di Francesca Uleri
Introduzione
Sebbene i tempi recenti – segnati e modellati in maniera rilevante dall’esplosione della pandemia COVID-19 – abbiano visto un rallentamento e quasi azzeramento dei flussi turistici, si intravede – tra il periodo pre-covid e post-covid – una linea di continuità in quello che era, e quello che sarà, l’orientamento della domanda turistica. Questa infatti appare sempre più come un insieme di richieste e aspettative diversificate orientate in maniera crescente verso la scoperta dell’unicità dei territori, soprattutto rurali, quali luoghi capaci di costruire e restituire ambientazioni, sensazioni, gusti e esperienze lontane da omologazioni del turismo di massa e dalle derive della quotidianità urbana.
Data la rilevanza in ascesa del settore all’interno delle economie rurali, oggi il turismo diventa dimensione chiave per il ripensamento e la progettazione dello sviluppo rurale in connessione a una nuova centralità dell’agricoltura che con esso si articola e si connette, determinandone la specificità e la qualità dell’offerta. Davanti a una crisi globale dell’agricoltura industriale monofunzionale [1], si assiste in parallelo a una riemersione di un modello multifunzionale post-produttivista di fare agricoltura che si pone come punto di contatto tra tradizione e innovazione in una ricerca propedeutica di sostenibilità economica, sociale e ambientale non solo della produzione ma anche delle pratiche di consumo. Questo modello con le radici salde nella logica produttiva contadina [2], si dirama nel presente e nel futuro delle aree rurali divenendo direttamente fonte d’attrazione per un turista nuovo, attento, cosciente e responsabile del suo impatto sulla complessità delle relazioni di ciascun territorio.
È nel 1997 quando il Consiglio Europeo di Lussemburgo dichiarò ufficialmente che l’agricoltura europea doveva essere multifunzionale, sostenibile, e competitiva. L’emergere di un nuovo profilo in contrasto con una produzione agricola produttivista-fordista precedente, accompagnato dal costituirsi di una centralità nuova dell’agricoltura legata alla sostenibilità e multifunzionalità, cambia, in riflesso, anche la concezione di cos’è il (territorio) rurale. Si passa da un territorio rurale come sinonimo di territorio arretrato [3], a un rurale multifunzionale, nonché a un territorio che integra (a) funzioni di tipo economico (es: produzione agricola, di materie prime, artigianale, turismo e ricreazione), (b) funzioni di tipo ambientale (es: salvaguardia della qualità del suolo, delle acqua, dell’aria, della biodiversità, ecc.), e (c) funzioni di tipo socio-culturale (es: conservazione di saper far locali, legami di fiducia, patrimonio architettonico e paesaggistico, ecc.) [4].
L’affiorare e il diffondersi dell’orientamento post-produttivistico facilitano l’uscita da un’idea della campagna concepita come spazio indifferenziato, esclusivamente orientato alla produzione agricola di cibo e materie prime. Questo passaggio implica il superamento dell’identificazione della campagna con ciò che la letteratura anglosassone chiamava national farm [5], termine esplicabile attraverso l’equivalenza rurale=agricolo, per andare – come visto sopra – verso una differenziazione delle funzioni. Queste funzioni non sono fisse o cristallizzate, bensì mutevoli nel tempo e nello spazio in quanto mediabili socialmente. Nel rurale confluiscono bisogni, interessi, richieste, aspettative altrettanto mutevoli e derivanti da gruppi differenti (es: turisti, consumatori, produttori, artigiani, popolazioni nuove, migranti, istituzioni, ecc.) i quali ne modellano e ne differenziano la natura economica, culturale e sociale.
A questo proposito, la richiesta e l’offerta di un turismo differente, lontano dal turismo di massa assumono sempre più rilevanza in un’ottica di sviluppo rurale. Ne è testimonianza il fatto che il turismo diventi uno dei cardini della strategia dell’Iniziativa comunitaria Leader fin dal suo avvio e poi tematica chiave di numerosi progetti portati avanti dai Gruppi di Azione Locale [6]. Dunque, la nuova accezione di ruralità – lontana da un’aggettivazione legata all’arretratezza e alla chiusura – evocante caratteristiche di salubrità, amenità, autenticità, fa dei territori rurali un luogo di “consumo” del turismo contemporaneo: in ambito rurale il turismo incontra molteplici occasioni di sviluppo contribuendo a indirizzare le dinamiche di trasformazione e ristrutturazione del territorio soprattutto in aree precedentemente marginalizzate, come nel caso delle aree interne italiane [7].
Verso una nuova centralità dell’agricoltura: quale ruolo per l’azienda agricola multifunzionale?
In questa prospettiva, il volume Turismo sostenibile e sistemi rurali locali. Multifunzionalità, reti di impresa e percorsi, a cura di Benedetto Meloni e Pietro Pulina, edito da Rosenberg & Sellier nel 2020, va a focalizzarsi sulla nuova centralità dell’azienda agricola multifunzionale all’interno delle strategie di sviluppo turistico sostenibile nelle aree rurali. Il libro affronta e articola tale tematica attraverso i contributi di diversi studiosi che si sono confrontati a margine della Scuola di sviluppo locale “Sebastiano Brusco” tenutasi a Seneghe e Alghero dal 27 al 30 novembre 2018, nel corso della quale si sono discussi gli esiti della progettazione partecipata transfrontaliera (Interreg FR-IT marittimo) PROMETEA (PROmozione della Multifunzionalità dEl seTtorE Agro-turistico). Questa ha avuto il principale obiettivo di definire, affinare, promuovere e integrare modelli di imprenditorialità agricola multifunzionale orientata alla creazione di valore all’interno di sistemi territoriali integrati in Italia (Sardegna: Montiferru-Planargia, Nurra; Toscana: Lunigiana, Garfagnana e Amiata) e Francia (Corsica, Var-Alpi Marittime); è proprio nei casi territoriali italiani la base empirica da cui si diramano i fitti contributi apportati da un gruppo denso di scienziati sociali e economisti agrari che convergono nell’identificare la multifunzionalità come un fattore vincente del tessuto imprenditoriale rurale e volano per una riattivazione ampia sia del capitale sociale che del patrimonio ambientale dei singoli territori.
Il volume inizia con il contributo di Meloni e Pulina i quali indirizzano l’attenzione verso la logica di transizione alla multifunzionalità, incarnata da un ritorno a un modello produttivo contadino basato non su una produzione capital-intensive bensì su una produzione intensiva in lavoro (prevalentemente interno-familiare), caratterizzata da quella che il sociologo rurale olandese van der Ploeg chiama co-produzione, ovvero una produzione di beni per il mercato che si affianca alla riproduzione interna delle risorse naturali e della forza lavoro [8]. In questo stretto legame tra generazione di reddito e riproduzione delle risorse umane, culturali, sociali e ambientali – quali input principali del processo produttivo – si identificano la linea di sostenibilità del modello contadino e la molteplicità di funzioni che questo assolve.
Oggi il modello contadino – davanti a una crisi globale dell’agricoltura monofunzionale industriale – si svincola da una percezione che lo relegava a una sfera di arretratezza per porsi su traiettoria di innovazione. L’azienda diversifica la sua attività dominata dalla produzione agricola per rispondere a richieste nuove che confluiscono nel rurale e per far fronte a incertezze multiple. La via agrituristica rappresenta il fulcro principale di queste traiettorie divenendo – come sostenuto da Arru, Furesi, Madau e Pulina nel terzo capitolo – uno strumento per non soccombere all’incertezza, al dinamismo e alla volatilità dei mercati, delle politiche e dei comportamenti sociali; strumento che si declina nella strutturazione di un’offerta di servizi ricreativi che valorizzano le risorse agrarie e il valore ricreativo del paesaggio rurale. Nel diversificare le sue attività, l’azienda si incanala in una transizione verso la multifunzionalità che – come evidenziato da van der Ploeg [9] – si può diramare in tre movimenti differenti:
- l’approfondimento (deepening): valorizzazione della produzione agricola e agroalimentare e incremento del valore aggiunto per unità di prodotto;
- l’ampliamento (broadening): diversificazione della produzione attraverso attività generative di beni e servizi (per il mercato e non) di tipo non agricolo;
- riposizionamento (regrounding): ricollocazione dei fattori di produzione, con particolare riferimento alle attività extra aziendali (complementari e integrabili con l’attività agricola) di composizione e diversificazione del reddito familiare.
Come dimostrato dal progetto PROMETEA, sia nel caso della Sardegna con il territorio Montiferru-Planargia e Nurra (secondo capitlo-Meloni), che della Toscana (quarto capitolo-Bressan) con le sotto-aree regionali Lunigiana, Garfagnana e monte Amiata, il primo passo verso la multifunzionalità, in ottica di approfondimento, si realizza prevalentemente attraverso l’introduzione di innovazioni di processo come la vendita diretta, la trasformazione in azienda e il coinvolgimento diretto dei consumatori. Bressan sottolinea che «l’integrazione della vendita diretta con le attività di produzione e/o trasformazione costituisce un aspetto centrale in quanto veicolo di riconoscibilità, garanzia di qualità e fattore strategico per un modello di competizione sul mercato incentrato sulla qualità»; in aggiunta, il coinvolgimento dei consumatori nelle attività aziendali o nella conoscenza diretta dell’azienda ne rafforza l’efficacia (es: offerta visite guidate, degustazioni, laboratori gastronomici, auto-raccolta, ecc.). Inoltre, queste pratiche di diversificazione del reddito garantiscono un utilizzo ottimale della manodopera familiare aziendale rispetto al solo fabbisogno dell’attività agricola. È una strategia di allocazione efficiente e remunerativa del lavoro disponibile. Stando sempre a quanto emerso da PROMETEA, in entrambi i casi regionali, non meno significativa è la traiettoria di approfondimento che passa attraverso le innovazioni di prodotto come l’introduzione di produzioni di qualità, produzioni a marchio proprio, specificità regionali o produzioni a basso impatto e di tipo biologico. Pur presentandosi in una gamma di iniziative differenti, l’innovazione scaturisce quasi sempre da un elemento comune dato dal processo di recupero, valorizzazione e reinterpretazione di produzioni antiche e di tradizioni locali che vengono riproposte e riadattate ai gusti differenziati del consumatore contemporaneo.
Le forme specifiche di ampliamento, riguardano invece per lo più una connessione alla generazione di servizi legati al turismo. Per esempio, guardando a ciò che Meloni espone in riferimento al campione di aziende partecipanti al progetto PROMETEA in Sardegna (42 totali), è risultato che 41 aziende (corrispondenti al 97,6% del totale) svolgevano attività di ampliamento e diversificazione, ossia almeno una pratica aggiuntiva alla produzione agricola in senso stretto. 41 aziende (97,6%) dichiaravano dunque di svolgere attività di agriturismo; tra le attività di ampliamento agrituristiche il focus è stato posto soprattutto sul turismo rurale ed esperienziale: ristorazione, pernottamento in alloggio, ospitalità in area sosta (campeggio, roulotte, caravan), visite guidate (paesaggistiche, archeologiche), escursionismo, cicloturismo, ippoturismo, altre attività sportive, pet-therapy, partecipazione ad attività aziendali di tipo esperienziale, convegni e eventi culturali, museo civiltà contadina o attività similari. Ancora 18 aziende, cioè il 42,9% praticavano attività non agricole di servizi sociali tra agricoltura sociale con inserimento di persone diversamente abili, fattorie didattiche, ma anche lavorazione conto terzi (ad esempio imbottigliamento, etichettatura, molitura, ecc.). Mentre passando a quello che Bressan definisce ampliamento non remunerato, ossia i servizi non commodity attuati dalle imprese, i dati proiettano chiaramente l’azienda multifunzionale in una sfera di sostenibilità. Su questo fronte, stando sempre sul caso Sardegna, molte aziende (il 95,2% del totale) dichiaravano di produrre esternalità positive a ricaduta collettiva (di tipo servizi verdi e ambientali materiali) come la manutenzione siepi e alberature aziendali tenendo conto dell’estetica del paesaggio, manutenzione e ripristino delle strutture aziendali e strade campestri, gestione e manutenzione di muri a secco, manutenzione dei canali di scolo delle acque, serbatoi di recupero delle acque piovane, riduzione dell’uso di fertilizzanti, pesticidi e altre sostanze chimiche per salvaguardare le falde acquifere, energie rinnovabili, riutilizzo di scarti di lavorazione (scotta, nocciolino di oliva, ecc.), ecc.
Quanto riportato dimostra che è proprio nell’innesco di questi movimenti che si compone un’offerta differenziata e unica che intercetta una domanda turistica nuova, attenta all’ambiente e curiosa del territorio, tendenza simbolo di ciò che Ray [10] chiamava economia culturale. Quindi non si tratta solo di semplice ospitalità e ristorazione a livello agrituristico, ma di attività esperienziali e laboratoriali tese alla partecipazione attiva nei processi di produzione e trasformazione dei prodotti agricoli, alla conoscenza della loro storia e delle linee di radicamento territoriale, e attente alla salvaguardia del capitale ambientale, sociale, e culturale contestualizzato in ogni singolo territorio. Quindi, empiricamente si nota come, i territori rurali attraverso la centralità dell’azienda agricola multifunzionale, rispondono a richieste di mercato nuove garantendo un prodotto che non si limita al bene o servizio offerto ma si declina in un insieme di esternalità positive di cui l’intera collettività può beneficiare, identificabili – in Ostrom sensus – come common pool resources [11]. Tra queste compaiono la cura del paesaggio, la salvaguardia della biodiversità, il mantenimento di conoscenze e competenze contestualizzate, o la generazione di posti di lavoro che va a frenare un’uscita di capitale umano e sociale di cui queste aree soffrono. Si è difronte a una diversificazione della domanda orientata alla conoscenza dei territori e a una rispettiva de-standardizzazione dell’offerta composta da specialities, beni e servizi radicati nell’unicità dei singoli contesti.
Offerta turistica integrata e sistema di rete
La capacità di un territorio di rappresentarsi e comunicarsi in maniera unitaria e coerente verso l’esterno, verso la platea dei rural users – e attrarre quindi turisti o altri utilizzatori – dipende dalla rispettiva capacità degli attori locali di sapersi coordinare e organizzare in un sistema di rete al fine di selezionare e valorizzare le risorse che diverranno poi oggetto dell’offerta. Questo è quanto emerge nei capitoli 6-7-8-9-10 del volume, dedicati alla creazione delle reti di impresa e all’importanza della cooperazione nella generazione di un’offerta integrata. In merito all’offerta turistica rurale, però, Brunori, Favilli e Scarpellini sottolineano che questa deve saper valorizzare peculiari ricchezze e attrattive del territorio che ne determinino unicità e conseguente alta competitività sul mercato. Nella concettualizzazione PROMETEA, l’unicità – intesa come immagini, messaggi, valori propri solo di quel territorio e difficilmente riproducibili altrove – si articola attraverso tre proprietà che gli attori locali devono tutelare, riscoprire, rafforzare e promuovere: la diversità, la qualità, e la coerenza. Nella diversità si riflette la gamma variabile di paesaggi, ambienti, valori, simbolismi, pratiche di produzione, trasformazione e consumo, di cui il turista può fruire e fare esperienza. La funzione regolatrice giocata dall’agricoltura nella sfera rurale comporta che la diversità non abbia pertanto una esclusiva dimensione aziendale bensì collettiva, in cui l’azienda agricola multifunzionale acquista centralità instaurando nuove relazioni esterne e interne con aziende del medesimo territorio, affinché la diversità stessa possa essere resa fruibile e comunicabile.
Essendo la vacanza e l’esperienza del rurale un “pacchetto complesso e strutturato di diversità”, difficilmente riferibile a un prodotto o servizio singolo ma identificabile in un risultato multi-prodotto derivante da un processo di comunicazione, mediazione e integrazione tra attori locali, la concertazione propedeutica tra imprese – prima ancora di altri attori – risulta essere essenziale. Come Belletti e Marescotti puntualizzano, in queste dinamiche acquista significatività esplicativa il tema della distrettualità [12] che – traslato dal sistema industriale – mette in evidenza come l’assenza di un unico centro chiave dell’economia rurale, a fronte di una frammentazione aziendale e policentricità produttiva, richieda un’organizzazione reticolare della produzione attraverso l’interazione tra aziende che condividono appartenenza – e/o trasversalità – settoriale e vicinanza ubicativa. In questo modo l’interazione tra aziende contribuisce a definire la rappresentazione e l’immagine trasmissibile del territorio come prodotto ultimo di un processo di intermediazione eco-sociale.
In questa costruzione sociale del territorio, si inserisce il modellamento della qualità come seconda dimensione dell’unicità. Il concetto di qualità non è un concetto che corrisponde a costruzioni di significato e attributi univoci in quanto si rifà a una multidimensionalità che cambia nel tempo e nello spazio sulla base di richieste, regole, culture e aspettative derivanti dal mercato, dalla società e dagli apparati di governance. La qualità dei prodotti o dei servizi offerti non è mai un elemento dato ma sempre una costruzione tra attori differenti che riconoscono particolari caratteristiche vantaggiose (vantaggi e benefici etici, edonistici, simbolici, funzionali, estetici derivanti dalla loro produzione e consumo/fruizione) preferendo tali prodotti ad altri con funzioni d’uso simili. Sebbene ci si possa trovare davanti alla definizione di standard di qualità omologabili e replicabili in contesti differenti, la diversità e l’unicità dei territori rurali fanno in modo che la qualità dei prodotti definibili come propri nel rurale sia site-specific, in quanto derivante dal milieu locale consolidato nel tempo. Nell’offerta turistica rurale, il turista, sulla base della percezione relativa alla rappresentazione degli attribuiti del rurale trasmessa dal territorio, interagirà con questi attributi assegnandoli un significato personale; è in questa ultima interazione che si creano la costruzione e la trasmissione di “che cos’è un prodotto o servizio di qualità”, ed è in tale processo che si determinano le scelte e le preferenze di consumo.
In ultimo, in virtù di una diversità e multidimensionalità qualitativa dell’unicità territoriale, è necessario individuare o creare una linea di coerenza tra i prodotti e servizi offerti al fine di strutturare un’offerta caratterizzata da una narrazione omogenea e non dispersiva del territorio. Questo non è un appiattire la sua eterogeneità ma semplicemente rafforzarne e trasmetterne punti di forza seguendo linee tematiche che ne facilitano la comunicabilità, l’organizzazione di rete, e l’attrattività. Nell’obiettivo di costruire un’offerta integrata e coerente, la definizione di itinerari si pone oggi come elemento utile per favorire l’aggregazione di fattori d’attrazione territoriali. L’itinerario permette di evidenziare specificità differenti dei luoghi attraversati ma, parallelamente, li connette mediante una linea tematica comune.
Come evidenziato da Sois in riferimento all’ implementazione del progetto PROMETEA in Montiferru-Planargia, la costruzione degli itinerari non determina una inflessibilità dell’offerta, piuttosto una sua adattabilità – lungo una direttrice tematica precisa – alle esigenze e disponibilità economiche e temporali del turista. Nel caso PROMETEA, l’offerta integrata e organizzata in itinerari è comunicata attraverso un catalogo digitale nel quale i visitatori si indirizzano primariamente su percorsi tematici specifici composti da esperienze base (o servizi base) e proposti da un numero ristretto di aziende, le quali sono poi arricchibili e integrabili con esperienze affini presentate in connessione. In questo modo si potrà garantire, a ciascun visitatore – indipendentemente dalla sua disponibilità di tempo e di denaro – di vivere appieno l’unicità territoriale. Analogamente, nel territorio dell’Amiata, la piattaforma Booking Amiata, come output progettuale, consente al turista di acquistare direttamente online le esperienze territoriali e adattarle alle sue esigenze integrando il soggiorno in strutture agrituristiche con attività complementari come ingressi ai musei, visite guidate, noleggio bici, o degustazioni. Le tematicità degli itinerari si presentano così flessibili alla costruzione personalizzata della vacanza senza perdere però coerenza e organicità.
Nel processo di creazione di valore mediante la progettazione del turismo rurale si procede assemblando risorse e connettendo attori differenti. Per questo motivo la cooperazione ne è elemento vitale sia per avere benefici privati che collettivi. In quest’ottica, in connessione a quanto descritto da Pacetti e Cois, si evidenzia che – al fine di favorire la cooperazione – la formalizzazione della rete può rappresentare un elemento organizzativo utile in quanto definisce esplicitamente gli obiettivi della collaborazione e identifica i membri della rete in modo da creare un ambiente coeso e ridurre comportamenti opportunistici all’interno del gruppo. In merito a ciò, le due sociologhe fanno specifico riferimento alla formalizzazione tramite contratto di rete, uno strumento giuridico-organizzativo relativamente recente e con ancora una non così densa diffusione rispetto ad altri strumenti come le cooperative o i consorzi. Nello specifico il contratto di rete offre due fattori che, per le imprese aderenti, soprattutto le più piccole con scarsa capacità di investimento, possono trasformarsi in elementi di competitività: il manager di rete e la co-datorialità. Il primo è una figura manageriale interna alla rete la cui attività è indirizzata a migliorare le strategie di mercato delle imprese (nel loro insieme), a incentivare processi di innovazione e irrobustire le connessioni tra i nodi della rete stessa; il secondo consente invece di assumere personale non alle dipendenze di una singola impresa ma di tutta la rete facendo così fronte a singole limitazioni di investimento.
In ultimo, si sottolinea che la cooperazione non si realizza però solo a livello di reti aziendali ma anche di governance per la co-gestione dell’offerta come risorsa collettiva locale per la competitività. Questa diviene una risorsa dalla natura non-privata, necessitante della costruzione di partnership che racchiudano soggetti pubblici, privati, terzo settore e società civile e che divengano il bacino di confluenza di strategie operative territoriali coordinate e mission comuni. Attraverso questa condivisione, partecipazione e progettazione inclusiva attenta non solo a nuove potenziali richieste esterne ma anche ai bisogni e alle aspettative delle comunità locali, il turismo si pone sempre più come fattore di riattivazione dei territori rurali dove la multifunzionalità non è più strategia limitata ai confini aziendali ma strategia dei territori per essere competitivi sui mercati e allo stesso tempo assicurare sostenibilità ambientale e sociale dei processi produttivi e/o di creazione dei servizi.
Dialoghi Mediterranei, n. 48, marzo 2021
Note
[1] Shiva, V. (2014), Campi di battaglia: biodiversità e agricoltura industriale, Milano, Edizioni Ambiente.
[2] Milone, P. (2009), Agricoltura in transizione: un’analisi delle innovazioni contadine, Roma, Donzelli Editore.
[3] Barberis, C. (1992), Presentazione, in INSOR (a cura di), Comuni urbani, comuni rurali – per una nuova classificazione: 3-6.
[4] Berti, G., Brunori, G., Guarino, A. (2010), Aree rurali e configurazioni turistiche, in D. Cinti (a cura di), Turismo rurale e progetto di paesaggio. La Valtiberina Toscana per un turismo naturale e culturale sostenibile, Firenze, Alinea Editrice.
[5] Murdoch J., Ward N. (1997), Governamentality and territoriality: the statistical manufacture of Britain ‘national farm’, “Political Geography”, 16: 307-324.
[6] Belletti, G. (2010), Ruralità e turismo, in “Agriregionieuropa”, 20, 11-13.
[7] Cresta, A., & Greco, I. (2011), Luoghi e forme del turismo rurale. Evidenze empiriche in Irpinia: Evidenze empiriche in Irpinia, Milano, FrancoAngeli.
[8] Van der Ploeg, J. D. (2018), I contadini e l’arte dell’agricoltura: Un manifesto chayanoviano, Torino, Rosenberg & Sellier.
[9] Van der Ploeg, J. D. (2015), I nuovi contadini. Le campagne e le risposte alla globalizzazione, Roma, Donzelli Editore.
[10] Ray C. (1998), Culture, Intellectual Property and Territorial Rural Developmen, in “Sociologia Ruralis” 38(1), Wageningen: ERSR: 3–20.
[11] Ostrom E. (1990), Governing The Commons: The Evolution of Institutions for Collective Action, Cambridge, Cambridge University Press [trad. it. Governare i beni collettivi, Venezia, Marsilio, 2006].
[12] Becattini G. (a cura di) (1987), Mercato e forze locali: il distretto industriale, Bologna, il Mulino.
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Francesca Uleri, attualmente assegnista di ricerca in Sociologia dell’Ambiente e del Territorio presso l’Università di Bolzano dove lavora nell’area della Sociologia Rurale. Si occupa prevalentemente di tematiche legate all’evoluzione contemporanea del capitalismo agrario e delle economie contadine tra Nord e Sud globale. Nel 2020 ha ottenuto un dottorato in Agro-Food System presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza con una tesi focalizzata sull’analisi dei cambiamenti generati dall’export-boom della quinoa nel sistema di accesso alla terra, organizzazione del lavoro agricolo e livello di sicurezza alimentare nelle comunità produttrici boliviane. È stata visiting researcher presso l’Inter-American Institute for Cooperation in Agriculture (La Paz-Bolivia) e il gruppo di Sociologia Rurale dell’Università di Wageningen (Paesi Bassi).
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