dialoghi intorno al virus
di Bernardo Tosco, Maurizio Tosco
14 aprile
Questo contributo si propone di formulare alcune considerazioni sulla situazione di crisi nel settore agricolo creata dalla pandemia. Esse rispecchiano i contenuti del progetto ‘Gocce dal Mediterraneo©’, elaborato dagli autori a partire dal 2017. Il progetto è stato presentato nel convegno ‘Un Faro nel Mediterraneo, Giornata di confronto sull’immigrazione accoglienza e interazione territoriale’ tenuto il 30 settembre 2017 presso il Centro IAMC-CNR, ex tonnara di Torretta Capo Granitola.
Il quadro generale
«L’emergenza Covid 19, che pure sta confermando il valore strategico del settore agroalimentare, ne sta però mettendo a nudo tutte le fragilità. Un evento di dimensioni epiche come quello che sta vivendo il mondo intero non può essere affrontato con interventi normali» (Ettore Prandini, Coldiretti).
L’epidemia in Italia ha fermato anche la filiera della produzione agricola perché la precauzione sanitaria dell’obbligo all’isolamento, ha fatto scomparire la componente della mano d’opera irregolare, principalmente straniera, impiegata per la raccolta. Questo fatto ha delle ripercussioni significative sulle produzioni attualmente in campo, le piante sono cariche di frutti deperiti, e quelle primaverili. Quindi sul rifornimento continuo di prodotti agricoli freschi per il fabbisogno della popolazione. Uno stato di cose che fa emergere un dato incontrovertibile e fin qui da tutti rimosso o occultato: la produzione agroalimentare italiana si regge in gran parte sulla manodopera straniera.
La Coldiretti denuncia con forza la gravità della situazione e la conseguente necessità di adottare “misure adeguate” a scadenza immediata, breve e lunga, sia per tamponare la crisi e per ridare fiato all’agricoltura che necessita di manodopera, sia per una riforma strutturale del settore agricolo la cui funzione è strategica soprattutto per garantire la sopravvivenza nazionale, in eventi calamitosi straordinari.
Tra le misure immediate si è suggerito di prolungare i permessi di soggiorno per i lavoratori stranieri censiti. Inoltre si è compresa l’importanza di considerare anche le migliaia di stranieri presenti in Italia e la cui domanda d’asilo non è stata accolta. La maggior parte di essi è costretta a vivere in condizioni poco dignitose e salubri che si manifestano ancor più pericolose in questa epidemia. Coldiretti ha dichiarato che si tratterebbe di una misura di equità e di «[…] salvaguardia dell’interesse e sicurezza nazionale in questa difficile fase in cui un eventuale pregiudizio all’agricoltura, nella sua funzione tutelare della sicurezza alimentare della comunità nazionale, sarebbe drammaticamente deleterio».
Le misure a lunga scadenza dovrebbero mirare anche alla tutela del patrimonio agroalimentare nazionale, alla luce del fatto certo «[…] che ormai circa 3 marchi storici su 4 sono già finiti in mani straniere e vengono spesso sfruttati per vendere prodotti che di italiano non hanno più nulla, dall’origine degli ingredienti allo stabilimento di produzione». La Coldiretti ha sottolineato che «negli ultimi decenni gli stranieri hanno acquisito quote di proprietà nei principali settori dell’agroalimentare italiano, dalla pasta all’olio, dagli spumanti ai gelati, dai salumi fino ai biscotti» ed ha accolto positivamente l’annuncio del ministro dello Sviluppo, Stefano Patuanelli, di voler estendere anche al comparto alimentare l’esercizio dei poteri speciali esercitabili dal Governo nei settori della difesa e della sicurezza nazionale – detto Golden power – a tutte le società che svolgono attività di rilevanza strategica e non più soltanto alle società privatizzate
L’emergenza da epidemia ci ha resi consapevoli del valore strategico rappresentato dai prodotti agricoli e delle necessarie garanzie di qualità e sicurezza. A tal proposito il presidente della Coldiretti Ettore Prandini ha ribadito:
«L’Italia è il Paese con più controlli e maggiore sostenibilità; ne potrà trarre certamente beneficio ma occorre invertire la tendenza del passato a sottovalutare il potenziale agricolo e alimentare nazionale. A partire dall’esigenza immediata di rendere subito operativi voucher agricoli semplificati per studenti, pensionati e cassa integrati, in attesa di creare corsie verdi alle frontiere interne dell’Unione Europea anche per la circolazione dei lavoratori agricoli. Infatti la chiusura alle frontiere ha limitato l’ingresso dei 370 mila lavoratori stranieri che annualmente contribuiscono nei campi alla produzione di ¼ del Made in Italy alimentare. Oggi tra le imprese lasciate aperte in Italia nonostante l’emergenza circa la metà lavora per garantire le forniture alimentari alla popolazione con oltre un milione di realtà divise tra 740 mila aziende agricole, 70 mila industrie alimentari e 230 mila punti vendita. La filiera alimentare continua ad operare con 3,6 milioni di persone con un valore dai campi agli scaffali pari a 538 miliardi di euro, il 25% del Pil italiano. Un sistema che poggia sull’agricoltura nazionale che si classifica al primo posto a livello comunitario per numero di imprese e valore aggiunto grazie ai primati produttivi, dal grano duro per la pasta al riso, dal vino alla gran parte dei prodotti ortofrutticoli ma anche per la leadership nei prodotti di qualità come salumi e formaggi» (Coldiretti).
In conclusione, l’agricoltura italiana e tutto il suo indotto occupano un posto centrale nell’economia italiana, sia in termini di produzione sia in termini di servizi e funzioni che risultano fondamentali per l’intera collettività: il presidio del territorio, la mitigazione degli effetti sul cambiamento climatico, il contributo alla sostenibilità e alla bioeconomia, la produzione di risorse rinnovabili. La situazione attuale rende necessaria una radicale revisione degli strumenti nazionali di politica agricola per ottenere effetti futuri significativi sull’economia e il lavoro. In più si dimostrerebbe una strategia efficace per favorire sia l’occupazione e l’emersione del sommerso, sia la tutela della qualità ambientale e paesaggistica del territorio nazionale. Quindi si auspica la proroga dei permessi di soggiorno per il lavoro stagionale in scadenza, iniziativa promossa anche dal quotidiano il Manifesto che ha pubblicato una ‘lettera-appello aperta a tutela dei migranti’ alla quale l’Istituto Euroarabo di Mazara del Vallo ha aderito, al fine di evitare agli stranieri di dover rientrare nel proprio Paese proprio con l’inizio della stagione di raccolta nelle campagne. Una esigenza che è resa più urgente dal caldo inverno che ha anticipato la maturazione delle primizie.
I lavoratori stranieri in Sicilia
Il Dossier statistico immigrazione 2019 pubblicato dal Centro Studi e Ricerche IDOS, per quanto concerne la Sicilia riporta i dati Istat dai quali si evidenzia che i lavoratori stranieri occupati attualmente nel settore agricolo sono il 27,3% rispetto al 7,6% degli italiani. Inoltre, ancora una volta, evidenzia il fatto che
«[…] le cause della ‘sindrome di invasione’ che ha contagiato anche parte della popolazione siciliana non hanno fondamento nelle statistiche. Al 1° gennaio 2018, i residenti stranieri in regione erano 193.014, cioè il 3,8% della popolazione complessiva che ammontava a 5.026.989, e al 31 dicembre dello stesso anno sono diventati 200.022, cioè il 4,0% della popolazione, scesa a 4.999.891. Nell’arco di un anno, la variazione percentuale della presenza straniera rispetto alla popolazione regionale non è andata oltre lo 0,2%. Da questi dati, inoltre, si evince che rispetto al 2017 la popolazione in Sicilia è diminuita complessivamente di 27.098 unità, una dinamica non nuova nella regione, visto che anche tra il 2016 e 2017 la diminuzione era stata di circa 30mila unità. Dal confronto tra il saldo negativo della popolazione totale (-27.098) e quello positivo dei residenti stranieri (+7.008) risulta che il numero di questi “nuovi residenti” – anche aggiungendo i nuovi nati stranieri – non riesce a compensare il deficit demografico complessivo della Sicilia. È chiaro che il deficit demografico dipende soprattutto dalla situazione economica e sociale in cui versa la regione e che ha costretto autoctoni e persino immigrati stranieri a lasciare l’Isola per cercare fortuna altrove. Solo nel 2018, sono stati 12.592, di cui 1.155 stranieri, coloro che sono emigrati all’estero, a dimostrazione che la vera emergenza a livello regionale non è l’invasione degli immigrati ma la fuga degli italiani».
Nel 2018 la Distribuzione territoriale degli stranieri nella regione registra due “sorpassi” rispetto agli anni precedenti:
«[…] la provincia di Catania che, con 37.591 unità, diventa la più popolata di residenti stranieri superando quella di Palermo che ne conta 37.092, e la provincia di Ragusa che, con 29.758 unità, perde il terzo posto che apparteneva a Messina dove ne risiedono 29.627. La graduatoria rimane invariata per tutte le altre province: con 21.101 residenti Trapani è al quinto posto, con 16.680 e 16.094 residenti troviamo rispettivamente al sesto posto Siracusa e al settimo Agrigento, Caltanissetta è penultima con 7.949 residenti e in ultima posizione troviamo Enna con 4.130. Dati comprensibili vista la debolezza del mercato del lavoro in queste zone depresse del centro della Sicilia. Se invece consideriamo il criterio dell’incidenza dei residenti stranieri sulla popolazione provinciale complessiva, Ragusa (9,3%) è al primo posto distanziando di molto le restanti province, tutte con un’incidenza inferiore al 5%: Trapani (4,9%) si trova al secondo posto seguita da Messina (4,7%) e da Siracusa (4,2%), mentre nelle altre province l’incidenza si ferma al di sotto del 4,0%» (Centro Studi e Ricerche IDOS, Sicilia, a cura di Hannachi, 2019: 443-444).
L’immigrazione clandestina
Il fenomeno del flusso migratorio clandestino è caratterizzato dalla persistenza di conflitti e crisi ambientali e umanitarie gravissime, che vengono sfruttate dalle reti criminali transnazionali, e favorite dalle «situazioni di corruzione e debolezza istituzionale nelle aree di transito dei flussi». Gli organismi di intelligence italiani valutano che la struttura dei movimenti migratori è caratterizzata da
«[…] fattori push e pull (tra i quali spiccano le condizioni di crisi dei Paesi di partenza e gli squilibri demografici ed economici tra aree del mondo). […] Si tratta di dinamiche estremamente aleatorie rispetto alle quali resta, viceversa, concreta e urgente la necessità che l’Europa risponda ad un fenomeno che la investe nella sua interezza esprimendo una posizione unitaria e condivisa. […] In tutti i casi, massima allerta è stata mantenuta in relazione al pericolo di infiltrazioni terroristiche tra i migranti in arrivo via mare o attraverso i confini terrestri» (Presidenza del Consiglio dei Ministri, Relazione annuale 2019: 90-91).
I lavoratori migranti in nero
In Italia, quando si affronta l’argomento degli immigrati rispetto al mercato del lavoro, generalmente si registra il pensiero diffuso per il quale gli immigrati «[…] se non lavorano, sono considerati dei parassiti, beneficiari abusivi di una spesa pubblica finanziata con le tasse pagate dai cittadini. Ѐ il caso oggi soprattutto dei richiedenti asilo, di cui molti contestano l’inazione ma nello stesso tempo ostacolano l’inserimento. Se gli immigrati invece lavorano, si espongono all’accusa di rubare posti di lavoro agli italiani» (CNEL, Ambrosini: 119). Nel mercato del lavoro italiano l’inserimento dei migranti extracomunitari presenta un tasso di disoccupazione relativamente basso. Ciò è dovuto sia alle caratteristiche intrinseche del mercato del lavoro informale, o lavoro sommerso, sia alla grande domanda di lavoro non qualificato. Questi aspetti caratterizzano il cosiddetto modello Sud Europeo o Mediterraneo.
L’Italia è il Paese europeo in cui
«[…] l’economia informale ha un peso significativo con un valore variabile tra il 20 e il 29% del Prodotto interno lordo» (CeSPI 2015). La tipicità del lavoro in nero consiste nelle condizioni di sicurezza quasi inesistenti in cui i lavoratori operano al suo interno. Alla situazione di irregolarità e quindi alla mancanza dei diritti di cittadinanza si aggiungono i fattori direttamente connessi ai settori lavorativi considerati non più tanto appetibili dagli italiani. L’inserimento dei migranti extracomunitari nel mercato del lavoro informale è caratterizzato da un tasso di disoccupazione basso perché essi sono flessibili, soprattutto agli inizi, e si muovono sul territorio nazionale «[…] senza troppe remore, accettano orari socialmente indesiderabili, non si tirano indietro di fronte a mansioni pesanti e sgradevoli. […] L’incidenza degli immigrati è più alta della media dove il lavoro è faticoso, precario, dotato di scarso prestigio e riconoscimento sociale: 17,2% nelle costruzioni, 17,9% nell’agricoltura, come pure negli alberghi e ristoranti, toccando un picco del 36,6% negli “altri servizi collettivi e personali”, in cui ricadono i servizi domestici e l’assistenza a domicilio» (Ministero del lavoro 2019).
Quindi gli immigrati «[…] rimpiazzano i lavoratori italiani nelle occupazioni meno ambite, soprattutto nei territori in cui le possibilità di scelta per questi ultimi sono più ampie. Giacché il mercato del lavoro italiano abbonda tuttora di lavori delle cinque P (pesanti, pericolosi, precari, poco pagati, penalizzati socialmente), ha attratto e impiegato nel corso di un trentennio centinaia di migliaia di lavoratori stranieri» (CNEL, Ambrosini: 119). Pertanto il loro contributo è diventato un fattore strutturale del sistema economico nazionale nel quale non tolgono lavoro agli italiani, e contribuiscono ad accrescerlo.
In pratica, la presenza massiccia di lavoratori migranti nel settore informale della nostra società, sottolinea l’urgenza di superare la concettualizzazione secondo cui l’economia sommersa, e al suo interno in particolare il lavoro informale, si ridurrà di pari passo con lo sviluppo economico nazionale o comunitario.
«[…] il mito di un Paese autosufficiente o talmente carico di disoccupati da non aver bisogno di importare manodopera dall’estero è contraddetto dal governo stesso, anche se venire legalmente in Italia continua a essere una lotteria per un numero ristrettissimo di fortunati. Nello stesso tempo risalta la mancanza di una strategia di ampio respiro, capace di configurare una rete di cooperazione con i Paesi con cui abbiamo interessi in comune, compresa la riammissione degli immigrati espulsi. Un volume più adeguato di ingressi autorizzati rappresenterebbe una vera alternativa al canale dell’asilo per i cosiddetti migranti economici. […] (Si aggiungono) esigenze di manodopera del nostro Paese, che non riguardano solo il lavoro stagionale e poco altro. Investono per esempio i fabbisogni delle famiglie italiane in termini di servizi assistenziali e domestici. […] Un altro ambito, poco regolato e variamente interpretato, è quello delle attività di mediazione linguistica e culturale, presso ospedali, scuole, tribunali, enti locali, negli ultimi anni soprattutto centri di accoglienza per richiedenti asilo e progetti SPRAR. Qui un certo numero di immigrati e soprattutto di immigrate con una base di istruzione superiore hanno trovato l’opportunità per mettere a frutto conoscenze ed esperienze legate alla migrazione e alla costruzione di ponti tra contesti culturali e lingue diverse. La riduzione dei finanziamenti pubblici per queste attività e le restrizioni del diritto di asilo tendono però a comprimere questi spazi, anziché ampliarli. […] Gli immigrati arrivano con un carico di speranze, forse enfatiche. I sistemi economici in cui si inseriscono hanno invece aspettative molto più rigide e atteggiamenti meno generosi. Gli immigrati però di solito non si scoraggiano né si ribellano. Sebbene delusi, non si tirano indietro rispetto ai lavori che vengono loro proposti. […] Come ha detto una volta uno di loro, esclusi dal capitalismo ufficiale, cercano di creare il proprio capitalismo» (CNEL, Ambrosini, 2019: 119).
L’Economia Non Osservata
A favore della tesi sulla produttività economica dell’immigrazione, il Rapporto dell’INPS del 2017 documenta un saldo netto annuo positivo di 5 miliardi tra contributi sociali versati e prestazioni sociali ricevute dagli immigrati. Però per valutare obiettivamene il PIL di un Paese, è necessario tenere in considerazione il peso della cosiddetta Economia Non Osservata (Non Observed Economy, NOE), ossia l’insieme delle attività non registrabili dall’indagine statistica diretta, per motivazioni diverse quali: le attività celate volontariamente al fisco, quelle produttive legali ma non autorizzate, quelle illegali, quelle produttive e dei rapporti di lavoro o di gestione di denaro e di risorse che non sono regolate da un contratto formale. Tutte queste, assieme al lavoro in nero o irregolare, costituiscono il sommerso economico nazionale. Gli studi hanno dimostrato che
«[…] l’economia sommersa non è un fenomeno residuale destinato a diminuire con l’aumentare dell’industrializzazione e delle opportunità offerte dal mercato, come volevano i teorici della modernizzazione. Al contrario, l’economia globalizzata contribuisce a far crescere l’economia sommersa, e la maggioranza della forza lavoro a livello globale appartiene oggi al settore informale. In Italia, secondo l’ISTAT, l’economia non osservata produce il 14% del valore aggiunto nazionale. L’economia non osservata, dunque, sebbene costituisca un costo in termini sociali e fiscali, allo stesso tempo è una fonte non trascurabile del prodotto interno lordo e contribuisce a alimentare l’economia del Paese» (CeSPI 2018).
La guerra dell’informazione contro i migranti
Nell’indagine condotta da Eurispes nel 2017, risulta che in Italia le notizie divulgate dai giornali sulla sicurezza
«[…] sono aumentate dall’8% al 16%, tra il 2016 e il 2017; quelle sui flussi migratori (emergenza migranti) e sulla criminalità dal 24% al 43%; quelle sull’accoglienza, invece, sono scese dal 34% al 24%. Sui media televisivi l’incremento è stato ancora più marcato: alla cronaca dei flussi è andato il 40% dei servizi; criminalità e sicurezza hanno raccolto il 34% delle coperture. Il Rapporto ‘Notizie da Paura’ di Carta di Roma […] registra un significativo incremento dei toni allarmistici: dal 27% del 2016 al 43% del 2017 (+16%). Vi è stata inoltre una forte erosione dei titoli rassicuranti: dal 10% al 5%, tra il 2016 e il 2017. Solo il 7%, invece, è stato il tasso di frequenza della ‘voce’ di immigrati, migranti e profughi nei servizi televisivi. […] La stagione della comunicazione 2017 sui media è stata caratterizzata da una forte presenza di notizie ansiogene e allarmanti nella cronaca del fenomeno migratorio. Un clima di apprensione dettato, non tanto dalla crescita dell’emergenza migranti e degli sbarchi, ma dall’agenda setting del dibattito politico» (EURISPES, 2018: 59).
Una strategia di Sicurezza nazionale per preservare il territorio agricolo
In generale, il termine sicurezza nazionale si riferisce allo svolgimento ordinato e pacifico della vita umana nell’ambito della comunità delle persone stanziate nel territorio di una nazione. Oggi questo concetto comprende diverse componenti collegate tra di loro da uno scopo comune: l’interesse nazionale, ovvero l’insieme degli obiettivi e delle ambizioni di un Paese in campo economico, politico, militare o culturale. Nella letteratura del settore, il compito di una strategia di sicurezza nazionale (SSN) è generalmente quello volto ad individuare: le minacce ai valori-chiave della sicurezza nazionale e le vulnerabilità del sistema-Paese nel rispondere a tali minacce; delineare un piano d’azione di medio e lungo periodo per fronteggiare le minacce; ridurre le vulnerabilità e promuovere gli interessi nazionali.
Secondo lo studioso Edoardo Camilli la SSN viene influenzata
“[…] da quella variabile soggettiva, la cultura strategica, che è il frutto dei valori e delle esperienze storiche di un popolo. La percezione individuale influenza la valutazione soggettiva delle minacce ed essa è a sua volta influenzata da fattori storici e culturali. Questo determina il livello di sensibilità di uno stato nei confronti delle minacce. Ad esempio, la presenza di tragedie subite nella storia recente da parte di una nazione (aggressioni, conquiste, catastrofi naturali, epidemie) aumenta il livello di sensibilità nei confronti di quel tipo di minaccia. […] In conclusione, il concetto di sicurezza nazionale rimane un simbolo ambiguo che necessita una costante ridefinizione dovuta al continuo mutamento degli scenari» (Camilli,2014: 11-12).
Dunque, per quanto riguarda lo scenario attuale, l’epidemia ha evidenziato chiaramente quanto sia indispensabile il mantenimento della efficienza e della continuità di produzione e distribuzione dei prodotti del comparto agricolo, particolarmente per fronteggiare situazioni difficili dovute ad avversità di natura eterogenea, e malauguratamente alle conseguenti frizioni nelle relazioni internazionali, che possano nuocere alla sicurezza nazionale. Perciò non è fuor di luogo avanzare l’ipotesi che sia necessario inserire la protezione del patrimonio materiale, immateriale e dell’indotto del settore agricolo, nella visione del concetto di sicurezza nazionale.
Il Capitale Naturale italiano come risorsa strategica
Il terzo “Rapporto sullo stato del Capitale Naturale in Italia” sottolinea quanto
«Sin dalle sue origini, l’agricoltura è stata tra i principali fattori umani di modifica dell’ambiente a fini di sostentamento. Con il tempo, la scala e l’entità delle modifiche ambientali sono aumentate esponenzialmente, garantendo ingenti risorse per le comunità umane (circa il 95% del cibo è prodotto dall’agricoltura) ma provocando un impatto ambientale di grande portata. […] Gli scienziati sono unanimi nell’affermare che “i sistemi naturali della biosfera costituiscono la base fondamentale del benessere e delle possibilità attuali e future di sviluppo per l’umanità”» (Comitato Capitale Naturale, 2019: 183).
L’epidemia che stiamo fronteggiando è una voce ulteriore che ribadisce e conferma tale affermazione. Quindi è opportuno che l’Italia assuma con maggiore impegno un ruolo rilevante come attore del cambiamento sia nell’ambito della politica agricola nazionale sia in quelle europee e nelle sedi internazionali. Infatti, ancora una volta, i beni naturali, pur essendo indubbiamente fonti primarie di tutti i valori d’uso e di scambio, non sono riconosciuti patrimonio prezioso e inalienabile e alla loro protezione sono allocate quote minime degli investimenti. L’indicazione di fondo contenuta nel Rapporto è che, adottando un’unità di riferimento e un sistema di misurazione comune tra gli Stati, si possa meglio comprendere e far comprendere il valore della natura, in particolare il capitale prodotto e quello naturale, nell’intento di pervenire a una misura complessiva della ricchezza delle nazioni. Tutta la ricchezza, anche quella che deriva dalla natura, compresa la parte goduta dagli esseri umani senza la mediazione del sistema economico, per proteggerla e conservarla con più efficacia. In altre parole bisogna
«[…] andare oltre il PIL nelle informazioni da considerare nei processi decisionali, consci dell’inadeguatezza della concezione monodimensionale che sottende alle valutazioni economiche per le decisioni aventi ad oggetto benessere e sostenibilità. È importante rilevare che i processi di quantificazione che, nel presente momento storico, sono promossi fortemente dal capitalismo naturale, sono in parte quegli stessi processi essenziali all’acquisizione della conoscenza, possibilmente sempre più dettagliata ed esaustiva, dell’entità e delle caratteristiche del patrimonio di natura esistente. […] La natura è un super-Capitale, un patrimonio di valore superiore. A rigor di logica, tutto il naturale rientra in questo super-Capitale, perché tutto, oltre che utile, ha un valore inerente: Capitale e super-Capitale sono fusi e confusi come due aspetti diversi di una medesima realtà» (Comitato Capitale Naturale, 2019: 160).
Il 1° giugno del 2018, la Commissione europea ha presentato un pacchetto di regolamenti recanti il nuovo quadro legislativo e di funzionamento della Politica Agricola Comune (PAC) per il periodo 2021-2027, i cui testi sono ancora oggi in corso di negoziato tra il Consiglio e il Parlamento europeo. Uno dei tre obiettivi generali della PAC mira a
«[…] rafforzare la tutela dell’ambiente e l’azione per il clima e contribuire al raggiungimento degli obiettivi in materia di ambiente e clima dell’Unione. A tal fine, sono individuati tre obiettivi specifici, tra i nove complessivi, che puntano a: contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici e all’adattamento a essi, come pure all’energia sostenibile; promuovere lo sviluppo sostenibile e un’efficiente gestione delle risorse naturali, come l’acqua, il suolo e l’aria; contribuire alla tutela della biodiversità, migliorare i Servizi Ecosistemici e preservare gli habitat e i paesaggi. Per realizzare tali obiettivi, ogni Stato membro dovrà presentare la propria proposta di interventi in un Piano strategico nazionale (PSN) della PAC (Art. 91)» (Comitato Capitale Naturale: 184).
In conclusione sarebbe auspicabile che nella definizione del nuovo Piano Strategico Nazionale, si cogliesse l’occasione dell’insegnamento ‘ampio’ offerto dall’epidemia attuale e si tenesse conto nella fase di pianificazione, per rispondere oltre che alle sfide del cambiamento climatico e alla perdita di biodiversità, alla definizione di modelli di studio di pratiche inclusive della mano d’opera dei migranti, da avviare nelle aree agricole economicamente più deboli e quasi sempre più vulnerabili dal punto di vista dell’infiltrazione malavitosa (caporalato). In questo modo si potrebbe dare una soluzione efficace e dignitosa al fenomeno della migrazione, aiutando il rilancio dei mercati agricoli locali, i quali caratterizzano in termini di valorizzazione e sostenibilità l’immagine qualitativamente alta della produzione italiana. Con ciò contribuendo ad accrescere il ruolo delle colture di nicchia, peculiari dei mercati regionali, e a dare continuità a quelle pratiche che sono utili alla biodiversità e alla conservazione del Capitale Naturale.
Dialoghi Mediterranei, n. 43, maggio 2020
Riferimenti bibliografici
Camilli E., Sicurezza nazionale: tra concetto e strategia, (2014) Roma, www.sicurezzanazionale.gov.it
Coldiretti, Un Piano Marshall per l’agricoltura, (2020 4-10 aprile) Roma, Il Punto Coldiretti Settimanale di informazione per le imprese del sistema agroalimentare.
Comitato Capitale Naturale, Terzo Rapporto sullo Stato del Capitale Naturale in Italia, (2019) Roma.
Consiglio Nazionale Economia Lavoro CNEL, XXI Rapporto mercato del lavoro e contrattazione collettiva 2019, (2019) a cura di M. Ambrosini, Roma.
Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria CREA, L’agricoltura italiana conta 2018, (2019) Roma.
EURISPES, 30° Rapporto Italia, (2018) Roma.
Centro Studi e Ricerche IDOS, Dossier Statistico Immigrazione 2019, (2019) Roma, IDOS.
Istituto nazionale di statistica ISTAT, Rapporto annuale 2019. La situazione del Paese, (2020) Roma, Streetlib.
Osservatorio Nazionale sull’Inclusione Finanziaria dei Migranti, (a cura di) Zupi M., collaboratori Hassan S., Mazzali A., Squintani L., (direzione) Frigeri D., Il contributo economico dei migranti che lavorano “In nero”, (2015) Roma, CeSPI.
Osservatorio Nazionale sull’Inclusione Finanziaria dei Migranti, (a cura di) Abenante P., (direzione) Frigeri D., Il rapporto fra migranti e finanza informale, (2018) Roma, CeSPI.
Presidenza del consiglio dei Ministri, Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza 2018, (2019) Roma.
Presidenza del consiglio dei Ministri, Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza 2019, (2020) Roma.
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Bernardo Tosco, ha conseguito la laurea triennale in Scienze politiche e delle relazioni internazionali con la tesi ‘Terrorismo liquido’ e quella magistrale in Studi strategici e scienze diplomatiche con la tesi ‘Convergenze divergenze dell’Italia e dei suoi maggiori partner europei nel Mediterraneo ed in Medio Oriente in campo energetico’, presso l’Università degli Studi Link Campus University a Roma. Nel corso degli studi universitari ha seguito tre corsi riguardanti il settore dell’intelligence di cui l’ultimo è stato il Master di I Livello di ‘Esperto in cyberinvestigation e social media intelligence’. Inoltre ha partecipato al bando di selezione indetto dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI/ CRUI), quindi assegnato al Consolato Generale d’Italia a Mosca. Attualmente frequenta il Corso di Master in Studi diplomatici presso la Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale a Roma.
Maurizio Tosco è un architetto specializzato in urbanistica e pianificazione territoriale, consolidamento e degrado del calcestruzzo. Svolge la libera professione occupandosi di attività diverse comprese tra la consulenza peritale giudiziaria, i rifiuti, l’ecologia, e il fenomeno migratorio africano. Studioso di storia militare, ha recentemente pubblicato L’Immacolata segreta del 1943. Il misterioso viaggio di Roosevelt a Castelvetrano, nella collana “Controstoria” di 21 Editore.
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