Nel centenario della nascita di Leonardo Sciascia, rievocando la figura di quello che senza dubbio possiamo annoverare tra i massimi intellettuali e pensatori del secondo Novecento italiano ed europeo, le molteplici iniziative convegnistiche e le centinaia di articoli e contributi finora pubblicati sui principali organi di stampa nazionali e internazionali, hanno fatto perno su uno dei nuclei essenziali della sua riflessione culturale e politica: quello della Sicilia intesa come metafora del mondo: un concetto che rende possibile esaminare uno smisurato palinsesto di problemi, prospettive e contraddizioni necessario per comprendere la cifra, complessa e polisemica, di una collettività sempre più condizionata da laceranti – e drammatici – conflitti sociali. Ma anche dalla corruzione e dal disimpegno, dalla criminalità dilagante e soprattutto da un regime democratico internamente fragile e oggetto di continui attacchi provenienti specialmente dalla stessa politica che intorno ai fiori freschi della democrazia ha costruito un enorme sistema di potere.
Sciascia, spirito profondamente laico e controcorrente, aveva intessuto negli anni con la tradizione religiosa cristiana un rapporto particolare, fondato sulla meditazione delle opere di alcuni autori cattolici che frequentava assiduamente (si pensi a Manzoni, Pascal, Claudel, Guitton e molti altri ancora) esplorando temi e linguaggi della loro riflessione. Una riflessione che, nel caso dello scrittore di Racalmuto, si incentra sul messaggio evangelico («leggo ogni giorno il Vangelo – era solito ripetere negli ultimi anni della sua vita –, per me è come dare ogni giorno la corda all’orologio…») e su un anticlericalismo lucido e critico nei confronti di una Chiesa sempre più affarista, corrotta, mondana e «refrattaria al Cristianesimo nella sua essenza» (Alfabeto pirandelliano).
È una prospettiva, quella appena presentata, a cui possiamo sicuramente accostare la recente indagine sulla religiosità in Sicilia negli ultimi decenni sviluppata da un filosofo che ama definirsi “laico”, Augusto Cavadi, nel suo Dio visto da Sud. La Sicilia crocevia di religione e agnosticismi, uscito per i tipi di Spazio Cultura edizioni (Palermo 2020), con una penetrante postfazione di don Cosimo Scordato. Il volume è il primo della collana “Humanitas. Libero pensiero”, diretta dallo stesso Cavadi, che è uomo di dialogo e attento conoscitore della società siciliana; un autore che all’attività di prolifico saggista e consulente filosofico ha saputo affiancare per più di un quarantennio quella di docente di filosofia e storia nei licei. Senza dubbio un protagonista della vita culturale palermitana attuale, il cui lavoro si radica nel costante esercizio quotidiano del riconoscimento dell’altro come fonte di conoscenza e di spiritualità. Fondatore, tra l’altro, della Scuola di formazione etico-politica “Giovanni Falcone”, coordina e anima a Palermo le attività culturali della Casa dell’Equità e della Bellezza, un Centro di incontri e dibattiti su temi filosofici, teologici, di attualità politica e sociale.
In questo libro, dall’impianto originale (è per lo più una raccolta di articoli pubblicati nell’arco dell’ultimo ventennio sulle pagine palermitane de “La Repubblica” e sul periodico messinese “Centonove”), l’autore sviluppa una coerente argomentazione sul tema della laicità e sul ruolo che la religione ricopre nella vita sociale e politica in Sicilia e, un po’ più ad ampio raggio, nel meridione d’Italia, sottolineando fin dalla nota introduttiva che «non si tratta di un saggio teologico che voglia affrontare sistematicamente questioni più o meno spinose, ma del racconto, alquanto rapsodico, di un processo in corso, ossia della testimonianza di una varietà di problemi, intuizioni, esperimenti, polemiche» capace di favorire da un’angolazione apparentemente limitata ma densa di narrazioni e spunti di lettura un prezioso strumento di lavoro per chi, in futuro, vorrà occuparsi della Sicilia impegnandosi in ricostruzioni organiche. È, per l’appunto, un metodo d’osservazione essenziale per restituire all’Isola un ruolo “metaforico” di grande efficacia.
Davanti alla domanda se la Sicilia possa fornire, anche in riferimento alla dialettica tra “religione” e “società civile”, nuove chiavi di lettura sul mondo contemporaneo, Augusto Cavadi non esita ad affermare che l’Isola va intesa come «una sineddoche, ovvero una parte che sta per il tutto, un microcosmo che condensa un macrocosmo e a esso rimanda, una terra che evoca la logica dell’ologramma, un frammento che riproduce l’intero; per ridirlo con Leonardo Sciascia, una metafora». Ed è proprio in relazione al dibattito sulla religiosità che si può articolare un’accurata disamina della mentalità che attraversa a livello planetario l’intera umanità, essendo il nostro mondo un immenso teatro in cui – favorita da macro-fenomeni come la caduta delle ideologie otto-novecentesche, la globalizzazione, e, principalmente, gli enormi flussi migratori che vedono lo spostamento di milioni di persone lungo tratte più o meno consolidate – la religione assume una funzione fondamentale per confutare le teorie secondo cui la modernità avrebbe in via definitiva relegato il sacro alla sfera “individuale” e “privata”, come diretta conseguenza di un inarrestabile processo di secolarizzazione da cui è impensabile tornare indietro. Niente di tutto questo. Semmai il mondo di oggi – sostiene Cavadi, riprendendo un’espressione di Peter Ludwig Berger (1995) – continua a essere «furiosamente religioso tanto quanto lo è sempre stato; in alcuni posti lo è addirittura di più».
È una questione sociologicamente delicata e difficilmente comprensibile se non si tenta di approcciarla attraverso una lente di ingrandimento funzionale a consentire una rigorosa lettura del fenomeno storico-religioso a partire dalla indagine intorno al particulare siciliano, essendo la Sicilia, per antonomasia, un’isola plurale che soffre – per dirla con Gesualdo Bufalino – di un «eccesso di identità»; dunque un laboratorio ideale per sondare millenni di storia e di civiltà stratificatisi in una realtà sociale ancora viva e in continuo mutamento. E proprio la Sicilia – afferma giustamente Cavadi – «che nella sua storia bimillenaria ha conosciuto, tra tanto altro, la fierezza dell’umanesimo ebraico, per il quale la coppia uomo-donna sarebbe, addirittura, icona del Dio vivente, la tensione democratica dell’isonomia greca e l’invito evangelico all’universalità dell’agape potrebbe candidarsi ad anticipare nel presente quella polidimensionalità a cui l’umanità intera è chiamata se vuole sopravvivere» .
La modalità in cui è strutturato il volume favorisce in prima istanza un’approfondita disamina del mondo cattolico siciliano «tra vangelo e tradizione». A questa sezione, l’autore riconduce tre macro-problematiche fortemente interconnesse tra di loro: la bioetica, il rapporto con il potere politico, le relazioni pericolose con il sistema mafioso. La trattazione prosegue con una seconda parte, dedicata alle altre Chiese cristiane (ortodosse, riformate, anglicane, ecc.) e alle tante tradizioni religiose (monoteistiche, l’ebraismo e l’islamismo, e orientali, in particolare l’induismo e il buddhismo) presenti nel territorio. Nella terza sezione, complementare alle due precedenti, Cavadi sviluppa una sintesi parecchio persuasiva sulla necessità di promuovere un confronto dialettico con le posizioni agnostiche e atee prescindendo dalle quali «nessuna organizzazione confessionale può sperare di rinnovarsi profondamente».
Essendo costituito prevalentemente da brevi articoli collazionati con una lucida visione d’insieme, Dio visto dal Sud offre ai lettori l’opportunità di entrare nello specifico di una delle più importanti discussioni sulle quali l’autore si è a lungo cimentato con passione fornendo uno strumento di approfondimento estremamente chiaro e lineare. Ed è un aspetto che non va sottovalutato, quello dello stile comunicativo di Cavadi, sempre puntuale nel tratteggiare un quadro d’insieme delle questioni affrontate senza prestare il fianco a inutili sociologismi e/o a luoghi comuni, accompagnando il lettore in una esposizione allo stesso tempo molto personale e serrata in cui il tema della religiosità assume in controluce una connotazione etica e civile di forte impatto culturale. E, in quest’ottica, non possiamo che condividere in pieno le osservazioni conclusive di don Cosimo Scordato lì dove si parla del giornalismo di Augusto Cavadi come
«di quell’esemplare divulgazione caratterizzata più che dall’aspetto narrativo (tante volte la sua scrittura sa esserlo), dall’esigenza argomentativa. In questo senso egli riesce a esprimere con chiarezza il suo punto di vista, argomentandolo in maniera stringente; dopo di che, si possono condividere o meno le sue ragioni ma alla fine sai da che parte puoi scegliere di stare. [...] Dio visto da Sud diventa allora un invito a coltivare quell’atteggiamento non solo di tolleranza (che saprebbe ancora di sopportazione), quanto piuttosto di rispetto nel senso di respicere, ovvero del rispetto che sa guardare gli altri con attenzione e con la voglia di farsi compagni di strada».
Dialoghi Mediterranei, n. 49, maggio 2021
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Vincenzo Maria Corseri, dottore di ricerca in Filosofia, ha svolto attività seminariali presso la cattedra di Storia della filosofia medievale dell’Università degli Studi di Palermo e insegnato Estetica, come docente a contratto, presso l’Accademia di Belle Arti “Kandinskij” di Trapani. È stato collaboratore della Facoltà Teologica di Sicilia per la redazione del Dizionario Enciclopedico dei Pensatori e Teologi di Sicilia. Ha al suo attivo diverse pubblicazioni. Recentemente ha curato, insieme a Giuseppe L. Bonanno, il volume Cultura storica e tradizioni religiose tra Selinunte e Castelvetrano, una raccolta di studi sulla storia religiosa e culturale del territorio selinuntino (Istituto Euroarabo, Mazara del Vallo 2018). È ricercatore ARPA (Associazione per la Ricerca in Psicologia Analitica).
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