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Ammentos. Archivio memorialistico della Sardegna: un’Arca delle Memorie

il centro in periferia  

74706442_2458353824491209_8561122963535953920_ndi Gavina Cherchi

All’origine di Ammentos. Archivio memorialistico della Sardegna c’è un interesse condiviso, da parte di un gruppo di studiosi, studenti, comuni cittadini, per la valorizzazione del ricchissimo patrimonio di diari, memorie, carteggi, archivi di famiglia, dell’Isola: una memoria sommersa fatta di scritture di gente comune, che narrano, a chi le sappia ascoltare, innumerevoli microstorie di vite “ordinarie”, oscurate dal cono d’ombra degli eventi straordinari registrati dalla macrostoria.

Una analoga convinzione ha dato vita, in Italia, intorno agli anni Ottanta del secolo scorso, all’ Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano, fondato nel 1984 dal giornalista e scrittore Saverio Tutino; all’Archivio della Scrittura Popolare di Trento; all’Archivio Ligure della Scrittura Popolare di Genova; e, in Spagna, all’ Archivo de Escrituras Cotidianas di Alcalá di Henares.

Riaffiorano così, grazie a un paziente lavoro di scandaglio di questi Archivi, da quella “memoria sommersa”, tracce di vite ordinarie, vite di gente comune. Uomini, donne, esuli, migranti, soldati, lavoratori, attraverso la parola scritta, soprattutto nelle guerre, negli esili, nelle migrazioni (eventi separatori per eccellenza), tentano di riannodare i fili spezzati delle relazioni interrotte, degli affetti familiari, delle abitudini del mondo di prima, di creare cioè un surrogato di presenza nell’assenza forzata dai loro universi domestici. Scrivono per fronteggiare il caos di eventi straordinari che hanno sovvertito l’assetto della vita quotidiana, ma anche per non diventare invisibili, non essere dimenticati, per lasciare una traccia di sé che non scompaia, non si dissolva, non si perda, nel mare del tempo, come la scia di un barca, del cui passaggio non resta memoria.

Far riemergere queste tracce che innumerevoli scriventi hanno depositato lungo le loro derive significa sottrarle al silenzio e restituire visibilità e dignità di testimonianza a frammenti di storie personali, di vicende private, troppo a lungo escluse da una Storia collettiva e impersonale. E si giunge anche a scoprire che – come scrive l’antropologo Pietro Clemente – «gli scritti di memoria della gente comune sono opere letterarie bellissime e impreviste, e che il mondo letterario non ha la pietas, la teoria e la pazienza sufficiente per imparare a leggerle».

Questi Archivi sono una straordinaria risorsa: questi diari, carteggi, epistolari, ma anche testi poetici e canzonieri, costituiscono un immenso polifonico repertorio di scritture popolari in cui la memoria prende corpo, diventa vita che si racconta, che vuole essere raccontata, passato che irrompe, non pacificato, nel nostro presente.

Allora, quando la memoria diventa “ferita che si riapre”, si rivela l’ordito nascosto delle esistenze degli altri, in cui si innesta e da cui si dipana la trama della nostra esistenza, della nostra storia, della nostra identità. Alla ricostruzione di questo ordito, cui gli Archivi di Trento, di Genova, di Pieve Santo Stefano, Alcalà, lavorano da anni, mancava finora il contributo della Sardegna.

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I libri e documenti dell’Archivio (ph. Blanka Meccanica)

Ammentos. Archivio memorialistico della Sardegna, rappresenta quindi, per la nostra Isola, un’assoluta novità: ideato e messo a punto da un gruppo di ricerca “accademico” (docenti, laureati e studenti del Dipartimento di Storia, Scienze dell’Uomo e della Formazione dell’Università di Sassari), prevede per statuto uno scambio culturale costante con il mondo “non accademico”, con la società civile, col territorio e con il resto del mondo, attraverso la sua attività di raccolta documentaria, di laboratori, seminari, convegni, mostre, pubblicazioni, partenariati e collaborazioni. Non è dunque solo uno luogo fisico, chiuso e immobile, di raccolta e custodia inventariale di documenti del passato, ma anche uno spazio simbolico aperto e dinamico, che mette in comunicazione quel passato con questo nostro presente, la scrittura popolare della gente comune, ancora viva di oralità, e la scrittura sofisticata dei letterati, degli studiosi e ricercatori, la prospettiva dal basso e quella dall’alto, la cosiddetta cultura egemone e la cosiddetta cultura subalterna. All’Archivio infatti può contribuire chiunque, e chiunque lo può consultare, interpretare, far vivere, gli studiosi come i cantastorie, gli specialisti come i comuni cittadini.

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Istallazione dell’artista A. Fresu (ph. Blanka Meccanica)

Ammentos valorizza così una idea di cittadinanza attiva che ha pure determinato la scelta di Ittireddu, quale propria sede. In questo  piccolo paese del Logudoro, non distante dalla città di Sassari, abitato da una comunità culturalmente vivace e coesa, l’Amministrazione, guidata dal Sindaco archeologo, Franco Campus, socio fondatore di Ammentos, ha messo a disposizione spazi idonei in comodato d’uso, e risorse finanziarie, a sostegno di questo progetto che dischiude interessanti prospettive di sviluppo culturale nonché economico (promozione delle attività legate alla ospitalità, alla imprenditoria e artigianato locali). Ammentos può così contribuire a porre un argine al rischio, che anche sul piccolo paese di Ittireddu incombe dello spopolamento.

Il sostegno di questa piccola comunità, e un finanziamento della Fondazione di Sardegna, hanno consentito all’ Arca di Ammentos di iniziare felicemente la sua navigazione, lo scorso maggio, con un importante Convegno Internazionale: «Scritture popolari: una “memoria sommersa”. L’esperienza degli Archivi nazionali e internazionali e la nascita di Ammentos». Con questo Convegno si è inaugurata la sede di Ammentos, presso l’ex scuola elementare, dedicata alla memoria di Gavino Cherchi, nato a Ittireddu nel 1911, insegnante, scrittore e partigiano, ucciso dai nazifascisti il 28 marzo del 1945 presso Colorno, e nel parmense, ormai da anni silenziosa e deserta, e che ora può rivivere e animarsi di presenze grazie ad Ammentos e alla Biblioteca comunale del paese che vi sarà presto trasferita.

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Ittireddu, chiesa di Santa Croce

Ittireddu, questo piccolo paese di cinquecento abitanti, ha saputo accogliere, con antica e collaudata ospitalità, numerosi studiosi, ricercatori, studenti e artisti, alcuni provenienti anche da molto lontano, e contribuire così a creare un atmosfera ideale per il dialogo, lo scambio, le progettualità. Il programma, deliberatamente interdisciplinare, delle due intense giornate di Convegno, con i nomi di storici, come (da Sassari) Marco Milanese, Attilio Mastino, Fiamma Lussana, (da Alcalà de Henares) Antonio Castillo Gomez, Veronica Sierra Blas, (da Pieve Santo Stefano) Nicola Maranesi, (da Trento) Quinto Antonelli e Michele Toss, poi antropologi, come Pietro Clemente (da Siena), Martina Giuffré (da Parma), Ella Johansson (da Uppsala), giuristi come Mario Tocci (da Sassari), esperti di archivistica come Enrico Fenu, scrittori come Diego Satta e Bernardo Demuro, artisti come Paolo Fresu, Claudio Nicoli,  ne è eloquente testimonianza. Emblematica, poi, e promettente per il futuro di Ammentos, è stata la partecipazione delle Associazioni culturali di Ittireddu, del Coro “Monte Ruju”, del gruppo folk, “Santu Jagu”, dell’Associazione ippica di Ittireddu, e della Compagnia teatrale “Sant’Alène”, degli amateurs che, assieme agli attori professionisti della Compagnia teatrale Theatre en vol, di Sassari, avrebbero dovuto dar vita a un reading itinerante nelle vie del paese, che causa maltempo, si è rapidamente commutato in una comunque memorabile performance all’interno della bella e scenografica Sala Consiliare del Comune.

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Un momento del convegno (ph. Blanka Meccanica)

Ed è lì, nella Sala consiliare che, grazie alla musica, e alla danza, questo incontro inaugurale è poi diventato una festa: in particolare, infatti, per la prima volta in assoluto, il Coro tradizionale di Ittireddu (con il Maestro Ciro Cau) ha incontrato un Quartetto di violoncelli del Conservatorio di Sassari (preparato dal Maestro Gian Battista Ledda), e le voci e i suoni della musica (cosiddetta)  popolare si sono uniti, legati, accordati, armonizzati con le voci e i suoni di strumenti della musica (cosiddetta) colta.

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Il coro tradizionale e i violoncelli (ph. Blanka Meccanica)

La novità ha sorpreso, incantato e commosso tutti, in particolare gli ospiti e relatori d’oltremare, per i quali era stato opportunamente predisposto un programma di sala bilingue, con i testi delle canzoni in lingua sarda e italiana, canzoni d’amore, per una donna e per il proprio piccolo paese, Ittireddu “biddighedda solitaria de Logudoro”, ma anche di ribellione, che appartengono alla tradizione musicale e poetica dell’Isola.  Ecco i testi in limba sarda e la traduzione in italiano.

 A diosa
di Badore Sini
Non potho reposare/ amore, coro/pessande a tie so/donzi momentu./No istes in tristura/prenda de oro/nè in dispiaghere/o pessamentu./T’assicuro ch’a tie/solu bramo,/ca t’amo forte/t’amo, t’amo, t’amo./ Amore meu, prenda de istimare/ s’affettu meu a tie  /   solu est dau;/   s’are giuttu sas alas a bolare, /    milli bortas a s’ora   ippo volau;/ pro benner nessi pro  ti saludare, /  s’atera cosa nono a t’abisare.
[Non trovo riposo, / amor mio, cuore mio:/ sempre verso te /è rivolto il mio pensiero./Non esser triste,/ o mio gioiello d’oro,/ non dispiacerti,/ e non preoccuparti per me. / Ti giuro di desiderare / soltanto te,/perché io t’amo follemente/ e follemente io ti amo./ Amore mio,/ gioiello amato,/ solo per te / corre il mio affetto;/ se ali avessi avuto / per volare,/ mille volte / da te / in un’ora sarei stato;/ per salutarti/ almeno / e non solo / per guardarti. Versione in lingua italiana di G.B. Ledda].
Sabore de antigu
di Costantino Iddas
 Ittireddu cun pagos abitantes,/ biddighedda solitària de Logudoro,/ custoida in mesu a tres gigantes/ chi l’abbratzant  comente cosa issoro,/l’alimentant cun venas abbundantes/ in mesu a su nuràgicu tesoro./ Un’alenu de respiru antigu/ s’intendet impare a su cimentu:/ crèsias, olias e àrbores de figu / nch’ant isfidadu sèculos de bentu,/ boes arados e farche pro su trigu /sunt mentovu de cale siat ammentu./ Totu est contadu in sa cantilena / chi si repitiant sos bajanos / umbras passadas de risu e de pena/ falant,  torrant in palinzos e pianos.
 [Sapore di antico. Ittireddu con pochi abitanti,/ paesino solitario in  Logudoro,/ incastonato in mezzo a tre giganti / che l’abbraccian  come fosse  cosa loro, / e lo nutron con le fresche sorgenti,/in mezzo ad un nuragico tesoro. / Un soffio, un fiato di respiro antico / si percepisce assieme a quel cimento: / chiese, oliveti e alberi di fichi / che hanno sfidato secoli di vento, / buoi d’aratura e falce per il grano, / in qualsiasi ricordo son presenti. / Tutto è narrato nella cantilena / Ripetuta dai giovani in paese, / ombre passate di pianto e di risate, / scendono e tornano in collina e al piano].
Procurade ‘e moderare
di Frantziscu Ignàtziu Mannu
Procurade ‘e moderare, / barones, sa tirannia, / chi si no, pro vida mia, / torrades a pe’ in terra! / Declarada est già sa gherra / contra de sa prepotenzia, / e cominzat sa passienzia / in su pobulu a mancare. / Custa, pobulos, est s’hora / d’estirpare sos abusos! / A terra sos malos usos, /  a terra su dispotismu; / Gherra, gherra a s’egoismu, / Et gherra a sos oppressores; / Custos tirannos minores / Est prezisu humiliare / Si no, chalchi die a mossu / Bo ‘nde segade’ su didu. / Como ch’est su filu ordidu /A bois toccat a tèssere, / Mizzi chi poi det essere / Tardu s ‘arrepentimentu; /  Cando si tenet su bentu / Est prezisu bentulare.
[Cercate di frenare, / baroni, la tirannia, / altrimenti, lo giuriamo, / vi disarcioneremo!/ La guerra contro la prepotenza / È già stata dichiarata / e la pazienza del popolo /ormai sta per esaurirsi. / Popoli, è giunta l’ora / d’estirpare gli abusi; / A terra, a terra le brutalità, / a terra il dispotismo; / sia guerra all’egoismo, / sia guerra agli oppressori; / questi signorotti/ è necessario umiliare. / Non osi chi fu inerte / mordersi le dita; / ora che la tela è ordita / spetta a voi tessere. /Tardivo potrebbe essere / un giorno il pentimento; / quando si alza il vento / è necessario trebbiare.  Versione in lingua italiana di G. B. Ledda].

La festa è poi culminata con le danze del Gruppo Folk “Santu Jagu”: antiche coreografie del passato, risvegliate dal suono travolgente della fisarmonica o organetto (su sonette) di Sergio Incònis.

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La violencellista (ph. Blanka Meccanica)

La musica e l’arte (le arti) hanno avuto un ruolo decisivo anche in occasione del nostro secondo Convegno interdisciplinare, intitolato Io ricordo. Identità e memoria nelle malattie neurodegenerative. Persone, esperienze, narrazioni (Ittireddu, 19 ottobre 2019), impeccabilmente curato nei dettagli dal nostro Socio Nanni Campus, e ispirato da un documento straordinario donato all’Archivio nel maggio scorso: le memorie (vergate a matita) di una anziana signora, Maria Elena A., con diagnosi di demenza in fase iniziale. A partire dal palinsesto di questa scrittura di memoria, e intorno ad esso, si sono intrecciati gli interventi di neurologi, geriatri, antropologi, educatori, assistenti sociali, caregivers, giuristi, filosofi, letterati, artisti. Maria Rita Piras, neurologa, Paolo Putzu, geriatra, Pietro Clemente, antropologo, Donatella Puliga, classicista e antropologa del mondo antico, Rosa Ferreri, del Centro Alzheimer del San Camillo di Sassari, Giampaolo Cherchi, giovane filosofo del Dipartimento di Storia, Scienze dell’uomo e della Formazione della Università di Sassari, di Ernestina Pellegrini, docente di Letterature comparate a Firenze e vicepresidente dell’Archivio della Memoria e Scrittura delle Donne, Mario Tocci, Docente di Legislazione dei Beni culturali presso il nostro Ateneo (e Socio Fondatore di Ammentos), assieme Antonio Davide, performer e artista visivo,  e ad Antonello Fresu, psichiatra e artista, autore di due installazioni “Ri-trascrizioni” e “Trattas” [Tracce], hanno indagato i chiaroscuri della memoria “fragile” di persone le cui identità, le cui esistenze, le cui storie, sembrano destinate a finire “disperse” nel silenzio della “terra incognita” delle malattie neurodegenerative.  Gli scritti di Maria Elena la sottraggono, assieme alla sua storia, a quel destino di silenzio: e la musica, quella di un violoncello solo che intercalava la lettura di alcune pagine, e ne colmava di risonanze i “vuoti”, le “intermittenze”, ha reso ineludibile il richiamo della sua voce, in tutti noi.

Ha scritto, a questo proposito, l’antropologo Pietro Clemente, Socio onorario di Ammentos, che era fra i relatori:

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Pietro Clemente al convegno

«Il convegno è finito, è ora nella memoria, è diventato esperienza. Nato come un incontro di diverse competenze intorno a un unico tema, quello più noto col cognome di uno studioso tedesco: ALZHEIMER, è stato – a detta di tutti i presenti – particolarmente intenso. Potrei dire bello. Ma è una parola abusata. Neurologi, geriatri, antichisti, antropologi, critici letterari, musicisti, artisti messi insieme hanno fatto una polifonia davvero rara, a tratti emozionante. Tutto stava intorno all’impegno di scrivere la sua vita di una donna colpita da quel tipo di malattia: al convegno c’erano sua figlia e sua nipote che la rappresentavano, che avevano aperto le porte della memoria privata a una riflessione comune. E tutti gli interventi sono stati in consonanza su questa dimensione, per evitare che Maria Elena, la donna che scrive: Io ricordo, diventasse ‘oggetto’ di ricerca e non soggetto, tutti abbiamo raccontato la nostra vita in compagnia della malattia, chi attraverso la madre, chi la nonna, chi la compagna o il padre, chi un collega o una collega. Un coro che avvicinandosi alla scrittura di Maria Elena faceva la polifonia giusta. L’idea che la ricerca è un essere insieme e un essere con. Molti ospiti venivamo dalla Toscana, per tutti è stato un incontro intenso anche per l’accoglienza. È stata una Sardegna ricca di storia, pensosa, ma insieme ancora capace di offrire la propria differenza, in forma di dialogo, come di cibo, di racconto e di memoria. Di piccolo paese che investe nella cultura per non scomparire e per sapersi trasmettere. Il sindaco archeologo ci guida al grande nuraghe di Torralba e ci racconta le cose incredibili che ha trovato negli scavi. Ci presta la sua esperienza di scoperte, con la testa ben concentrata su storie di tremila e più anni fa, ma con un racconto che parla con la voce della ricerca e dell’immaginazione. Simona maestra di cibi, consapevole che essere a tavola è anche una cerimonia, col marito pastore-scultore, è il ponte tra una generazione raccontata ed una che forse – speriamo – anche in futuro connetterà memoria del passato e progetti di avvenire. Gavina la presidente di Ammentos, studiosa universitaria di estetica, che vive tra Siena/Arezzo e Sassari ha avuto l’immaginazione giusta, forse il coraggio, di fare un convegno dove una ragazza col violoncello suonava Bach per commentare le memorie scritte di Maria Elena. Dove due artisti immergevano se e noi – con le forme dell’arte ‘postconcettuale’ – in una riflessione critica sui linguaggi, le comunicazioni di un mondo sempre più astratto e anomico. Dove nessuno era dello stesso specialismo dell’altro. Ho imparato molto e credo anche altri come me. Abbiamo lasciato un debito a Ittireddu, e dentro di noi credo sentiamo tutti il fermento di un lavoro iniziato che ci lavorerà dentro i pensieri. Che forse ci farà ritrovare».

Questo, per tutti noi di Ammentos, e per Ittireddu, il piccolo paese del Logudoro in cui l’Archivio dimora, è l’augurio più bello.

 Dialoghi Mediterranei, n. 43, maggio 2020
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Gavina Cherchi, nata a Sassari, dopo la laurea a Pisa in Filosofia morale, ha successivamente ottenuto un PhD in “Combined Historical Studies” presso il Warburg Institute (Università di Londra). È Professore associato di Estetica presso il Dipartimento di Storia, Scienze dell’uomo e della Formazione della Università di Sassari. Membro del comitato scientifico del “Giornale critico di Storia delle Idee”, della rivista “Fontes”, e di “Progressus”. È socio fondatore della Associazione Warburg- Italia (Siena, 1999), e Socio della SIE (Società Italiana di Estetica). Dal 2018 è presidente di “Ammentos. Archivio memorialistico della Sardegna” che opera da un piccolo paese della Sardegna, Ittireddu, in connessione con una rete di qualificati partner scientifici nazionali e internazionali. Tema centrale della sua ricerca scientifica è il potere delle immagini nella loro tensione dialettica col potere delle parole, nonché quello, necessariamente interdisciplinare, della “memoria” .

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