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Lockdown. Note etnografiche nelle aree del Materano

 

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Grassano, settembre 2019 (ph. Marina Berardi)

il centro in periferia

di Marina Berardi

Il presente contributo è una riflessione preliminare, uno sguardo a quanto accaduto nei mesi che, dallo scorso marzo, sono stati segnati dalla diffusione pandemica della Covid-19, in una specifica area, Grassano (piccolo comune del Materano), durante una ricerca etnografica che non poteva prevedere quanto sarebbe accaduto e dal quale non può prescindere ora.

La ricerca, che si colloca nell’ambito del percorso di dottorato iniziato alla fine del 2018 presso l’Università degli studi della Basilicata, è una riflessione critica e visuale intorno alle poetiche, politiche e retoriche dello spopolamento (Alliegro, 2019; Clemente, 2010; 2012; 2016; Teti, 2004; 2017; Pedìo, 1995) in alcuni piccoli comuni della Basilicata: Accettura, Grassano, Grottole e Irsina.

Tali aree, definite formalmente come aree interne (Barca, 2018; Lucatelli, Tantillo, 2018),  mettono in evidenza un uso di categorie spaziali connotate culturalmente che necessitano di uno sguardo trasversale il quale implica la necessità di interpretare, decostruire i processi e l’ampiezza dei fenomeni demografici e abitativi, in quanto dispositivi sociali, economici, politici e culturali che includono l’ecologia dello spazio e della cultura (Bateson, 1976), venendo a configurare scenari che ci offrono spaccati inediti, fluidi, mutevoli e interstiziali.

L’esperienza di trovarmi sul campo etnografico durante il lockdown mi ha dato la possibilità di guardare ai processi locali da una prospettiva altra poiché, quanto accadeva sul campo di ricerca, stava accadendo quasi simultaneamente in tutto il mondo. Il cadere insieme nel tempo, per riprendere un’immagine legata alle analisi sulle sincronicità di Jung, ha obbligato milioni di persone all’isolamento e al rallentamento dell’orologio e del bioritmo interno di ognuno. Si è configurata una cronotopia composta da ferite del tessuto collettivo e individuale, che dovranno essere cicatrizzate socialmente e individualmente nei tempi a venire al quale, l’antropologia, potrà sicuramente contribuire. Qualcosa di etereo e invisibile, come lo è la diffusione di un virus, ci ha impedito e ci impedisce di affidarci alla nostra struttura ermeneutica e esistenziale che caratterizza la nostra quotidianità, proiettandoci in direzioni poco note, come se abitassimo un corpo estraneo, in una sorta di stato di inafferrabilità cognitiva.

 Le note etnografiche di quei giorni, di questi giorni, a Grassano, diventano la messa in prosa dell’esperienza etnografica che si fa carico di questa attuale processualità. Grassano è un piccolo comune della provincia di Matera, conta circa cinquemila abitanti e, pur avendo una dimensione demografica maggiore rispetto agli altri paesi oggetto di analisi (Accettura, Grottole e Irsina), mostra una velocità di abbandono del territorio tale da collocarsi in scenari ipotetici e futuri poco confortanti. Nel corso dell’ultimo decennio il comune ha perso circa 700 abitanti, numeri che possiamo leggere e interpretare se accettiamo di andare oltre il dato demografico e includiamo un’analisi antropologica che guarda alle specificità del contesto, ai processi di lunga durata, nella loro strutturalità e non emergenzialità, e se accettiamo di vedere le stratificazioni di un fenomeno trasversale.

Grassano è per molti studiosi un luogo familiare poiché ospitò Carlo Levi, nei primi 45 giorni di confino che cominciarono il 3 agosto del 1935. Al suo arrivo il comune contava circa settemila abitanti e fu scelto, inoltre, tra il 1951 e il 1954, come paese campione nell’ambito di una Commissione parlamentare d’inchiesta sulla miseria in Italia e sui mezzi per combatterla che vide, tra i promotori, il parlamentare, di origine grassanese, Gaetano Ambrico. Questi, furono anni caratterizzati da una vivacità culturale e conoscitiva che ci lascia testimonianze dense, come ad esempio le testimonianze visuali di Annabella Rossi, del 1959 e del 1962, conservate presso l’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale a Roma.

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Grassano, 1959 (foto di Annabella Rossi, ICPI, AFM Fondo Annabella Rossi, inv. 726353-2)

La ricerca antropologica viene a collocarsi in questo contesto mutato e dinamico a cui non posso sottrarre la mia esperienza personale che mi vede coinvolta in un ritorno, dopo i miei studi universitari a Roma, in questo che è il mio luogo di origine, aggiungendo alle pratiche di interpretazione una visione interna, emica dei luoghi.

Durante la diffusione della Covid-19, gli scenari mondiali si sono trovati a collidere, apparentemente si sono annullate le tensioni tra i paradigmi dei mondi locali e globali e, sempre apparentemente, si sono annullate le idiosincrasie spaziali e sociali. Abitare uno spazio locale è equivalso ad abitare uno spazio interconnesso che sembra quasi trascendere le distanze reali. Quello che è accaduto a Grassano sembrava riprodursi, con le stesse logiche, a molte distanze.

 R. J. Gonzalez e J. Marlovits, in un recente articolo apparso nella rivista Anthropology Today (2020), sottolineano come il persistente digital divide metta ancor più in evidenza le contraddizioni di un mondo che si autorappresenta connesso e che, invece, mostra divari tecnologici importanti: «Technology infrastructures are, in other words, thin and unevenly distributed – and for many, more spectacle than real. Despite the celebratory rhetoric of tech executives, and the widely held perception that our students are digital ‘natives’ with easy access to technology, the ‘digital divide’ has never disappeared in Silicon Valley, much less the rest of America» una situazione che, ci rammentano i due autori, potrebbe portare alla luce l’oscurità epistemica (epistemic murk) di cui parla Taussig (1992).

In questa nuova mappa, dai contorni incerti, si avverte il rischio di smarrire le proprie coordinate interpretative e, il timore di naufragare, ci introduce nel vortice della vertigine che, tessuta intorno alla memoria di noi, genera la lenta e inafferrabile sospensione dello spazio, delle convenzioni e della quotidianità.

Possiamo guardare al lockdown a Grassano da diversi punti di vista. Da un lato, abbiamo la possibilità di esplorare le retoriche abitative e i transiti: i contesti locali sono tornati ad essere abitati non scevri da conflitti e contraddizioni; dall’altro, possiamo guardare ai nuovi confini dell’etnografia che, in un contesto simile, sono necessariamente mutati affiancando alla ricerca sul campo e, includendo, come spazio altro di osservazione e di pratica, lo spazio digitale, facendo così esperienza nell’ambito della cyber-ethnography; inoltre, il futuro prossimo della pandemia, vede il sorgere di una nuova mappatura che, basandosi su un ripensamento dei luoghi e di quelle aree considerate marginali, attribuisce,  alle stesse, caratteristiche inedite. Anche nell’ambito della Strategia Nazionale per le Aree Interne (SNAI), non sono mancate le riflessioni che vedono queste ultime alla luce di quelli che potrebbero essere i nuovi scenari post Covid-19 e di come possano essere considerate da oggetto di strategia a obiettivo strategico (Carrosio, Luisi, Tantillo, 2020). Ciò mette in evidenza le complessità retoriche e i diversi modi in cui si guarda ai piccoli centri.

Questi tre momenti riflessivi, su cui ruota lo sguardo e l’etnografia di questi mesi, portano al loro interno la densità ontologica dell’abitare che, come sostiene Heidegger, è un soggiornare presso le cose (1976: 101) e «il rapporto dell’uomo ai luoghi e, attraverso i luoghi, agli spazi, risiede nell’abitare».  Inoltre, portano alla luce la necessità di indagare il modo in cui è stato abitato e pensato lo spazio e il tempo Covid-19 a partire da prospettive ampie e diversificate.

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Grassano, 19 marzo 2020, volontari del C.o.c. durante la disinfezione delle strade (ph. Marina Berardi)

I tre momenti individuati sono qui riportati come scorci parziali che necessitano di analisi antropologiche appropriate. Per introdurre alcuni elementi critici, la lettura dei flussi culturali globali (Appadurai, 2001), dei processi migranti e dei transiti hanno assunto connotazioni completamente altre rispetto alle narrazioni dei mesi precedenti. La poetica intorno agli studenti fuori sede, ad esempio, si è stravolta durante il lockdown. La percezione emotiva dei transiti, l’ubiquità impossibile (Sayad, 2002), si è lasciata anche guidare dalla paura del contagio specie quando, a seguito della fuga di notizie che, in serata, avevano anticipato il contenuto del d.P.C.M. 8 marzo 2020, si è generata una situazione paradossale rispetto al contenuto dello stesso che invitava a limitare il più possibile gli spostamenti tra le regioni.  Ricordiamo la conferenza stampa di governo delle 3:30 del mattino e possiamo considerare l’8 marzo un momento spartiacque nella percezione dei transiti locali dove, per riprendere alcune immagini evocate dall’antropologo Vito Teti, i tornati, specie dalle regioni dell’Italia settentrionale, per la prima volta, non sarebbero più coincisi con coloro che, riabitando i luoghi precedentemente abbandonati, avrebbero potuto ripristinare l’equilibrio perduto e la paura del vuoto dei luoghi.

Durante il lockdown, la trasformazione e l’inclusione di nuovi termini nella nostra quotidianità ha messo in evidenza anche una trasformazione del mondo, di nuovi orizzonti di senso e di nuove forme di vita (Wittgenstein, 1999).  Alcune parole sono entrate a far parte della nostra grammatica linguistica e esistenziale. Con il lemma inglese lockdown si è designato il confinamento che ha accompagnato un altro concetto semantico: #stayAtHome tradotto nel leitmotiv: State a casa che, a sua volta, si è accompagnato al rassicurante motivo iconografico arcobaleno: Andrà tutto bene. In questo sipario tra noi e il mondo, il confinamento ci suggerisce che ci troviamo in una zona di confine, liminale (Turner, 1966), lungo una soglia in cui si è sentito e praticato l’eco del mondo.

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Grassano, 1 aprile 2020 (ph. Marina Berardi)

Le finestre, i balconi delle abitazioni si sono trasformate in spazi densi, in luoghi socializzati e socializzabili, estendendosi fino a diventare cassa di risonanza durante i numerosi flash mob. Anche Grassano, il 21 marzo, ha avuto il suo naso all’insù: alle 21 in punto l’amministrazione comunale ha sospeso l’illuminazione del centro abitato e, un’associazione locale: Vox Populi Vox Dei – Idee per Grassano che, insieme ad altre realtà locali, ha un ruolo strategico nella ricerca, ha realizzato delle riprese, tramite un drone, per riprendere quanti avessero acceso una piccola fonte di luce in segno di solidarietà alle vittime in una sorta di veglia simbolica collettiva.

Al 21 marzo in Italia si contavano 53.578 casi positivi, in Basilicata i casi di contagio salivano a 71 mentre, a Grassano, si è registrato il primo caso positivo, alla Covid-19, il 29 marzo, comunicato attraverso una diretta facebook del sindaco Filippo Luberto. In quelle ore e giornate di angoscia, la comunità ha trattenuto il respiro per timore dei destini incrociati (Calvino, 1973) guardando, con altrettanto timore, anche alla comunità deterritorializzata, la comunità dell’altrove.

La familiarizzazione con lo spazio digitale: le dirette facebook delle amministrazioni locali, la didattica a distanza (DaD), lo smart working, i webinar e tutte le occasioni di incontro e di socialità virtuale, hanno messo in moto, seppur in maniera ancora difforme, critica e problematica, come si accennava precedentemente, un processo che vede coinvolta la fattibilità e l’immaginazione di abitare aree che fino al mese scorso conoscevano trend di abbandoni rilevanti, contribuendo al cambiamento della geografia sociale economica e culturale dei piccoli paesi. Sarà utile osservare come questo tempo di incertezze potrà riflettersi nella scelta dei percorsi universitari del prossimo autunno e come cambierà la richiesta locativa nelle città in cui gli studenti fuori sede si recano abitualmente a studiare.

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Grassano, flash mob 21 marzo 2020. Frame estratto dalla ripresa drone realizzata da Vox Populi e dalla Amministrazione comunale di Grassano]

In questo scenario, lo spazio virtuale (Bausinger 2005; Dei 2016) diviene non solo oggetto di studio, ma anche luogo specifico dove risiede lo sguardo etnografico. In questi mesi, fare etnografia è divenuta una pratica inclusiva della cyber-ethnography come approccio metodologico che consente di avere una visione obliqua in un momento in cui il campo digitale è il luogo in cui risiedono la gran parte delle relazioni.

L’etnografia digitale si è configurata per me come pratica inedita che va a riformulare le distanze e il linguaggio nel campo di ricerca. Oltre ad osservare le reti, le relazioni, le dinamiche, i processi e le modalità di chi partecipa o di chi resta escluso dalla comunità, è stato altresì interessante rilevare i dati etnografici attraverso modalità digitali. Alle interviste in presenza dei mesi che hanno preceduto il lockdown si sono affiancate interviste qualitative su piattaforme digitali a loro volta videoregistrate. Le interviste sono state rivolte prevalentemente agli studenti fuori sede che hanno fatto esperienza diretta di questa condizione di liminalità e sospensione emersa con una particolare tensione emotiva durante il lockdown. Il campo virtuale ha permesso, inoltre, di osservare le modalità di appropriazione dello spazio locale attraverso pratiche di rievocazione della memoria come la raccolta di testimonianze, fotografie storiche e familiari, sondaggi su luoghi d’affezione praticati tramite alcuni social, tra cui Facebook e Instagram, ai quali poteva partecipare anche la comunità diasporica.

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Sondaggio facebook Vox Populi

Nei mondi locali le sollecitazioni etnografiche diventano imprevedibili e interconnesse e mostrano, con evidenza, come siano obsolete tutte le concezioni rigide legate al concetto di luogo. Essere a Grassano in questo tempo, caratterizzato dall’angoscia del non ritorno, del mai più come prima, è l’occasione per cogliere spunti che ci segnalano indubbiamente alcune trasformazioni profonde dettate dalle lacerazioni epidemiche, ma al contempo necessitano della sedimentazione temporale e metodologica di cui l’antropologia stessa ha bisogno poiché la sua condizione epistemologica è nei processi di lunga durata: osserva paziente e rinuncia all’urgenza, pur avendo sguardi ampi sul mondo. Il qui ed ora ha bisogno della distanza critica affinché l’antropologia possa essere in grado di fornirci la densità interpretativa così da poter decodificare, interpretare e restituire tali visioni del mondo. Accogliere queste contingenze è fondamentale per contribuire a determinare un discorso che possa aiutarci a ridefinire gli spazi e le strategie locali di auto e di etero rappresentazione.

Dialoghi Mediterranei, n. 44, luglio 2020
 Riferimenti bibliografici
Alliegro E. V., Terraferma. Un’“Altra Basilicata” tra stereotipi, identità e [sotto]sviluppo, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2019.
Appadurai A., Modernità in polvere, Meltemi, Roma, 2001 (ed. or. 1996).
Barca F., In conclusione: immagini, sentimenti e strumenti eterodossi per una volta radicale, in Riabitare l’Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste, a cura di De Rossi A., Donzelli, Roma, 2018: 551-556.
Bateson G., Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano, 1976 (ed. or. 1972).
Bausinger H., Cultura popolare e mondo tecnologico, a cura di Renzi L., Guida, Napoli, 2005.
Calvino I., Il castello dei destini incrociati, Einaudi, Torino, 1973.
Carrosio G., Luisi D., Tantillo F., Aree interne e coronavirus: quali lezioni?, in “Pandora Rivista” – https://www.pandorarivista.it/articoli/aree-interne-e-coronavirus-quali-lezioni/, 2020.
Clemente P., Paese/Paesi, in I luoghi della memoria. Strutture ed eventi dell’Italia unita, a cura di Isnenghi M., Laterza, Roma-Bari, 2010: 4 – 39.
Clemente P., Paesi, storie, persone, in Il cannocchiale sulle retrovie. Pietro Clemente: il mestiere dell’antropologo, a cura di Sobrero A., CISU, Roma, 2012.
Clemente P., Il centro in periferia, in L’Italia dei piccoli centri, volume monografico a cura di Dei F., Saccardi S., Siliani S., Trentanovi G., in «Testimonianze», 2016: 507-508
Clemente P., Ibridazioni e riappropriazioni. Indigeni del XXI secolo, in Riabitare l’Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste, a cura di De Rossi A., Donzelli, Roma, 2018: 368-380.
Dei F., Cyberfolklore: quando le comunità locali (ri)vivono simbolicamente in Rete, in L’Italia dei piccoli centri, volume monografico a cura di Dei F., Saccardi S., Siliani S., Trentanovi G., in «Testimonianze», 2016: 507-508
Gonzalez R. J., Marlovits J., Life under lockdown. Notes on Covid-19 in Silicon Valley, in Anthropology Today, vol. 36 no 3, 2020: 11-15.
Hannerz U., La diversità culturale, Il Mulino, Torino, 2001 (ed. or. 1996).
Heidegger M., Saggi e discorsi, a cura di Vattimo G., Mursia, Milano 1976 (ed. or. 1936).
Lucatelli S., Tantillo F., La strategia nazionale per le aree interne, in Riabitare l’Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste, a cura di De Rossi A., Donzelli, Roma, 2018: 403-416.
Pedìo T., Centri Scomparsi in Basilicata, Edizioni Osanna, Venosa, 1985.
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Taussig M., The nervous system, Routledge, New York, 1992.
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Wittgenstein L., Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino, 1999 (ed. or. 1953).

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Marina Berardi, dottoranda in Cities and Landscapes: Architecture, Archaeology, Cultural Heritage, History and Resources presso il dipartimento delle Culture Europee e del Mediterraneo dell’Università degli studi della Basilicata con un progetto di ricerca antropologica sullo spopolamento in alcuni piccoli comuni della Basilicata. Dopo la laurea in Discipline etnoantropologiche all’Università degli studi di Roma La Sapienza ha conseguito il diploma presso la Scuola di Specializzazione in Beni Demoetnoantropologici. Nel 2016 ha partecipato alla Missione Archeologica Italo-Irachena de “La Sapienza” ad Abu Tbeirah (Iraq meridionale) come antropologa culturale e fotografa.  Alcuni scatti del lavoro fotografico Dreaming Iraq sono stati pubblicati da National Geographic Italia. Lavora come antropologa visuale sui Beni DEA, spopolamento e cultura materiale soprattutto in Basilicata con attenzione alle condizioni umane, storie di vita, pratiche rituali, contesti migranti. Alcune opere fotografiche hanno ricevuto menzioni e premi in ambito nazionale e internazionale.

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