il centro in periferia
di Antonino Cangemi
In questi giorni, leggendo le cronache trapanesi del “Giornale di Sicilia”, mi ha colpito una notizia: la scomparsa a Castelvetrano di L.L., un povero cristo ultraottantenne trovato cadavere nella sua abitazione quando era passata già una settimana dal decesso. La notizia mi ha colpito per tanti motivi e mi ha suscitato più di una riflessione.
Non so quanto tempo fa, sicuramente poco prima del lockdown imposto dall’emergenza Covid-19, avevo incontrato quell’uomo in una centralissima via del paese dove sono cresciuto e dove ritorno nei fine settimana. Lo avevo visto invecchiato da come lo ricordavo, ma nei suoi occhi brillava lo stupore puerile di sempre. Avrei voluto dirgli qualcosa, ma non l’ho fatto e me ne dolgo: a un vecchio che viveva solo avrebbe fatto piacere scambiare due chiacchiere, e anche a me non sarebbe dispiaciuto.
L.L., negli anni Settanta, aveva fondato un partito e regolarmente presentava la sua lista a ogni rinnovo del Consiglio comunale. Racimolava pochi voti e i suoi comizi in piazza divertivano e si concludevano spesso in modo folkloristico. A ben pensarci, quest’uomo così umile e privo d’istruzione (faceva il barbiere ma non aveva una bottega in proprio) aveva anticipato col suo partito le istanze populiste che, tanti decenni dopo, si sarebbero imposte in Italia. A suo modo, dunque, era stato un precursore. Dichiarava che il suo partito non era né di destra né di sinistra e che la sua aspirazione era quella di diffondere, a Castelvetrano ma anche in Italia, il “benessere” e la “civiltà” e di mandare a casa i governanti incuranti del bene comune, “tutti manciatari” e non altro. Qualcuno riusciva a convincerlo e quando presentava la lista del suo partito vi figuravano alcuni suoi adepti.
L.L. apparteneva a una categoria eletta di uomini. Sì, una categoria eletta: quella degli “idioti”. Quegli uomini cioè che, nella loro disarmante semplicità e ingenuità, stanno come in un Olimpo, indifferenti a pettegolezzi, maldicenze, dicerie, cinismi della gente comune.
Vi è una grazia particolare negli “idioti”. Se Dio esiste – e in cuor suo ciascun uomo, anche il più irriducibile “ateo”, lo spera vivamente –, Dio predilige gli “idioti”. Un detto siciliano in qualche modo conferma questo assunto: “’Mbriachi e picciriddi Diu li aiuta” (anche nella variante “Asini e picciriddi Diu li aiuta”).
La letteratura, la grande letteratura, serve a chiarire. Si pensi al principe Misﬞkin, l’idiota di Dostoevskij, forse il personaggio più straordinario che la letteratura ci abbia offerto. Dostoevskij, quando lo creò, pensò a un novello Gesù in terra; il principe Misﬞkin è come un angelo caduto dal cielo, troppo buono tra tanta malvagità; ha un fascino unico e due donne se lo contendono. E straordinario, nella sua innocente follia, è pure il Don Chisciotte di Cervantes che lotta contro i mulini a vento. Né va dimenticato Gimpel, l’idiota in quel singolare racconto del premio Nobel Isaac Bashevis Singer.
Gimpel è un credulone, vittima di inganni sin da piccolo; adulto, sposa la donna più disonesta del paese, che lo tradisce e ha sei figli da un altro uomo, ma lui l’ama e ama i “figli” lo stesso perché è convinto «che tutto è possibile, come sta scritto nella Saggezza dei padri»; il rabbino lo aveva convinto: «È scritto, meglio essere stupidi per tutta la vita che malvagi per un’ora soltanto. Tu non sei sciocco. Gli sciocchi sono loro. Poiché colui che costringe il suo simile a vergognarsi, perde il paradiso».
Ma anche il cinema, il grande cinema, ci aiuta a comprendere. Chi non ricorda Forrest Gump nella magistrale interpretazione di Tom Hanks (il film, diretto da Robert Zemckis, fece incetta di Oscar)? Forrest Gump, che riconosce di essere “poco intelligente”, attraversa la storia degli Stati Uniti d’America nel trentennio compreso tra gli anni ’50 e ’80 del secolo scorso e a un certo punto decide di percorrere in lungo e in largo il territorio americano con la sua folle corsa; il suo motto: “Stupido è chi lo stupido fa”. Un pensiero va rivolto pure ai clown felliniani, così ricchi di folgorante umanità.
Tornando a L.L., il precursore del populismo in un grosso paese della Sicilia dell’estremo Occidente più vicino all’Africa che all’Europa, era un clown felliniano. Come ce n’erano tanti a Castelvetrano, quando Castelvetrano conservava ancora la sua anima di paese. Clown felliniani, oggetto di burle e sfottò nel paese, e comunque rispettati, in qualche modo protetti. Ne ricordo uno, per esempio, a cui le prostitute concedevano le proprie grazie senza nulla pretendere in cambio; un altro – lo chiamavano “lu Marasciallu”, chissà perché –: brontolava sempre e qualche volta bestemmiava, ma lo si vedeva spesso inginocchiato in chiesa raccolto nelle sue preghiere; a un altro ancora – “Antriuzza testa sicca” era alto e robusto ma con la testa piccolissima – alla visita militare chiesero di spogliarsi e lui rispose guardingo: “Lupu!”.
Magari vivevano soli, quei clown che facevano paura ai bambini ma che non avrebbero mai fatto male a una mosca. E però non erano mai soli, e non sarebbero morti abbandonati come è accaduto a L.L.. La comunità – dei vicini di casa, della gente dei cortili, dove si svolgeva tante volte la vita paesana – si prendeva cura di loro, sapeva come assisterli.
Castelvetrano, e come Castelvetrano molti altri centri anche più piccoli, da decenni hanno perso la loro dimensione di paese. Quando ero piccolo, e poi quando divenni ragazzo, il corso e la piazza erano sempre animati. Soprattutto la domenica. la gente, con addosso l’abito buono, era solita passeggiare e incontrare gli altri. Ogni occasione era buona per conversare. Di tutto: donne, politiche, affari, amenità varie. Ed anche i circoli ricreativi erano sempre pieni: si giocava a carte, per carnevale si ballava, si discuteva sempre del più e del meno. Oggi il “Sistema delle piazze” – che, detto per inciso, conserva un suo fascino per il palazzo Pignatelli, il teatro Selinus e le belle chiese, tanto che Tornatore fu tentato di ambientarvi il film Malena – è un deserto.
Nel corso degli ultimi decenni i ragazzi, non appena si trasferivano a Palermo o fuori dall’Isola per frequentare l’università, quando ritornavano in paese si guardavano bene dal radunarsi nei luoghi che un tempo frequentavano. Ciò si è verificato non solo per le nuove generazioni. Anche gli anziani si sono chiusi nei loro nuclei familiari e non s’incontrano più. Paradosso dei paradossi, il più importante circolo ricreativo – centro una volta anche di significative iniziative culturali quali, tra le altre, le rassegne di jazz del Brass Group – si chiama “Circolo della Gioventu” e il più giovane degli iscritti supera i sessant’anni.
Scriveva Pavese (La luna e i falò): «Un paese ci vuole, non fosse altro che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di te, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti». Inutile ribadire che se ci fosse stato ancora il paese, L.L. non sarebbe morto nel modo come è morto.
Ma proprio in questi ultimi giorni, nei quali, concluso il lockdown, si possono incontrare per strada altre persone, nella centralissima via dove ho visto per l’ultima volta L.L., mi sono imbattuto in un altro ottuagenario (Castelvetrano va sempre più diventando fedele alla sua etimologia: Castrum veteranum). Abbiamo scambiato due chiacchiere, e le chiacchiere, si sa, fanno sempre bene. Mi ha detto: “Lo sa, dopo tantissimi anni ho rivisto le rondini”. Malefico sì, il Covid-19, ma anche, incredibilmente, prodigo di doni e di ammonimenti. Le rondini non ci sarebbero state senza il lockdown e la tragedia del Coronavirus obbliga a ripensare i nostri modelli di vita. Ci fa capire, per chi vuol capire, che la natura va rispettata. Tanti gas di scarico, a cominciare da quelli delle auto che intasano le strade ormai nemiche dei pedoni, inquinano l’aria. La salubrità dell’aria che respiriamo e il rispetto delle leggi e dei cicli naturali costituiscono una prima e fondamentale difesa da epidemie così nefaste come il Covid-19.
Il che dovrebbe suggerire nuovi stili di vita; stili di vita che ripropongono le piccole comunità dei paesi come esempi virtuosi. Abbiamo abbandonato i paesi attratti dal consumismo sfrenato delle città. Adesso probabilmente è arrivato il momento di riappropriarci dei paesi, di ripopolarli per riconquistare spazi più vitali e sani. La “provocazione”, se così possiamo definirla, di Mimmo Lucano, il sindaco di Riace che ha fatto rivivere quel piccolo paese dando ospitalità ai migranti, potrebbe essere una guida. Come pure quella “corrente di pensiero” che fa capo al poeta Franco Arminio e che viene denominata “paesologia”. Tanto più se si pensa che un politico illuminato come Fabrizio Barca, quando era Ministro della Coesione territoriale, aveva promosso una collaborazione con Franco Arminio per riprogettare i paesi, ripopolarli e ricondurre a misura d’uomo le nostre vite convulse.
Oggi più che mai Pavese ha ragione: «Un paese ci vuole». Per ridare dignità a quegli “spiritelli” buoni baciati dall’ineffabile grazia dell’idiozia (chissà dove sono ora rintanati, dimenticati da tutti), per recuperare qualche briciolo dell’umanità che abbiamo smarrito, per non farci aggredire – concedendoci un modus vivendi meno caotico – da mali subdoli quanto letali.
Dialoghi Mediterranei, n. 44, luglio 2020
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Antonino Cangemi, dirigente alla Regione Siciliana, attualmente è preposto all’ufficio che si occupa della formazione del personale. Ha pubblicato, per l’ente presso cui opera, alcune monografie, tra le quali Semplificazione del linguaggio dei testi amministrativi e Mobbing: conoscerlo per contrastarlo; a quattro mani con Antonio La Spina, ordinario di Sociologia alla Luiss di Roma, Comunicazione pubblica e burocrazia (Franco Angeli, 2009). Ha scritto le sillogi di poesie I soliloqui del passista (Zona, 2009), dedicata alla storia del ciclismo dai pionieri ai nostri giorni, e Il bacio delle formiche (LietoColle, 2015), e i pamphlet umoristici Siculospremuta (D. Flaccovio, 2011) e Beddamatri Palermo! (Di Girolamo, 2013). Più recentemente D’amore in Sicilia (D. Flaccovio, 2015), una raccolta di storie d’amore di siciliani noti e, da ultimo, Miseria e nobiltà in Sicilia (Navarra, 2019). Collabora col Giornale di Sicilia, col quotidiano on-line BlogSicilia e con vari periodici culturali.
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