Il Mediterraneo di oggi è una bomba a orologeria. Il conto alla rovescia, per la sua esplosione, però, non è Mediterraneo.
Se fosse nel suo tempo, l’esplosione riguarderebbe la ricchezza repressa del suo passato di identità ibrido-conflittuale, ovvero l’identità di pace del suo molteplice con-vivere amalgamato. Le diversità cioè che si sono intersecate e si sono anche incrociate.
Qui, nonostante le varie guerre, la guerra e la pace non sono mai state la lotta all’ultimo sangue per il trionfo dell’UNO. La Dualità o la Molteplicità sono state lo scopo (non l’immortalità dell’identico del guerriero aggressore e l’annientamento dell’Altro, il cattivo alieno!).
Qui Oriente, Africa, Europa, le tre religioni monoteiste e tutti i mari e tutti i commerci, incrociati, hanno insediato le loro varie forme di vita (“Mille cose insieme”, Braudel) e salvaguardato il conflitto multiplo e le mutazioni geo-culturali come una compresenza multistratificata e plurima di civiltà, soggettività e soggettivazioni individuali e sociali. Non un solo mare, un solo paesaggio, una sola cultura, un solo modello.
Invece, il Mediterraneo odierno, colonizzato dalla guerra tecnologico-dronica americana, ha una sola voce: la guerra sarà la pace, ovvero lo sterminio totale dell’Altro, qualunque sia la sua forma di vita. Il Mediterraneo non sarà più il Mediterraneo, e già non è quello della simultaneità del non contemporaneo e del moderno, del lontano e del vicino, dell’ospitalità e dell’ostilità, del nemico e dell’amico, etc. Il Mediterraneo odierno (da Birgi-Marsala-Trapani a Niscemi, altrove e oltre) è invece quello disseminato dei tanti congegni di guerra – chimici, atomici ed elettronici – comandati a distanza dalla nano-mega tecnologia del “comando americano” invisibile, e come tante bombe a grappoli sparse per l’universo terraqueo e spazio-temporale.
È il comando dronico che non rischia la vita in combattimento: l’uomo che guida i droni di guerra, votata allo sterminio totale, non ha volto ed è immortale. È al sicuro dietro una scrivania tecnica e un calcolo di onde elettromagnetiche che uccidono senza essere uccise: immortali come gli dèi dell’antica grecità ma senza il corpo umano che gli dèi avevano e condividevano con gli altri animali.
Gli americani della guerra colonizzatrice sono i droni senza il corpo animale. I kamikaze di ieri e di oggi hanno invece, ancora, fortunatamente i corpi arcaici dell’“Uomo del mio tempo” – quello della fionda e della pietra – di Salvatore Quasimodo. Qui, ancora, la “parte maledetta” (quella animale) trova la sfida dell’emergenza dell’umano: il linguaggio, la ragione, la politica e l’utopia. Tra i kamikaze di ieri – i soldati giapponesi del secondo conflitto – e di oggi – le vite esplose della resistenza “arabo-musulmana” o dell’infinite guerre asimmetriche vecchie e nuove – anche i “No MUOS” di Niscemi e altrove che espongono la vita, la nuda vita, alla violenza altrui e alla morte assicurata.
Allora ciascuno la propria arma e la propria guerra: “Ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni”.
“La guerra” (o distruzione totalizzante contro la biodiversità eteropolitica) sarà “la pace”, per il monismo tecno-capitalistico dei padroni glocal.
Per noi, la guerra in corso e la prossima guerra, non sarà la pace: è la sfida del rimosso dell’utopia con l’arcaico perturbante e le contraddizioni storico-materiali determinate.