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Orti urbani di resistenza e sostenibilità

 

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Milano, area verde comunale antistante gli orti di via Rizzoli (ph. Francesco Valacchi)

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di Francesco Valacchi

Nell’intero pianeta sono coinvolti nella coltivazione di “orti urbani”, nelle loro varie forme, milioni di persone e la pratica, introdotta nel mondo occidentale negli anni Settanta/Ottanta, nel nostro Paese si è diffusa un po’ ovunque: sono circa novanta le amministrazioni comunali che la adottano. Decidere di optare per questo tipo di soluzione urbanistica ha un grosso valore direttamente riscontrabile nella sostenibilità ecologica della scelta ma anche in una più inclusiva dimensione sociale urbana.

L’aspetto della sostenibilità ambientale immediata è evidente nella destinazione d’uso dell’orto e negli effetti di questa sull’urbanistica dell’area o del quartiere interessati. Gli orti in sé per sé sono stati creati con un intento di recupero urbanistico e riqualificazione delle aree decadute come le ex-zone industriali contermini al centro città.

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Milano, area verde comunale antistante gli orti di via Rizzoli (ph. Francesco Valacchi)

Un’ottima esperienza a tal proposito è quella di Modena dove gli orti sono proposti in particolare alla popolazione più giovane e dove fra gli obiettivi principali dell’allocazione di spazi riqualificati a orti nella prima periferia troviamo le finalità didattiche ricreative e culturali della tradizione contadina (vengono organizzate periodicamente attività culturali ispirate dalla cultura contadina della città), la promozione della pratica della coltivazione a km zero e della coltivazione biologica nonché una risposta concreta ed un supporto ai cittadini in difficoltà economica.

L’adesione alla pratica in città è peraltro un’attività coerente a quanto definiva il sociologo della globalizzazione Ulrich Beck che in numerosi suoi scritti ha teorizzato un ritorno ad una riappropriazione della dimensione locale con la consapevolezza degli strumenti della globalizzazione. Una “glocalizzazione” dell’esperienza umana.

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Milano, orti urbani di via Rizzoli (ph. Francesco Valacchi)

Gli orti urbani, come camaleontiche evocazioni, assumono una caratterizzazione precisa dalla città che li ospita, dalla terra che li accoglie e dai coltivatori che li curano. A Milano, nei pressi della fermata metro Cascina Gobba, nell’estrema periferia Nord-est appare questo caotico agglomerato di minuscoli appezzamenti. Sono gli orti di via Rizzoli che emergono dal sabbione scuro delimitati da ringhiere rugginose o paletti di ferro di varia misura, rabberciati con avanzi di rete.

Sembrano, avvolti dalla nebbia che contrasta gli scuri toni della terra, con i loro piccoli spazi usati completamente, emanazione dell’estrema volontà degli anziani che li gestiscono e li condividono con una piccola colonia felina.

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Milano, orti urbani (ph. Francesco Valacchi)

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Milano, orti urbani (ph. Francesco Valacchi)

A Pontedera, nei pressi dell’uscita della Strada di Grande Comunicazione Firenze-Pisa-Livorno, grande mostro d’asfalto e cemento che taglia in due la campagna che da Livorno porta sino a Firenze, quasi a volersene fare beffe, sorgono gli “orti per anziani” del Romito. Con la loro maniacale organizzazione, geometrica suddivisione e uniformità dei materiali. Col giallo del bambù e il blu di alcuni fusti per l’acqua nella penombra del crepuscolo assomigliano ad un formicaio stranamente ordinato.

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Pontedera, orti urbani del Romito (ph. Francesco Valacchi)

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Scandicci, nuovi orti urbani (ph. Francesco Valacchi)

A Scandicci, Firenze, l’ultima assegnazione di orti è avvenuta il 20 giugno scorso. L’iniziativa ha avuto il coordinamento dell’associazione “Rete semi rurali” e ha goduto comunque di sovvenzioni (oltre che del supporto) dell’amministrazione comunale.

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Milano, orti urbani (ph. Francesco Valacchi)

“Rete semi rurali” ha concepito il progetto unitamente ad altre associazioni: “EticaMENTE” (una organizzazione di volontariato e commercio equo che promuove uno stile di vita sostenibile e solidale), “la Fierucola” (un’associazione di promozione sociale locale), la cooperativa sociale Gaetano Barberi che si occupa di riabilitazione di giovani adulti con disabilità, la ONLUS “Giglio del Campo” e altre realtà del volontariato locale.

Gli orti si trovano all’interno di un parco cittadino, il Parco di via Masaccio, sono stati distribuiti dando priorità ai più giovani (per coinvolgerli nelle buone pratiche agricole locali) e dispongono di infrastrutture nuovissime.

A Torino un appezzamento di orti molto interessante è sul corso del torrente Sagone, in un parco fluviale nei pressi di Mirafiori.

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Torino, orti urbani lungo il torrente Sangone (ph. Francesco Valacchi)

Si tratta del progetto “Orti generali”, un’iniziativa di sostenibilità ambientale curata da Stefano Olivari e Matteo Baldo, un architetto paesaggista e un sociologo.  Consiste in una concessione di spazi coltivabili che il comune di Torino fa a famiglie, gruppi o singoli per coltivare ai fini della sussistenza.

In questa contingenza la sostenibilità e le buone pratiche divengono terreno di una vera e propria installazione artistica, col messaggio principale iscritto fra natura e accesso alle risorse primarie.

 

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Torino, orti urbani (ph. Francesco Valacchi)

Purtroppo però in questo Paese, alle buone pratiche di sostenibilità ambientale e all’attività delle associazioni non si accompagna sempre la collaborazione dell’apparato burocratico. Durante il periodo di lockdown, quando l’attenzione alle realtà locali si è spostata sulle iniziative di solidarietà sociale, in pochissimi casi ci si è adoperati a sostegno delle opere di coltivazione urbana. Risulta pressoché incomprensibile ad esempio che in varie città, come Firenze, sia stata vietata la coltivazione applicando ai concessionari degli orti (comunali) misure repressive messe in atto dalle questure delle città e dalla polizia locale (mentre era perfettamente legittimato l’ingresso nei supermercati).

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Milano, orti urbani (ph. Francesco Valacchi)

Eppure gli orti rappresentano per alcune famiglie un vero e proprio mezzo di sussistenza. La loro coltivazione e il loro accesso sono uno strumento primario nel ridurre situazioni di scarso accesso ai bisogni primari e un’ottima forma di resistenza e aggregazione sociale.

Dialoghi Mediterranei, n. 47, gennaio 2021
Riferimenti bibliografici
U. Beck, Che cos’è la globalizzazione, Carocci, Roma, 1999
U. Beck, A. Giddens, S. Lash, Modernizzazione riflessiva: politica, tradizione ed estetica nell’ordine sociale della modernità, Trieste, Asterios, 1999.

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Francesco Valacchi, vive a Livorno, laureato in Scienze strategiche a Torino e Studi internazionali a Pisa, si è poi dottorato in Scienze politiche/Geopolitica nel 2018. Si occupa di geopolitica, geoeconomia e International Political Economy con particolare riguardo all’area asiatica. Ha pubblicato una monografia dal titolo: Le Federally Administered Tribal Areas: Storia e futuro dell’estremismo islamico in Pakistan e Afghanistan; è collaboratore di riviste come “Affarinternazionali” e dell’Istituto di Alti studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie, e della rivista RISE del Torino World Affairs Institute.

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