di Lina Novara
La facciata dell’ex chiesa di Sant’Agostino a Trapani è uno dei monumenti più significativi della città ed il rosone ne è diventato uno dei simboli [1].
La chiesa, in origine intitolata a Santa Maria del Tempio e poi a San Giovanni Battista, secondo la storiografia locale, fu fondata durante il regno di Ruggero II (1130-1154) per la munificenza del cardinale Arrigo Beccatellis che donò ai Cavalieri Templari il suo palazzo per farne la loro sede nella Sicilia occidentale. Rocco Pirri afferma che la struttura fu realizzata soprattutto «pro ospitandis viris peregrinis in Hierusalem navigantibus» (Pirri 1733: 377) ossia per ospitare i pellegrini che, durante la prima Crociata, partendo dal porto di Trapani, si recavano in Terra Santa [2].
I Cavalieri Templari, denominati originariamente Christi militia e successivamente, quando si insediarono vicino al tempio di Salomone a Gerusalemme, Militia templi, si stabilirono in Sicilia prima che papa Celestino II, il 9 gennaio 1144, invitasse i prelati dell’Isola a proteggere e sostenere gli stanziamenti templari nel territorio [3]. Nel 1312 papa Clemente V sciolse l’Ordine dei Templari e, come nel resto d’Italia, trasferì i loro beni ai Cavalieri Ospitalieri di San Giovanni, detti anche i Giovanniti, i quali a Gerusalemme ospitavano i pellegrini in ospedali e fortezze che, per circa due secoli, furono bersaglio di agguati, assedi e battaglie da parte dei musulmani [4].
Due anni dopo Federico III affidò la chiesa, con l’annesso ospizio, agli Agostiniani che l’ampliarono nei primi decenni del Trecento, compirono opere di abbellimento e di straordinaria manutenzione nel 1427 e la ristrutturarono nel secolo XVI cambiandone forse anche l’intitolazione con Sant’Agostino [5].
La chiesa, Duomo della città, fu sede delle manifestazioni civili e religiose del Senato cittadino e, nel 1535, Carlo V vi confermò i privilegi della città di Trapani.
Le fonti storiche e documentarie purtroppo non hanno tramandato l’anno in cui l’edificio gotico venne realizzato o rinnovato: non ci è dato sapere quindi se la facciata a capanna, con rosone e portale strombato a ghiere multiple, nelle forme che hanno resistito nel tempo e sono giunte ai giorni nostri, sia stata realizzata dai Templari tra la fine del XIII e i primissimi anni del XIV secolo, comunque prima del 1312, o invece dagli Agostiniani dopo il loro insediamento. Si ipotizza che della primitiva chiesa dei Templari rimanga, sulla parete nord dell’edificio, il portale ogivale murato, a lunghi cunei, con una figurina nella chiave dell’arco, ritenuta la raffigurazione di un templare e, dubitativamente, datata al secolo XIII [6].
L’elegante rosone che da settecento anni esprime il suo fascino, per la sua raffinata bellezza è stato ammirato, osservato e riprodotto in vari modi, senza essere, però, analizzato nella sua essenza.
È stato anche considerato simbolo «delle tre principali religioni monoteiste»[7]: una definizione che non trova riscontri storici o storico-artistici in un periodo in cui la Chiesa Cristiana non mostrava, di certo, «apertura» né verso l’Ebraismo né tantomeno verso l’Islam che aveva «combattuto» tramite i Normanni prima e le Crociate dopo.
La «Storia» ci insegna che la casata normanna degli Altavilla, per celebrare la conquista della Sicilia e il ritorno alla sovranità di matrice cristiana, dopo aver scacciato i Musulmani distrusse gran parte degli edifici costruiti dagli Arabi, promosse e favorì la costruzione di splendide e monumentali cattedrali nelle località che erano state teatro delle battaglie più cruente, e ripristinò edifici di culto cristiano che erano stati trasformati in moschee. A Mazara il «gran conte» Ruggero, dopo aver conquistato la città nel 1072 ed eretto la prima diocesi nel 1093, fece edificare una cattedrale probabilmente nel sito della principale moschea musulmana. Nel 1072 i Normanni, a Palermo, restituirono la moschea detta «Gami», originariamente cattedrale, al culto cristiano. Sempre Ruggero, a Catania, nel 1092, avuta la concessione di ripristinare la diocesi da papa Urbano II, ritenne opportuno costruire una nuova chiesa. Sotto lo stesso papa prese il via la prima delle «Crociate» ossia le campagne condotte, tra il 1095 e il 1272, dai Cristiani per assistere le proprie comunità della Terra Santa o per liberare i luoghi santi di Gerusalemme dall’occupazione islamica.
La «Storia dell’arte» ci insegna inoltre che, per quanto riguarda l’arte sacra, gli artisti erano obbligati a seguire determinati programmi iconografici, rispondenti a precisi dogmi, simboli, significati ed esigenze liturgiche, o destinati a finalità specifiche. Il rosone trapanese si contraddistingue per l’elegante composizione formata da dodici colonnine e da archi intrecciati, che con la struttura ornamentale a traforo, tipica nelle chiese romaniche fin dal secolo XII, forma una intelaiatura di chiusura che permette il passaggio della luce dall’esterno all’interno dell’edificio, verso il suo sacro contenuto. La sua funzione non è quindi solo di decorare la facciata ma anche quella funzionale di dare luce alla navata centrale.
Come si legge nell’Enciclopedia dei simboli, alla voce Ruota, il rosone è una ruota a raggi, alludente al dominio di Cristo sulla terra. «Spesso al centro del rosone delle chiese medievali (romaniche e gotiche) si trova la figura di Cristo la quale sta ad indicare il ruolo determinante del Salvatore al centro del progetto escatologico divino» (Biedermann 1999: 456) [8]. Il significato simbolico del rosone è pertanto correlato con il cerchio che, essendo una «linea infinita», senza inizio e senza fine, è simbolo di Dio, così come la ruota è simbolo di eternità.
Il fulcro del rosone è il centro da cui si dipartono, a raggiera, una serie di elementi architettonici o raggi. Esso è il centro della storia della salvezza, e la figura dell’Agnus Dei che sta al centro di molti rosoni, è l’Agnello-Gesù che, immolato, è risorto per la salvezza dell’umanità. L’agnello è al tempo stesso simbolo di luce, una luce spirituale che è guida nella notte per tutto il suo gregge. Secondo San Bernardo di Clairvaux dall’agnello proviene tanta luce ed in modo così incessante da potere creare un «eterno solstizio».
Delineando una ruota il rosone diventa anche un simbolo solare che, se posto su una facciata orientata ad ovest, come nel caso della chiesa di Sant’Agostino, «guarda» verso il tramonto, l’occaso, la morte che per i Cristiani è l’inizio di una nuova vita, garantendo protezione e luce contro il trionfo, solo apparente, delle tenebre [9]: il Sole invicto che non tramonta mai, orientato verso ovest è, per la religione cristiana, l’astro simbolico della perenne speranza della vita eterna. Dalla semplice ruota romanica, circondata da cornici e composta da raggi rettilinei, formati da esili pilastri o piccole colonne che si dipartono dal nucleo centrale, nell’architettura gotica il rosone si ingrandisce e si arricchisce di elementi decorativi geometrici, a traforo o ad intarsio, per formare una intelaiatura di chiusura che permetta il passaggio della luce dall’esterno all’interno.
Nelle chiese siciliane di Sant’Agostino e San Francesco d’Assisi a Palermo, dell’Annunziata e di Sant’Agostino a Trapani, i rosoni si impreziosiscono di intagli geometrici e fantasiose decorazioni ereditate dall’arte normanna che aveva assorbito modi costruttivi e stilemi arabi, oltre a quelli bizantini [10]. Gli archi intrecciati del rosone di Sant’Agostino sono retaggio dell’arte araba e si ricollegano agli straordinari archi absidali, esterni, delle cattedrali normanne di Monreale e Palermo o della facciata di Cefalù, realizzati da maestranze arabe o che ne avevano assimilato i modi. Questo non significa, di certo, che nelle cattedrali siciliane siano stati impressi i simboli della religione islamica, o che vogliano essere segni di integrazione tra religione cristiana e musulmana: tutt’altro! Sono segni di integrazione di stili e di esperienze costruttive: sono espressione dell’arte araba che «prevale negli edifici ecclesiastici minori e fornisce a quelli maggiori decorazioni, accessori, materiali preziosi ed esecuzione accurata» (Bellafiore 1963: 12) [11].
Denis Mack Smith nella sua Storia della Sicilia Medievale e moderna scrive che nell’Isola c’è «una esotica fusione o confusione di culture» [12]. Non vi può essere frase più appropriata per definire quella varietà, presente in Sicilia, oltre che di culture, anche di stili che vanno dall’arte greca e romana a quella bizantina, araba, normanna, sveva, spagnola. Per quanto riguarda le decorazioni cosiddette «gelosie» [13] che, secondo una interpretazione non documentata, simboleggerebbero la religione islamica, bisogna rilevare che esse sono presenti in quasi tutte le culture del mondo antico, dai geroglifici nelle tombe Egiziane, ai riti dei Celti, alle urne funerarie e ai pavimenti a mosaico romani con significato associato alla rinascita.
Il termine «gelosia», in architettura, indica un elemento divisore, simile ad un paravento o un frangisole. Particolarmente usata nell’arte islamica che tende a evitare l’uso di immagini figurative, la cosiddetta «gelosia» assume la funzione di un diaframma e serve a creare ombre lasciando comunque inalterata la circolazione naturale dell’aria: sono costituite spesso da motivi geometrici formati da combinazioni di quadrati e cerchi ripetuti, sovrapposti e intrecciati, come i decori che denominiamo «arabeschi» o «rabeschi» e che in Spagna prendono il nome di «moreschi». Un elemento decorativo, quindi, usato dall’Islam ma non il simbolo della sua religione!
Come elementi decorativi le troviamo sulle facciate di edifici siciliani del Duecento e Trecento e, tra tutti, su Palazzo Steri a Palermo, espressione del «gotico-chiaramontano» nel quale si uniscono caratteri dell’architettura islamica, normanna, gotica. Anche a Trapani su quello che fu palazzo Chiaramonte, in via Sette Dolori, fanno bella mostra di sé due «gelosie» formate dall’intreccio di sei cerchi, molto simili a quelle presenti nel rosone di Sant’Agostino.
Il motivo a cerchi intrecciati veniva inoltre adottato nelle prime chiese cristiane quale simbolo di risurrezione. Per la tradizione giudaico-cristiana sono le stelle-fiore, note come «fiore della vita», utilizzate, tra gli altri, dai monaci guerrieri dell’Ordine Templare. Il «fiore della vita» rappresenta la struttura interna del Creato e il suo completamento: viene anche denominato «Sesto giorno della Genesi» poiché ottenuto dalla rotazione di sei cerchi o sfere, corrispondenti ognuna ad un giorno della Creazione, Hexaemeron, opera di sei giorni.
Nel rosone di Sant’Agostino assolvono il compito di ornare e riempire gli spazi vuoti, determinati dall’intreccio dei grandi archi, così come pure le cosiddette «stelle di David», formate da due triangoli equilateri sovrapposti, uno con il vertice verso l’alto, l’altro verso il basso. L’esagramma a forma di stella viene anche denominato Magen David, scudo di David, o sigillo di Salomone, in riferimento a due rispettive leggende: la prima si riferisce allo scudo del re David, formato da una struttura di due triangoli incrociati che avevano la funzione di sostenere una copertura di pelle; la seconda all’anello magico che il re Salomone usava come sigillo e come talismano contro demoni e spiriti maligni.
Il grande filosofo, teologo e semitista israeliano Gershom Scholem (Berlino 1897- Gerusalemme 1982), che alla stella a sei punte ha dedicato un libro, La stella di David, sostiene che essa, al di là di quello che è diventata, in quanto è fuor di dubbio che oggi rappresenti Israele e l’Ebraismo, non è un simbolo della religione ebraica e non ne esprime la carica spirituale, l’eredità intuitiva e la storia [14]. L’esagramma, come pure il pentacolo e altri segni, è un elemento decorativo molto diffuso nel mondo antico presso i Fenici, gli Assiri, i Babilonesi, gli Indiani e, più tardi, è presente anche nelle moschee e nelle chiese cristiane: come motivo ornamentale, assieme ad una svastica, si trova in una sinagoga ebraica di Cafarnao del II-III secolo d.C.
Mai citata nella Bibbia e assente nei principali testi rabbinici, la «stella di David», compare per la prima volta in un’opera di mistica ebraica dei primi del Trecento [15]. Nell’iconografia cristiana la stella indica eventi celesti. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, al numero 528, riporta che «I magi [venuti] a Gerusalemme per adorare il re dei Giudei […] alla luce messianica della stella di Davide, cercano in Israele colui che sarà il re delle nazioni» [16]. È evidente che in questo contesto non si fa riferimento ad un particolare simbolo a forma di esagramma, quanto alla nuova stella come simbolo biblico dell’ascesa regale della casata di Davide. Secondo altre interpretazioni la stella a sei punte equivale al «Chrismon», il monogramma di Cristo, formato dalle lettere greche X e P (Chi e Ro), oppure indica il cielo e la terra con i vertici rivolti verso l’alto e verso il basso; in alcuni ambiti viene anche considerata un simbolo dei Templari [17].
Volendo pensare che siano stati i Cavalieri Templari a costruire la chiesa, dobbiamo prendere in buona considerazione una datazione del rosone arretrata alla fine del secolo XIII o ai primissimi anni del XIV (ante 1312) e collocare nel Trecento inoltrato la data del portale; una ipotesi sostenibile alla luce del fatto che il rosone, almeno nelle parti originali, mostra nella tecnica e nel modo raffinato di trattare «a merletto» il rilievo bassissimo, reminiscenze dell’arte bizantina, assimilate poi dai maestri lapicidi che operarono in Sicilia nel periodo normanno ed anche in quelli successivi.
Il portale strombato, invece, nelle sue linee gotiche con archi ogivali e decorazione in una sola ghiera, trova riscontri nei portali di Alcamo – chiesa Madre, cappella dello Spirito Santo (1430 ca.), chiesa di San Tommaso (1424-40 ca.) – o di Mazara – chiesa di S. Maria di Gesù (1430 ca.) [18]. Assimilabile per la composizione ai rosoni palermitani delle chiese di San Francesco d’Assisi (1302) e di Sant’Agostino (1306 ca.) e a quelli trapanesi del Santuario dell’Annunziata (1332 ca.) e (solo per la cornice) della chiesa di San Domenico (prima metà sec. XIV), che rivelano forme più spigolose ed effetti chiaroscurali più marcati, il rosone di Sant’Agostino, finemente chiaroscurato nei «lievi rabeschi scultorei di preziosa ed irreale sostanza» (Bellafiore 1963: 328), si impone pertanto nell’architettura dei primi del Trecento per eleganza di gusto e per tecnica raffinata. La mancanza di documentazione, allo stato attuale, non ci consente tuttavia di affermare con certezza che il rosone sia stato eseguito al tempo dei Templari, ma l’ipotesi rimane valida.
Va inoltre ricordato che la facciata ha subìto nel corso dei secoli restauri e rimaneggiamenti e che un documento del 1827 riporta che, il cinque marzo di quell’anno, i mastri Giuseppe Torre, fabbricatore, e Domenico Leonora, falegname, ebbero l’incarico dal priore del convento di Sant’Agostino, padre Agostino Linares, di restaurare alcune parti dello stesso convento ed il prospetto della chiesa [19]: i due mastri, come riporta il documento, dovevano effettuare «lo ristauro, le innovazioni delle fabbriche e la intonicatura imbellettata a pietra d’intaglio detta invernizzata, con quelle sagome, arabeschi, colonne ed altro in dimensioni più marcati». Vi si legge inoltre:
«Nella porta maggiore di essa Chiesa esiste una gran finestra di forma circolare a stile gotico ben intagliata e scolpita. Per conservarsi meglio questo bel monumento di antichità dovrà riattarsi colla possibile attenzione ed arte, rimpiazzandovi quegli intagli mutilati e disfatti dalle ingiurie del Tempo, seguitando lo stile e le forme delle esistenti e supplendole di pietra di intaglio delle Cave di Tipa; bene ingassate e fortificate con gesso ed indi listiate con delicatezza. Come altresì dovranno ben rinettarsi i bassi rilievi ne cantoni ed adorni di essa finestra rimpiazzandovi lo stucco negli arabeschi mutilati e quindi imbellettate con latte di calce mescolata con arena di competente miscela, vi si imprimerà la polvere della pietra di Mazara denominata di San Vito o dell’arena vicino Trapani o altra a me benvista e i fondi di tale scultura dovranno colorirsi».
Il documento non menziona né il disco centrale con l’Agnus Dei, né le dodici colonnine, che non compaiono nemmeno in una xilografia del 1892 o in vecchie foto e cartoline del 1900, 1902, 1910: al loro posto si trova una finestra circolare, ornata da una semplice cornice. Dal 1925 in poi sono invece documentate le presenze sia dell’Agnus Dei, sia delle colonnine, probabilmente collocati poco prima di quella data: forse vi erano anche in origine, come in molte chiese romaniche, ma per motivi che non conosciamo, alla fine del secolo XIX non erano più presenti.
L’Agnus Dei o «Agnello mistico», nell’arte sacra è il simbolo cristologico per eccellenza, un «inno» aGesù Cristo nel suo ruolo di vittima sacrificale per la redenzione dei peccati dell’umanità. Agnus Dei è l’appellativo dato a Gesù da San Giovanni Battista: «Ecco l’Agnello di Dio, colui che toglie i peccati del mondo… Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è Lui che battezza nello Spirito Santo». Secondo il Vangelo di Giovanni (1, 29-36) questa frase fu pronunciata dal Battista quando Gesù si presentò a lui per essere battezzato.
L’agnello che simboleggia Cristo risorto e trionfante, nel rosone trapanese è rappresentato in piedi ed in movimento, con la testa girata indietro: non ha bisogno di guardare innanzi perché conosce bene la strada che va verso il cielo. Guarda invece con amore e attenzione coloro che lo seguono, il suo gregge. Per coloro che non riescono a vedere e comprendere che Egli è la vera guida, mostra il suo emblema, la croce. Sotto questa insegna chiama a raccolta con le parole del Signore: «Venite a me che sono dolce e umile di cuore e troverete il riposo delle vostre anime» (Matteo 11, 25-30). L’agnello è rappresentato in cammino, come il suo popolo, e con lo sguardo mite invita chi volesse seguirlo nel suo cammino di fede e salvezza.
Le mie riflessioni, a questo punto, impongono un limite al di là del quale non è mia intenzione sconfinare, consapevole che, nell’ambito della simbologia, si possono trovare varie interpretazioni di uno stesso simbolo, a seconda dell’angolazione dalla quale si analizzi, diversa da quella religiosa, come l’esoterica, l’occultistica, l’astrologica, la magica … – e che in ogni ambito si avranno sempre più chiavi di lettura. La «Storia» e la «Storia dell’arte» mi inducono a non accettare la tesi della presenza di «simboli delle tre principali religioni monoteiste» nel rosone dell’ex chiesa di Sant’Agostino di Trapani e mi portano invece a considerarlo come un inno al Cristianesimo, espresso attraverso un intreccio di stili – bizantino, arabo, normanno, gotico –, un intreccio di archi, di cerchi, di triangoli, un intreccio di storie, di ordini religiosi – Templari, Ospedalieri, Agostiniani [20].
Se poi la «fantasia» degli artisti o di chi semplicemente l’osserva vuole attribuire al rosone «altri» significati, non va intaccata la matrice prettamente cristiana, né si deve confondere arte con religione, ovvero le espressioni dell’arte con le espressioni delle religioni.
Dialoghi Mediterranei, n. 48, marzo 2021
Note
[1] Il rosone è simbolo del MUDI.TP Museo Diocesano Trapani, Polo espositivo di Sant’Agostino. In occasione della candidatura di Trapani a «Capitale Italiana della Cultura 2022» è stato scelto come emblema della candidatura stessa e rappresentato attraverso una composizione di quattro cerchi colorati che si intrecciano.
[2] R. Pirri, Sicilia sacra, Palermo 1733: 377. Per notizie sulla chiesa di S. Agostino si vedano in particolare: G. M. Di Ferro, Guida per gli stranieri in Trapani, Trapani 1825: 245-247; M. Serraino, Storia di Trapani, vol. III, Trapani 1992: 119-121.
[3] S. Spoto, Sicilia Templare, Roma 2005.
[4] A. Gentile, I Cavalieri Ospitalieri di San Giovanni in Gerusalemme in www.stupormundi.it; D. Nicolle, I Cavalieri di Gerusalemme. L’ordine crociato degli Ospitalieri 1100-1565, Gorizia 2014.
[5] Serraino 1992: 119.
[6] V. Scuderi, Arte medievale nel trapanese, Trapani 1978: 62.
[7] Nell’Enciclopedia libera on line Wikipedia, alla voce Chiesa Sant’Agostino (Trapani), a proposito del rosone così si legge: «È dominato dai simboli delle tre principali religioni monoteiste: le gelosie traforate sono tipicamente arabe, le stelle di Davide, ebraiche, e l’Agnus Dei, al centro».
[8] H. Biedermann Enciclopedia dei simboli, «Le Garzantine», Milano 1999, II ed: 456, alla voce ruota. Si vedano anche: J.C. Cooper, Enciclopedia Illustrata dei simboli, Padova 1987, ad voces; C. Lanzi, Sedes Sapientiae, l’universo simbolico delle cattedrali, Roma, 2009; M. L. Mazzarello, M. F. Tricarico, La Chiesa nel tempo. La narrazione dell’architettura sacra, Torino 2005.
[9] Si veda: P. Cowen, Il rosone. Geometria della luce, Roma, 2005.
[10] L. Inzerillo, Il gotico chiaramontano e aragonese in Sicilia: geometrie a confronto, in «L’architettura di età aragonese nell’Italia centro-meridionale», Palermo 2004: 35-79.
[11] G. Bellafiore, La civiltà artistica della Sicilia, Firenze 1963: 12.
[12] D. Mack Smith, Storia della Sicilia Medievale e moderna, Bari 1970: 21.
[13] Si veda nota 7.
[14] G. Scholem, La stella di David, storia di un simbolo, Firenze 2013.
[15] L’esagramma si trova su Il libro del confine di David ben Yehudah HeHasid, un cabalista spagnolo del XIII – XIV secolo, ritenuto da Scholem poco attendibile.
[16] Catechismo della Chiesa Cattolica, 528. Nm 24: 17-19.
[17] A. Militi, Anima Templi in Sicilia, in https://www.academia.edu/9348314/Anima_Templi_in_Sicilia, 2014
A proposito del rosone di Sant’Agostino così scrive: «vi sono solo quattro trafori con fiori a otto petali; unendo questi fiori con una linea immaginaria otteniamo una croce e, non è un caso che il numero dei petali sia otto, in quanto la croce templare ha otto punte; tra i trafori troviamo anche tre sigilli di Salomone (Stella o Scudo di Davide, Esagramma) simbolo spesso presente sulle loro costruzioni, sotto uno di essi vi è scolpito Hermes, dio greco della conoscenza, chiaramente riconoscibile dall’elmo alato». In verità le stelle sono due ed è improbabile che la testina rappresenti Hermes. Quelle che vengono identificate come ali, osservate con ingrandimento, sembrano piuttosto gli sviluppi dei racemi che con le loro linee ondulate vanno ad inserirsi nella testina.
[18] Scuderi 1978: 81-83. Il portale è sormontato da una nicchia contenente una statua gaginesca di Madonna con Bambino (sec. XVI).
[19] Il documento è stato pubblicato da S. Accardi, Sul rosone della chiesa di Sant’Agostino, 2010, in http://www.trapaniinvittissima.it/files/rosone_chiesa_s_agostino.pdf.
[20] La libertà di pensiero, certamente, non vieta a nessuno di esprimersi ma, in campo scientifico, l’affidabilità di una tesi va supportata da metodo, ricerca, verificabilità di quanto si afferma!
Riferimenti bibliografici
G. Bellafiore, La civiltà artistica della Sicilia, Firenze 1963.
H. Biedermann Enciclopedia dei simboli, «Le Garzantine», II ed., Milano 1999.
J.C. Cooper, Enciclopedia illustrata dei simboli, Padova 1987.
P. Cowen, Il rosone. Geometria della luce, Roma 2005.
G. M. Di Ferro, Guida per gli stranieri in Trapani, Trapani 1825.
L. Inzerillo, Il gotico chiaramontano e aragonese in Sicilia: geometrie a confronto, in «L’architettura di età aragonese nell’Italia centro-meridionale», Palermo 2004.
C. Lanzi, Sedes Sapientiae, l’universo simbolico delle cattedrali, Roma, 2009.
D. Mack Smith, Storia della Sicilia Medievale e moderna, Bari 1970.
M. L. Mazzarello, M. F. Tricarico, La Chiesa nel tempo. La narrazione dell’architettura sacra, Torino 2005.
D. Nicolle, I Cavalieri di Gerusalemme. L’ordine crociato degli Ospitalieri 1100-1565, Gorizia 2014.
R. Pirri, Sicilia sacra, Palermo 1733.
G. Scholem, La stella di David, storia di un simbolo, Firenze 2013.
V. Scuderi, Arte medievale nel trapanese, Trapani 1978.
M. Serraino, Storia di Trapani, vol. III, Trapani 1992.
S. Spoto, Sicilia Templare, Roma 2005.
Sitografia
S. Accardi, Sul rosone della chiesa di Sant’Agostino, in http://www.trapaniinvittissima.it/files/rosone_chiesa_s_agostino.pdf.
Chiesa Sant’Agostino (Trapani), in https://it.wikipedia.org/wiki/Chiesa_di_Sant%27Agostino_(Trapani).
A. Gentile, I Cavalieri Ospitalieri di San Giovanni in Gerusalemme in http://www.stupormundi.it.
A. Militi, Anima Templi in Sicilia, in https://www.academia.edu/9348314/Anima_Templi_in_Sicilia.
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Lina Novara, laureata in Lettere Classiche, già docente di Storia dell’Arte, si è sempre dedicata all’attività di studio e di ricerca sul patrimonio artistico e culturale siciliano, impegnandosi nell’opera di divulgazione, promozione e salvaguardia. È autrice di volumi, saggi e articoli riguardanti la Storia dell’arte e il collezionismo in Sicilia; ha curato il coordinamento scientifico di pubblicazioni e mostre ed è intervenuta con relazioni e comunicazioni in numerosi seminari e convegni. Ha collaborato con la Provincia Regionale di Trapani, come esperto esterno, per la stesura di testi e la promozione delle risorse culturali e turistiche del territorio. Dal 2009 presiede l’Associazione Amici del Museo Pepoli della quale è socio fondatore.
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