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Comunità patrimoniali ai tempi del Covid: la Rete per la salvaguardia delle Feste di Sant’Antonio Abate

 

il centro in periferia 16-gennaio

di Omerita Ranalli

Nel lungo tempo sospeso che stiamo attraversando, ci siamo spesso trovati – non solo, chiaramente, nella comunità degli antropologi culturali (e/o degli antropologi dei patrimoni) – a interrogarci sulla mancanza di spazi di condivisione collettiva e di momenti di elaborazione condivisa del tempo e dello spazio, nonché sull’istituzione normativa di distanze e separazioni, sui possibili scenari che la nuova realtà pandemica e l’immaginario incerto di un mondo post-pandemico aprono alla nostra riflessione disciplinare. Molto è stato detto in proposito, molto ancora se ne dirà [1].

Nessuno dei molteplici ambiti d’indagine attraversati dalle discipline demoetnoantropologiche nel loro divenire è stato esente dal brusco arresto che la diffusione del virus SARS-CoV-2 ci ha imposto all’improvviso: se l’oggetto del nostro studio è nell’analisi delle fitte reti di significati e dei mondi culturali in cui siamo immersi, ciascuno nella propria rivendicazione di alterità, appare chiaro anche ai meno attenti che l’imposizione di norme e restrizioni necessarie ad arginare il diffondersi del virus ha anche, e di necessità, se non modificato per sempre, di certo stravolto il nostro comune vivere e organizzare tempi e spazi. Forse meno chiaro oggi riesce ad apparirci quanto questo status quo possa aver inciso sui tempi lunghi, e quanto questa sospensione rischi di diventare permanente nella formazione e nello sviluppo delle generazioni che in questo preciso momento storico compiono il loro ingresso nel vivere sociale. Con questo ci toccherà confrontarci nel tempo a venire.

Per chi, tra noi, si interessi in vario modo ai rituali festivi caratterizzanti il variegato universo dei patrimoni immateriali e delle comunità patrimoniali, dedicandovi tempo, attenzioni, riflessioni, ricerche, etnografie, la pandemia ha causato un brusco e drammatico punto di arresto: dal 4 marzo del 2020 nessuno dei numerosissimi eventi del calendario religioso, come pure di quello civile, ha avuto luogo. Passato il Carnevale – il martedì grasso del 2020 cadeva il 25 febbraio –, sono state annullate tutte le celebrazioni religiose della Settimana Santa, e con esse le feste del maggio, i pellegrinaggi estivi, i rituali autunnali, le feste dei fuochi invernali. E poi, di nuovo, il Carnevale, i riti della Settimana Santa, e così via discorrendo. Come pure le celebrazioni del 25 aprile e del 1° maggio, che pure quest’anno in parte hanno avuto luogo, in misura minore, con ingressi contingentati in alcune piazze. L’elenco delle feste fisicamente sospese, immaginato nella sua interezza, arriverebbe quasi del tutto a coincidere con un ampio inventario dei patrimoni immateriali, probabilmente il più ampio inventario dell’immateriale mai realizzato, una sorta di biblioteca di Babele in chiave patrimoniale.

Collelongo (AQ) - Sant'Antonio 2020

Collelongo, la statua di Sant’Antonio (ph. Roberto Monasterio)

Già nell’editoriale de Il centro in periferia a settembre 2020 [2] (Per uscire migliori dalla pandemia. Prove di resistenza), qui sui Dialoghi Mediterranei, Pietro Clemente provava a trarre un primo bilancio della realtà delle feste sospese, passando in rassegna le forme elaborate da alcune comunità patrimoniali in risposta alla realtà pandemica, «tra creatività e silenzio».

La festa è, per la comunità che la vive, momento pacificatore; è caos che prende forma e ordine ritualizzato; è il tempo in cui piccole e grandi comunità ritrovano sé stesse e si rifondano ciclicamente nella rievocazione di un mito identitario. Tra distanziamenti fisici e sociali e norme per la tutela della pubblica incolumità, piccole e grandi comunità hanno reagito in vario modo all’impossibilità di vivere i loro eventi festivi e rituali, nel tentativo di mantenere in vita le loro manifestazioni, spesso ricorrendo all’uso della rete e soprattutto dei social network, dando così uno spazio – ancorché virtuale – alla celebrazione della festa.

A dicembre 2020 sono stata contattata dagli amici dell’Associazione Culturale “La Cuttora” di Collelongo (AQ), paese dell’Appennino dove ogni anno il 17 gennaio si svolge una festa di Sant’Antonio Abate molto partecipata (e nota al mondo dell’antropologia italiana grazie all’etnografia condotta da Alfonso Di Nola all’inizio degli anni Settanta [3]), preoccupati per l’impossibilità di organizzare il rituale festivo per il successivo mese di gennaio. La Festa di Sant’Antonio Abate a Collelongo è una complessa manifestazione rituale che coinvolge l’intera comunità nella preparazione delle cuttore, termine con cui si indicano sia i grossi caldai di rame per la preparazione dei cicerocchi (una zuppa di granturco bollito) sia le case in cui sono allestiti questi caldai, all’interno di un grande camino decorato con l’immagine del santo; allestite da famiglie, associazioni, gruppi di amici, le cuttore (tradizionalmente in numero di nove) vengono accese nel pomeriggio del 16 gennaio.

Collelongo (AQ) - Sant'Antonio 2020

Collelongo, Il corteo (ph. Roberto Monasterio)

La sera la comunità si raduna nella piazza centrale del paese, da dove prende il via un folto corteo processionale – introdotto dai bambini con le piccole torce e dalla banda di fisarmoniche e percussioni, che esegue per tutta la durata del corteo un unico brano devozionale –, che visiterà una dopo l’altra le cuttore; dopo la benedizione del parroco, il vino, i panini e i dolci sono distribuiti ai visitatori, che aiutano mescolando i cicerocchi sul fuoco, in segno di devozione e di buon augurio alla casa. Gli eventi festivi e rituali che hanno luogo nella notte tra il 16 e il 17 gennaio concludono una serie di celebrazioni che coinvolgono, nelle settimane precedenti, famiglie, associazioni e gruppi di amici con la preparazione della “pasta di Sant’Antonio”, un pasto collettivo che viene offerto alla comunità in onore del santo; subito dopo l’Epifania, il paese è attraversato da gruppi spontanei di suonatori che mettono in scena il rituale della questua. La festa, come è chiaro, ha subìto nel corso dell’ultimo secolo varie modifiche, che – agendo nel segno di una rifunzionalizzazione in chiave contemporanea della festa tradizionale contadina – non ne hanno alterato la struttura originaria [4].

il-torcione-allara-dei-santi

Collelongo, Il torcione all’ara dei Santi (ph. Roberto Monasterio)

Il paese, risparmiato dalla pandemia fino all’estate del 2020, ha poi subìto una notevole diffusione del virus a partire dal mese di settembre: in una comunità che supera di poco i mille abitanti, molti dei quali anziani, e in cui gli stretti legami di parentela e amicizia sono alla base del vivere quotidiano, la diffusione del virus ha messo fortemente a rischio la tenuta sociale; è stata subito istituita la zona rossa – che ha avuto una lunga durata, anche in virtù degli stretti rapporti tra gruppi familiari –, molte famiglie sono state poste in quarantena, alcuni purtroppo non sono riusciti a superare l’infezione. Anche qui il ruolo del legame comunitario è stato molto forte: parallelamente all’istituzione della zona rossa si è proceduto, da subito, a una campagna continua di screening della popolazione, che ha avuto il merito di tracciare i contagi e isolare i positivi e gli asintomatici. In questo drammatico scenario, organizzare la festa di Sant’Antonio sarebbe stato impossibile. E la comunità patrimoniale non riesce a pensare sé stessa senza la festa, anche in simili condizioni. Tra i due possibili poli di creatività e silenzio, è stato il primo a prevalere.

Dopo pochi giorni dalla prima conversazione con gli amici de “La cuttora”, mi è stata da loro comunicata la volontà di organizzare un evento in remoto per la sera del 16 gennaio, in cui la festa potesse comunque trovare uno spazio, non “saltare il giro”, trovare un modo per esserci. Un processo di patrimonializzazione della festa era già in atto: da qualche anno associazione e istituzioni locali si sono rivolte alla SABAP – Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per l’Abruzzo (oggi SABAP per le province di Chieti e Pescara) e all’Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia (oggi ICPI – Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale) nel tentativo di elaborare tramite le istituzioni un percorso di valorizzazione della festa, e dal 2019 la festa è stata inserita all’interno del progetto “Feste dei fuochi in Abruzzo”, promosso da ICPI e coordinato da SABAP Chieti-Pescara (dott.ssa Mariantonia Crudo), progetto che prevede l’inventariazione presso l’ICCD ai fini della salvaguardia e della valorizzazione.

Collelongo (AQ) - Sant'Antonio 2020

Collelongo, La cuttora della famiglia Fiore (ph. Roberto Monasterio)

Nello stesso tempo, a dicembre la comunità si è rivolta all’Associazione “Sant’Antuono & le Battuglie di Pastellessa” di Macerata Campania (dal 2014 ONG accreditata presso il Comitato Intergovernativo UNESCO per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale), per organizzare questo evento in maniera congiunta e allargarsi anche alla partecipazione di altre comunità della festa presenti sul territorio nazionale. Grazie anche al sostegno dell’ICPI e del suo direttore, dott. Leandro Ventura, a fine dicembre si era già costituito un primo gruppo, composto dalle comunità di Casacalenda (CB), Collelongo (AQ), Fara Filiorum Petri (CH), Macerata Campania (CE), Novoli (LE), Pedara (CT), San Mauro Forte (MT); territori e comunità distanti, caratterizzati da rituali festivi e devozionali molto differenziati (si va dai grandi eventi mediatici, come nel caso di Novoli, alle realtà in cui il momento rituale è vissuto in maniera più intima, come ad esempio nel caso di Pedara o di San Mauro Forte), provano a riunirsi e fare fronte comune, come risposta alla pandemia, in nome del diritto al patrimonio, richiamando già nella fase costitutiva la Convenzione di Faro, da poco ratificata anche dall’Italia.

Tra dicembre e gennaio è stato preparato l’evento per la sera del 16 gennaio: “Le feste di S. Antonio Abate in Italia” – Idea di Rete per la Salvaguardia e Valorizzazione. Come appare chiaro, in poche settimane queste comunità hanno cercato non solo di ragionare sull’impossibilità di vivere il rituale festivo, ma anche sulla possibilità di organizzare un percorso di rete finalizzato alla patrimonializzazione delle feste italiane di Sant’Antonio Abate. Organizzare un meeting on line, che dai piccoli paesi delle aree marginali si rivolge al mondo, è forse operazione troppo complessa da dover gestire in poco tempo e con un’esiguità di mezzi e risorse, e anche questo è tema su cui – come antropologi interessati alle dinamiche patrimoniali e alle aree marginali – dovremmo continuare a riflettere.

Nonostante il notevole sforzo organizzativo, la serata del 16 gennaio è stata segnata da alcune disavventure di natura tecnica; l’evento era trasmesso da Collelongo, paese in cui non esiste fibra ottica e dove la velocità di banda della connessione non consente di supportare un numero eccessivo di partecipanti, e collegava tra loro realtà per lo più caratterizzate da analoghi problemi di connessione alla rete, il che ha rallentato molto la serata e causato numerosi disguidi. Forse anche a causa della mancanza di una regia capace di armonizzare le singole presentazioni intorno a un discorso patrimoniale davvero comune e condiviso, e di coniugare le voci delle comunità, gli interventi del direttore dell’ICPI e della responsabile dell’archivio audiovisivo dell’Istituto, dott.ssa Stefania Baldinotti, con altri possibili sguardi e interventi di quanti operano nella ricerca patrimoniale; forse il mio sguardo appare troppo decentrato, osservare è operazione complessa: le comunità prendono voce, sta a noi antropologi capire il senso del loro discorso. E saper riannodare i fili di questo dialogo.  

Collelongo (AQ) - Le cuttore 2019

Collelongo, Le torcette (ph. Roberto Monasterio)

Fortunatamente, nonostante un certo scoramento che ho percepito in alcuni degli organizzatori nelle settimane immediatamente successive alla festa (che non ha avuto luogo, e che ha lasciato spazio a un evento mediatico reso ancor più complesso da problemi tecnici e oggettivi), queste comunità hanno proseguito il loro percorso. Nei mesi seguenti il progetto di organizzare e dare forma concreta a una rete patrimoniale è stato portato avanti con l’elaborazione di un protocollo condiviso di intenti (che guarda alla Convenzione UNESCO del 2003 e alla Convenzione di Faro) e con un lavoro puntuale volto a individuare sul territorio nazionale altre comunità da includere progressivamente nella rete patrimoniale.

È nata così, a fine marzo, col supporto dell’ICPI, la Rete Italiana per la Salvaguardia e Valorizzazione delle Feste di Sant’Antonio Abate (https://reteitaliana.santantuono.it), con un protocollo inizialmente sottoscritto dalle comunità di Campobasso, Collelongo, Fara Filiorum Petri, Macerata Campania, Novara di Sicilia (ME), Novoli, Pedara  e San Mauro Forte. Ad oggi si sono aggiunte altre comunità da più parti della penisola; dal portale della Rete è possibile scaricare il modulo di richiesta per l’adesione al protocollo condiviso.

Questo protocollo articola in dieci punti gli obiettivi della Rete, richiama in maniera diretta le Convenzioni UNESCO e Faro, promuove la creazione di un «programma condiviso di salvaguardia e valorizzazione del patrimonio culturale immateriale», propone la rete come mediatrice tra le istituzioni preposte alla salvaguardia del patrimonio e le comunità patrimoniali, e tra le altre cose si prefigge la promozione di “momenti di aggiornamento per le Comunità patrimoniali a livello locale, regionale e nazionale».

Nel sostenere o nel confrontarci con questa Rete, che nasce dal basso guardando agli obiettivi più nobili della salvaguardia del patrimonio immateriale, in questa drammatica fase di crisi e incertezza, bisognerà ora capire quale ruolo e quale sguardo noi antropologi siamo in grado di elaborare e mettere in campo, quali sistemi di relazione, quali forme di attenzione. Anche qui la prospettiva potrebbe essere articolata sui due poli della creatività e del silenzio. Sta a noi la scelta.

Dialoghi Mediterranei, n. 50, luglio 2021
Note
[1] Vorrei almeno ricordare il convegno organizzato a dicembre 2020 dalla SIAA – Società Italiana di Antropologia Applicata, “Fare in tempo. Cosa dicono gli antropologi sulle società dell’incertezza”, che ha dedicato ampia parte del dibattito alla riflessione sulle nuove realtà sociali derivate dalla crisi pandemica, o il Convegno della SIAC – Società Italiana di Antropologia Culturale, “Futuro: Antropologie del futuro, futuro dell’antropologia”, che avrà luogo a Roma nell’autunno prossimo, in cui sono previsti alcuni panel che hanno al centro della discussione il tema del rapporto tra comunità e pandemia.
[2] Dialoghi Mediterranei n. 45, sett/ott 2020 (https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/per-uscire-migliori-dalla-pandemia-prove-di-resistenza/ ). Ognuno dei numeri successivi della rivista ha dato voce a riflessioni sul rapporto tra festa e pandemia.
[3] A. Di Nola, Gli aspetti magico-religiosi di una cultura subalterna italiana, Boringhieri, Torino 1976.
[4] G. Marucci, La festa di sant’Antonio abate a Collelongo: tradizione e innovazioni in L.Bonato (a cura di), Festa viva. Continuità, mutamento, tradizione, Torino, Omega, edizioni, vol I (II): 231-239, e E. Di Renzo, La festa di Sant’Antonio Abate a Collelongo. Rifondazione massmediatica di un evento celebrativo popolare, ivi: 251-258.

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Omerita Ranalli, docente a contratto di Antropologia dei patrimoni presso l’Università degli Studi del Molise, si occupa di cultura e società contadina dell’Italia centrale e svolge attività di ricerca sui repertori musicali della tradizione orale, sull’antropologia della festa, sulle dinamiche culturali dei patrimoni immateriali. Ha redatto l’inventario della “Festa di San Domenico Abate e rito dei serpari” (ICCD) e sta curando la catalogazione per il progetto “Feste dei fuochi in Abruzzo” per l’Istituto Centrale del patrimonio Immateriale e la SABAP Abruzzo. Ha pubblicato saggi sulla poesia a braccio, sul canto sociale, sui canti tradizionali come fonti per la storia d’Italia, e la monografia Canti e racconti dei contadini d’Abruzzo. Le registrazioni di Elvira Nobilio (1957-58), Squilibri 2015; ha curato i testi del volume Abruzzo in festa, CARSA 2019.

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