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Angelus Novus per Betlemme

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Betlemme, 2019 (ph. Enrico Caruso)

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di Enrico Caruso

Scrivo questo contributo mentre dal balcone sventola una bandiera della Palestina. Rileggo il progetto che mi ha portato a Betlemme e, pur immutato nelle forme e nei contenuti, lo guardo nelle sue parole scritte e riscritte, con un pensiero più attento, intenzioni più profonde e sentite.

Il pensiero, le intenzioni nascono da quello che sta accadendo in questi mesi in quei luoghi e davanti al quale mi riconosco impotente, distante dalla realtà e dalle persone che hanno permesso un’esperienza centrale nella mia ricerca artistica.

E penso a come sia paradossale che un popolo così ospitale come quello palestinese possa soffrire così tanto e per così tanto tempo proprio ai danni di quello che, se vogliamo fare dell’ironia, è un suo ospite.

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Betlemme, 2019 (ph. Enrico Caruso)

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Betlemme, 2019 (ph. Enrico Caruso)

Nel dicembre 2019 sono stato una settimana a Betlemme per finalizzare un lungo studio sui caratteri del cristianesimo nei luoghi santi della Chiesa romana. Il mio punto di partenza era la riflessione di Walter Benjamin sull’Angelus Novus, l’Angelo della Storia, ispirata da un quadro di Paul Klee.

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Betlemme, 2019 (ph. Enrico Caruso)

Benjamin analizza il quadro all’interno della IX tesi sulla filosofia della storia e, coerentemente a tutto il suo pensiero, conclude che ogni idea di passato, qualunque essa sia, è fondamento per un’idea di presente, e che un vero gesto di rivoluzione ha sempre origine dal “nuovo” che si determina nel presente dal recupero del passato.

L’Angelus Novus è questo movimento del passato dalla storia all’oggi per intervenire e trasformare. Nella figura dell’Angelus ritroviamo echi messianici, leniniani e postmoderni.

Tutti concorrono che il nuovo è meglio, ma a patto che non venga separato da quanto lo precede. In caso contrario, la rivoluzione/cambiamento verrà vinta dal progresso, definito da Benjamin come «una bufera che spinge irrimediabilmente verso il futuro».

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Betlemme, 2019 (ph. Enrico Caruso)

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Betlemme, 2019 (ph. Enrico Caruso)

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Betlemme, 2019 (ph. Enrico Caruso)

Betlemme vive questi fenomeni secolari ma in modo né messianico né benjaminiano. In questi luoghi, il nuovo si incarna nella crescente ondata di pellegrini e fedeli cristiani che giungono a portare la loro testimonianza di fede. La crescente presenza sul territorio palestinese sta favorendo una serie di trasformazioni tipicamente occidentali.

Come fotografo, mi interessavano particolarmente le mutazioni paesaggistiche-urbane.

Un gran numero di hotel, residence e abitazioni (non proprio arabe) si stanno moltiplicando a Betlemme per consentire maggiore e migliore ospitalità ai credenti.

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Betlemme, 2019 (ph. Enrico Caruso)

Ricordo che a Betlemme si trova la chiesa della Natività, tra i luoghi più importanti della ritualità cristiana, e che per molti fedeli il viaggio in Terra Santa rappresenta il punto più alto ed ambito del proprio percorso di preghiera.

Questi rivolgimenti pesano sull’identità arabo-musulmana della città, identità che si consuma e avvilisce. Nella stessa misura in cui un primo colonialismo israelitico mina alla base la permanenza stabile e sicura dei palestinesi nelle loro case, un secondo colonialismo occidentale e cristiano attenta alla natura originaria di un luogo e di una cultura.

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Betlemme, 2019 (ph. Enrico Caruso)

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Betlemme, 2019 (ph. Enrico Caruso)

Gli edifici arabi si alternano (o sono sostituiti) da quelli cristiani; i commerci arabi vengono rimpiazzati dai souvenir occidentali. Tutte queste novità si propagano rapidamente con ripetuti interventi e attività distribuite su tutto il territorio.

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Betlemme, 2019 (ph. Enrico Caruso)

Il fenomeno genera un notevole profitto al business dei commercianti locali oltre a consentire la sostituzione delle case più antiche, spesso decadenti, con nuove strutture solide ed importanti.

Questo si registra in particolar modo nei quartieri periferici (Bayt Sahur, Bayt Jala e l’area intorno alla Tomba di Rachele in prossimità del muro di separazione con Israele) dove gran parte di questi nuovi edifici sorge in mezzo al nulla o accanto a cantieri appena aperti.

In centro, la città si presenta come un continuo work in progress. Dovunque si riscontra la presenza di maestranze di vario tipo impegnate nel riassestamento delle strade, nel colorare infissi, nel ridipingere pareti.

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Betlemme, 2019 (ph. Enrico Caruso)

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Betlemme, 2019 (ph. Enrico Caruso)

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Betlemme, 2019 (ph. Enrico Caruso)

Accanto a questo rimpasto pubblico e sociale, sopravvivono le architetture tipiche, caratterizzate da grande semplicità e funzionalità, ma anche pericolanti e poco confortevoli. Sembra che si stia cercando di “abbellire” la città, quasi a voler nascondere la cultura originaria del posto.

Inizialmente, il primo input al progetto, era fotografare le porte d’ingresso delle case di Betlemme, idea mantenuta ma reinterpretata. A Gerusalemme si trova la Porta d’Oro a cui la tradizione attribuisce il passaggio del Messia quando giungerà in mezzo agli uomini.

Fotografare le porte era un modo per annunciare l’avvento di un volere esterno determinante e creatore.

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Betlemme, 2019 (ph. Enrico Caruso)

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Betlemme, 2019 (ph. Enrico Caruso)

Certo è un modo facile di farlo, ma che si appoggiava sul valore simbolico del riferimento cristologico, peraltro localizzato ad appena pochi chilometri di distanza.  

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Betlemme, 2019 (ph. Enrico Caruso)

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Betlemme, 2019 (ph. Enrico Caruso)

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Betlemme, 2019 (ph. Enrico Caruso)

A conti fatti, queste immagini “delle porte” assumono un ruolo ancora più incisivo: sottendono la possibilità che questo cambiamento, inevitabilmente in atto ma non ancora definito o definitivo, possa avvenire con delle correzioni, procedere parimenti d’accordo con quelle forme di passato che, come si diceva inizialmente, il cambiamento lo devono condividere e alimentare, perché ne sono attivamente coinvolte, e non subire, come invece sembra avvenga in questo caso.

La convivenza del vecchio e del nuovo mi appare, in tutti i versi, una questione centrale per chi vive in questi posti, soprattutto la ritengo un’eredità peculiare del pensiero medio-orientale. Non accorgersene è il modo più compiuto per allontanarsi dai valori del rinnovamento e della vitalità.

Dialoghi Mediterranei, n. 50, luglio 2021

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Enrico Caruso, detto “NICO”, è artista e fotografo. Nato a Ragusa, si laurea al DAMS di Bologna per poi studiare fotografia al Bauer di Milano. I suoi progetti combinano un uso multitecnico della fotografia con una ricerca attenta agli aspetti sociali e contemporanei del linguaggio visivo.

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