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In memoria di Lina Ben Mhenni

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Lina Ben Mhenni al Caffé del Teatro per un incontro tra i blogger

di Emanuele Venezia

Il 27 gennaio scorso la giovane attivista tunisina Lina Ben Mhenni ci ha lasciati a causa di una malattia autoimmune di cui soffriva fin dall’infanzia. Considerata dalla stampa internazionale, la più influente “blogger” e “cyberattivista” tunisina, definizioni fatte proprie da Lina stessa (vedi il titolo del suo libro Tunisian Girl: Blogueuse pour un printemps arabe. Ceux qui marchent contre le vent), la sua attività ci mostra qualcosa di più che un semplice para attivismo virtuale.

Infatti oltre all’aspetto dell’utilizzo intelligente del blog “A Tunisian Girl” che l’ha resa celebre in Tunisia e nel mondo, nei giorni caldi della rivolta popolare contro il regime di Ben Ali, Lina Ben Mhenni prediligeva il “lavoro sul campo”, sempre alla ricerca della verità e impegnata nella denuncia puntuale di ogni ingiustizia.

Figlia di un oppositore del regime di Bourguiba, Sadok Ben Mhenni, all’epoca militante del gruppo marxista-leninista Perspective oggi attivista sociale e per i diritti umani, Lina apparteneva alla media borghesia intellettuale progressista, sinceramente al servizio delle fasce più deboli della società tunisina, nonostante lei stessa fosse in un certo senso una “privilegiata” rispetto a molti suoi coetanei avendo avuto la possibilità di studiare negli USA e potendo in seguito diventare insegnante universitaria d’inglese nel proprio Paese.

Nel 2010 insegnava all’Università di Tunisi quando scoppiarono i primi tafferugli a Sidi Bouzid e non esitò a lasciare la capitale, telecamera nello zaino, per andare a documentare direttamente le pagine di storia che i contadini, i lavoratori ambulanti e il popolo della Tunisia interna stavano scrivendo in quei giorni, mentre ancora a Tunisi l’eco della rivolta non era arrivato e la vita quotidiana proseguiva regolarmente. Inoltre quello che in alcuni Paesi potrebbe sembrare una normale attività giornalistica, in un regime poliziesco essa assume una valenza differente: anche in “tempi di pace” spostarsi in una regione diversa da quella di residenza attira i sospetti delle forze dell’ordine, ancor più se si è una giovane evidentemente estranea alla regione agricola di Sidi Bouzid durante una rivolta in corso. Quelli che possono sembrare meri dettagli sicuramente saranno stati valutati e soppesati da Lina prima di prendere la decisione di andare e rischiare per dare il proprio contributo allo sviluppo delle condizioni materiali della Tunisia.

Negli anni seguenti la caduta del regime sostenne numerose battaglie progressiste nel Paese, a partire dalle istanze rivoluzionarie del popolo tunisino, in particolare il sostegno alle famiglie dei “martiri” e scomparsi della rivoluzione, naufragate di fronte alla capitalizzazione dei risultati della rivolta da parte di forze reazionarie e conservatrici di varie tendenze, apparentemente antagoniste: i “post-benalisti” di Nida Tounes ed Ennahdha, che attualmente sono alla seconda esperienza di governo congiunto. Contro la narrazione mainstream e occidentale che dipinge la Tunisia come un buon “esempio di democrazia nel mondo arabo” o come “l’unico Paese in cui la primavera araba è riuscita”, Lina Ben Mhenni in varie occasioni sbatteva in faccia la realtà ai giornalisti stranieri:

«Je ne pense donc pas que la Tunisie soit un exemple à suivre. Pour moi, lorsqu’on fait une révolution, c’est pour améliorer la situation. Je ne souhaite faire aucune comparaison avec la Libye, la Syrie ou un autre pays. En Tunisie aujourd’hui, ce n’est que restriction économique et sociale. Il y a encore un ou deux ans, je disais qu’on avait réussi à gagner une certaine liberté, notamment la liberté d’expression, en faisant tomber la barrière de la peur. Même cette avancée est désormais largement menacée»[1].

copertina-libroAveva questa visione nel 2016 che confermò anche negli anni successivi. Nel 2013 con il governo a maggioranza islamista al potere si apriva la stagione del terrorismo contro gli oppositori politici di sinistra e panarabisti, che ha lasciato “martiri” sul campo Chokri Belaid e Mohamed Brahmi; la stessa Lina Ben Mhenni, pur non appartenendo a nessun partito di opposizione, ma per il suo giornalismo di denuncia sia contro i membri dell’ancien regime che contro gli esponenti dell’Islam politico al potere, aveva ricevuto minacce di morte e per questo le era stata assegnata una scorta per proteggerla e probabilmente anche per controllarne le mosse; allo stesso tempo aveva avviato insieme al padre un procedimento giudiziario, non ancora conclusosi, all’indirizzo di alcuni poliziotti per essere stata arrestata e in seguito maltrattata da quest’ultimi mentre non erano in servizio e per un semplice diverbio. Secondo il suo modo di vivere e interpretare l’impegno politico, non si trattava di un fatto individuale e personale ma parte di quella battaglia complessiva per affermare la libertà di espressione e per infrangere la sacralità di cui le forze dell’ordine pensano di essere titolari rispetto ai “semplici” cittadini [2].

Nonostante le precarie condizioni di salute e la pressione del Ministero dell’Interno sulla sua attività, Lina in maniera dinamica continuò a sostenere i movimenti antigovernativi e anti regime come Manich Msemah [3] e riuscì anche a condurre un progetto imponendone l’approvazione proprio dallo stesso Ministero per ampliare le biblioteche carcerarie in vari istituti di pena nel Paese tramite la donazione di libri da parte di associazioni e cittadini. Andando controcorrente rispetto all’approccio securitario governativo mai cambiato nei confronti di criminalità e terrorismo anche nel periodo post “rivoluzionario”, Lina infatti aveva sempre sostenuto che la soluzione di tali problemi non poteva essere puramente repressiva, ma che andava individuata nel contrastare il progressivo smantellamento dell’istruzione pubblica intensificatosi proprio durante il ventennio Ben Ali, dal momento che altre “armi” erano necessarie all’interno della cornice più ampia della “rivoluzione per la dignità” o “rivolta araba”, definizioni da lei usate e contrapposte a quelle improprie o inesatte di “rivoluzione dei gelsomini” o “primavere arabe” divulgate dal giornalismo occidentale.

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Tunisi, Lina Ben Mhenni

Recentemente aveva sostenuto il movimento delle donne battendosi per l’uguaglianza nel diritto di successione, tema spinoso in Tunisia essendo l’unica traccia di Charia [4] presente nel diritto privato tunisino nel Codice di Statuto Personale (l’equivalente del Codice Civile italiano). Infine una settimana prima della morte aveva partecipato come ospite ad un festival delle donne presso la sede di un’associazione nel cuore della Medina araba di Tunisi, organizzato dal Municipio della città.

Alla sua morte si è levato un coro di unanime cordoglio nel mondo politico tunisino, lo stesso Presidente della Repubblica Kais Saied si è recato in visita nella casa di famiglia per fare le condoglianze ai genitori della ragazza, allo stesso tempo Sadok Ben Mhenni ha dichiarato che gli esponenti politici conservatori e reazionari contro cui Lina ha combattuto per buona parte della sua vita non sarebbero stati i benvenuti il giorno del funerale.

Lina è stata un’attivista sociale e paladina dei diritti umani in Tunisia, una giornalista al servizio del popolo, una sincera democratica che, nonostante le avversità di varia natura, ha messo sempre al primo posto le battaglie che dal suo punto di vista avrebbero contribuito a rafforzare le istanze popolari per contrastare le forze restauratrici agenti sotto vecchie e nuove forme. È questo il contributo che Lina lascia ai giovani tunisini: l’esempio di abnegazione e azione concreta e diretta per cambiare positivamente la realtà materiale in cui viviamo contro ogni pessimismo e pregiudizio di immutabilità.

Un altro aspetto che mi ha personalmente colpito, è stato, durante il nostro unico colloquio in occasione nel 2017 di un suo tour di assemblee che ha toccato anche la città di Gabès in cui vivo, la sua apertura e disponibilità a dibattere su disparate tematiche nonostante alcune differenze di vedute (come sul peso, credo un po’ eccessivo, da lei dato allo strumento dei social media nella rivolta tunisina e alla categoria di democrazia vagamente intesa). Nessun irrigidimento o boria spocchiosa propria di alcuni personaggi pubblici, al contrario è stato piacevole spaziare in quei pochi minuti sui più disparati temi, quali ovviamente la condizione tunisina post-rivolta fino alla campagna internazionale di sostegno ai prigionieri politici rivoluzionari indiani, di cui Lina era a conoscenza dicendosi pronta ad approfondire la discussione per un eventuale sostegno.

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I funerali di Lina Ben Mhenni

Purtroppo successivamente non è stato più impossibile incrociarsi se non per pochi secondi in un contesto un po’ concitato e non proprio “ideale” per intraprendere una discussione durante una manifestazione di Manich Msemah. È emblematico il fatto che anche da morta, in un certo senso, abbia continuato a incidere sulla realtà: infatti in occasione del suo funerale a portare in spalla la sua bara fin dentro il cimitero sono state le sue amiche e compagne di lotta infrangendo un tabù patriarcale in un Paese a maggioranza musulmana, che secondo l’interpretazione dominante e attualmente diffusa dell’Islam vieta alle donne di partecipare ai cortei funebri dentro il cimitero.

Quest’immagine è rimasta impressa nella mente di molte giovani e adolescenti tunisine alcune delle quali non conoscevano chi fosse Lina Ben Mhenni e che adesso si sono interessate alla sua figura. Ciò a mio avviso vale molto di più, sul terreno concreto del miglioramento delle condizioni delle giovani generazioni di ragazze tunisine, rispetto all’istituzione di premi internazionali in suo nome promossi da organizzazioni internazionali come l’UE, non proprio campioni di diritti: basti pensare a ciò che avviene nel Mediterraneo, quel Mediterraneo che Lina sognava mare di pace e di dialogo fra i popoli.

 Dialoghi Mediterranei, n. 44, luglio 2020
 Note
[1] Cit., Lina Ben Mhenni : “La Tunisie n’est pas un exemple à suivre”, articolo apparso online su TV5 Monde, il 14 gennaio 2016 in occasione del quinto anniversario della caduta del regime di Ben Ali. Consultato il 15/06/2020.
https://information.tv5monde.com/info/tunisie-cinq-ans-apres-la-chute-de-ben-ali-entre-espoir-et-deception-81170.
[2] CFR, ibidem.
[3] Io non perdono, movimento nato ad hoc contro una proposta di legge di riappacificazione economica con gli uomini d’affari legati al vecchio regime.
[4] Diritto musulmano.

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Emanuele Venezia, laureato nel Corso di Laurea Magistrale in Cooperazione e Sviluppo presso l’Università di Palermo, dottorando presso l’Università di Manouba (Tunisi) in Civiltà contemporanea con una ricerca comparativa diacronica inerente la comunità siciliana di Petite Sicile (La Goulette, Tunisi XIX e inizio XX sec.) e la comunità tunisina di Mazara del Vallo. Attualmente insegna italiano applicato all’economia in Tunisia.

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