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di Giuseppe Sinatra
È una notte di inizio luglio, nella cittadina francese di Arles, in Camargue. Uno dei tanti “sud” del mondo. Ascolto il suo centro storico che sonnecchia: i vicoli risuonano di qualche arpeggio di chitarra sceso da finestre socchiuse. Si sta esaurendo lo scirocco del sud e il fiume Rodano cambia le sue correnti. Bicchieri di plastica e fogliame sparso mi accompagnano verso casa spinti dal vento tenue che sembra addolcire il clima caldo di questi giorni. Percepisco il suono del silenzio cittadino con le ultime biciclette che si ritirano e le voci di chiacchiere della buona notte prima di tirare le somme di una settimana interminabile: gli occhi e le orecchie sono piene di immagini e parole fotografiche.
Qui si svolge da cinquantadue anni uno dei più importanti eventi fotografici dell’anno, sì, del mondo. I “Rencontres de la Photographie”. Una Mecca per gli amanti della Fotografia. Perso tra i budelli del centro storico – chi lo vuole latino, chi lo vuole arabo, chi lo vuole slavo – eccomi qui immerso nel teatro della fotografia più importante d’Europa.
Cappello in testa, macchina fotografica al collo, zaino in spalla e occhi aperti per registrare tutti i sipari che si aprono in questa cittadina provenzale che ha le sembianze di un teatro fotografico a cielo aperto. Qui si vive di fotografia, prodotto dell’ingegno e della creatività umana.
Tra la fine degli anni 60 e primi anni 70 del Novecento, la Francia vive un periodo di profonda trasformazione, l’Europa occidentale inizia ad assorbire come una spugna gli usi e costumi d’oltremare. Il movimento statunitense per i diritti civili costituisce e diventa il prototipo e il propulsore della protesta. I movimenti studenteschi iniziano a muovere le coscienze dei popoli, innovando, trasgredendo e stimolando lo spirito creativo.
È in questo panorama storico che nel profondo sud della Francia nasce l’idea dei “Rencontres d’Arles”. Ci troviamo in piena Provenza in una cittadina famosa per aver ospitato Van Gogh e suoi girasoli i Gipsy King e le loro contaminazioni musicali gitane. Si respira un clima di assoluta sospensione: qui sembra non sentirsi la distanza dalla capitale. Nel 1969 Lucien Clergue, Jean-Maurice Rouquette, Michel Tournier e altri appassionati cultori della fotografia “inventano” i “Rencontres D’Arles”. In breve tempo questi Rencontres diventano per la Fotografia quello che Cannes è per il cinema, trasformando il piccolo borgo di Arles nella capitale mondiale della Fotografia.
Il pubblico inizia a riconoscere nella fotografia una nuova forma d’arte, capace attraverso i suoi più importanti interpreti di evolversi e di trasformarsi. La vera difficoltà fu quella di mescolare insieme dilettanti e professionisti, ricercando una complessa sinergia tra due mondi fino ad allora così distanti. La svolta avviene nel 1973, quando vengono presentati una ventina di workshop, che avranno il compito di far interagire professionisti e dilettanti, facendo crescere in questo modo gli uni e gli altri e creando uno scambio di energie, di stimoli e di esperienze che alla Fotografia e al nascente mercato dell’arte fotografica, daranno una spinta eccezionale. L’intenzione fu, fin da subito, di far sì che i “Rencontres” diventassero un evento culturale di spessore e non solo una serie di “rendez-vous” amichevoli tra gente che condivideva la stessa passione.
La rassegna conosce fino al termine degli anni novanta una continua ascesa, facendosi conoscere e apprezzare in tutto il mondo: migliaia di visitatori iniziano ad aggiungere ai loro itinerari turistici la tappa dei “Rencontres”. Questo grande successo convince il presidente Francois Mitterand nel 1982 a fondare l’Ecole nationale supérieure de la photographie proprio ad Arles invece che nella ville Lumiere.
Tra alti e bassi il festival è riuscito ad sopravvivere al famoso 2020, anno di riflessione e cambiamento, fino ad arrivare quest’anno alla 52esima edizione riaprendo a un’Estate delle lucciole – un été des lucciole (come dice il nuovo direttore del festival Christoph Wiesner), e, dopo un anno di virtualità si riapre al pubblico.
Tra le rue e le impasse arlesiennes entro nel vivo delle mostre; divento spettatore. Con me vedo giornalisti, fotografi, curatori, critici d’arte, editori, esperti, appassionati e turisti curiosi con la mappa in mano, quest’anno anche interattiva con una App da smartphone.
Camminando mi perdo tra i Rencontres e le mostre ufficiali ricche, ricchissime. Gli spazi espositivi sono molteplici e multiformi: chiese sconsacrate, musei, gallerie tradizionali, piazze, istallazioni urbane, hotel, persino una mostra completa dentro un Monoprix, una catena di supermercati francese. Mostre e raccolte per tutti i gusti, per chi ha solo bisogno di belle immagini e per chi si appaga nello studio filologico e documentaristico che la fotografia può donare.
Ma accanto agli eventi e alle mostre ufficiali, Arles si riempie di eventi informali per così dire OFF, un festival dentro il festival che in quest’ultimi anni è diventato un percorso parallelo. Fino all’anno scorso il gruppo dei “Voies Off” camminava in parallelo e in contrapposizione ai Rencontres istituzionali, quest’anno invece il cosiddetto OFF si è riorganizzato, espanso, evoluto: ogni angolo di strada, nei magazzini abbandonati dei palazzi, dentro i negozi, persino dentro scantinati e macellerie. Bellissimo ascoltare le letture fotografiche spontanee; giovani di tutto il mondo ascoltano e imparano da esperti; un formicaio di persone che si vuole che mostrano le loro opere e i loro libri fotografici; li vendono, li regalano, li firmano.
Molti gruppi di fotografi utilizzano case sfitte, negozi abbandonati, corti chiuse, per creare gallerie temporanee. Un sottobosco di immagini che non smette mai di stupire. Le fotografie e le mostre brulicano in ogni dove. Centinaia di teatrini della fotografia, che fanno festa nella settimana di apertura dei Rencontres, aspirano a farsi vedere, aprono a un pubblico che vuole respirare di fotografia. Possono non piacere le foto appese, ma l’approccio dell’aprire finestre per guardare e impressionare, qui e ora un proprio mondo, non fa altro che far sopravvivere lo scambio di idee e di umanità.
Gente seduta per terra, al bar, a sorseggiare un caffè o un pastis, a far vedere le proprie fotografie, magari con la speranza di venderne qualcuna per entrare nelle grazie di un collezionista o un gallerista oppure solo per comprare il gasolio per tornare a casa.
Cammino e i muri che si fanno beffa della minaccia comunale che dice “defence d’afficher” – divieto di affissione – si fanno mostra pure loro. Ogni sera una moltitudine di attacchini affiggono, incollano, attaccano i loro manifesti o addirittura vere e proprie mostre complete.
Così i “Rencontres d’Arles” hanno attraversato oltre 50 anni di vita, raccontando al mondo la fotografia in tutte le sue forme, hanno mostrato attraverso l’avvicendarsi di autori di grandissimo spessore e di nuove leve che la fotografia non è solo un mezzo espressivo di secondo piano, ma un linguaggio universale che ha la piena nobiltà di un’arte maggiore. Questo era l’intento dei “padri fondatori” e grazie alla loro perseveranza, alla loro fiducia e alla loro visione lungimirante oggi la manifestazione continua ad essere uno dei punti di riferimento di chi ama la fotografia e di chi ne ha fatto la propria professione.
Qui ad Arles la fotografia è per strada, la si raccoglie, la si osserva “dans la rue”, lungo la via. Ma non è “di strada”. Sentire parlare di “photographie de rue” talvolta fa venire dei dubbi su nomenclature e destinazioni d’uso di quest’arte tanto famosa ma tanto bistrattata. Infatti qui, al di là di ogni facile didascalia, la fotografia è pensata, costruita, cucinata, digerita, riusata. Ecco che mi viene difficile tirare le somme perché in fotografia, come nella vita esistono molte strade; qui ai “Rencontres de la Photographie” ci si incontra in strada sempre di più.
Dialoghi Mediterranei, n. 51, settembre 2021
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Giuseppe Sinatra, laureato in Storia dell’Arte, specializzato in Storia della fotografia, insegna tecniche e tecnologie della comunicazione multimediale presso un istituto tecnico e tecnologico. Insieme a un gruppo di lavoro omogeneo e di ricerca è inserito dentro l’associazione “Palermofoto ACSI Matteotti” con la quale gestisce da molti anni una scuola di fotografia a Palermo ed eventi culturali nel campo della promozione all’immagine. Fotografa per lavoro e da fotoamatore, diviene fotoamante e impiegato della fotografia. Fino ad oggi lavora ancora con la macchina fotografica in mano, ricercando per sé e anche per gli altri.
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