Sin dalla seconda metà degli anni cinquanta, come ha messo in luce Ortega Y Gasset [1], si è avviato un processo di costruzione dell’uomo-massa, che castra le potenzialità creative del singolo e che negli ultimi decenni si è accentuato fino a prefigurare una società della sorveglianza.
La famiglia e la scuola, nelle odierne società complesse, devono fare i conti con la comunicazione di massa, che esercita un grande influsso sulle nuove generazioni. Infatti, a seguito della progressiva perdita dell’egemonia culturale da parte della famiglia e della scuola, i ragazzi subiscono l’influenza dei mass-media, in primis la Tv commerciale e poi la carta stampata, internet, ma anche dai gruppi di coetanei e tramite i sociali. Dagli input dei mass-media, c’è il rischio che i fanciulli e i giovani ricevano una serie di informazioni polverizzate, oltre all’irruzione di un modello educativo individualista, conformista e consumista.
Le classi dominanti hanno avuto sempre interesse ad assumere il controllo dell’istruzione e dei media per orientare le opinioni e le credenze, manipolare l’opinione pubblica in modo da trasmettere l’ideologia dominante e da fare percepire alle persone i loro bisogni in termini di consumo di beni, di competitività e ascesa sociale, d’individualismo, di disinteresse della cosa pubblica. Ci sono due modi per esercitare il controllo sociale in campo culturale: tenere il popolo nell’ignoranza o organizzare il consenso attraverso l’istruzione e i mass-media, che permettono ad alcuni di “essere più uguali degli altri” [2].
Dopo l’avvento della borghesia al potere, questa ha teso ad esercitare l’egemonia culturale attraverso il possesso dei mass-media, che manipolano, controllano e diffondono notizie e conoscenze, secondo gli interessi dei loro proprietari. Oggi la globalizzazione neoliberista ha ridotto la società globale a una sola dimensione, a un pensiero unico, perché il pensiero della classe dominante è stato fatto proprio anche dai professionisti della politica che sono a capo dei partiti che si rifacevano ai valori della sinistra.
La scuola storico-culturale, a partire proprio da Vygotskij, ha mostrato che i processi superiori, come il linguaggio e la coscienza, hanno la loro origine nei processi storico-sociali. Lurija [3], richiamandosi a Vigotskij, dice che «le radici delle funzioni psichiche dell’uomo si trovano al di fuori del suo organismo biologico, nelle condizioni oggettive della sua esistenza sociale». Il linguaggio, in un sistema di produzione linguistica, in cui la classe dominante esercita il controllo della comunicazione, imponendo i canoni di formulazione e d’interpretazione dei messaggi, si presenta come alienato [4]. Faccio un esempio: se tutti usiamo le parole “i politici”, “la classe politica”, come fanno i giornalisti nei loro articoli e nei talk show, già implicitamente diamo per scontato che la politica sia una professione e invece noi tutti, come facenti parte di uno Stato, siamo politici, in quanto cittadini della polis e abbiamo il diritto-dovere di esercitare la cittadinanza attiva e di partecipare allo spazio pubblico.
L’ideologia riguarda tutta la sfera della cultura: politica, diritto, arte, religione ecc. Secondo Noam Chomsky e Edward S. Herman [5], il meccanismo attraverso cui avviene la manipolazione è costituito dalla “fissazione delle priorità”: esiste un certo numero di mezzi d’informazione che determinano una sorta di struttura prioritaria delle notizie, alla quale i media minori devono più o meno adattarsi a causa della scarsità delle risorse a disposizione. Le fonti primarie che fissano le priorità sono grandi società commerciali a redditività molto alta, e nella grande maggioranza sono collegate a gruppi economici ancora più grandi. L’obiettivo è quello che gli autori definiscono “la fabbrica del consenso”. La loro ricerca svela, grazie a numerosi esempi, il meccanismo attraverso cui il mondo dell’informazione mobilita l’opinione pubblica per sostenere e difendere gli “interessi particolari” che dominano nella società, cioè un sistema di propaganda estremamente efficace per il controllo e la manipolazione dell’opinione pubblica. Chomsky individua e descrive un decalogo della manipolazione dei media: la strategia della distrazione, creare problemi e poi offrire le soluzioni, la strategia della gradualità, la strategia del differire, rivolgersi al pubblico come ai bambini, usare l’aspetto emotivo molto più della riflessione, mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità, stimolarlo a essere compiacente con la mediocrità, rafforzare l’auto-colpevolezza, conoscere gli individui meglio di quanto loro stessi si conoscano.
La libertà di stampa rimane un diritto astratto, il cui esercizio è riservato ai detentori del potere economico. “L’industria della coscienza” crea bisogni indotti e disciplina la mente, trasmettendo un’ideologia del futile, un’assenza di valori e di obiettivi, indirizzando verso ciò che è superficiale, come i beni di consumo e la moda. Costruendo questo tipo di mentalità e di comportamento, la maggior parte delle persone accetterà la vita insignificante e sottomessa e dimentica ogni possibilità di prendere in mano le decisioni sulla propria vita.
Anche le radio e le televisioni sono in mano a imprese economiche, mentre la TV pubblica è lottizzata tra i partiti. Se essa facesse un’informazione oggettiva e seria, se fosse gestita democraticamente, potrebbe contrastare tutte le manipolazioni dei proprietari e dei direttori dei giornali, svelando le notizie false, stimolando le attitudini critiche. Come ha denunciato Pierre Bourdieu [6], la televisione privilegia la legge del mercato, insegue l’audience così come i giornali tendono ad aumentare le vendite, piuttosto che essere uno strumento di cultura e di crescita sociale. Si occupa molto di cose futili e depoliticizza, facendo male alla politica e alla democrazia. Non è neutrale. Ha un monopolio di fatto sulla formazione dei cervelli di una parte importante della popolazione. Scarta le informazioni pertinenti, che dovrebbero possedere i cittadini per potere esercitare i loro diritti democratici.
Il web, in particolare Internet e i social network, offrono una comunicazione diffusa e ricca di informazioni, di cui ciascuno può fruire. Tuttavia, bisogna essere accorti e critici e non prendere tutto per buono. Anche Internet si è rilevato essere un mezzo di controllo della privacy, strumento di sorveglianza e di riduzione di diritti. Come ha scritto Stefano Rodotà [7], «Internet evoca il mito fondativo della democrazia: l’agorà di Atene», cioè può creare le condizioni per praticare la democrazia diretta. Senza internet non sarebbe stato possibile la nascita di movimenti come quello di Seattle del 30 nov. 1999, Occupy Wall Street, gli Indignados, Podemos, non ci sarebbero state le cosiddette primavere arabe. Infatti, Internet coinvolge due miliardi di persone e permette di unificare e organizzare iniziative a livello planetario e può costituire una grande risorsa per l’esercizio della cittadinanza attiva e quindi per la democrazia. Tuttavia, aggiunge Rodotà, vi sono anche i rischi di manipolazione della realtà e di violazione della privacy, se non ci sono una chiara regolamentazione e seri controlli.
Da diverse ricerche emerge che i mass-media influenzano il modo di pensare dei cittadini e della politica, agendo sugli aspetti emotivi [8]. Occorre indagare su come i condizionamenti sociali penetrino nelle strutture più intime della psiche dell’individuo. Se i processi psichici umani, come percezione, memoria, coscienza si sviluppano e si strutturano fondamentalmente nella pratica sociale e relazionale dell’uomo, come io credo, essi mutano con il variare dell’organizzazione sociale. La psicologia potrebbe svolgere un ruolo fondamentale se fosse più attenta ai processi attraverso i quali l’ideologia viene interiorizzata e diventa parte integrante del modo di essere e di vivere.
Quel che voglio significare, riallacciandomi agli studi che sono stati fatti, è che sia i media tradizionali sia quelli attuali sono portatori d’interessi politici, sociali, economici o comunque hanno un progetto, un sistema di idee da affermare. Occorre essere consapevoli che i giornalisti, come ogni persona, hanno le loro opinioni, una loro visione del mondo e i loro interessi particolari. Perciò la notizia è sempre filtrata dal proprio modo di pensare ed è soggetta a pregiudizi e convinzioni personali. I mezzi di comunicazione, nelle diverse forme espressive, in generale, veicolano un insieme di opinioni che tendono al conformismo e a organizzare il consenso delle masse popolari.
Per esempio, se prima la politica era caratterizzata dalla relazionalità nella sezione di partito, nel lavoro, nei quartieri e nei comizi in piazza, oggi, i luoghi privilegiati della politica sono gli innumerevoli talk show, che trasformano la politica in dispute spettacolarizzate tra professionisti della politica e giornalisti, in un noioso e poco appassionante gioco delle parti, dal quale non emergono soluzioni di problemi, mentre i cittadini sono spettatori passivi.
La stessa scuola, a iniziare da Karl Marx a Louis Althusser, da Antonio Gramsci, a Pierre Bourdieu e J.C. Jean Claude Passeron, da Marzio Barbagli a Vincenzo Cesareo, è stata descritta spesso come sovrastruttura ideologica, come apparato di Stato, come luogo della riproduzione sociale, ma essa può essere anche luogo della trasformazione, come hanno messo in luce Franco Cambi, Giacomo Cives, Remo Fornaca, in Complessità, educazione democratica e Piero Bertolini in Pedagogia fenomenologica. Genesi, sviluppo, orizzonti e in Educazione e politica.
La maggior parte delle persone non riceve un livello di istruzione-educazione adeguato ed è proprio per questo che è fondamentale e urgente che la scuola formi i giovani al pensiero critico e alla capacità di decifrare e decodificare i linguaggi dei mass-media per capirne gli obiettivi e sapere trarne una propria opinione personale. È proprio per contrastare la massificazione dei cervelli che è importante potenziare e rigenerare l’educazione della scuola pubblica, per mettere a punto un modello plurale, ipotetico, stocastico, fondato sul dialogo, sul confronto e la partecipazione di tutti, con il compito di formare teste pensanti e libere, ossia l’uomo e il cittadino.
Al tempo stesso, è importante anche rendere permanente la collaborazione-partecipazione famiglia-scuola. Occorre sperimentare e sviluppare una vera e propria “pedagogia dei media”, finalizzata ad un’alfabetizzazione ai messaggi pubblicitari e ai linguaggi televisivi per i quali occorre provvedere a una specifica formazione per i docenti.
La scuola-laboratorio, fondata sul dubbio metodico, che tende a formare cittadini consapevoli, può essere l’antidoto necessario alla “fabbrica del consenso”. Bisogna avvicinare, sin dalla scuola primaria, i ragazzi a familiarizzare coi media e a fare conoscere i modi di produzione della cultura mediatica, mostrando come attraverso il montaggio delle immagini televisive si possa costruire una realtà arbitraria, o come minimizzando o rimuovendo o alterando un fatto, si possa ricostruire una realtà diversa da quella verificatasi. L’apprendere a decodificare i messaggi, a risalire dal messaggio manifesto a quello occulto permette una reinterpretazione della realtà socio-politica, una presa di coscienza e la genesi di una responsabilità personale.
Sono consapevole che si tratta di un’operazione a lungo termine, che passa dallo svelamento della falsa coscienza, cioè dal liberarsi da quello strato spesso di ideologia, di tradizioni e di condizionamenti, di relazioni di potere, di autoritarismi, di rispetto di convenzioni e gerarchie interiorizzate all’interno dei contesti di sviluppo e di socializzazione e che sono diventati comportamenti normali e automatizzati.
Occorre essere consapevoli del valore strategico della mobilitazione delle coscienze come strumento di cambiamento. Espandere il sapere e le competenze è nell’interesse generale di qualsiasi società. Un modello di sviluppo alternativo non può non partire dalla centralità di un’educazione che sviluppi un sapere critico, capace di fare accrescere consapevolezza e pensiero riflesso, creatività, riappropriazione di diritti e quindi fattore fondamentale per l’esercizio attivo dei diritti di cittadinanza.
Dialoghi Mediterranei, n. 44, luglio 2020
Note
[1] Ortega Y Gasset J. La ribellione delle masse, trad. it. Il Mulino, Bologna 1962
[2] Orwel G., La fattoria degli animali, trad. it. Mondadori, Milano 1984
[3] Lurija A.R., Neuropsicologia e neurolinguistica, trad. it. Editori Riuniti, Roma 1974: 72
[4] Rossi-Landi F., Semiotica e ideologia, Bompiani, Milano1972: 319 e ss.
[5] Chomsky N., Herman Edward S., La fabbrica del consenso, trad. it. Il Saggiatore, Milano 2006
[6] Bourdieu P., Sulla televisione, trad it. Feltrinelli, Milano 1997
[7] Rodotà S., Il mondo nella rete, quali diritti, quali vincoli, Laterza, Roma-Bari 2014
[8] Giacomini G., Psicodemocrazia. Quanto l’irrazionalità condiziona il discorso pubblico, Mimesis, Milano 2016
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Piero Di Giorgi, già docente presso la Facoltà di Psicologia di Roma “La Sapienza” e di Palermo, psicologo e avvocato, già redattore del Manifesto, fondatore dell’Agenzia di stampa Adista, ha diretto diverse riviste e scritto molti saggi. Tra i più recenti: Persona, globalizzazione e democrazia partecipativa (F. Angeli, Milano 2004); Dalle oligarchie alla democrazia partecipata (Sellerio, Palermo 2009); Il ’68 dei cristiani: Il Vaticano II e le due Chiese (Luiss University, Roma 2008), Il codice del cosmo e la sfinge della mente (2014); Siamo tutti politici (2018).
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