimostrare la reale potenzialità di questo animale. Nel breve volgere di pochi anni, oltre ad aver ricostituito a Cerasa un nucleo di animali con una soddisfacente validità anche genetica, si è assistito ad un progressivo aumento dei capi di Garfagnina presenti anche negli altri greggi del territorio.
Dialoghi Mediterranei, n. 42, marzo 2020
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Sandro Pieroni, laureato in Scienze Agrarie, ha svolto training per lo studio dei modelli di sviluppo rurale in Irlanda e Spagna e frequentato il Master in Europrogettazione a Bruxelles. Ha svolto docenza per la formazione delle pubbliche amministrazioni in Campania e Sardegna. Si è occupato di programmazione comunitaria svolgendo attività di master consultant per Società nazionali di consulenza e progettazione. Co-redattore di diversi progetti europei ed internazionali per lo sviluppo rurale è dirigente dell’area tecnica della Unione Comuni della Garfagnana. Attualmente è Dirigente della Regione Toscana per il settore Forestazione, Usi Civici e agroambiente.
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