per minette
di Tarek Elhaik [*]
Prima naturalmente c’è stato il mio incontro con Fiamma, 15 anni fa, a Tijuana tramite il nostro amico Heriberto, quando abitavo a Città del Messico, lnica città che, per me, rivaleggia con Roma per ebbrezza, bellezza, caos e buio. Fiamma mi ha subito invitato a farle visita a Roma. In un certo senso mi ero anche autoinvitato, desideroso di seguirla ovunque andasse. Era durante la pausa invernale. Sono volato da Città del Messico a Roma: qui Fiamma mi è venuta a prendere alla stazione di treni a Trastevere. Ci siamo diretti verso casa di sua madre dove avremmo trascorso un paio di settimane prima di tornare a San Diego dove avevamo già deciso di trasferirci insieme, troppo precipitosamente per alcuni, ma non per noi. Una volta arrivato all’appartamento, in uno splendido palazzo cinquecentesco, Fiamma come al solito non trovava le sue chiavi, non le trova mai, sempre perse da qualche parte nei meandri del suo zaino disordinato e sovraccarico. Un’abitudine ancora in vigore oggi, con grande irritazione per me che sono divenuto un sempre più forte razionalista-averroista nel corso degli anni.
Maria Immacolata “Minette” Macioti, la mia defunta suocera, diventata amica e complice che oggi salutiamo con dolore, ha aperto la porta di casa. Minette è stata accogliente ed educata, ma riservata, ospitale ma cauta nell’incontrare il giovane (a malapena ancora nel processo di ultimare la sua tesi di dottorato) che Fiamma, la stella nascente, studiosa della frontiera, aveva appena conosciuto durante il mio lavoro sul campo in Messico. Abbiamo pranzato insieme. Il mio italiano era pari a zero, quindi parlavo in francese, così come Minette, il cui ethos cosmopolita e la cui competenza linguistica hanno facilitato il mio ingresso durante questa prima visita a Roma. Alla fine del pranzo, la sua guardia si è abbassata: devo averla colpita, per qualche misterioso motivo, o almeno rassicurata rispetto a qualcosa da cui i genitori amorevoli e premurosi cercano di proteggere, raramente con successo, i propri figli.
È da lì che Minette ed io abbiamo iniziato una pratica del camminare, mi portava a fare lunghe passeggiate per la città. Minette, singolare sociologa urbana, delle religioni, delle migrazioni, delle storie di vita e molto altro, era una Weberiana sui generis. Un matrimonio creato in paradiso quello con Fiamma, dunque, considerato il mio background in quella tradizione tramite il mio allora advisor poi diventato amico, Paul Rabinow [1], purtroppo anche lui scomparso nel 2021. Sono arrivato a Roma grazie al mio amore per Fiamma, ma amo Roma grazie a Minette con cui ho sempre riso dell’incapacità di sua figlia di rispondere alle mie domande sulla città. “Chiedi a Fiamma di Tijuana, Tarek”, diceva, “non di Roma”.
I suoi amici più stretti sono diventati anche amici miei, i membri della famiglia più speciali sono diventati la mia famiglia. Nel 2006 Sami è nato in un ospedale vicino casa sua, a Largo Argentina, meno di un anno dopo che io e Fiamma ci siamo conosciuti. Prima di tornare negli Stati Uniti, il primo mese di Sami è stato di pura gioia, festoso e laborioso allo stesso tempo, amato e protetto da sua nonna, sua nonna Minette che lo ha sempre adorato. ‘Fiorellino mio’, ‘Il mio piccolo fiore’, era il modo in cui si riferiva spesso a lui… non stupisce se pensiamo al suo amore e gli scritti sulle piante, oggetto di un libro ripubblicato dalla nostra collega e amica Ilaria Bussoni per Derive Approdi [2]. Ogni anno stavamo da e con lei per lunghi periodi di tempo. Ha allestito una stanza per farmi lavorare, l’unico posto – insieme al mio ufficio che in realtà è una lavanderia a casa nostra a San Francisco – che considero appunto “casa” nel senso di Gaston Bachelard: cioè un luogo che consente delle «rêveries cosmiche» [3].
Poi sono arrivati i nostri viaggi annuali di famiglia in Marocco con la cosiddetta banda dei cinque (Sami, mia madre e amica Khadija, Fiamma e Minette). Poi sono arrivati Tetouan e la casa che Fiamma ed io abbiamo deciso di acquistare durante un viaggio marittimo attraverso lo Stretto di Gibilterra e in compagnia di Minette che è stata un’amica fondamentale nell’aiutarmi a riparare un legame a lungo spezzato con il mio nativo Marocco che avevo lasciato, con un certo ethos e pathos “on-the-road” della Beat Generation, all’età di 20 anni. Poi sono arrivati i lunghi periodi di malattia che Minette (e amici come Viviana Gravano, Rachele Meini, Isabella Baroni e così via) mi hanno aiutato a superare. Poi è arrivata la sua salute in declino, poi è arrivata la tristezza, infine è arrivata proprio quella cosa che è così meticolosamente intrecciata con la vita, la morte.
Mentre ci prepariamo a cremarla e a spargere le sue ceneri in mare, Fiamma, Sami ed io ci accingiamo a partire per Tetouan, dove Minette non ci raggiungerà per la prima volta in molti anni. La mia famiglia in Marocco è entrata in una lunga fase di lutto, tanto Minette faceva parte della loro vita. Ed ecco qui spiegata la foto che il lettore può vedere, scattata da me, in un momento di gioia, in compagnia di Minette, degli amici di San Francisco, Khadija, mia sorella Myriam e mio nipote Emil che amava prenderla in giro e che lei trovava così divertente.
Amo poche persone come Minette. Mi si è creato un vuoto enorme nel cuore dalla sua scomparsa sabato scorso. Chi competerà ora con me per un posto davanti la tv alle 21, quando la partita di calcio che avrei tanto voluto vedere si è sovrapposta al maledetto “Posto al sole” che lei religiosamente guardava? Chi irriterò quando cercherò di pulirmi le mani con l’asciugamano che secondo lei era invece destinata a pulire i piatti? (era molto pignola con certe cose, non diversamente da me, tanto che Fiamma dice spesso “Madonna mi sono sposata mia mamma”).
Porterò con me per sempre la sua generosità, la sua durezza, il suo umorismo, il suo modo di stare al mondo che somiglia all’unico tipo di acqua che beveva (“leggermente effervescente” perché odiava l’acqua semplice), la sua eclettica cultura, in particolare certi suoi studi come quello su Ernesto Nathan [4], l’ebreo londinese che, pur non essendo nato a Roma, divenne uno dei sindaci laici più illuminati di questa bella città. Su di lui ha scritto delle belle parole:
«Nathan è visto, è denunciato dai suoi oppositori come un immigrato. Lo stesso linguaggio che adotterà, che risente dell’inglese, lo denuncia come tale. Lui, immigrato privilegiato a causa del censo, delle relazioni familiari, si interessa, si adopera per gli immigrati poveri, analfabeti o semianalfabeti, che sono giunti, che giungono a Roma. Cerca soluzioni per farli stare meglio. Non bacia il rosario per poi respingerli» [5].
Proprio la scorsa settimana scherzando, all’ora di pranzo, sullo stesso tavolo su cui ho pranzato con lei 15 anni fa, quando l’ho incontrata per la prima volta, mi ha detto: “Chissà Tarek… un giorno potremmo avere qui per Roma un sindaco che viene da Tetouan!”.
Dialoghi Mediterranei, n. 51, settembre 2021
[*] Traduzione di Fiamma Montezemolo
Note
[1] Una tradizione in cui la politica come professione è differenziata e subordinata alla vocazione scientifica. Cf.Rabinow, Paul “Science As Practice: Logos, Ethos, Pathos”, Essays on the Anthropology of Reason, (Princeton University Press, 1996).
[2] Macioti, Maria Immacolata, Miti e Magie delle Erbe: L’aura di piante e fiori tra mitologia e letteratura, Derive Approdi, Roma, 2019.
[3] Bachelard, Gaston, La poetica della reverie. Traduttore: G. Silvestri Stevan, Editore: Dedalo, Bari, 2008.
[4] Macioti, Maria Immacolata, Nathan: Il Sindaco di Roma dalla parte del popolo, Iacobelli editore, 2021.
[5] Ivi: 11.
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Tarek Elhaik è Professore Associato di Antropologia socio-culturale presso l’Università della California, Davis, USA. Le sue indagini sulle pratiche artistiche e curatoriali contemporanee attingono e riconfigurano le tradizioni dell’antropologia dell’arte, dell’antropologia filosofica e dell’antropologia dei media. È autore di The Incurable Image: Curating Post-Mexican Film and Media Arts (Edinburgh University Press, 2016) e Aesthetics and Anthropology: Cogitations (Routledge, 2021). È anche il fondatore di AIL: Anthropology Image Lab.
Fiamma Montezemolo, lavora all’intersezione tra arte contemporanea e antropologia contemporanea. La doppia formazione (PhD in Antropologia e MFA in Art) la stimola a creare interventi site specific, interdisciplinari e cross-genere che si basano sulla sua esposizione a lungo termine alle terre di confine e alle zone di frontiera. Negli ultimi anni ha progettato un insieme di pratiche intermedie che riflettono sul confine come categoria mobile dell’esperienza, delle mediazioni immaginate e concettuali, delle negoziazioni disciplinari e delle articolazioni geopolitiche. Nel creare un’ampia gamma di pratiche intermedie, principalmente installazioni e opere video, ha cercato di creare interventi concettuali ed evocativi che non riguardassero tanto la documentazione, la traduzione o la rappresentazione dell’Altro, quanto l’avvicinamento e la contemplazione della natura del desiderio nelle zone di confine.
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