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Il coronavirus dalla finestra di casa mia. Frammenti di storie di vita a Bologna

dialoghi intorno al virus

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Dalla finestra di casa (ph. La Triplice Dea)

di Lella Di Marco

2 aprile

Sono fedelissima a quello che osservo, al silenzio, ai movimenti, all’immobilismo anche delle foglie sulle piante, agli uccelli, ai suoni che a tratti arrivano, ai pochi passanti. Soli o con qualche bambino. La giornata è primaverile, aria frizzante, il cielo quasi blu. Il sole splende. Io sto a casa – anzi posso dire – a casa sotto chiave.

È vero non voglio essere un pericolo per gli altri, sono ligia alle regole di contenimento. Non voglio toccare alcuno né cose e poi magari toccarmi gli occhi il naso o la bocca con i guai conseguenti. Sono nella fascia più a rischio: ultrasessantacinquenne. Consapevole. Capace di intendere e volere, quindi intendo e voglio esprimermi con l’unico mezzo che mi è consentito: la tastiera e i contatti   tecnologici.

Io resto a casa – perfetto, ormai da quasi tre settimane, “siamo tutti nella stessa barca”, “il coronavirus ci ha reso uguali”, “non facciamo polemiche, non è il caso”. Figurarsi le polemiche in questo momento di aspirazione regia patriottica all’unità nazionale! Io non avevo i mezzi per fuggire nella casa a Cortina o nella villa in costa Smeralda come hanno fatto in molti, ma anche se in fascia a rischio, sono una privilegiata; posso girovagare da sola in uno spazio di 130 mq, affacciarmi al balcone, andare in terrazza, e addirittura dilettarmi in cantina, alla ricerca degli oggetti dimenticati. E poi posso leggere studiare finalmente…in pace

Posso piangere quando voglio senza dover dare spiegazioni, attaccarmi ai telegiornali in attesa di buone notizie, ascoltare tutti gli interventi degli innumerevoli virologi, mandare mail, contattare tutti gli amici vicini e lontani, conosciuti nel mio tempo di vita meno recente, rifarmi un pianticello, rispondere al telefono alle amiche un po’ in crisi, dare con tranquillità – senza singhiozzare – consigli su come contenere le proprie ansie, come preparare il pranzo con i resti recuperati in frigo se non si è riusciti a fare la spesa, come gestire in modo creativo le relazioni familiari quando lo spazio è ristretto, il marito è nervoso  e disoccupato, e di figli ce ne sono tre … e poi – il mio pezzo forte – come disinfettare tutto con l’aceto di vino se non si è riusciti a fare provviste di amuchina. Veramente tutto biologico senza additivi chimici e brevettato come da vecchie usanze trasmesse a me dalle mie nonne siciliane, nel difficile dopoguerra. Temo che presto il suo prezzo sul mercato possa aumentare o qualcuno farà aggiotaggio per renderlo prezioso e introvabile. Almeno per un qualche periodo. Infatti l’aceto è antibatterico naturale tanto potente quanto sconosciuto ai più. E poi ci sarà pure un motivo storico-scientifico se gli antichi greci lo usavano come anticoncezionale e il siciliano Luigi Natoli ha scritto il più famoso dei suoi romanzi La vecchia dell’aceto, per raccontarci di Giovanna Bonanno che lo proponeva alle donne per liberarsi dei mariti sgradevoli e violenti. Era il 1789 quando la nostra vecchietta fu arsa come strega.

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Bologna (ph. Gianluca Perticoni)

Leggo molto, cerco di fare cose piacevoli, restando in casa ma il mio umore è mutevole, mi sento schizofrenica come tutto e tutti, in questo momento, nel Paese. Variabile ma costante nell’angoscia, nel senso di frustrazione, nel dolore diffuso, incredula in molte delle informazioni-comunicazioni che vengono diramate dai media e nelle conferenze stampa ufficiali, disgustata dalla retorica che dilaga, nel cercare comunque eroi, in attesa anche di santi; di navigatori attualmente ce ne sono a sufficienza. E così la giornata passa, come passerà la notte? Col buio arrivano anche le crisi claustrofobiche e di panico. Si cerca di contrastare “con tecniche di contenimento”: ce le ha indicate anche il guru del momento per tv. Per addolcirci si mangia un pezzo di cioccolata, e poi si accende per l’ennesima volta il p.c. Si cercano collegamenti in rete, sperando ci siano le voci degli amici, le loro mail, i loro scritti in cui specchiarsi. Ci si sente comunque in gabbia. Di notte non arriva completamente alcun suono, voce, rumore, cinguettio; al mattino neppure un piccione arriva più sul davanzale della mia finestra. La situazione è veramente drammatica, ne ho consapevolezza, sono angosciata ma, al tempo stesso, non riesco a vederla seria.

Mi richiamano al vero le parole delle mie amiche. Distanziate ci sono e i contatti sono frequenti anche nella stessa giornata. Ovviamente siamo ancorate, per esserci, non disperderci, sostenerci a vicenda, condividere. Non subire altre perdite. Metto insieme disordinatamente le loro voci.

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Bologna, Piazza Maggiore

Micaela Casalboni,Teatro dell’Argine, Bologna, 20 marzo 2020

«Quelli che stiamo vivendo sono giorni inediti, sono giorni che non avrei mai pensato di vedere, che non so (ho paura di) analizzare, che non riesco a descrivere. La prima reazione alla domanda di raccontare cosa succede a me e intorno a me in questi giorni è stata un mezzo rifiuto: c’è fin troppo “raccontare” in giro, alla televisione, su internet, fra le persone. Tutti dicono, riportano, ipotizzano, lamentano, criticano, oppure creano, sorridono, sono ottimisti oppure pessimisti. Intanto in strada c’è il silenzio, o almeno più silenzio del solito. Io sono fra quelli – i “felici pochi”, per parafrasare la Morante – che fanno un mestiere che amano profondamente, e che, di conseguenza, porta con sé tanto coinvolgimento, tanto lavoro, tanta passione, tanta soddisfazione, tanta abnegazione in più. Anche se è un mestiere complesso, fragile e spesso non riconosciuto come tale. Io sono fra quelli per i quali il lavoro si è fermato dal 23 febbraio 2020, ed essendo il lavoro una grossa parte della vita, grossa parte della vita si è fermata da quasi un mese ad oggi.

Non so dire bene, non ancora, che cosa questo significhi, e nemmeno cosa provo; per ora so giusto descrivere che cosa succede. Faccio teatro insieme a una trentina di professionisti e professioniste (attori, registi, drammaturghi, insegnanti, ma anche tecnici, organizzatori, amministratori, e non di rado tutte queste cose insieme, o quasi) che fanno teatro non solo sul palcoscenico ma anche nella città, non solo tra artisti ma anche con la comunità, non solo avendo l’arte come fine ma anche abbracciando l’arte come straordinario strumento di dialogo, partecipazione e cittadinanza attiva.

Sono migliaia le persone di ogni età, origine, background che ogni anno fanno teatro in questo modo con noi, sul nostro territorio, ma anche in Italia e all’estero. Tutte le parole chiave di un siffatto modo di intendere e praticare l’arte sono chiaramente ora messe in discussione dalle misure che prevengono la diffusione del CoViD-19: presenza, corpo, azione, comunanza, contatto, respiro, scambio, creazione, collettivo, mescolanza di persone, età, culture, esperienze, status. Una sola parola non è messa in discussione, anche se certamente è messa fortemente alla prova: ascolto. Il primo sabato di chiusura forzata dello spazio che gestiamo, l’ITC Teatro Comunale di San Lazzaro di Savena, ci siamo sentiti in dovere di riempire al volo il vuoto lasciato dalla serata annullata con uno dei nostri spettacoli di repertorio, fatto scegliere dagli spettatori e spettatrici attraverso un sondaggio su Facebook e poi messo a disposizione online. Quindi abbiamo provato ad attivare altri modi di relazione con le persone che fanno parte della nostra comunità, e che non sono puri e semplici “spettatori”, perché il loro esserci è sempre attivo, anche in un normale sabato sera di una normale stagione teatrale.

Questione di vicinanza, questione di ascolto, appunto, questione di coltura prima ancora che di cultura, nel senso che ci siamo vicendevolmente coltivati, noi e i nostri frequentatori e frequentatrici, in una relazione profonda e fiduciosa: ci sono allievi e allieve che fanno teatro (o circo, o danza, o magia) con noi una volta a settimana, qualcuno da pochi mesi, qualcuno da 20 anni; ci sono mamme e papà e insegnanti di ogni ordine e grado che seguono i percorsi di crescita dei loro figli e figlie attraverso le arti; ci sono le associazioni con le quali collaboriamo; e poi i progetti piccoli e grandi di “bellezza partecipata”, come ci piace chiamarli, come Le Parole e la Città, Futuri Maestri e Politico Poetico, interrotto anch’esso dal 23 febbraio. Dopo l’iniziale shock e il tentativo di riprogrammare, recuperare, prevedere (tentativo che ci ha fatto lavorare più del solito anche se a porte chiuse), ora è apparso chiaro che tutto questo non finirà presto, avrà un raggio di diffusione globale, una portata epocale.

Abbiamo attivato una community online nella quale, più che proporre contenuti da “teatro comunale”, si offre uno spazio di partecipazione, di ascolto e di contatto a distanza per tutti e tutte. Quotidianamente vi si postano brevi letture, ricette di cucina, articoli, documentari, pièces e ogni genere di risorsa bibliografica, video e audio che possa essere interessante. Ma si frequenta questo gruppo anche per salutarsi, condividere foto di lezioni o spettacoli fatti insieme, commentare, ridere, confidarsi, avere paura, stare insieme.

Cosa sarà dopo? Questa è la domanda. Ovviamente nessuno di noi può prevederlo. Altrettanto ovviamente, man mano che la primavera avanza e i giorni passano, è sicuro che cambierà tutto. Cambieranno le nostre città, il nostro modo di stare insieme, di fare qualunque attività; cambieranno sicuramente per molto tempo, forse per sempre. Cambierà il nostro mestiere, sarà messo a rischio, anche a rischio di estinzione in certi casi, tanta era la fragilità del settore anche prima del virus. Cambieranno, stanno già cambiando le priorità. Da un lato, forse, aumenterà l’empatia e la capacità di comprensione della sofferenza altrui; dall’altro, forse, l’egoismo già dominante degli individui e degli Stati non farà che aumentare (“ora che c’è il virus da combattere, non possiamo certo occuparci di quanto accade ai confini greci o in Siria”).

Cosa sarà dopo? Personalmente, non posso pormi questa domanda. Non posso proprio. Se andassi davvero al fondo di questo abisso, so che mi ci perderei. Dunque, cerco di stare nel presente, di leggere, muovermi (a casa), fare esercizio, dare il mio piccolo contributo nel coltivare la nostra comunità, fare una vita regolare (finalmente, verrebbe da dire, visto che la nostra vita è, di solito, tutto tranne che regolare), non perdere la testa. Ieri un nostro allievo ha perso una persona cara a causa del virus. Non ha potuto salutarla, vestirla, portare una foto per la lapide. E ha condiviso il suo dolore e la sua rabbia nella chat del gruppo di teatro. Un’enorme pietra è caduta nello stagno di quel gruppo solare e simpatico di persone. Che subito dopo, però, si è stretto intorno al compagno in modo commovente, discreto, aperto, disponibile, empatico. Ora i morti si avvicinano a noi, non sono più solo “notizie al telegiornale”, che siano gli annegati naufragati di barconi insicuri e ingiusti oppure i pazienti delle terapie intensive. Ora i morti si avvicinano a noi e ci toccano, ci riguardano, ci fanno da specchio. Che tipo di umanità uscirà da questo, lo scopriremo man mano. Speriamo più giusta, più attenta all’altro, sicuramente più traumatizzata e addolorata, ma più solidale».

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Bologna, Portico dei Servi (ph. Massimo Paolone/La Presse)

Alessandra Lazzari, Bologna 20 marzo

«Ciao tesoro. In realtà ho un po’ di saturazione da telefono e pc (vedo molti video sulla neuroplasticitá cerebrale e sulle funzioni del cervello, oltre che le mie adorate serie British in inglese), ed è per qs che sono un po’ lenta con le risposte, ma sto benissimo!  Io e Lucia facciamo maschere di bellezza, dipinti e sedute di acconciature (oltre che torte e involtini) e lei tiene alto il morale alle amiche facendo cappellini da party e mettendoli ai peluches per festeggiare compleanni a distanza via web!

Ieri abbiamo festeggiato San Patrizio – dopo ti mando la foto – ma solo con spremuta, torta e succhi, niente birra. ..! :)

Facciamo un po’ di allenamento e io lavoro a maglia. La vedo lunga, comunque.  Non credo finirà a breve.

Avrei tanta voglia di chiacchierare con te! Non vedo nessuno (se non in video chat!) e faccio poco anche con Croce Rossa, perché i turni sono di 10 ore e per quel che ho visto non particolarmente utili… quindi mi risparmio per interventi diversi con la Protezione civile, se sarà necessario. Ho fatto anche un po’ di formazione a distanza…  non male.

Per ora stiamo molto bene ma non so se tra qualche settimana saremo ancora di qs umore. Speriamo! 

Il contatto (anche coi morosi) ci manca. Il ragazzo di Lucia sta ancora lavorando in azienda, il mio è in tele lavoro.

Ho contatti quotidiani con medici di terapia intensiva e infermieri, e trovo che siano fantastici. Non posso dir lo stesso della gente, che, come sempre, spesso non capisce un cacchio.

Alessandro sta benone – felice e ancora libero di muoversi – per ora. Miei amici in Canada e US pure… Boh?

Tu come stai, cara?  So che sei piena di risorse, e spero te la goda! 

Fammi sapere se ti occorre qualcosa, per te ci sono sempre! 

Un bacione, dammi news anche tu! Ale»

Bologna ai tempi del coronavirus

Bologna

Selva, responsabile area progettuale e corsi di italiano e arabo per donne straniere, Ass. Sopra i ponti, (ovviamente tutto chiuso), 23 marzo

«Lavoro alla Ausl, non sono eroica né angelica: una semplice impiegata amministrativa tra scartoffie e computer, al massimo mi potrei beccare l’allergia agli acari. Dal 9 marzo negli uffici c’è una pressione soft ma insistente a scegliere il telelavoro, ci ho pensato: 33 anni non sono bastati per abituarmi alla sveglia alle 7, forse sarebbe una buona occasione per ritardarla. Però, significherebbe anche non poter più uscire… poi la consapevolezza: in casa, abbiamo 2 computer e 2 figli di 18 e 21 anni che fanno la teledidattica. Mi dispiace, visto che l’azienda non fornisce l’attrezzatura devo continuare a lavorare in ufficio, mi tocca, eh! (che poi, in questi giorni il carico di lavoro è calato verticalmente, tanti fornitori semi-chiusi, quasi tutte le attività di routine sospese per ampliare le terapie intensive. Se ci mettessero a casa d’ufficio per due o tre giorni alla settimana l’attività amministrativa non ne risentirebbe, ma immagino non vogliano creare un precedente, vabbè, lo capisco).

Comunque sia, forte dell’autorizzazione del caposervizio a recarmi al lavoro, continuo a prendere l’autobus tutte le mattine (siete avvertiti: statemi alla larga, sono una bomba batteriologica che cammina), perché l’avversione ad alzarmi presto non mi lascia scelta, invece rincaso a piedi il pomeriggio. Lo faccio da anni, sono circa 5 km, praticamente un trekking urbano che attraversa da ovest a est tutta la città, il momento della giornata in cui il ritmo dei passi mi permette di resettare la mente e seguire i miei pensieri, una pratica di salute psicofisica. In questi giorni il vuoto e il silenzio (senza la temperatura ferragostana!) rendono il centro storico di Bologna davvero magico – osservazione banale, lo so, però non si può fare a meno di rimanerne colpiti – spesso allungo il mio percorso per le stradine secondarie, un po’ per diminuire le probabilità di incrociare una pattuglia, ma anche perché è la mia ora d’aria, meglio farla durare.

Mi dispiace per i ragazzi, stanno accusando pesantemente il colpo. La più piccola ce l’ha messa tutta per prenderla con positività, segue le lezioni on line, fa ginnastica nella sua camera, si organizza con le amiche per videochiamate collettive, ma quando le hanno impedito di fare una passeggiata per i parchi con l’unica amica che abita nei paraggi, è sempre più sfiduciata e depressa. A 18 anni hai l’ansia di vivere, inutile dirle “passerà” (passerà?); “porta pazienza”, non è l’età della pazienza.
Il grande è una sfinge. Non si esprime, non esterna il malessere. Ribelle irriducibile negli anni della scuola, che ha abbandonato per fare la maturità da privatista dopo aver ripetuto un anno, sembra non trovi il suo posto nella tragedia nazionale. Senza gli amici è perso, prima erano impegnati h24 in mille progetti grafici e musicali, e ora dove sono tutti? Gli mancano le coordinate interpretative, si direbbe. Ma ovviamente non posso fornirgliele io.

Venerdì rincasando mi sono imbattuta in una scena surreale, di questi tempi: un giovane musicista di strada suonava la chitarra (molto bene) accovacciato a terra accanto all’entrata di un discount di prima periferia. Stranamente le persone mestamente in fila all’entrata non lo infamavano. Gli ho chiesto se non avesse paura della denuncia, mi ha risposto: “Che altro posso fare? A rubare non voglio andare, e comunque non sarei capace”.

Daje chitarrista irriducibile!»

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Bologna (ph. Gianluca Perticoni Eikon studio)

17 marzo, 11:31

 «Le insegnanti di lingua ieri hanno fatto un primo tentativo, ma con scarso successo: non tutte le donne hanno tentato di connettersi e con le poche che lo hanno fatto in realtà il collegamento è stato pessimo.

La chiamata whatsapp sarebbe il modo più semplice e ben collaudato per le donne, ma consente di collegare al massimo 4 utenti, e non basta. Le piattaforme a disposizione non funzionano benissimo e in certi orari sono sovraffollate. Come prevedibile la tecnologia non è così magica come vogliono vendercela. Le ragazze però sono determinate a riprovarci, cambiando ‘piattaforma’ e orario, staremo a vedere se viene fuori qualcosa. Ieri alla fine sono riuscite a parlare con una sola signora pakistana, devo chiedere se ne è uscita una conversazione interessante.

Comunque in generale questa didattica a distanza può dare qualche risultato nella fascia del liceo, ma per i bambini e gli adulti poco pratici di tecnologie o per le famiglie che non dispongono di molti mezzi è devastante. Intanto bisognerebbe disporre di un pc a testa e una connessione veloce e nel caso di più di un figlio la dotazione individuale di pc non è per niente scontata. Poi, se la motivazione personale dello studente non è ottimale, ciao! con i bambini e ragazzini fino alle medie e anche primo biennio superiori e con tutti quei ragazzi tipo Salah che prendono come una sfida riuscire a schivare la scuola, siamo realisti: questo periodo diventa semplicemente senza scuola. Funziona per i ragazzi più maturi, che dispongono a casa della dotazione informatica minima per potersi connettere ‘con comodità’ e che hanno una sufficiente alfabetizzazione informatica (smanettare tutto il giorno sul cellulare non è alfabetizzazione informatica: ne ho visti che per farsi un account per potersi iscrivere all’università – erano persi).

Ah, dimenticavo: ci vuole anche la mamma alle spalle che ha il tempo, la voglia e la capacità di fare il cane da guardia: c’è qui una mia collega che è costretta a passare più tempo al cellulare con suo figlio sedicenne che sul pc dell’ufficio per badare che il ragazzo faccia quel che deve per la scuola. Con i figli in fase teen ager è l’ennesimo impazzimento. Non mi vengano a dire che è un’alternativa: è un tampone che lascia il tempo che trova. Per il momento non si può fare altro, ma che non ce lo vendano come un’innovazione che funziona.

Invece sembra (sottolineo sembra) che si stiano orientando verso scelte raziocinanti per l’esame di maturità: mi dice Hanan che le voci indicano il ritorno alla tesina e a facilitare la seconda prova (che per lei sarebbe greco), quindi cestinando l’invenzione delle buste con le citazioni a sorpresa da commentare. E c’è chi dice di espungere dal voto d’esame anche l’Invalsi. Se tutto ciò fosse confermato bisognerebbe attribuire al virus un effetto di rinsavimento. Che ha già dimostrato riguardo alla sanità pubblica.

Hanan poverina ieri era depressissima. L’ordinanza di Bonaccini che restringe ulteriormente la libertà di movimento specificando che si può fare attività motoria all’aperto solo “in prossimità del proprio domicilio” (tra l’altro rimanendo sul vago in modo che qualsiasi abuso è possibile, perché come si quantifica la “prossimità”?) l’ha gettata nello sconforto. Aveva trovato bene o male un modus vivendi mantenendo un filo sottile di socialità non solo virtuale facendo lunghe passeggiate per lo più a villa Ghigi e eremo di Ronzano con una sua amica – l’unica che abita in centro e quindi ha più facilità di uscita di chi dovrebbe anche prendere degli autobus. Ieri hanno realizzato che è stato tolto loro anche quello, non rimane che la lezione on line la mattina, le serie tv, qualche chiacchiera virtuale sempre più annoiata e guardare il sole dalla finestra o fare ginnastica su un tappetino per non marcire. Era affranta. Pensa cosa vuol dire questa reclusione – senza colpa – a 18 anni! hai l’ansia di vivere e ti trovi prigioniera. I ragazzi vivono immersi nel presente.

Mi ha fatto troppa tristezza, non è giusto. Anche perché questo stupido sacrificio autoinflitto non porta nessun beneficio agli ammalati negli ospedali, equivale più o meno alle autoflagellazioni medievali. O come quando ai bambini si dice “mangia tutto che i bombi in Africa muoiono di fame” – e allora? ingrasso io per loro?

Penso che troverà il modo e il coraggio di trasgredire, ma – poverina – si reprime per non incorrere in una multa che sa che ci metterebbe in difficoltà. Io penso che in realtà eventuali multe comminate sulla base di provvedimenti così pasticciati alla fine saranno ampiamente impugnabili, ma comunque per presentare dei ricorsi bisognerebbe comunque pagare un avvocato, per tacere della seccatura… Ci vorrebbe di nuovo un Soccorso Rosso per rintuzzare questo fascismo ammantato di tute anticontaminazione.

A proposito: anche candeggiare l’asfalto, che sembra l’ultima moda in cui gareggiano i comuni – evidentemente per darsi l’aria di fare “qualcosa” quando in realtà nessuno sa cosa esattamente bisognerebbe fare – è inutile, anzi dannoso perché inquina le falde. L’ha detto l’ISS (Ist. Sup di Sanità): “se volete fatelo, ma non c’è evidenza dell’utilità stanti le modalità di diffusione del virus, mentre ci sono forti rischi che si produca inquinamento ambientale”. Un altro gesto di pura superstizione, Manzoni docet.

Ah, come volevasi dimostrare, stanno emergendo indizi che l’ondata di moralizzatori e delatori via social scatenati contro i “runners” sia stata almeno inizialmente pilotata da ambienti leghisti – e infatti rientra perfettamente nel loro stile. Vedrai che prima o poi qualcuno produrrà anche le prove, tracciando qualche account facebook, e i/compagni/e che hanno beccato come tordi spero che arrossiranno almeno un po’».

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Bologna, Parchi chiusi

Aziza, il marito è bloccato a Casablanca, 25 marzo

«In Marocco entrano in vigore oggi le stesse regole di quarantena di cui noi siamo stati pionieri. Tutti agli arresti domiciliari – in teoria. Non so come gestiranno l’enorme settore del commercio informale che bene o male dà da mangiare a buona parte dei quartieri popolari delle città. Anche lì il governo ha stanziato in fretta e furia misure straordinarie di ammortizzatori sociali (anche questo è un format uniforme, spalmato su condizioni al contrario differenziatissime!). Apprezzabile, ma come in Italia le cifre che i governi possono mettere in campo non coprono minimamente i bisogni che il coprifuoco crea. Lì è peggio perché i non garantiti sono molto di più: venditori, pescatori, ristoratori, domestiche, trasportatori… la maggioranza lavorano in nero, non risultano, non potranno chiedere contributi. E poi: chiudersi in casa? ma hai presente le condizioni delle medine? in 30, 20, 15 mq possono “abitarci” 5 o 10 persone: se gli togli lo spazio pubblico come fanno? immagino che in certi quartieri il coprifuoco non sarà rispettato, basta che non escano dal quartiere – tanto se si sfoltiscono un po’ meglio! Però si ampliano gli spazi di arbitrio e corruzione: saranno anche costretti a pagare il silenzio dei controllori. Il coprifuoco sanitario è una misura classista, più le differenze sociali sono marcate più fa danni. Ah, dimenticavo: anche lì non si parla di fermare la produzione, ma solo “la vita”. Anche se alcune fabbriche straniere (un recente stabilimento automobilistico francese delocalizzato, PSA) hanno chiuso per decisione autonoma, tanto si sono fermate anche le vendite.

In tutto questo ho letto che ieri i Cobas hanno proclamato lo sciopero della logistica: 2 settimane di astensione nei principali magazzini che si trovano nel cuore della zona rossa e della zona produttiva (che coincidono: Piacenza, Bergamo, Brescia). Immagino la difficoltà di organizzare lo sciopero col divieto di assembramento, speriamo che funzioni, sarebbe finalmente un elemento che fa entrare un punto di vista nuovo nella scena, inchallah»

 Fatema, 25 marzo

«Qui cominciano ad emergere delle altre differenze: il tempo da dedicare ai figli e il tempo di lavoro. Questa del telelavoro da casa è una soluzione a dir poco semplicistica, in realtà il lavoro finisce per penetrare ancora di più nella vita privata e per ridurne i margini.  Noi abbiamo uno stipendio buono, un bell’appartamento spazioso con uno cortile esterno privato e continuiamo a lavorare, niente preoccupazioni economiche, però, a differenza di tutte le donne casalinghe come principale occupazione, non possiamo permetterci di passare la giornata a inventare modi per intrattenere i bambini. Questo infatti è il problema principale che emerge dalle testimonianze che stanno inondando il post dei wu ming sul tema bambini: i loro lettori, intellettuali e professionisti quasi tutti in telelavoro, stanno impazzendo nell’impossibilità di intrattenere adeguatamente figli quasi sempre unici che gli stanno addosso dal mattino alla sera, così finiscono per trasmettere ai bambini pessimismo e depressione».

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Bologna (ph. Gianluca Perticoni, Eikon studio)

Giada Geraci, giovane animal-trainer che vive nel Veronese, 25 marzo

 «Io non so perché ma non mi trovo particolarmente angosciata sul dopo (già qui c’è qualcosa di strano/anomalo, si parlerà del “prima del virus” e “del dopo virus”) credo in un forte boom economico dopo questo momento di crisi.

Il mio problema è: quando ne usciremo? Conte mi piace particolarmente, e ringrazio chi da lassù ci ha tolto Salvini. Pensa se in un momento del genere avessimo avuto Salvini come capo del governo sarebbe stata la fine.

Conte forse doveva muoversi subito con tutte le restrizioni, ma credo che anche per lui non sia stato facile e non lo sia tutt’ora gestire una situazione che non è mai capitata.

La quotidianità che viviamo? Beh intanto i tanto odiati social network ci stanno aiutando a tenerci connessi, ma come tutte le cose buone anche questi hanno tanti lati negativi. L’odio smisurato che la gente riversa sui social era di forte impatto prima e lo sta diventando sempre di più adesso. La “clausura” gioca nella mente delle persone brutti scherzi, vedo molta aggressività. Inoltre ci ritroviamo a leggere post di persone che hanno un pessimismo cosmico cento volte maggiore di quello di Baudelaire, e sì che lui non era questo grande allegrone. Poi ci sono quelli che pensano sia tutto un complotto, e da lì milioni di teorie su virus creati in laboratori, guerre liquide, U.S.A. contro Cina, poi cambiano e diventa Russia contro Cina. Quindi diventa ben difficile anche barcamenarsi in mezzo alle fake news, in mezzo a post di gente che ti uccide psicologicamente, in mezzo a post di gente che inneggia alla Lega e così via. La gente non sa vivere nel “qui e ora”, non conosce cosa sia il rispetto verso il prossimo e questa è una cosa terrificante. 

Poi mi soffermo su alcune immagini di gente che va in giro, senza alcuna attenzione verso i decreti ministeriali e penso a quanto sia assurdo che la gente non riesca a stare bene neanche nella propria zona di comfort. Cosa ci può essere di migliore della propria casa come zona di comfort? Evidentemente non si sentono bene neanche a casa loro, e forse, a questo punto, neanche con se stessi, chissà…. Intanto mettono in pericolo tutti e questa cosa non la tollero, certe volte penso che sarebbe meglio avere l’esercito per strada. Noi non usciamo da 14 giorni ormai, tra poco dovremo andare a fare la spesa, e stiamo già pensando a come fare, a che ora andare, perché non ho trovato nessuno che possa portarcela a casa. Questo sì che mi mette angoscia, perché ormai il nemico sono le altre persone, le guardi come se fosse il prossimo quello da combattere, me ne accorgo con i miei vicini, se apriamo le porte di casa contemporaneamente le richiudiamo alla velocità della luce. E al super mercato i nemici saranno carrelli e persone, chi avrebbe mai pensato di arrivare ad una situazione del genere. 

 Guardo i numeri dei contagiati la sera con la speranza che finalmente siamo arrivati al famoso picco, ma oggi dicevano che ci vorrà ancora qualche giorno… quindi attendiamo fiduciosi questo momento per poi aspettare la contrazione dei contagi, vedremo».

 Hend, amica egiziana, telefonata, 25 marzo

Io oggi ho fatto il pane, con il lievito madre ovviamente è venuto un po’ bruciato ai bordi …l’avevo dimenticato in forno quando ho risposto alla telefonata di Hend, la mia amica egiziana che lavora in un grande supermercato Conad. Lei non ha tempo per scrivere o parlare. Così al telefono dopo avermi urlato di non azzardarmi ad uscire da casa, perché basta telefonare e ordinare le vettovaglie e tutto mi sarà recapitato a casa. Servizio che la Conad fa per tutti quelli che lo richiedono, ma nel mio caso sarebbe lei personalmente a lasciarmi la spesa dietro la porta di casa. Dopo essersi assicurata che resto a casa. Ha urlato contro i provvedimenti di Conte, contro quelli di Bonaccini, il governatore dell’Emilia-Romagna che vuole i supermercati aperti anche di domenica.

Ha urlato contro i clienti indisciplinati, quelle persone che in gruppo ogni giorno si recano al supermercato per comprare un litro di latte e del pane, mentre continuano a parlare tra di loro, senza mascherina e il necessario distanziamento. Ha urlato contro lo sfruttamento dei lavoratori come lei che non hanno garanzie sindacali, ferie retribuite, turni massacranti in una gestione antisindacale in quanto dipendenti delle cooperative alle quali la grande distribuzione attinge lavoratori al bisogno.

Ha urlato contro la scuola che con le lezioni a distanza non tiene conto dei ragazzini che hanno bisogno di maggiore cura perché magari hanno difficoltà di apprendimento e nessuno a casa che può aiutarli. Situazione ovviamente che li fa rimanere indietro nella classe. Ha urlato pensando a donne che conosce costrette a stare in casa con marito violento e spesso pagano prezzi altissimi per botte e violenze che subiscono e non possono denunciarlo in quanto non hanno neppure la possibilità di fare una telefonata ai servizi senza che lui senta.

Ha urlato per tutti i morti musulmani in Italia per coronavirus. I loro cadaveri posti vicino ai forni crematori, senza rispettare il rito musulmano della sepoltura. Ha urlato per la scarsa informazione sui cimiteri islamici esistenti in Italia e il non potersi rivolgere alle agenzie di onoranze funebri in grado di rispettare i canoni islamici per le procedure di seppellimento di quelle salme che non potranno mai essere spedite al loro paese di origine. Ha urlato per la paura che si sta vivendo in Egitto dove non esiste una assistenza sanitaria pubblica, e sembra, dalle informazioni ricevute dai suoi parenti, che, alla comparsa dei primi turisti colpiti dal virus, molti egiziani si siano posti in autoquarantena, in zone isolate dai centri abitati, vicine al deserto. Per scongiurare il peggio.

Hend urlava al telefono, temeva che io non la sentissi bene, perché tutto il giorno urla al lavoro, in quanto da dietro la mascherina le parole sono incomprensibili. Così le rimane l’abitudine e a furia di urlare ha la voce rauca.

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Bologna, Palazzo Accursio illuminato (ph. M. Lapini)

Federico Bertoni, docente del Dipartimento di italianistica università di Bologna che fa sentire la sua voce a proposito delle video lezioni

19 marzo ore 19.01

«Cari ministri, rettori, direttori, presidi e giornalisti di Confindustria: questa è un’emergenza terribile che stiamo fronteggiando al meglio delle nostre forze, per gli studenti e per l’istituzione in cui crediamo. Ma nessuno provi a trasformare questa “occasione” (sic) in una sperimentazione forzata sulla didattica a distanza. Noi torneremo in classe, in aule di mattoni, circondati da persone in carne ed ossa. E soprattutto torneremo in piazza per impedirvelo».

Intanto con il sole che continua a splendere qualche cane al guinzaglio attraversa il parco, mentre una coppia di giovani che abitano di fronte casa mia si sono stesi su un telo a prendere il sole in terrazza e altre due ragazze stanno preparando la terrazza con cuscini e bicchieri per un aperitivo. Il silenzio è infranto dalle note di un violino che evoca il notturno di Chopin suonato da un giovane musicista siciliano che lavora al Teatro Comunale e che abita nelle vicinanze. Alle 17 appuntamento in terrazza con mia figlia, rigorosamente a distanza con guanti e mascherina, porterò delle bolle di sapone e le faremo scivolare sui tetti… E sarà subito sera. Come si farà a passare ‘a nuttata?

Rosaria da Itri, 26 marzo

«Spero serenità nella tua casa. Oggi sono andata in terrazzo solo pochi minuti perché le nuvole coprono spesso il sole. Ho notato anche che ci sono problemi a connettersi a Internet, io almeno faccio molti tentativi prima di poter aprire la posta. Non potendo andare nell’orto ho seminato 13 pomodori e 2 zucchine nei vasetti dello yogurt, per fortuna ogni anno conservo un po’ di semi dai frutti dell’orto così siamo indipendenti. Prima che chiudessero i negozi, un paio di settimane fa, avevo comprato una decina di piantine di insalata e le avevo messe nell’orto di Maurizio ma per ora non ci posso andare. Nei libri che ho spolverato ho trovato anche qualche foto, cartoline, qualche appunto dimenticato. Ora che pochi leggono, le foto non si stampano e non scriviamo quasi più, cosa rimarrà di tanti ricordi? Le prime cose che voglio fare appena potremo uscire: 1) andare all’orto; 2) andare a Napoli; 3) andare al cinema; 4) comprare un libro. Speriamo che almeno i semi nei vasetti germoglino presto.

Saluti».

M. Rosaria

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Dalla finestra di casa (ph. La Triplice Dea)

A Bologna tutte le attività sono sospese e come in altri paesi annullate le festività e ricorrenze nazionali civili e religiose. Anche al centro Zonarelli, sede di associazioni migranti, tutto è sospeso a tempo indeterminato. Le informazioni arrivano attraverso una news mensile. Così ieri è arrivata una bella notizia: Hanna Casali, una giovane di origine etiope che abbiamo seguito per la tesi di laurea su Le associazioni di volontariato mediatrici con i-le migranti si è laureata con 110 all’università di Parma con tele discussione.

Le amiche migranti che conosciamo si chiudono nella loro comunità – rimanendo a casa, ma sono freneticamente connesse fra di loro e con le loro famiglie al paese di provenienza. Le amiche iraniane erano già molto in pena per quello che succedeva già prima dell’epidemia al loro Paese, per tutti i misfatti del regime, la farsa delle elezioni e poi tutte le falsità diffuse fin dai primi di febbraio, mentre i rapporti di tipo economico intensissimi con la Cina continuavano e il virus era già in azione. Sotto silenzio. E poi le migliaia di morti nelle fosse comuni in mancanza di un luogo di sepoltura, il collasso dei servizi sanitari, l’insufficienza dei medici e del materiale di protezione. Loro che da sempre vantavano l’eccellenza della sanità in Iran con le cliniche di chirurgia estetica a costi accessibili, e l’invito da parte governativa a servirsene per apprezzabili motivazioni estetiche. Rifarsi parti del corpo per sentirsi più belle era consentito – come a rendere omaggio al culto della bellezza che i persiani fin dall’antichità hanno nutrito.  Così anche la ricostruzione della propria verginità veniva considerata un atto estetico.

Neppure a Bologna hanno potuto festeggiare il loro capodanno Nowrooz legato all’arrivo della primavera. Festività grandiosa alla quale in passato ho partecipato anch’io, in alberghi di lusso, loro elegantissime, ingioiellate, in uno sfarzo da mille e una notte, con addobbi e pietanze cerimoniali. Da sottolineare che in Emilia-Romagna i migranti dall’Iran sono stati sempre politici o per motivi di studio comunque provenienti da famiglie benestanti. Oggi con la crisi economica globale la povertà è arrivata anche da loro. Io quel giorno ho potuto incontrare soltanto una di loro, furtivamente davanti ai cassonetti dei rifiuti. Ci siamo scambiati dei regali. Che meraviglia il dono di A.: due libri del loro connazionale Kader Abdolah, fuggito in Olanda già ai tempi della rivoluzione contro lo Scià ed ivi ancora residente. Per me una gradevole scoperta e corroborante cura all’isolamento nella sosta forzata. Mi sono persa con gioia immensa nella lettura di quei testi ricchi di persone, luoghi, storie, poesia, con riferimenti a vicende con intrecci romanzeschi formidabili, senza essere romanzate. Giusto equilibrio fra storie di vita personali, appartenenza, educazione, formazione e tutto il resto che è politica, economia, religione, rapporti internazionali.

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Bologna (ph. A. Landi)

Lorenza, una amica bolognese in Cina, 27 marzo

 «Ciao Lella. Io sono a Yangshuo, un “villaggio” per i cinesi, visto che non raggiunge i 200 mila abitanti, nella provincia di Guilin, nella regione del Guangxi. Qui da quattro anni frequento una scuola di QI Gong, che letteralmente vuol dire “fare circolare, praticare l’Energia vitale” del Maestro Wang Zhi Ping, ha un sito scritto così, se vuoi cercarlo. Qui sono circondata da picchi carsici ricoperti di bambù e vegetazione tropicale, attraversati da due fiumi navigabili, Yulong e Li, paesaggio unico al mondo e quasi incantato, adatto ad una strega come me, ma estremamente vulnerabile e sfruttato, come del resto tutto e tutti qui in Cina, dove manca completamente il rispetto e la tutela dell’ambiente e dei diritti delle persone, a meno che non ci sia un ritorno economico o d’immagine all’estero. Incominciamo bene. Quando sono partita, il 5 febbraio, in Italia c’erano una ventina di casi di coronavirus, qui invece era la seconda settimana dalla chiusura totale di Wuhan e dell’Hubei, poi seguita dal resto della Cina, già all’aeroporto di Bologna la situazione era anormale, parcheggi super vuoti, nessuno in fila al check in. Sono passata per Mosca, uno dei pochi aeroporti che non aveva chiuso i voli per la Cina. Ho viaggiato come ai vecchi tempi, aereo mezzo vuoto con tre sedili tutti per me. Quando sono arrivata a Guangzhou, ero l’unica non cinese, con l’eccezione di due donne russe, che poi non ho più visto. Al posto di file chilometriche e interminabili attese per il controllo documenti, impronte digitali e riconoscimento facciale, c’era polizia aeroportuale con guanti e mascherina che ti provava la febbre con il termo scanner. Quando sono arrivata, sola, tutta vestita di nero con i miei inseparabili anfibi, mi hanno tutti guardata con stupore misto a incredulità, chiedendosi perché mai un’occidentale, al sicuro lontano da qui, si recasse in quel piccolo inferno. Visto di studio valido 6 mesi. Così soddisfatta la loro curiosità. Chiuso era tutto chiuso, sì, tranne metropolitana e treni, deserti, obbligo di mascherina, sempre, per uscire e andare a fare spesa. Qui non hanno dovuto vietare le libertà personali per decreto, la popolazione obbedisce e non si oppone tanto meno sfida l’unica autorità, il Governo, che come saprai è un unico Partito che si elegge da solo. Mi dilungo. Qui sono 7 ore avanti. Ora è tempo di coricarmi, ma domani ti scrivo, più sulle emozioni. Buon Tao. Alla proxima»

 sabato 28 marzo 03:08

«Buongiorno Lella, per proseguire nella narrazione del mio stato d’animo e psico-fisico qui in Cina, praticare il Taichi QI Gong mi aiuta molto a tenere la mente libera e propositiva, il corpo morbido e rilassato. Adeguarsi ai cambiamenti drastici e repentini è sempre cosa non facile, soprattutto se vengono imposti dall’esterno e da autorità poco autorevoli che non hanno mai messo il benessere della persona al centro. Quello che mi pesa di più in assoluto, che nel mio caso è dovuto anche ad una distanza fisica effettiva, non è la solitudine, sentimento con il quale ci dobbiamo relazionare tutta la vita, ma l’isolamento dell’obbedienza. Non poterci essere, non poter fare parte di un percorso decisionale alternativo, che non si basi solo su controllo e repressione, ma su mutuo appoggio e solidarietà attiva, concetti e pratiche che qui in Cina non esistono, mentre leggo che in Italia e non solo si stanno muovendo e diffondendo. Teniamoci stretti! Restiamo uniti!!»

«Qui in Cina le mascherine sono ancora obbligatorie, come il controllo della temperatura con il termoscanner per entrare ovunque, mercati, negozi di alimentari, treni, metro, bus, persino per entrare nel tuo condominio! Il picco qui c’è stato alla fine di febbraio, dopo un mese dalla chiusura totale di Wuhan e della regione dell’Hubei, seguita dal resto della Cina. Ma qui si fa prima a decidere, un unico organo statale lo fa senza opposizioni e poi applica le decisioni attraverso un controllo repressivo poliziesco capillare sostenuto comunque da una popolazione consenziente e ossequiente.

Ora c’è la persecuzione degli italiani, siamo diventati gli ebrei del virus, del tutto fuori legge e arbitraria ma non si può fare nulla. Io sono stata messa in quarantena nel mio appartamento di Yangshuo dal 4 al 20 marzo, malgrado fossi già qui da un mese e non avessi mai avuto febbre. Enrico, che mi viene a trovare una settimana sì e una no, lui lavora a Foshan, venendo da un’altra regione e non potendo stare in quarantena 14 giorni, è obbligato a stare in casa, giusto uscire qui di sotto. Quando è arrivato con il treno, gli sbirri lo hanno fermato e visto che era italiano hanno chiamato l’ambulanza e portato in questura a Yangshuo, chiamato il proprietario di casa e impostogli di sorvegliarlo, immaginati. Enrico è qui dal 21 di dicembre e deve stare in quarantena! Solo qui però, nel Guangxi, dove eravamo prima, nel Guangdong, nessuno ci ha dato fastidio, abbiamo vissuto come tutti i cinesi, per cui la vita qui si è un po’ complicata. Se il mio maestro non apre la scuola dovrò decidere come proseguire e dove tornare in Italia, adesso per me sarebbe molto difficile, tra voli cancellati e aeroporti chiusi, in più sarei sottoposta a quarantena sorvegliata perché vengo dalla Cina, nel sito del Ministero degli esteri dice “a casa propria”, in più privazioni delle libertà personali, non potrei neanche venire a Bologna!

Un abbraccio resiliente

Ciao, salutami Paola, quando torno ci facciamo un buon tè».

Lorenza, 2 aprile

«La ripresa cinese è solo sulla carta. Sì, è vero che ormai la pandemia è sotto controllo, ma tutto resta ancora chiuso, scuole di ogni livello in primis. Il 4 aprile qui celebrano i defunti, tre giorni di chiusura nazionale. La gente qui non ha le ferie quando vuole, ma quando decide il Governo!

Dall’8 si vedrà se si riaprirà qualcosa. Io il 4 Aprile festeggio i 22 anni di Koral! Prima volta che non passo il suo compleanno con lui. Mi si bagna il viso.

Il mio Maestro Wang Zhi Ping mi ha scritto che non riaprirà la scuola, di comprenderlo e di proseguire da sola con le cose che mi ha insegnato, per cui il mio “viaggio” a Yangshuo finisce qui. La scuola di Enrico, che è a 600 km da qui, a Huadu, resta ancora chiusa ma, visto che lì sono tutti studenti cinesi, forse riaprirà appena il governo darà il via. Se non dovesse succedere si aprirà per me la strada del ritorno. La via del Cuore non sempre cammina nella stessa direzione di quella della Mente».

3-landi

Bologna (ph. Landi)

 Giada Geraci, 2 aprile

«Stavo ascoltando una conferenza di Erri De Luca, in un canale di filosofia, che ha proprio lo scopo di “prendere con filosofia” questo momento critico. E riflettevo su una frase detta da lui: “libertà di parola ascoltata”, ed è proprio vero, quante volte ci riempiamo la bocca dicendo ed elogiando che in Italia ci sia la libertà di parola, democrazia ecc ecc, ma alla fine se questa Parola non è ascoltata, rimane solo e soltanto una triste libertà fittizia. E questo si collega al fatto che realmente la gente non è capace di ascoltare, e se ascolta lo fa esclusivamente fino ad un certo punto, e il punto è quando egli stesso può diventare protagonista di un ascolto che non è più ascolto. Perché alla fine siamo tutti un po’ ego-riferiti, e del prossimo ce ne frega fino ad un certo punto. In queste settimane la mia psicologa la vedo su Skype il giovedì, e all’ultimo nostro incontro le descrivevo proprio come le amiche riversano addosso agli altri le proprie ansia, nello specifico su di me, sapendo, ed essendo consapevoli dei problemi d’ansia che ho avuto nell’ultimo periodo, ma questo non interessa, interessa vomitare sugli altri il proprio flusso d’emozioni, fregandosene alquanto se ciò in una persona leggermente empatica, come me, può creare o meno delle problematiche. Beh! in poche parole tutti una massa di s…»

Una amica che vive in collina a Sasso Marconi, 2 aprile

«Carissima Lella, felice di leggerti. Fatico a scrivere, leggo molto. Seguo le cose, le riflessioni di altri ed io stessa naturalmente vedo la vita da un’altra prospettiva. Ho ad esempio accantonato quello che stavo preparando. Forse ci sarà un domani ancora per noi, se riusciremo a superare questa prova, ma quello che succede intorno è un tale sconvolgimento di tutto! Ci dovrà essere un inizio, un cambiamento totale e spero che tutti lo sentano e lo accettino, aiutino che avvenga questa rivoluzione della terra, questo passaggio che solo avendo una mente aperta e sollevandosi un poco, si riesce a intravedere. Chiusissimi come siamo, guardo la valle e piano piano mi abituo all’idea. Ti penso con tantissimo affetto e spero davvero che ci si riveda un giorno non troppo lontano. Ti abbraccio vit».

Bologna ai tempi del coronavirus

Bologna

Alessandra Lazzari, 3 marzo

Ciao cara! In realtà per la malaria non c’è vaccino, e non c’è nulla che dica che alcune terapie supportive per combattere la malaria siano efficaci per la polmonite interstiziale, che è quella che fa morire in relazione al CoVid19. Stanno provando a casaccio ma ci arriveranno, abbiamo ricercatori bravi sia in Italia che all’estero. Ci sono però interessi su farmaci e vaccini e vitamine non brevettabili che rallentano. E questo è un male.  Come sempre, interessi economici rendono le persone avide e spietate.

Io sto benone, sempre mi manca molto il moroso, con cui ho solo scambi virtuali, interessanti e intelligenti ma appunto virtuali, ma sono molto fortunata e felice con Lucia, che mi ha fatto le méches e che mi tiene allegra.  Lei forse si laurerà in telematico, ma vedremo quest’estate… non si sa nulla.

Alessandro sta ancora lavorando, la Barbara invece l’han lasciata a casa: in Australia non c’è ancora il lockdown totale, ma dice Alessandro che stanno abbastanza attenti. Mah! Speriamo. Ancora non han capito, come noi, del resto. All’inizio, nessuno capisce. Nemmeno dall’esperienza degli altri, purtroppo. Ovviamente mio figlio ha ben chiara la situazione, visto che è in contatto con l’Italia. Quindi cerca di stare isolato il più possibile, pur lavorando (settore della bio-nutrizione, quindi son scienziati… quindi più consapevoli).

Mi è arrivato del lavoro e son contenta, sia nei brevetti che nelle tesi di dottorato, quindi ok. Ho anche aumentato la formazione a distanza e sto imparando l’uso di varie piattaforme interessanti, piene di possibilità e che funzionano veramente bene. 

Ho rallentato con Croce Rossa perché a mio avviso si perde troppo tempo, e i turni sono di 10/12 ore, e non su cose granché utili. Aspetto invece news da Protezione Civile.

Comunque hai ragione: la gente è pazza. Si passa dall’incuria e noncuranza più superficiali alla drammatizzazione più infantile e immatura: non siamo tanto diversi dagli americani che si buttano a comprare armi e scatolette. Io sto leggiucchiando Weber ed altri economisti e sociologi vari e mi fa abbastanza schifo essere agli arresti e obbedire a decreti che non passano dal Parlamento (che comunque non è nemmeno lui perfettamente legittimo) mentre la gente si impoverisce e si incazza e non ci viene detta la verità sulla pandemia: non c’è niente da fare, non mi fido e non c’è da fidarsi e, leggendo da tutto il mondo la stampa libera, mi accorgo che tutto può succedere. Ecco, questo non mi piace.  

Sono insomma “tranquilla ma all’erta” e osservo come si procede. Invece, quando esco per la spesa, vedo facce ombrose e reazioni isteriche e, anche se la gente è così, ci rimango sempre male. Le guardie del supermercato sfogano la frustrazione del loro lavoro del cazzo facendo i kapò, danno ordini in modo sgradevole e autoritario per sentirsi finalmente “comandanti”. Intorno a casa mia irresponsabili genitori fanno gruppetti coi figli e anziani stronzi fanno capannelli di discussione pubblica: non stanno capiti, come dicono qui.

La vedo lunga, cara. Spero solo sia l’occasione per rivisitare il modo di vivere che abbiamo stabilito… e di rivedere le priorità esistenziali.

Ho tanta voglia di vederti… ma gestisco. Fammi sapere se ti occorre qualcosa e tieni botta! Un bacione mascherato! 

Ti voglio bene».

Boukhbiza Mohamed da Casablanca

2 aprile

 «Salam

Che bello avere chi ti pensa. Grazie cara, conosciamo la fonte di tutte le catastrofi dove siamo stati sempre solo noi e la nostra terra, che paghiamo il prezzo, ora sono pure i loro interessi ad essere toccati. Dopo la tempesta dobbiamo unire le forze popolari mondiali decise per difendere noi e la nostra amata terra. Salam, M. Rafia».

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Fessure di vita (ph. La triplice Dea)

La primavera a Bologna sembra sia proprio arrivata. Dei bulbi che avevo piantato in autunno stanno producendo fiori, così questa mattina con il primo raggio di sole è arrivata incredibilmente un’ape a salutare il primo narciso appena sbocciato. Sono straordinari sensori loro. E così sta rinverdendo la menta palestinese che anni fa il mio amico Zaki mi ha portato dal suo paese Nablus e continuano a crescere le palmette di due piantine nate da noccioli di datteri che Kaled mi ha portato lo scorso anno da Gerico e le piantine di coriandolo e zenzero, dono di Kadijia dal Marocco. Non riesco a buttare quelle piante, quando mi hanno detto che il virus trasportato può annidarsi, anche, in mezzo a loro, mi è venuto da piangere. Sono come gli oggetti che ho in casa, i vasi, i piatti di ceramica, i tappeti berberi, persiani, che negli anni gli amici mi hanno portato dai loro paesi di provenienza. Quegli oggetti parlano. Come i libri che teniamo in casa, ascoltando i quali siamo vissuti.

Per non anchilosarci facciamo ginnastica, salendo e scendendo più volte le scale di casa, massaggiandoci gambe e braccia, rimanendo a letto a riflettere. Cercando di proteggerci, isolandoci, ma come proteggerci dall’isolamento? Fino a quando avremo resistenza e incolumità sia psichica che fisica? L’emergenza viene gestita con la logica della guerra: viene meno l’indagine sulle cause e si restituisce potere allo Stato per sorvegliare le persone comuni e per proteggere i signori del profitto. Tuttavia, su larga scala nascono inaspettate vie di fuga, tutte ancora da rafforzare. Azioni collettive come cooperare, solidarizzare, progettare, creare mondi nuovi, esprimere pensiero diventano antidoti alla solitudine e all’emarginazione. E, in una visione politica, rigettano l’idea che esista un’unica articolazione, quella dello Stato, per organizzarsi.

A Bologna moltissimi i gruppi di solidarietà su terreni diversi: sportelli per l’ascolto, spesa e farmaci a domicilio, attività di sostegno per gli anziani, consegna libri a domicilio, e tante altre iniziative gratuite on line. Le famose cucine popolari nate ormai da anni e presenti in alcuni punti strategici del territorio, hanno lanciato un appello per la richiesta di volontari. Hanno risposto in 500, legati al gruppo bolognese delle Sardine. Ieri, un mio amico del Bangla, integrato ormai nel nostro Paese, mi ha chiesto come fare per donare 500€ all’ospedale S. Orsola per l’emergenza in atto. Intanto arrivano tonnellate di materiale sanitario da Cina e medici e infermieri da tutto il mondo. Ma le mascherine diventate ormai un feticcio, un simbolo tragico, non sono mai sufficienti. Spariti dal territorio anche molti migranti, probabilmente oltre il pericolo contagio, vivendo di espedienti, la gestione della loro sopravvivenza, anche con il piccolo spaccio, è impossibile. Sembra che clandestinamente tentino di rientrare nei loro paesi dove, con le frontiere chiuse dovranno continuare a vivere da clandestini. Del resto, gommoni e trafficanti sono refrattari al distanziamento sociale.

Oltre la sofferenza e il dolore che gli uomini e le donne del mondo, stanno provando in questo momento, il dramma globale, e le quotidiane dichiarazioni dei politici, le loro incertezze, le loro incapacità, la loro impreparazione, le stesse parole incerte, frammentate degli scienziati, gli aggiornamenti sanitari: tutto ci giunge inquietante e aumenta la nostra confusione. Niente in questo clima può rassicurare. Io pretendo di capire. Voglio sapere la verità e quale progetto hanno Lor Signori in mente per il nostro futuro. Non posso trastullarmi con palliativi: esercizi di respirazione, rilassamento, contenimento delle ansie che ci propongono in reti Tv quasi unificate, né posso abbandonarmi ad altro che mi propinano. Voglio capire ma per capire devo conoscere. Devo sapere.

Quanto stiamo vivendo, per me, è come una continuazione dell’assalto alle torri gemelle. Ha la dinamica di una guerra non dichiarata, per la supremazia e il dominio mondiale. Ci sono dentro paesi, vittime ma anche carnefici. Qualcosa è sfuggito al controllo ma, comunque andranno gli eventi, grande vittima sarà la democrazia. Sapevamo che il sistema era già in agonia e che la fase storica era di transizione ad altro, ma sembra che  qualcosa di  imprevisto e forse di imprevedibile possa accelerare i tempi.

Non so come e chi scriverà la Storia di questi anni, con quale ottica, se tutto è già sotto controllo. Per questo ritengo che le storie personali, scritti anche brevi servono nel presente ma soprattutto nel futuro. Testimonianze, semplici spaccati di vita quotidiana, racconti ed esperienze perché la Storia continua e chi vive e scrive lascia traccia con le sue parole. Non si tratta di e-sistere ma vivere, noi non ci tiriamo fuori dalla realtà ma vogliamo vivere all’interno della Storia da protagonisti.

Cambierà tutto, dal lavoro ai comportamenti soggettivi, alle relazioni individuali e sociali. La socializzazione digitale non è una conquista per il bene comune, anche se vedo indispensabile e urgente la digitalizzazione di molti servizi. Temo l’uso ad oltranza della tecnologia. Abbiamo scoperto, in questo periodo, che in Italia ci sono ricercatori eccellenti giovani e meno giovani, di cui molte donne, ma mortificati dalle scelte politiche, antiche e recenti che penalizzano ricerca, sanità, scuola, emarginati quando non costretti a fuggire dal suolo natio con i loro cervelli. Abbiamo scoperto che la burocrazia può essere semplificata se si vuole, che nella sanità esistono medici eccellenti prima invisibili e inascoltati, che senza traffico nelle città molto inquinate si respira meglio, che il mare Adriatico, come del resto la laguna a Venezia, si sta ripopolando di pesci, che in molti boschetti sono ricomparsi animali spariti da tempo…

Vogliamo conoscere per sapere cosa sta accadendo e perché, e quando si tornerà alla “normalità” dovremo costruirne una nuova. Quella di prima ci stava già distruggendo.

Dialoghi Mediterranei, n. 43, maggio 2020

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Lella Di Marco, laureata in filosofia all’Università di Palermo, emigrata a Bologna dove vive, per insegnare nella scuola secondaria. Da sempre attiva nel movimento degli insegnanti, è fra le fondatrici delle riviste Eco-Ecole e dell’associazione “Scholefuturo”. Si occupa di problemi legati all’immigrazione, ai diritti umani, all’ambiente, al genere. È fra le fondatrici dell’Associazione Annassim.

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