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Piccoli paesi e vaste prospettive

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il centro in periferia

di Nicola Grato

Apprendiamo da un articolo uscito su “il manifesto” del 4 febbraio 2021 a firma di Adriana Pollice che lo «0,5% dei residenti in aree interne o periferiche (poco più di 65mila persone contro i circa 13 milioni totali) gode di un centro di somministrazione del vaccino nel comune di residenza» [1]. Sono questi numeri davvero impietosi, specialmente nella difficile situazione epidemiologica nella quale versa il nostro Paese, che certificano inequivocabilmente che al di là delle buone intenzioni e delle energie che tanti uomini di buona volontà profondono nei territori, le aree interne, i piccoli paesi, sono ancora periferia, margine. Nello stesso articolo si cita un altro dato molto importante, cioè che soltanto il 6 per cento dei comuni con punti di somministrazione ha una popolazione inferiore ai 5mila abitanti.

Abbiamo avuto molte occasioni di riflettere, anche qui negli spazi aperti di “Dialoghi Mediterranei”, sull’impatto della pandemia nei piccoli centri, specialmente nel numero 43; le “umane dimenticate istorie” storie dei morti per CoVid-19 nella rubrica “Il centro in periferia” di Pietro Clemente all’interno del numero 47; inoltre diversi autori sul “menabò” n. 136 del 2020 si sono interrogati sul Covid-19 e le aree interne.

Una riflessione polifonica che a nostro avviso merita di essere segnalata è contenuta nel libro Aree interne e Covid (Lettera ventidue, Siracusa 2020), a cura di Nicolò Fenu, architetto e urbanista, quale risultato di una ricerca condotta da “Sardarch”, società cooperativa dell’Università di Cagliari composta da un gruppo interdisciplinare di progettazione e ricerca e che studia fenomeni di trasformazione urbana e territoriale [2].

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Foto di Barbara Pau

Un libro “imprevisto”, come in esergo al volume sottolineano Arnaldo Cecchini e Antonello Sanna, che è il risultato di una ricerca collettiva armonizzata con “pezzi” sulle aree interne scritta da filosofi, urbanisti, sociologi, architetti. Sabrina Lucarelli, che cura la parte introduttiva di questo libro, propone alcuni spunti di lettura/riflessione che dalle pagine del volume possono ricavarsi: comunità reali e comunità telematiche; la percezione dei luoghi del “confinamento”, le case, con un bellissimo scritto di Vito Teti; luoghi vincenti e luoghi perdenti; la terribile tentazione di considerare i paesi luoghi da “piccolo mondo antico”, piazze del bel tempo che fu; lontananza delle aree interne dai servizi, anche dai servizi essenziali (punti nascita, ospedali, consultori, scuole); virus e aree intermedie; aree interne non come luoghi di bisogni ma come aree di desideri; virus e impatto sul digitale nei paesi abbandonati; nuove forme di agricoltura coi mercati ortofrutticoli chiusi. Il Covid ha inoltre accentuato notevolmente le disparità tra persone. Molte suggestioni, non c’è che dire, occorre fare chiarezza e procedere ordinatamente.

Quali possono essere le “lezioni” che questa pandemia ci ha impartito. La sezione del libro intitolata Riflessioni pandemiche apre con un articolo dei sociologi Giovanni Carrosio, Daniela Luisi e Filippo Tantillo [3]. Gli autori dell’articolo ricordano in premessa la storia della SNAI (Strategia Nazionale Aree Interne), soffermandosi sulle esperienze registratesi nei luoghi marginali dell’Italia come esempi da seguire per meglio affrontare la pandemia e fare ripartire il Paese. In particolare, il gruppo di sociologi indica nella mobilitazione cognitiva delle persone (non solo gli esperti, ma proprio tutte le persone), nelle strategie politiche volte a radicare nei territori servizi di cittadinanza per migliorare la vita di chi abita in queste aree, investire sulla capacità locale di reazione collettiva al problema, nell’uso degli spazi liberi e nell’agricoltura.

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Foto di Barbara Pau

A proposito di agricoltura, abbiamo potuto notare a Mezzojuso, nostro osservatorio e marginale rispetto anche ai paesi madoniti inseriti nella SNAI, come la crisi pandemica abbia per forza di cose “riattivato” forme di coltivazione della terra e di vendita al dettaglio di prodotti da parte di giovani del paese, ma anche la donazione pubblica attivata dalle Commissarie del comune per le persone in difficoltà economica e i “carrelli della spesa” pensati dalle botteghe; anche a Bolognetta, ad esempio, sono stati organizzati banchi alimentari: piccole cose, tuttavia significative a nostro avviso specialmente in una comunità come quella mezzojusara reduce da un commissariamento con strascichi velenosi e inimicizie tra le persone: «Le prospettive vaste / non devono impedirci di vedere / vicino» [4].

 L’articolo dei tre studiosi termina con un auspicio: il digitale, strumento importantissimo per collegare le aree disagiate del Paese, è ancora in grave ritardo: la banda ultra larga avrebbe dovuto coprire circa l’80 per cento del territorio entro il 2020, ma soltanto 80 comuni su circa 6mila sono stati collaudati sin ora. Questo dato va incrociato con i risultati recentemente pubblicati di una ricerca condotta dall’Unicef con l’Università Cattolica del Sacro Cuore su un campione di 1028 famiglie italiane durante il lockdown di marzo 2020: ebbene, il 27 per cento di questo campione ha dichiarato di non avere avuto a disposizione le tecnologie necessarie per i collegamenti online, d’altro canto il 30% ha sostenuto di non avere avuto il tempo di seguire i figli, soprattutto i più piccoli [5].

Filippo Tantillo ci ricorda come le dissennate politiche neoliberiste abbiano negli anni marginalizzato sempre più i paesi dell’interno a vantaggio dello sviluppo confuso e improntato al consumismo vorace delle città:

 «Gli investimenti pubblici e privati hanno seguito il trend neoliberista dell’accentramento della ricchezza e della crescita delle diseguaglianze, e si sono andati concentrando in porzioni sempre più piccole del territorio nazionale, per fare scuole più selettive, attrezzare siti culturali per eventi remunerativi, università competitive, ospedali all’avanguardia, edilizia green, mentre nel resto del territorio si interveniva in maniera residuale, o al massimo compensativa, per non lasciarlo troppo indietro» [6].

Interessante la testimonianza che il sociologo riporta nel suo intervento: Vanni ha fondato una cooperativa che si occupa di vita nei paesi montani e, a proposito di distanziamento sociale dovuto alla pandemia, dichiara a Tantillo:

 «Sai, nelle nostre aree la distanza sociale è, in fondo in fondo, una consuetudine. Io vivo ad Amaro, provincia di Udine, un paesino che non arriva a 1000 abitanti. Guarda, io credo che questa sia in qualche modo la rivincita di aree interne: bassa densità abitativa, minori contagi, abitudine alle distanze sociali. Io esco vado in giardino, faccio una corsa nei boschi, mia moglie è appena rientrata da fare la spesa … Come sempre, solo che si esce per le necessità e basta» [7].
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Foto di Barbara Pau

Le aree interne sono il polso del Paese: dove sanità e istruzione incontrano difficoltà, dove ancora si vive in rifugi di fortuna a causa di sismi e frane la stessa democrazia non si può definire compiuta e la vita delle persone zoppica vistosamente. La diffusione dell’epidemia è stata certamente coadiuvata dalla mancanza di presidi di aiuto medico nei territori: ancora oggi chiudono punti sanitari, quindi la “lezione” che ci ha impartito il Covid non è stata recepita a dovere.

Ci sembra particolarmente importante l’intervento del geografo Francesco Chiodelli, il quale si interroga su un luogo comune rafforzatosi in questa situazione pandemica, cioè la dispersione residenziale quale risposta efficace alla crisi sanitaria in atto. Ebbene, secondo Chiodelli occorrerebbe ripensare i modi di vita nelle città piuttosto che favorire la “fuga” verso le aree interne: «È davvero la densità residenziale in sé a essere un problema o forse lo è la “densità fisico-relazionale” (intesa come densità di contatti fisici ravvicinati tra le persone) e i modi con cui questa viene vissuta?»[8].

La proposta di ripopolare i piccoli centri, i paesi abbandonati, i paesi vuoti è tipica di uno sguardo da turista della domenica: ci sono paesi difficilmente accessibili per questioni naturali (frane, smottamenti), per reti viarie disastrate (è il caso della strada statale “a scorrimento veloce” Palermo-Agrigento da Mezzojuso a Lercara), per assenza o smantellamento in atto di servizi essenziali. Occorre pensare, ripensare, città e aree interne; occorre una visione di spazi e territori concreta e ineludibile. I paesi e le città non sono entità astratte: il Covid ha mostrato il re nudo, ha mostrato il fallimento su tutta la linea delle politiche neoliberiste applicate a spazi e territori. Le buone pratiche territoriali non sono certo “formule” da poter applicare acriticamente a ogni spazio, a ogni paese, come ci ricorda Antonio De Rossi nel suo intervento intitolato significativamente Sull’importanza di spazio e territorio nel progetto delle aree interne: concentrazione, separazione e specializzazione le parole che definiscono astrattamente, secondo De Rossi, i territori: laddove sono state pensate politiche di tipo settoriale il virus, secondo lo studioso, ha colpito di più (area bergamasca e lodigiano). De Rossi indica nei progetti integrati e interconnessi (ricordiamo la teoria delle interdipendenze territoriali per la prima volta nel “Piano regolatore della Valle d’Aosta” di Adriano Olivetti degli anni Trenta) tra territori spazialmente diversi una via virtuosa da percorrere, abbandonando la logica dicotomica città-campagna, centro-periferia per dare vita, come dice Stefano Boeri, a veri e propri “contratti di reciprocità”, patti collaborativi tra paesi e città limitrofe [9].

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Foto di Barbara Pau

Altri notevoli spunti di riflessione provengono dalla sezione del libro intitolata Contributi critici, ad esempio sulla sostenibilità delle città (le cosiddette green cities) nell’intervento di Mario Cucinella ma anche nel lungo scritto di Nicolò Fenu (che fa riferimento all’enciclica di Papa Francesco Laudato si’) dal titolo Lezioni per le aree interne.  Questo contributo di Fenu è inoltre arricchito di dati recentissimi ricavati dal rapporto ISTAT 2020 La situazione del Paese del 3 luglio 2020.

Le aree interne sono paesaggi di conoscenza, dell’apprendimento, luoghi di elezione per progetti virtuosi, frontiere che diventano margini, possibilità di interconnessioni: tutto vero, tutt’al più certamente auspicabile. Ma noi che viviamo all’esterno, alla periferia delle aree interne riconosciute e beneficiate (Madonie) dobbiamo dire che nessuna di queste ottime pratiche è passata di qui. La Strada Statale 121 “a scorrimento veloce” è rallentata da lavori in corso infiniti, moltissime persone vanno via: chi in città per studio, perché in città lavora e non vuol più fare il pendolare; chi raggiunge parenti emigrati nel Nord Italia o all’estero. C’è chi muore, quotidianamente, e come abbiamo avuto modo di scrivere se uno muore in paese si chiude una casa, che sarà preda di fichi selvatici, erba di vento e muschio.

I nostri paesi sono organismi fragili, esposti alle intemperie, abbandonati ed esclusi de facto dai processi decisionali del “centro”. Elogio della fragilità: città e territorio per l’epoca (post-) pandemica è il titolo di uno scritto di Ivo Blečić e Arnaldo “Bibo” Cecchini. In questo testo, che conclude Aree interne e Covid, i due autori analizzano puntualmente uomini e luoghi fragili colpiti dalla pandemia: i  morti, innanzitutto, poi le case sovraffollate e invase per così dire dal digitale (quando le connessioni erano possibili), i precari retoricamente considerati “eroi” che hanno mandato avanti il Paese ma in realtà persone invisibili per tutti (dagli infermieri precari, ai netturbini, agli operatori di pulizie negli ospedali: tutte persone con retribuzioni da fame).

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Foto di Barbara Pau

La lettura di Aree interne e Covid non è certo consolante, mette a nudo molte criticità dei paesi ma anche delle città che si stanno confrontando con la peste contemporanea (o della contemporaneità?): i saggi contenuti in questo libro sono vere e proprie opere aperte, “cantieri” di discussione; le fotografie di Samanta Bertocci, Rita Cugia, Cèdric Dasesson, Giaime Meloni, Barbara Pau, Luca Spano e Alessandro Toscano che accompagno i testi sono anch’esse “saggi” per lo sguardo, perché i territori, gli spazi vanno prima guardati, profondamente osservati.

Le teorie delle “tre Italie” e in generale le teorie di derivazione prettamente economico finanziaria oggi non hanno concretezza sociale nella nostra vita, in questi luoghi residuali abitati da una umanità residuale, che una politica “cieca ai luoghi” ha condannato a fare a meno anche dei servizi essenziali. Perché le discussioni intorno alle aree interne non resti un profondo dibattito confinato nelle università e in tanti bei libri collettanei occorre davvero ascoltare i luoghi, le loro voci: durante il lockdown di marzo 2020 nei nostri piccoli paesi è emerso chiarissimo il problema delle famiglie di lavoratori autonomi che improvvisamente non hanno più avuto lavoro (falegnami, muratori, gestori di piccoli negozi); è già faticoso “sbarcare il lunario”, di certo la pandemia ha inferto un colpo quasi mortale alla fragile economia di questi luoghi. Non è un mistero che nella miseria culturale prima ancora che economica trovi terreno fertile il lavoro nero (peraltro impossibile durante il lockdown) e, soprattutto, la criminalità organizzata con la sua rete fitta di piccole illegalità, mezzucci, scappatoie. Chi si cura di questi problemi quotidiani dei nostri paesi? Vero è che ancora in questi luoghi si può respirare aria di cultura locale, ma come far sì che questa alimenti la vita di comunità sempre più parcellizzate, sempre più chiuse nelle case?

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Foto di Barbara Pau

E a proposito di case, abbiamo notato come la “distanza”, caratteristica peculiare delle aree interne, si sia praticamente dissolta con il “panopticon” di volti e interni delle videochat: i luoghi domestici sono risultati aperti, gli spazi intimi svelati. Ogni particola di luogo può essere visto, ma occorre osservare, capire per poter progredire, abbandonare il paradigma dicotomico che oppone paese a città a favore di un ascolto attivo e costante delle voci degli spazi intermedi, dei margini, tenendo sempre a mente le domande di senso sui luoghi marginali ben riassunte da Francesca De Rosa e Lorenzo Natella: «Quali dinamiche socio-economiche caratterizzano questi luoghi? Da quali conflitti sono attraversati? Quale vitalità politica sono in grado di esprimere?»[10].

 Occorre ascoltarli i luoghi, non colonizzarli anche culturalmente, perché ancora nei luoghi dell’abbandono ci sono storie che possono raccontarci di un passato ma proporre anche un futuro scritto dai giovani. Un dato importante, a questo proposito: la Svimez ha stimato che nel 2020 circa 45mila giovani meridionali abbiano fatto ritorno nel Mezzogiorno per lavorare in smart working: che impatto avrà questo ritorno? Sarà un’occasione per restare qui?

 Dialoghi Mediterranei, n. 48, marzo 2021
Note
[1] Cfr. Adriana Pollice, Piano vaccini, al via gli over 80 ma solo con Pfizer e Moderna, “il manifesto” del 4 febbraio 2021.
[2] Aree interne e Covid, lettera ventidue, Siracusa 2020, scaricabile gratuitamente all’indirizzo web https://www.letteraventidue.com/it/prodotto/405/aree-interne-e-covid
[3] Cfr. Giovanni Carrosio, Daniela Luisi, Filippo Tantillo Aree interne e coronavirus: quali lezioni?, in Aree interne e Covid, op. cit.: 26-32.
[4] Danilo Dolci, Il limone lunare, in Poema umano, Mesogea, Messina 2016: 68.
[5] Cfr. “il manifesto” dell’8/02/2021 articolo di Mario Pierro dal titolo Una famiglia su tre senza mezzi per seguire la Didattica a distanza.
[6] Cfr. Filippo Tantillo, La mutazione delle aree interne, da margini a nuove frontiere, in Aree interne e Covid, op. cit.: 35.
[7] Ibidem: 38.
[8] Francesco Chiodelli, Città, piccoli centri e pandemia, in Aree interne e Covid, op. cit.: 45.
[9] Cfr. Stefano Boeri, Sei sfide per il futuro post Covid-19, ibidem: 88.
[10] Cfr. Francesca De Rosa e Lorenzo Natella, Oltre la periferia, in “Jacobin” (www.jacobinitalia.it) 13 settembre 2020.

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Nicola Grato, laureato in Lettere moderne con una tesi su Lucio Piccolo, insegna presso le scuole medie, ha pubblicato tre libri di versi, Deserto giorno (La Zisa 2009), Inventario per il macellaio (Interno Poesia 2018) e Le cassette di Aznavour (Macabor 2020) oltre ad alcuni saggi sulle biografie popolari (Lasciare una traccia e Raccontare la vita, raccontare la migrazione, in collaborazione con Santo Lombino); sue poesie sono state pubblicate su riviste a stampa e on line e su vari blog quali: “Atelier Poesia”, “Poesia del nostro tempo”, “Poetarum Silva”, “Margutte”, “Compitu re vivi”, “lo specchio”, “Interno Poesia”, “Digressioni”,“larosainpiù”,“Poesia Ultracontemporanea”.

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