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di Lia Taddei
Ci sono momenti in cui proviamo sensazioni che non riusciamo facilmente ad esprimere a parole perché non troviamo la parola giusta che le rappresenta. Una di queste è quella che in portoghese viene definita “saudade” che non è propriamente traducibile con la parola nostalgia.
La saudade rappresenta uno stato d’animo, un sentimento che è diventato un tratto distintivo del popolo portoghese. L’uso del termine va collegato alla storia stessa del Portogallo, alla vocazione marinara del Paese e sembra risalire all’epoca dei grandi viaggi esplorativi e di colonizzazione per definire sia lo stato di solitudine e malinconia dei navigatori in terre sconosciute, lontani dalla loro patria e dalle loro famiglie, sia la nostalgia del mare quando restavano in patria.
É difficile tentare di classificare questo sottile e complesso stato d’animo, perché si tratta di una parola-concetto, che in altre lingue viene espressa in maniera approssimativa. Saudade esprime una sorta di malinconia del passato, ma allo stesso tempo del presente e del futuro. Se la nostalgia è un sentimento che esprime solo la tristezza per l’assenza di qualcosa che possedevamo e ora abbiamo perso (ed è quindi legata alla dimensione del passato), la saudade è anche nostalgia per qualcosa che non si è ancora vissuto o forse non si vivrà mai.
Si può provare verso una persona, un luogo o un oggetto, ma anche per un sogno, un ideale. Per Antonio Tabucchi è una “categoria dello spirito” e nel suo libro Viaggi e altri viaggi cerca di spiegare cosa significhi questo sentimento che definisce “nostalgia del futuro”; il corrispettivo più adeguato potrebbe essere il disìo dantesco che reca con sé una certa dolcezza, visto che «intenerisce il core».
Molti poeti portoghesi ne parleranno intendendo questo sentimento non solo come dolorosa nostalgia di qualcosa perduta, ma anche come aspirazione di uno stato da raggiungere per sé e per la società. Teixeira de Pascoaes (1872-1952) ne farà addirittura una poetica e una filosofia: il Saudosismo che, nato dopo la rivoluzione del 1910 che aveva posto fine a una monarchia secolare, voleva ristabilire lo splendore della vita culturale portoghese.
Troverà infine la sua espressione più intensa nelle opere di Fernando Pessoa attraverso la voce dei suoi eteronomi, gli scrittori altri da sé creati da Pessoa stesso ma diversi da lui. «I sentimenti più dolorosi e le emozioni più pungenti, sono quelli assurdi: l’ansia di cose impossibili, proprio perché sono impossibili, la nostalgia di ciò che non c’è mai stato, il desiderio di ciò che potrebbe essere stato, la pena di non essere un altro, l’insoddisfazione per l’esistenza del mondo» (Fernando Pessoa ne Il Libro dell’Inquietudine).
La suadade afferma l’assenza del tempo. È lo spazio metafisico dell’atemporalità, di quella dimensione inaccessibile sospesa tra passato e futuro.
Lisbona è città unica, cosmopolita, vivace, ma allo stesso tempo intrisa da un’atmosfera nostalgica. Una nostalgia derivante probabilmente dalla sua storia travagliata.
Si avverte una sensazione di calma, i ritmi sono più lenti, non c’è la frenesia di altre capitali; qui gli abitanti sanno ancora apprezzare i piccoli piaceri della vita. Pur essendo molto riservati nascondono però una segreta dolcezza e un grande disponibilità.
È una città che si apre agli occhi di chi la guarda lentamente, in modo multiforme e contraddittorio. Luci e ombre, quiete e allegria, azulejos e rovine, uno sguardo al futuro e uno al passato. Fascino malinconico e ricco di suadade.
E se la suadade è un sentimento che non si può spiegare, ma si può solo sperimentare è proprio visitando questa città, cercando di viverla con l’attenzione del viaggiatore e non con la superficialità del turista, entrando nel suo spirito che è un insieme di sofferenza e speranza.
La si avverte passeggiando lungo le rive del Tago lasciandosi accarezzare dalla leggera brezza atlantica, mentre la fitta nebbia si dissolve e un nuovo giorno appare e, al di là del fiume, il Cristo Rei con le braccia aperte sembra voler benedire la città; inerpicandosi su per le stradine ripide dell’Alfama, l’antico quartiere di origine araba, dedalo di vicoli e viuzze acciottolate con le antiche botteghe e le tipiche “tascas” dove sulle panchine di pietra qualche anziano si riposa in silenzio; negli antichi eleganti palazzi ormai lasciati andare allo scorrere inesorabile del tempo coperti di azulejos con i panni stesi che si asciugano al sole; nel silenzio tra le rovine della chiesa del Carmio nel cuore della città o sorseggiando una Ginjinha, liquore tradizionale a base di ciliegia, in uno dei piccolissimi bar nascosti nelle viuzze intorno al Rossio; e poi al tramonto sostando in uno dei tanti miradouros da dove lo sguardo abbraccia la città, le sue case colorate, i tetti rossi e in fondo sempre lui il Tago.
E poi quando cala la notte Lisbona diventa un’altra città, più misteriosa; i ciottoli delle strade riflettono la luce dei lampioni; in lontananza si sentono le note del Fado diffondersi dai locali che mantengono inalterato quel sapore di inizio secolo. Ed è ancora suadade.
Si dice che fu proprio la saudade a ispirare il Fado, la musica tradizionale portoghese (dichiarata nel 2011 Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità). Sembra venisse cantata in riva al mare dai familiari di coloro che partivano alla scoperta del mondo. C’è la percezione di un destino immutabile contro il quale è inutile combattere. Passione, rimpianto, i temi dell’emigrazione, della lontananza e del dolore sono i sentimenti di questa musica.
Il Fado, una canzone “triste” il cui nome deriva dalla parola latina “Fatum” (“destino”), compare a Lisbona a fine ‘700 inizialmente legato alla danza, aspetto oggi scomparso. Una volta suonato nelle taverne dove si recavano coloro che appartenevano alle classi più popolari, poi da metà ‘800 diventerà genere musicale apprezzato dalla piccola e poi medio-alta borghesia e troverà spazio anche nei locali pubblici.
Sarà – come è noto – Amalia Rodrigues, una delle sue più grandi interpreti, a farlo conoscere al mondo e a rivoluzionare il concetto stesso di Fado, innovandolo nel nuovo genere fado-canzone e inserendo nella musica la poesia erudita.
Se la suadade è un legame con il passato che si proietta nel presente e nel futuro; una nostalgia, non solo della felicità avuta e perduta, ma una nostalgia di essere felici ancora, anzi una speranza di esserlo, credo che questo sentimento in questo periodo sia più attuale che mai. In questo clima dove le nostre vite sono state stravolte, chiusi nelle nostre case, dove si è persa la cognizione del tempo, e mentre avvertiamo l’incertezza del futuro, forse quello che percepiamo, ognuno a suo modo, è una sorta di saudade. Delle nostre vecchie abitudini, di una strada che si percorreva ogni giorno, delle persone che incontravamo, di una risata con gli amici, di un abbraccio, e il pensiero va anche a quello che avremmo potuto fare e non abbiamo fatto, alle parole che avremmo potuto dire e non abbiamo detto.
Rimpianto per non aver vissuto appieno certi momenti del passato e angoscia del tempo che verrà. Ci rendiamo conto che nulla sarà uguale a prima. Percepire questo sentimento ci fa però acquisire consapevolezza dell’importanza di certi momenti della nostra vita, di quello che prima davamo per scontato e ci ricorda quanto l’altro sia importante. Speriamo allora che questa sorta di suadade che percepiamo ci insegni qualcosa, a ripensare alle nostre priorità, a dar il giusto valore al tempo, a vivere diversamente il nostro futuro.
«E dopotutto ci sono tante consolazioni! – ha scritto Pessoa – c’è l’alto cielo azzurro, limpido e sereno, in cui fluttuano sempre nuvole imperfette. E la brezza lieve […] E, alla fine, arrivano sempre i ricordi, con le loro nostalgie e la loro speranza, e un sorriso di magia alla finestra del mondo, quello che vorremmo, bussando alla porta di quello che siamo». Perché «non c’è nostalgia più dolorosa di quella delle cose che non sono mai state».
Dialoghi Mediterranei, n. 49, maggio 2021
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Lia Taddei, nata e vissuta a Trieste, laureata in Psicologia, ha lavorato prima come operatrice psichiatrica, poi come responsabile di segreteria studenti presso l’Università di Trieste. Le sue grandi passioni sono la fotografia e i viaggi. Ama soprattutto fotografare le persone nel loro ambiente, entrare a contatto con culture diverse, vivendo questi momenti come crescita interiore e cercando di essere più viaggiatrice che turista. Adesso che la situazione non le permette di fare nuovi viaggi cerca con la fotografia di scoprire nuovi punti di vista, perché in fondo la fotografia è già di per se un viaggio sia che si fotografi luoghi lontani che vicini. Ha partecipato a vari workshop, viaggi fotografici e recentemente ha partecipato con alcune sue foto ad un progetto editoriale collettivo.
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