per l’italiano
di Ugo Iannazzi
Ai componenti di tutte le comunità, che oggi vivono in condizioni di libertà e di democrazia, si riconoscono alcuni diritti inalienabili. Tra essi vi è quello alla salute, all’istruzione, a circolare liberamente, alla proprietà dei beni individuali, a respirare aria pulita, a bere acqua potabile, a non essere soffocati dal rumore, a sviluppare ciascuno la propria personalità, alla sicurezza sociale; al rispetto della persona, della riservatezza, della libertà di pensiero; a vivere in una condizione in cui sia bandita la schiavitù e la tortura.
In Italia, nazione, culla di forme di cultura uniche al mondo, occorre inserire tra i valori inalienabili, anche, i diritti alla difesa e valorizzazione della lingua italiana, oggi non sempre garantiti e simili ai vincoli di tutela archeologici, artistici, paesaggistici: quindi, occorrono anche vincoli linguistico-letterari. Un connazionale non può distruggere/manomettere i resti di Pompei, o il Colosseo, senza fare danni irreparabili alla sensibilità delle persone di tutto il mondo (lo abbiamo verificato anche con l’incendio di Nôtre Dame)! Similmente non può distruggere i capolavori della scultura, della pittura, del disegno, della musica… non può danneggiare i Faraglioni, Venezia, la cascata delle Marmore, i boschi, i laghi, i fiumi… senza essere perseguito!
Ma, fino a oggi, ha la libertà incontrollata di provocare la decadenza della lingua italiana, che, invece, non è per nulla tutelata, pur essendo per noi un bene immateriale fondamentale, che ci permette di comunicare a voce, o di leggere, studiare e comprendere tutto il patrimonio letterario ed espressivo del nostro Paese (prose, poesie, dialetti, canti, carteggi, corrispondenze, prodotti video-cinematografici, fonti orali, tradizioni popolari…).
In Italia si proteggono (e finanziano) le minoranze linguistiche (ne ha parlato qualche mese fa anche il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, quando si è presentato per la fiducia alla Camera), ma non si fa nulla per proteggere l’idioma nazionale, che tende a diventare anch’esso minoranza. Un decennio fa abbiamo assistito a un fatto straordinario: l’Unesco ha classificato come patrimonio universale dell’Umanità il canto a tenore dei pastori sardi. L’Unesco protegge la musica, il canto e la lingua di una nostra minoranza “linguistica”! Noi italiani non siamo capaci di tutelare la nostra lingua nazionale, anzi chiudiamo gli occhi quando persone incoscienti congiurano per distruggerla!
Non ci sono leggi di condanna per chi provoca la sparizione della nostra lingua, che è l’albero che ha generato rami (i nostri grandi pensatori, i grandi artisti, i grandi scienziati, invidiati da tutta l’umanità), che hanno illuminato il mondo con i loro primati. Non possiamo assistere indifferenti al fatto che ogni giorno la nostra lingua venga, per colpa di connazionali, lentamente sostituita da un idioma straniero.
Occorrono regole rispettate. Quando le strade si sono colmate di traffico, per garantire l’incolumità a tutti, si sono messi i semafori e si sono stabiliti gli obblighi della precedenza da dare alle categorie più deboli. La lingua italiana è debole e chiede protezione. Oggi per tutelare tutto il nostro vasto patrimonio culturale, naturalmente indifeso, occorre bloccare alcune perniciose abitudini, solo in apparenza innocue. Senza impedire la frequentazione di altre lingue, se confinate nei campi di pertinenza e specialistici, diamo ascolto anche a chi difende con tenacia la lingua italiana.
I Francesi rispettano con rigore e con passione il loro idioma, impediscono invasioni linguistiche estranee e nelle pubblicità che diffondono in Italia, promuovono anche con orgoglio la lingua transalpina, affiancandola con rispetto e dignità ai loro prodotti. Molti connazionali, invece, rinnegano l’italiano già in patria! I politici, parimenti, debbono interrompere il malcostume di mascherare le leggi con intitolazioni incomprensibili, alloctone. La tv, oltre che nella cronaca, sempre più dà titoli inglesizzati a programmi su argomenti vari, e incomincia a ospitare pubblicità solo in inglese. I giornali che 20-30 anni fa lo usavano con molta parsimonia, in anni recenti ne hanno moltiplicato l’uso in modo esponenziale. I titoli degli articoli sono pieni di vocaboli stranieri superflui, i testi, poi, riportano sempre più frasi inglesi, non tradotte. La pubblicità oggi inventa sempre più neologismi e locuzioni inglesi e non li crea nella nostra lingua.
Mario Draghi, dicendo: «Chissà perché dobbiamo sempre usare tutte queste parole inglesi!» ci ha svelato un grave dramma italiano. Sono parole di un uomo intelligente, dette ad alta voce, ma che hanno al momento solo una condivisione sotterranea. Occorre, adesso, confortarlo con stimoli di portata nazionale, con un’azione collettiva, che chieda alla politica e al governo da lui guidato, di intervenire culturalmente e legislativamente.
A tal proposito occorre rivolgere un appello, a chi è sensibile a questo tema, intellettuali e persone comuni, affinché condividano sempre più le seguenti iniziative:
1) Studiare l’ipotesi di formare un comitato operativo che coordini interventi per un’“azione collettiva”.
2) Redigere un Manifesto, che presenti in forma dettagliata i vari aspetti del problema.
3) In questo Manifesto, propongo fin da da ora di fari riferimento agli “strilli, grida, motti di resistenza”, che seguono, migliorati e magari integrati.
4) Il Manifesto, in primis, conterrà tutte le riflessioni analitiche, che definiscano l’ambito culturale del fenomeno, per una sensibilizzazione ragionata di chi affronti per la prima volta il problema.
5) Il Manifesto, inoltre, conterrà le richieste operative condivise, da presentare ai parlamentari, al Governo e al Presidente Draghi.
6) Fin da ora si studi la possibilità di raccogliere in una pubblicazione tutti i testi già diffusi su Dialoghi Mediterranei e altri in corso di elaborazione.
7) Si sviluppi un dibattito, con ipotesi di organizzare un Convegno, allargato a enti interessati (es. Accademia della Crusca, Istituti di Cultura ecc.), eventualmente, condotto in videoconferenza.
8) Invitare le riviste a preferire sempre la pubblicazione di testi in lingua italiana e, nel caso siano indispensabili testi in lingua straniera, che siano sempre affiancati dalla traduzione in italiano. È un modo per farlo sopravvivere e un aiuto a chi non conosce lingue estere.
9) Per rendere più incisiva l’iniziativa, si consideri fattibile, già da ora, il boicottaggio all’acquisto di periodici, o di prodotti, o il rifiuto alla visione di trasmissioni radio-televisive, che tradiscano la lingua italiana.
10) Che si studino i modi per un’ampia diffusione degli interventi su vari organi di stampa e comunicazione.
Dialoghi Mediterranei, n. 49, maggio 2021
Strilli, grida, motti di resistenza
prima parte
1. A “strilli, grida, motti di resistenza”, vocaboli della nostra lingua, non ho aggiunto un superfluo “slogan”, lemma d’importazione gaelico-scozzese.
2. Ad alta voce il Presidente del Consiglio Mario Draghi, il 12 marzo 2021, durante la conferenza al centro anti Covid di Fiumicino, parlando di smart working e baby sitting, dopo una pausa, ha espresso un chiaro commento sull’eccessivo utilizzo delle parole inglesi nella lingua italiana: “Chissà perché dobbiamo sempre usare tutte queste parole inglesi!”.
3. Agli italiani anglofili e italianofobi preferiamo quelli anglofobi e italianofili.
4. Ai nostri grandi letterati del passato sanguinerebbe il cuore, se sapessero, quanto oggi viene calpestata, ingiuriata e inquinata la nostra comune lingua.
5. Alla nostra nobile e antica lingua italiana, dobbiamo offrire rispetto, alimentazione, manutenzione e restauro.
6. Amo l’italiano, combatto l’inglese superfluo.
7. Cerco di parlare bene l’italiano e vari dialetti “letterari”. Uso l’inglese, quello che conosco, solo in caso di vera necessità.
8. Chi conosce bene l’inglese, lo usa con misura, rispettando la vitalità (o sopravvivenza) delle altre lingue.
9. Cicerone, mio concittadino, andò in Grecia e studiò il greco, per meglio assimilare quella cultura. Scrisse, però, sempre in latino e ne arricchì il vocabolario con moltissimi neologismi, che esprimevano i concetti ellenici, non aventi nel mondo romano ancora una denominazione.
10. Oggi, invece, si va all’estero, si impara/perfeziona una, o più lingue e, tornando in Italia, la/le si usa/no come linguaggio killer contro l’italiano.
11. Civettare l’inglese nel linguaggio comune è spesso segno di poca capacità: è un paravento che svergogna il parlante e danneggia irrimediabilmente la nostra cultura.
12. Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca, impegnata da più di quattro secoli nella diffusione della lingua italiana, ha commentato la riflessione di Mario Draghi, fatta a Fiumicino: «Sono molto contento che il presidente Draghi, in questo momento difficile per il Paese, abbia toccato quest’argomento con leggerezza e con una battuta, ma si capiva la sua posizione». E ha aggiunto: «Normalmente quando si critica l’uso eccessivo dei termini inglesi, scatta l’accusa di provincialismo; nel caso di Draghi è difficile farla scattare, dato che lui per anni ha fatto discorsi in inglese, ma quando parla in italiano, si pone il problema di usare i termini appropriati nella nostra lingua».
13. Con il dibattito in corso tutti i veri e importanti intellettuali italiani hanno il dovere non solo di stigmatizzare questo fenomeno, ma di mettere in atto azioni dimostrative concrete.
14. Dimenticare quanta ricchezza espressiva ha la lingua italiana, che ha ereditato un’infinità di pregi dal greco e dal latino è azione grave e antistorica.
15. Dopo le velleità fasciste, pian piano tramontate, di italianizzare i nomi propri stranieri, li abbiamo sempre scritti con rispetto: Albert (e non Alberto) Einstein; Marilyn (e non Marilina) Monroe; John (e non Giovanni) Fitzgerald Kennedy; Margaret (e non Margherita) Tatcher; Vladimir Lenin (e pronunciato correttamente: Liénin). Mi chiedo: perché molti italiani debbono oggi inglesizzare i nostri nomi propri, sia all’estero e addirittura anche in Italia!? Es. Made in Italy, da usare solo all’estero, dovrebbe essere sempre detto: Made in Italia!
16. Facendo una prima riflessione: perché sul mercato italiano tutti i nostri produttori non chiamano le loro merci: Prodotto italiano, o Prodotto in Italia? In Francia dicono: Fabriqué en France. Da anni fanno un’importante mostra annuale, intitolata proprio Fabriqué en France, che ai primi del 2020 è stata ospitata addirittura nel palazzo dell’Eliseo in rappresentanza dei dipartimenti e delle città d’Oltremare.
17. Facendo una seconda osservazione: perché da noi, cioè in patria, in modo strabordante, dobbiamo usare Made in Italy, un’espressione in cui si inglesizza addirittura il nome proprio del nostro Stato? Se si facesse in Italia un’esposizione di prodotti italiani, magari al Quirinale, la chiamerebbero perversamente Made in Italy! Ne sono così sicuro, anche perché questa espressione piace così tanto, che pochi mesi fa l’hanno già adottata per titolo di uno sceneggiato in otto puntate, dedicato alla nascita della moda italiana. E se non avessero scelto questa, sarebbe stata sicuramente opzionata: Fashion in Italy o Italian fashion!
18. Figuriamoci la sorpresa! Alcuni italiani cadono nella tentazione di “inglesizzare” anche altri nomi propri! Mi chiedo: perché un Assessorato Regionale al Turismo ha inventato la frase “Il Veneto è la regione di Venice”? Perché il presidente Luca Zaia si fa intervistare davanti al manifesto che riporta ben due volte quella scritta! E perché hanno deciso di valorizzare il territorio di Parma, denominandolo Parmaland?
19. Forse in Italia c’è chi crede sia una cosa di grande soddisfazione chiamare Venezia col traslato Venice, Roma con Rome e Firenze con Florence? Sì, c’è, e purtroppo questa è una scelta stupida. Non c’è alcun bisogno di modificare questi nostri nomi propri, visto che figurano queste tre città, tra le più famose al mondo, che gli stranieri tranquillamente e rispettosamente chiamano Venezia, Roma e Firenze!
20. Gli italiani, parecchi dei quali sono anglofili, hanno una cattiva conoscenza della lingua inglese: infatti, secondo alcune statistiche, si situano al ventiseiesimo posto tra le nazioni europee e nel mondo al trentaseiesimo posto.
21. Gli italiani sono portati a dividersi su tutto. Dopo l’Unità d’Italia, l’unico comune multiplo, che ha legato i nostri connazionali, è stata la lingua italiana. Molti, purtroppo, oggi considerano sia giunto il tempo per distruggere anche questo legame.
22. Gli italiani, che in alcune epoche furono sempre creativi e grandi inventori di neologismi, perché oggi nel linguaggio comune rinunciano a farlo e si abbeverano solo di termini inglesi, fino ad affogarvi dentro? Bisognerebbe chiederlo agli psicologi! Ma a quelli bravi!
23. Ho l’abitudine di leggere ogni giorno uno o più quotidiani. Ho acquistato la Repubblica, e relativi allegati, fin dal primo numero e li conservo quasi tutti. Nel corso degli ultimi decenni vi si è avuto un incremento di parole inglesi inutili, sia nei titoli degli articoli, sia nelle pubblicità. Dopo il passaggio della proprietà alla gedi questo fenomeno ha mostrato una forte accelerazione. Durante la pandemia tale fenomeno si è ulteriormente intensificato. In questi ultimi mesi alcuni marchi sono stati ospitati a tutta pagina con messaggi scritti solo in inglese. Non contenti di ciò hanno messo a disposizione di un singolo marchio spazi sempre maggiori, fino a giungere a intere paginate a pieno formato, in cui compaiono solo locuzioni inglesi. Non condividendo questa linea editoriale, che mortifica la nostra lingua, annuncio con fermezza la mia decisione di interrompere l’acquisto di questo quotidiano.
24. Ho notato che altri giornali fanno la stessa cosa. Addirittura il Corriere della Sera il giorno 19 marzo 2021 e il suo allegato Beauty, uscito alla stessa data, hanno concesso addirittura due intere facciate a pieno formato, affiancate, a un marchio, Labo Cosprophar, che utilizzava solo messaggi in idioma inglese! Proporre in Italia prodotti nazionali, accompagnati da una lingua differente da quella amata e utilizzata dal lettore, che con il proprio denaro acquista il quotidiano, non è proprio una buona idea per ampliare le vendite del giornale e anche del prodotto, ma di irritarlo e respingerlo.
25. Ho ritenuto opportuno d’ora in poi che, soffermandomi all’edicola, sfoglierò, col permesso dell’edicolante, più di una testata e acquisterò solo quelle che mostrano un giusto rispetto per la nostra lingua.
26. Se con l’accelerazione degli ultimi tempi il linguaggio dei mezzi di comunicazione si orienterà a usare sempre più l’inglese e a perdere sempre più, anche nel parlare comune, l’italiano, questa è una scelta masochistica e controproducente.
27. Io personalmente, quando osservo alcune pubblicità in televisione e su carta stampata, inquinate da vocaboli inglesi “ruffiani” (tipo il famoso caffè di What else?, invece di Cos’altro?), mi impongo a vita di rifiutare l’acquisto e il consumo di quel prodotto! O almeno finché non si abolisca questa locuzione.
28. Invito i cittadini di buona volontà a opporsi all’anglicizzazione linguistica del nostro parlare comune. Questa scelta non è dovuta a un’“allergia” all’idioma anglo-americano ma è un dovere, una scelta ragionata di tutti, particolarmente degli intellettuali, ancor più degli studiosi di materie umanistiche.
29. Quelli di essi più in vista, più ascoltati e più convinti, promuovano un’Azione collettiva! (da notare come il concetto scritto in corsivo si può anche esprimere con parole nostre!). Questa Azione può essere impostata anche su nuovi modi di intervento, che perseguano, comunque, 2 obiettivi: 1) Elaborazione legislativa di strumenti di tutela della lingua italiana; 2) Atti dimostrativi di sabotaggio all’acquisto di prodotti italiani, pubblicizzati in Italia con idiomi estranei, alternativi all’italiano.
30. Identica azione di sabotaggio va fatta con lo spegnimento/silenziamento di telecomando a programmi televisivi e radiofonici, sempre più infarciti di inglese e di colonne sonore anglo-americane inutili e fuori contesto.
31. Ignorare l’italiano, inquinandolo e sostituendolo con altre parlate, vuol dire condannarlo al decadimento e alla dismissione. Nel descrivere questo fenomeno, qualcun altro potrebbe usare (in ordine alfabetico) verbi differenti: bistrattare (il nostro idioma), o danneggiarlo, dileggiarlo, disprezzarlo, distruggerlo, ingiuriarlo, insolentirlo, insultarlo, irriderlo, maltrattarlo, mancargli di rispetto, mortificarlo, offenderlo, oltraggiarlo, sbertucciarlo, schernirlo, stravolgerlo, svillaneggiarlo, umiliarlo, vilipenderlo, ucciderlo, violarlo ecc. Da ciò si nota l’incredibile ricchezza della nostra lingua, che ha un elevato numero di sinonimi, da scegliere a piacere, per rendere una frase meno approssimata, meno difettosa, generica, imperfetta, indefinita, indeterminata, vaga… e, al contrario, più completa, corretta, esatta, esauriente, precisa, rigorosa ecc.
32. Il 25 marzo 2021, nella celebrazione del Dantedì al Palazzo del Quirinale, l’artista italiano polivalente e premio Oscar, Roberto Benigni, dopo aver commentato e recitato a memoria il 25° canto del Paradiso, ha affermato: “Dobbiamo amare la lingua italiana, che è la più bella del mondo!”.
33. Il dubbio è: come si fa ad amare la lingua italiana, come auspicato da Benigni, se, mentre si celebra il settimo centenario di Dante, padre della nostra lingua, si continuano a ignorare le sue potenzialità e il suo sviluppo, contaminandola con una forsennata crescita di vocaboli estranei?
34. Il Mediterraneo è stato un tavolo da biliardo, dove hanno giocato tanti popoli e sono avvenute le contaminazioni reciproche di moltissime culture: fenicia, greca, romana, bizantina, araba, francese, spagnola… I contatti, per addizione e non per sostituzione, avvenivano via mare e anche via terra, soprattutto in base a atti di conquista. Oggi il nostro libero rapporto con il mondo inglese è, invece, di volontaria contaminazione, che per scelta improvvida di alcuni connazionali, diventa sempre più contagio, infezione, erosione… Fenomeni non imposti, ma che una piccola e determinante percentuale di italiani follemente mette in atto, desidera, sogna. I contatti odierni di erosione avvengono sul territorio nazionale, spesso a chilometro zero, e più che via terra o via mare, soprattutto per via stampa e per via etere.
35. Il silenzio di una lingua nazionale centenaria (ma dalle origini millenarie), genererà mostri.
36. In questi giorni c’è il dibattito sulle fasce d’età, più adatte ad assimilare il vaccino AstraZeneca. Si sentono in tv, ma si leggono anche su moltissimi giornali le frasi: over 70 e under 80 anni, invece di sopra i 70, o sotto gli 80 anni, o più di 50 e meno di 60; le espressioni over e under sono pronunciate da conduttori in modo veloce, da scioglilingua, e con inflessioni inglesizzanti. Sono convinto che molti spettatori, ottantenni e settantenni, non riescano a capirne le differenze, per loro così importanti. Ma costa molto a questi mezzibusti esprimersi in un naturale e corretto italiano? Non è questo, per caso, un inglese superfluo e colpevolmente incomprensibile?
37. Io voglio lasciare ai miei figli e nipoti la prediletta e insostituibile lingua di mio padre, di mia madre, dei miei nonni e bisnonni. È un patrimonio culturale di immenso valore, che non va distrutto, ma tutelato e vivificato.
38. La riflessione del presidente del Consiglio Mario Draghi, mi domando, è, sì o no, un invito a espellere dal nostro linguaggio le parole smart working e babysitter, per usare, invece, le oneste espressioni: lavoro agile o a casa, e bambinaio/a?
39. La sera del 9 aprile alla trasmissione 8 e mezzo Lilli Gruber, che è notoriamente una giornalista misurata e rispettosa dell’italiano, per ben due volte, riferendosi alla precedenza di quali categorie abbiano il diritto a vaccinarsi, si è espressa: – Anziani first! First è un vocabolo trumpiano di recente memoria, divenuto, dopo le sue sconclusionate imprese, un luogo comune. Non era logico dire Prima gli anziani! e non accodarsi a un andazzo di moda!
40. L’inglese sovrabbondante, utilizzato nelle pubblicità, è uno specchietto per allodole, per suggerire ai consumatori come quel tal prodotto, o offerta, è moderno, com’è “ammantato di progresso” e com’è “colorato” di internazionalità!
______________________________________________________________
Ugo Iannazzi, architetto, museografo, studioso di tradizioni popolari, ha realizzato ad Arpino (FR) il Museo dell’Arte della Lana e redatto progetti per i Musei della Liuteria e delle Arti tipografiche. Con Eugenio Beranger ha creato ad Arce (FR) il Museo antropologico della “Gente di Ciociaria” nel 2004 e pubblicato nel 2007 il relativo saggio storico-critico, che raccoglie le vicende territoriali, gli usi e i costumi popolari del mondo rurale e artigiano locale. In collaborazione con Antonio Quaglieri ha pubblicato nel 2016 Chi parla i sparla nen perde ma’ tiempe. La civiltà contadina, una filastrocca, un pretesto e nel 2018, in collaborazione con Ercole Gabriele Gli apologhi di Fedro tradotti in dialetto arpinate. Ha in corso di stampa Il pensiero popolare, detti, proverbi, motti, raccolti da Luigi Venturini nel 1911 e da Antonio Quaglieri nel 2011; e in preparazione, un saggio sul poeta dialettale Giuseppe Zumpetta e uno sugli incontri a Firenze tra Gioacchino Rossini e il letterato Filippo Mordani.
______________________________________________________________