per salvatore
di Nino Giaramidaro
Un caffè, poi la lettura di tutta la “mazzetta” di giornali, con attenzione, a volte con ritorni improvvisi e decisi su righe già lette; pure dei quotidiani “dell’estero”, come io chiamavo le testate nazionali che varcavano lo Stretto quasi che ogni giorno ritentassero la conquista. Salvatore Costanza – anche per me Totò – si muoveva a suo agio in quella stanza dell’enorme redazione-casa di via Grotte Bianche, prima sede catanese del giornale L’Ora.
Mandato con urgenza da Vittorio Nisticò, il grande direttore del giornale, Salvatore doveva scrivere ogni giorno un corsivo, un fondo, fare un intervento critico: insomma, doveva mettere la sua penna, anzi la sua Diaspron 82, al servizio della battaglia progressista che L’Ora aveva iniziato a condurre in un territorio padroneggiato dai grandi agrari, intoccabili costruttori, e dove i catanesi – e non – in camicia nera scorrazzavano senza batticuore.
Felice Chilanti – ex partigiano e grande firma di sinistra – oramai di malferma salute, vigilato dall’affettuosa moglie, era rimasto pochi giorni; e c’era Orazio Barrese – inviato speciale del giornale – che scandagliava la città sulla sua potente e attempata Alfa Romeo, e forniva molteplici suggerimenti oltre che scrivere lunghi “pezzi” di inchieste che sapeva condurre con maestria.
Siamo rimasti alcuni mesi dediti a questa routine quasi famigliare; spesso, scavalcando una stanza ci trovavamo davanti alla tavola apparecchiata da Enza, mia moglie e segretaria di redazione. E non poche giornate iniziate col piede sinistro venivano rischiarate dal sorriso di Totò: aperto, indescrivibile, che dalle labbra saliva agli occhi, per me sorprendente visto le cose di cui si sarebbe occupato quel redattore speciale, soprattutto quella persona speciale che era.
I suoi scritti non di rado suggerivano interventi più larghi: inchieste, interviste, articoli con le voci di intellettuali e tecnici molto trascurati dall’altra stampa. Muoveva le mani con le dita dritte come a mondarsele in una specie di rituale purificatore prima che io chiudessi la porta per lasciarlo solo nel ticchettìo della macchina per scrivere.
Dopo le elezioni politiche del 7-8 maggio del ’72 Salvatore ritornò a Palermo: continuava da piazzetta Napoli il suo difficile mestiere. A me rimanevano le affabulanti narrazioni sulla Trapani di inizio secolo (‘900), da Nasi ai D’Alì che mi avevano rivelato storie (storia) incredibili non solo della città ma pure della provincia con i suoi ras, i suoi mafiosi, i famelici signorotti, e uomini e organizzazioni popolari che li combattevano senza speranza. Piccoli Bignami orali di quello che aveva o avrebbe scritto nei suoi bei libri di storia.
Quando nel novembre inoltrato anche io ritornai a Palermo, Salvatore non c’era più al giornale L’Ora. Non so il perché, ma so che i rapporti fra lui (di cultura socialista) e Vittorio Nisticò (colto comunista) non furono mai invidiabili.
Io l’avevo conosciuto all’inizio della seconda metà degli anni ’60 non per il giornalismo bensì per la politica. Il Psiup: una delle scissioni del Psi, che contava nomi di peso come Lelio Basso, Emilio Lussu, Alberto Asor Rosa, Vittorio Foa, Tullio Vecchietti, Lucio Libertini e tanti eccetera. Salvatore era uno dei dirigenti provinciali.
Lo incontrai per la prima volta a Trapani, aspettava me e altri iscritti mazaresi guidati dall’instancabile Rolando Certa, all’inizio del corso Vittorio Emanuele II, “La Loggia”. Non mi spiego per quale ragione ma di quell’incontro ho un ricordo nitido quasi che fosse di pochi giorni fa. Totò era appoggiato al muro di una edicola e leggeva un giornale. A questo punto il ricordo si interrompe così come qualche mese dopo si interruppe la mia militanza nel partito.
Ci siamo rivisti numerose volte, una delle ultime alla Fardelliana di Trapani, tante altre per la presentazione di suoi libri. I ricordi erano sempre gli stessi: esperienza catanese e quella nello sfortunato partito destinato a scomparire dopo le elezioni del ’72. Salvatore, con gli occhi veloci e le mani pacate, riusciva a trasferirmi nei suoi argomenti che attraversavano Marsala, si aggiravano attorno a Mazara, giungevano alla Castelvetrano dei Saporito e della rivolta dei Fasci, e tanti nomi perdevano l’aura campanilistica per intrappolarsi nel loro tempo e nei propri misfatti, ma anche nel loro quasi sempre sfortunato coraggio.
E mi faceva piacere apprendere dei riconoscimenti che meritatamente gli venivano conferiti. Pure la cittadinanza onoraria consegnatagli nel 2020 dal sindaco di Castelvetrano Enzo Alfano – si legge su un sito Internet – su proposta della Società Dante Alighieri. Giusta iniziativa per un fine intellettuale e attento storico. Dopotutto Totò era nato a Castelvetrano il 12 luglio del 1930, a Trapani si era trasferito quando aveva circa 20 anni.
Io credevo, come di tutte le persone che mi stanno a cuore, che Totò fosse immortale, sempre lì, nella sua casa di una traversa del corso Fardella – non so se il ricordo è giusto – a destreggiarsi fra i tantissimi suoi libri. Bastava telefonargli.
Dialoghi Mediterranei, n. 51, settembre 2021
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Nino Giaramidaro, giornalista prima a L’Ora poi al Giornale di Sicilia – nel quale, per oltre dieci anni, ha fatto il capocronista, ha scritto i corsivi e curato le terze pagine – è anche un attento fotografo documentarista. Ha pubblicato diversi libri fotografici ed è responsabile della Galleria visuale della Libreria del Mare di Palermo. Recentemente ha esposto una selezione delle sue fotografie scattate in occasione del terremoto del 1968 nel Belice.
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