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Ilyās Abū Šabakah, il Baudelaire del Libano

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Ilyās Abū Šabakah, un raro primo piano del poeta

di Francesco Medici

La produzione dei muhāğirūn, cioè degli scrittori siro-libanesi emigrati in Egitto e soprattutto nelle Americhe a cavallo tra Ottocento e Novecento, ha influenzato in maniera cruciale la letteratura araba del XX secolo, e in particolar modo il genere poetico. La scoperta degli autori occidentali del XIX secolo, specie anglofoni e francofoni, avvenuta anche grazie alle numerose traduzioni in arabo pubblicate in quegli anni, ha inoltre determinato uno straordinario allargamento di orizzonte in quei poeti che, rimasti invece in patria, si sono cimentati nella lingua madre in nuove forme stilistiche fino ad allora inedite, segnando di fatto una frattura sempre più netta con la propria tradizione letteraria, da essi stessi ritenuta ormai logora e stantia.

La lirica citata di seguito, ad esempio, dal titolo Brama di morte, non è stata composta da un qualche poeta maudit europeo, ma dal libanese Ilyās Abū Šabakah (Šabki o Šabaki, secondo la pronuncia locale):

Ho rinnegato il cielo
L’umana gente ho in spregio
Nemica mi è la sorte
Mi muove a ira il fato
E nient’altro amo dell’alba
Che la rugiada della notte.
Di felicità mi faccio beffe
Dell’oscurità son divenuto amante.
Nulla al mondo mi seduce
Se non vedere il sangue gorgogliare
Perché il cielo ho rinnegato
L’umana gente ho in spregio.
E tu, offrimi le morbide tue membra
Colma fino all’orlo la mia coppa.
Non curarti del domani,
Domattina potrebbe non coglierci risveglio.
Che c’importa dunque dell’eternità,
Dei suoi arcani così ben celati?
Quest’amore che divampa
È via maestra alla morte.
Moriamo insieme, allora, mano nella mano,
E spegniamo i bagliori della vita
Con il vino dolce e la lussuria.

E tuttavia chi era quest’autore, pressoché sconosciuto ai lettori occidentali, ma considerato alla stregua di un mito dai suoi connazionali?

All’inizio del 1903 il ricco uomo d’affari Yūsuf Abū Šabakah e sua moglie Nāylah partono da Zouk Mikael (Ḏūq Mikāyil) – un villaggio affacciato sul Mediterraneo, noto per le sue incantevoli bellezze naturali, situato nell’attuale distretto amministrativo di Kisrawan (Qaḍā’ Kisrawān) – diretti a Beirut, per poi salpare alla volta degli Stati Uniti. Ad attenderli a Providence c’è il fratello di Nāylah, il poeta Ilyās Farzān, che offre ai coniugi la sua ospitalità per tutto il periodo del loro soggiorno americano. Ed è proprio in casa dello zio materno emigrato oltreoceano che il 3 maggio di quell’anno la donna mette alla luce l’unico figlio, destinato a diventare uno dei massimi esponenti del Romanticismo arabo e figura di spicco della Nahḍah (il movimento della rinascita culturale araba).

Un anno dopo la famiglia fa ritorno a Zouk Mikael, dove il piccolo Ilyās trascorre l’infanzia. Essendo nato da genitori di confessione maronita, riceve un’istruzione religiosa e un’educazione di stampo cristiano. Nel 1911 viene ammesso al Collège Saint Joseph (il più antico istituto d’istruzione francofono del Medio Oriente, fondato nel 1834 dai preti lazzaristi), nella vicina città di Antoura (‘Aynṭūrah), dove studia la letteratura francese e quella araba. Si narra invero che sia stata la madre a introdurre il figlio alla poesia, leggendogli i versi composti dallo zio.

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Ilyās Abū Šabakah, il più noto ritratto fotografico del poeta

Nel 1914 una sanguinosa tragedia sconvolge la serenità nonché l’agiata condizione economica degli Abū Šabakah. Durante un viaggio di lavoro a Khartoum, in Sudan, il padre Yūsuf subisce l’aggressione di alcuni banditi, da cui viene derubato di tutti i suoi averi e ucciso. L’omicidio efferato riduce presto la famiglia in miseria, lasciando nel giovane Ilyās un trauma indelebile che avrebbe segnato per sempre la sua esistenza e la sua stessa poetica.

Con lo scoppio del primo conflitto mondiale, il ragazzo deve abbandonare il Saint Joseph, costretto a una temporanea chiusura dalle autorità ottomane. Ilyās inizia allora a frequentare il Collège Central, a Jounieh (Ğūniyah), che era allora gestito dai Fratelli maristi, per poi tornare l’anno dopo al Saint Joseph. Non riesce però a conseguirvi il diploma a causa della sua indole ribelle e di un diverbio avuto con un insegnante. Continua tuttavia la sua formazione da autodidatta, leggendo soprattutto le Sacre Scritture e gli autori romantici francesi, in particolare Charles Baudelaire e Alfred de Musset, tra i principali modelli dei suoi primi tentativi poetici.

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Olga Saroufim

Nel 1920, a sedici anni, si innamora della diciottenne Olga Saroufim (Ulġā Sārūfīm), una vicina di casa. Nel dicembre 1931, dopo una decina d’anni di fidanzamento – durante i quali Ilyās intreccia tuttavia una relazione clandestina con una certa Rose, una donna sposata che abitava nel suo stesso villaggio –, i due giovani convolano finalmente a nozze, ma il solo figlio della loro unione muore poco dopo la nascita nel 1932. Nel corso del loro matrimonio, il poeta si rivelerà un marito tutt’altro che fedele. Secondo i biografi, avrebbe tradito la moglie con almeno altre due amanti: una cantante egiziana di nome Hādiyah e poi, dal 1940, la ballerina Leila Adem (Laylà ‘Adīm), che gli rimarrà accanto per sette anni, fino alla fine della sua vita.

Ilyās, in condizioni economiche assai precarie, svolge per qualche tempo la professione di insegnante presso l’Istituto gesuita dei Fratelli delle scuole cristiane situato nell’antico quartiere beirutino di Achrafie (al-Ašrafiyyah) e in seguito presso l’Istituto al-Maqāṣid (Makassed School). Guadagna inoltre qualche misero compenso scrivendo per i giornali libanesi «al-Bayraq» (La bandiera), «al-Bayān» (L’eloquenza) e «Lisān al-ḥāl» (Il portavoce). È anche corrispondente per diverse riviste egiziane tra cui «al-Muqtaṭaf» (Il brano scelto).

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Leila Adem

Su richiesta dei direttori di alcuni di questi periodici, traduce in arabo numerose opere della letteratura francese del XVII-XIX secolo, come i poemi Jocelyn e La caduta di un angelo di Alphonse de Lamartine, il dramma La samaritana di Edmond Rostand, i romanzi Paul e Virginie e La capanna indiana di Bernardin de Saint-Pierre, le commedie di Molière L’avaro, Il borghese gentiluomo, Il malato immaginario, Il medico per forza e diverse altre opere di Henri Bordeaux, Voltaire, Antoine François Prévost. L’ottima conoscenza del francese gli avrebbe procurato in seguito, durante il secondo conflitto mondiale, un impiego come traduttore dei servizi di stampa e radiofonici per conto della Francia (nel 1923 la nazione europea aveva infatti ottenuto il mandato sulla regione siro-libanese).

Ilyās Abū Šabakah esordisce come poeta nel 1926 con al-Qīṭārah (La lira), opera pretenziosa ma ancora acerba, che mostra però il suo promettente talento. La raccolta è pervasa di cupo pessimismo e di profondo e malinconico disincanto nei confronti dell’esistenza umana (come si può cogliere dalla stessa dedica allo spirito del padre defunto). Il dīwān, che contiene una serie di liriche tradotte dal francese, denota la chiara influenza dei poeti arabi classici, come Abū Nuwās (756-814). Il giovane poeta viene tra l’altro tacciato da alcuni critici di misoginia per i contenuti di alcuni versi della silloge, come ad esempio: «Guardatevi dall’amore!/ Nell’amore risiede il male,/ è un fuoco che divora il cuore./ Se il cuore degli uomini è ingannevole,/ ebbene, il cuore delle donne lo è ancor di più».

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La Lega dei Dieci, 1930 ca.

Il poema narrativo al-Marīḍ al-ṣāmit (Il malato silente), una delle sue opere più note, scaturita dal cuore della tradizione romantica europea, viene dato alle stampe nel 1928. Due anni dopo, insieme a Mīšāl Abū Šahlā, Ḫalīl Taqī al-Dīn e Fū’ād Ḥubayš, fonda l’associazione letteraria denominata ‘Aṣabah al-‘Ašaratun (Lega dei Dieci), cui aderiscono altri eminenti intellettuali e artisti libanesi quali Karam ‘Alī Mulḥim Karam, Yūsuf Ibrāhīm Yazbik, Taqī al-Dīn al-Ṣulḥ, Tawfīq Yūsuf ‘Awwād, ‘Abd Allāh Laḥūd e Mīšāl al-Asmar. L’intento del gruppo è quello di promuovere il rinnovamento della cultura araba senza lesinare duri attacchi nei confronti della retrograda intellighenzia e del corrotto establishment politico del tempo attraverso articoli pubblicati sul periodico «al-Ma‘raḍ» (L’esposizione), cui ben presto viene imposta la chiusura da parte delle autorità governative.

Afā‘ī Firdaws (I serpenti del Paradiso), raccolta di tredici liriche composte tra il 1928 e il 1938, anno della pubblicazione, è ritenuta dai critici il suo capolavoro assoluto. Si tratta di uno dei pilastri della poesia romantica libanese, che ricalca per temi e toni I fiori del male di Baudelaire Nel controverso dīwān, giudicato osceno per i suoi espliciti contenuti erotico-sessuali, il poeta confessa e fa i conti con la torbida vicenda della sua relazione con l’amante Rose vissuta negli anni in cui era promesso sposo di Olga. La passione amorosa diviene fonte di orrende visioni e di strazio dell’anima: il rimorso e il senso di colpa trascinano il poeta nella nera disperazione di un intimo e inestricabile conflitto interiore tra lascivia e moralismo, desiderio e vergogna, istinti bestiali e spiritualità, eros e thànatos.

Nonostante l’inclinazione verso i piaceri carnali e l’adulterio, il poeta conserva la sua fede in Dio, il cui giudizio egli teme sopra ogni altra cosa. Motivo centrale della raccolta è dunque il peccato e lo stesso titolo dell’opera è al riguardo assai eloquente. Le belle donne vi sono descritte come creature diaboliche, astute tentatrici capaci di provocare la caduta dell’uomo nell’abisso infernale. L’attrazione-repulsione nei confronti delle donne e del sesso è evidente nella poesia al-‘Āṣifah (La tempesta), dove egli condanna una prostituta mentre le chiede di giacere con lui. In un’altra lirica si narra ancora di una prostituta, una «donna sciagurata» che si vendica sui suoi clienti diffondendo malattie e infezioni veneree.

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Fotografia del poeta con dedica

Nel 1941 viene pubblicata la sua terza raccolta, al-‘Alḥān (Le melodie), un inno alla semplicità della vita nei campi. Ciascuna delle sedici liriche che la compongono tratta di un diverso aspetto della vita agreste e vi abbondano espressioni colloquiali e immagini del folklore e della tradizione libanesi. L’autore, che si identifica con la figura del contadino, si scaglia contro l’avvento della tecnologia, il materialismo e la dissolutezza della cosiddetta civiltà urbana. Secondo il critico Īlīyā Ḥāwī, quello di Abū Šabakah sarebbe un invito a una forma di neopaganesimo, dove il poeta «adora la benedizione e la fecondità del grembo della Terra», atteggiamento che spiana la strada a una nuova tendenza tra i poeti musulmani suoi contemporanei, che si manifesta in un ritorno al sufismo o all’ateismo naturale preislamico (come, per esempio, nel caso dello scrittore siriano Adonis).

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Lettera autografa del poeta

Il lungo poema narrativo Ġalwā’, composto tra il 1926 e il 1932, fu pubblicato solo nel 1945, due anni prima della morte dell’autore. L’opera è interamente ispirata alla moglie, oggetto d’amore e musa, e il titolo stesso non è nient’altro che un anagramma del nome di Olga (Ulġā). Fin dalla sua pubblicazione, Ġalwā’ fu salutato dalla critica come uno chef-d’œuvre romantico che avrebbe rivoluzionato la letteratura araba. I tòpoi sono ancora quelli consueti dell’amore, della passione e del peccato (anche in questo caso il poeta torna a confessare e a raccontare la sua infuocata relazione con Rose). Sebbene altri scrittori, in particolare quelli dell’emigrazione (muhāğirūn) – cui pure si era ispirato – avessero già pubblicato opere simili, la chiarezza della struttura narrativa di Ġalwā’ rende il poema un vero unicum.

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Monumento al poeta a Zouk Mikael

Nelle due ultime raccolte pubblicate in vita, Nidā’ al-qalb (Il richiamo del cuore, 1942) e Ilà al-abad (Per sempre, 1944), dedicate all’ultima compagna di vita Laylà ‘Adīm, Abū Šabakah torna a parlare delle ragioni del cuore, ma da una prospettiva più matura e con uno stile più raffinato. Il poeta, al di là di qualsiasi edonismo, alfine intimamente pacificato – sebbene conscio di essere un incompreso dalla società –, celebra un nuovo genere di amore, innocente e gioioso, perfino casto e mistico, abbandonando definitivamente la visione della donna come entità malefica e corruttrice, quasi ad attestare il compimento di un faticoso processo catartico di riconciliazione con l’altro sesso e di redenzione.

Oltre alla produzione poetica, sono degni di essere menzionati anche alcuni suoi saggi su Lamartine, Baudelaire e Oscar Wilde. Spicca tra gli altri lo studio di letteratura comparata Rawābiṭ al-fikr wa al-rūḥ bayna al-‘Arab wa al-Franğah (Connessioni intellettuali e spirituali tra gli Arabi e i Francesi, 1945), in cui l’autore esamina la portata dell’influenza francese sulla letteratura araba e mondiale. L’opera al-Rusūm (Ritratti, 1931) raccoglie in volume una serie di profili di personaggi politici e scrittori inizialmente pubblicati sulle pagine di «al-Ma‘raḍ».

Ilyās Abū Šabakah muore di leucemia il 27 gennaio 1947 presso l’ospedale Hôtel-Dieu de France a Beirut, e il suo corpo viene traslato e tumulato a Zouk Mikael. Diversi anni dopo la sua morte, i suoi amici e sodali ne raccolsero alcuni versi inediti oppure pubblicati esclusivamente su periodici, dando alle stampe l’opera postuma Min Sa‘īd al-Alihat (Dal grembo degli dèi, 1959), da cui si cita di seguito la lirica Tu o io?:

Questa bellezza… è tua o è mia?
In te io contemplo una persona bella, innamorata
Come me. E chi tra noi mi ha donato la vita?
È la tua figura che amo così tanto, oppure è la mia?
Quando in sogno vedo scorrere immagini d’amore,
È il tuo spirito che aleggia nella mia anima, oppure è il mio?
L’amore – tutto dell’amore – dimora in ciò che è visibile agli occhi,
Ma da dove emana questa luce? Forse dalla tua anima universale?
Sono stato io a crearti nella mia immaginazione,
Oppure sei tu che hai creato me?
Sono stato io il primo ad essere benedetto dall’ispirazione,
Oppure tu? E chi compone ora questi versi?
Sono io a dedicarli a te, o forse tu a me?
E chi è che nell’amore detta le parole,
E chi le scrive? Si mescolano le nostre fantasie,
La tua anima con la mia anima, i tuoi pensieri con i miei.
E quando qualcosa appare oscuro ai miei occhi, io scorgo
Un velo di dubbio offuscare il tuo sguardo.
Dal nostro primo incontro, ritrovai il mio principio
Quasi tu fossi frammento perduto di questo mio essere.
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Facciata esterna della Casa Museo

Acerrimo nemico di qualunque forma di razionalismo e di positivismo, dei canoni obsoleti e della rigidità formale, in linea con il movimento romantico europeo, Abū Šabakah diede piena voce all’‘ispirazione’ e all’‘emozione’, convinto che la vera poesia fosse quella calata nella realtà, spontanea e sincera – contraddicendo dunque il vecchio adagio arabo secondo cui la migliore poesia è invece quella che nasce dalla finzione e si plasma su schemi precostituiti. La sua scrittura possiede quindi una forte connotazione personale e i toni cupi rivelano senza censure i conflitti morali, le difficoltà e i lutti subìti. Il poeta, conscio dell’esistenza del male nel mondo, cerca una via di fuga nell’amore oppure nell’innocenza dell’infanzia o della natura.

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Libri e manoscritti in una sala della Casa Museo

Un’altra caratteristica della poesia di Ilyās Abū Šabakah è l’abbondanza di immagini bibliche. La sua produzione è intrisa dell’immaginario della tradizione cristiana e rispecchia il vissuto di un credente tormentato, che sente profondamente gli insegnamenti della Chiesa cattolico-maronita. Il suo contributo all’affermarsi della Bibbia come fonte letteraria in arabo è stato pure decisivo.

La sua casa di Zouk Mikael è oggi un museo, inaugurato l’11 giugno 2008. La residenza originaria, commissionata da suo padre e da suo zio (importatori ed esportatori di articoli commerciali tra Egitto, Sudan e Libano), fu progettata da un architetto egiziano, realizzata da scalpellini locali e infine decorata da artisti austriaci.

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Alcuni oggetti personali conservati nella Casa Museo

Negli ultimi anni della sua vita, Ilyās, a corto di denaro, aveva ipotecato la villa. Fortunatamente, il comune l’ha acquistata da privati nel 1970, insieme al giardino adiacente, evitando che fosse demolita per lasciare spazio a un condominio residenziale. L’edificio venne interamente restaurato e ristrutturato nel corso dei decenni successivi. Vennero inoltre recuperati gli arredi e i mobili originari, gli effetti personali del poeta, i libri, i manoscritti e le lettere, rimasti in custodia della famiglia della moglie Olga.

Molti sono infine i versi di Abū Šabakah ad essere stati musicati e interpretati da numerosi e acclamati cantanti arabi, e la sua travagliata vicenda biografica ha anche ispirato una serie televisiva trasmessa una decina d’anni fa da un’emittente libanese con uno straordinario successo di pubblico.

 Dialoghi Mediterranei, n. 42, marzo 2020
 Bibliografia essenziale dell’opera poetica
- al-Qīṭārah [La lira], Dār Sāḍir, Bayrūt 1926.
- al-Marīḍ al-ṣāmit [Il malato silente], Dār Sāḍir, Bayrūt 1928.
- Afā‘ī Firdaws [I serpenti del Paradiso], Dār al-Makšūf, Bayrūt 1938.
- al-‘Alḥān [Le melodie], Dār al-Makšūf, Bayrūt 1941.
- Nidā’ al-qalb [Il richiamo del cuore], Dār al-Makšūf, Bayrūt 1942.
- Ilà al-abad [Per sempre], Dār al-Makšūf, Bayrūt 1944.
- Ġalwā’, Dār Sāḍir, Bayrūt 1945.
- Min Sa‘īd al-Alihat [Dal grembo degli dèi], Dār Sāḍir, Bayrūt 1959.

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Francesco Medici, membro ufficiale dell’International Association for the Study of the Life and Work of Kahlil Gibran (University of Maryland), è tra i maggiori esperti e traduttori italiani dell’opera gibraniana, nonché autore di vari contributi critici su altri letterati arabi della diaspora tra cui Mikhail Naimy, Elia Abu Madi e Ameen Rihani. Si è inoltre occupato di letteratura italiana moderna e contemporanea, in particolare di Leopardi, Pirandello e Luzi. Docente di materie letterarie nella scuola secondaria, lavora attualmente in un CPIA di Bergamo come insegnante di italiano L2.

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