il centro in periferia
di Selene Conti
La ricerca che ho svolto sul campo è stata breve ma intensa, in tutto è durata sei giorni (dal 17 al 23 agosto 2018). Di quest’esperienza sono rimasti incastonati nella mia memoria frammenti importanti che, grazie a questo scritto, ho l’opportunità di analizzare e portare a viva luce. Il territorio, gli habitat in cui mi sono immersa, la flora e la fauna di questa enorme isola che è la Corsica, insieme così vicina (la separa uno stretto dalla Sardegna) a me, che sono di madre sarda, e così lontana (la lingua ufficiale infatti è il francese, che non conosco affatto), hanno fatto emergere in me una domanda: quanto questi elementi hanno ridefinito il comportamento individuale nel gruppo, nelle relazioni reciproche e nell’organizzazione del nostro lavoro?
La direzione da me immaginata, forse fantasticata, prima della partenza è stata totalmente ridisegnata dallo scambio intercorso tra me e la Natura còrsa, per caso e per sagacia, che è parte della serendipity che tanti antropologhe e antropologi ha travolto nella loro ricerca [1].
Rifletto sulle parole dello storico Pietro Bevilacqua:
«L’ambiente non è solo il contenitore fragile e vulnerato della pressione antropica, né l’inerte fondale su cui campeggiano le magnifiche azioni degli [esseri umani]. Esso costituisce al contrario un soggetto indispensabile e protagonista, la controparte imprescindibile dell’agire sociale nel processo di produzione della ricchezza (…). Meno ovvio appare oggi riconoscere a questo prodotto storico che è la natura una sua relativa autonomia rispetto all’azione degli individui, una produttività indipendente dalle sollecitazioni del lavoro, una esistenza dinamica, libera e preesistente agli stessi condizionamenti della tecnica» [2].
Riconoscere la natura come soggetto vivo e dinamico mi porta, come antropologa, a pormi in ascolto riflessivo con un «soggetto attivo con il quale interloquire, come direbbe Vittorio Lanternari [3] nella sua ecoantropologia»[4] . In questo caso è la Natura della Corsica e la relazione con il gruppo di ricerca di cui ho fatto e faccio parte.
Breve antefatto: questo gruppo mette insieme persone che hanno scelto di frequentare la Scuola di Specializzazione in Beni Dea dell’Università La Sapienza di Roma nell’anno accademico 2017-2018: Bianka Myftari laureata in giornalismo, Francesca Uccella dottorata in Antropologia, Flavio Lorenzoni fresco laureato in Antropologia, e me Selene Conti laureata in Antropologia con il vecchio ordinamento e oggi maestra di scuola primaria a tempo pieno. Noi quattro, per circa un anno, ci siamo ritrovati a condividere le aule delle lezioni della Scuola; in questo tempo abbiamo condiviso opinioni e punti di vista sui corsi svolti; ci siamo anche scambiati confidenze personali sulle nostre famiglie, vita quotidiana e impegni domestici. Inizialmente sono stati i professori a comporre il gruppo, chiedendoci di lavorare insieme su qualche tesina d’esame. Così, con spazi e tempi in comune, si sono cominciati a definire i nostri ruoli, le nostre relazioni, inizialmente per affinità emotive (due di noi erano mamme e si parlava delle nostre figlie) e via via le conoscenze e le competenze hanno definito maggiormente le nostre interazioni. Solo nel momento in cui ci si è presentata l’opportunità di fare un’esperienza di ricerca abbiamo realizzato che noi quattro eravamo un vero gruppo di lavoro.
L’approdo còrso
Della Corsica, prima di approdare a Bonifacio, non sapevo nulla o quasi. Negli occhi e nella mente avevo ancora i paesaggi sardi, di un agosto arido di piogge e particolarmente cocente. Arrivavo da un banchetto di nozze, finito alle 5 di mattina, nell’entroterra di Oliena. Nelle ore di viaggio per Santa Teresa di Gallura i miei occhi si erano riempiti del colore paglierino dei campi per lo più brulli, del grigio dei muretti a secco, degli spazi aperti punteggiati dal verde scuro dei sugheri e qualche macchia arancione di casette sparse. Questo avrei pensato di ritrovare dopo appena trenta minuti di traghetto. Invece quel che mi attendeva al mio arrivo è stato del tutto inaspettato. Lo smarrimento provato è stato forte, mi sono resa conto che quella terra era per me sconosciuta. Avevo frettolosamente letto qualche testo prima del ‘viaggio’, non avevo ben chiaro neanche in che lingua avrei comunicato, e soprattutto quale lingua avrei ascoltato: francese, còrso, italiano?
Dalle piccole case basse incastonate tra ginepri e mirti, e piccoli pescherecci del porto di Santa Teresa di Gallura, sono approdata dopo mezz’ora al porto di Bonifacio, sulla costa còrsa del Sud, incassato tra rocce calcaree altissime e bianchissime, super attrezzato, dalla forte impronta turistica, con grandi panfili e yacht e locali alla moda. Là mi attendeva una parte del mio gruppo, Francesca Uccella e Flavio Lorenzoni, che avevano dedicato mezza giornata per venirmi a prendere. In realtà il gruppo, insieme alla professoressa Alessandra Broccolini, era arrivato in Corsica il giorno prima, approdando a Bastia, sulla punta della costa Nord.
Il tragitto da Bonifacio alla nostra casa di Linguizzetta a Marine de Bravone, una località sul mare nella costa Nord Ovest della Corsica, è durato quasi quattro ore. In questo tempo, molto lungo, lo spaesamento si è amplificato, riportandomi una sensazione di precarietà e confusione ancora più grande. Non solo ero confusa sul da farsi, ma non reggeva più in me l’idea di un paesaggio amico e familiare, che invece mi ero costruita nel mio personale immaginario. Dai pochi racconti raccolti tra amici e parenti che erano stati in Corsica, mi risuonava forte la parola ‘selvatica’. Ora cominciavo a capire. Una natura non domata dagli artefatti umani, verde (in agosto?), rigogliosa e forte mi si presentava lungo la strada che portava al campo base. A destra il mare, con le sue piccole spiagge, a sinistra le montagne, alte e imponenti.
L’isola della Corsica è soprattutto una montagna, circa il 70% della sua superficie è occupata dai massicci cristallini e i suoi rilievi culminano con i 2,710 metri di altezza del Monte Cinto; la sua biodiversità è forte e le specie di piante che si possono trovare sono numerose e varie, a seconda dell’altitudine: con quasi 3000 specie vegetali di cui circa 300 endemiche, essa possiede un patrimonio floreale d’eccezione [5]. Chi mi era venuto a prendere aveva in sé parte del mio stesso sgomento, anche i miei compagni avevano notato la vivezza dei colori della natura.
Arrivati alla nostra dimora privata a Linguizzina ho avuto giusto il tempo di posare i miei bagagli in una piccola casa a 100 metri dal mare, che siamo subito ripartiti per raggiungere la professoressa Alessandra Broccolini e la mia collega Bianka Myftari rimaste a Pianellu il nostro ‘campo di ricerca’, paese dell’Haute-Corse, situato nell’entroterra dell’isola a un centinaio di chilometri da Bastia. Pianellu si è presentato, dopo un gran numero di curve, adagiato fra le montagne a quasi 900 metri di altezza, e in questo secondo lungo tempo di osservazione passiva portata dall’auto che sfidava lentamente i tornanti, ho riconosciuto la presenza di querce e sugheri, lentischi, piante di pistacchi, eucalipti, cespugli di corbezzoli, mirre, oleandri, fiori selvatici, cisti con fiori viola e bianchi. Quella mia prima salita in macchina per la #muntagna#[6], mi aveva costretto a mettermi in relazione con lei.
Era impossibile non sentirla come interlocutrice, quei picchi, quei burroni a strapiombo suscitavano troppe vivide e repentine emozioni in me per non cominciarci a dialogare. Nelle altrettante discese che si susseguirono in quei pochi giorni di ricerca, l’intenso profumo di liquirizia dell’erica mi faceva interrompere ogni ragionamento e allungare il collo per sporgere fuori il naso per aspirare quel profumo intenso. Così inevitabilmente, in quel lungo tempo passato con il corpo inerme e i sensi attivi, i nostri discorsi viravano inesorabilmente sulla natura che si manifestava davanti e dietro, sopra e sotto, a destra e a sinistra. Io e i miei compagni spesso ci siamo fermati con la macchina ad ammirare panorami mozzafiato che esplodevano con forza magnetica. Non è dunque un caso che in quasi la totalità delle foto da me scattate ci sono aghifogli, muschi, felci, cespugli di more, piante di alloro, di mele, di susine e fragoline di bosco. Incedendo a passo lento, una macchina dietro l’altra, il nostro gruppo ha incontrato ricci, volpi, gufi, civette, falchi, maiali grufolare liberi per le strade montane insieme alle mucche dalla piccola taglia allo stato semibrado, che girellavano giorno e notte per le medesime vie, infine vespe ‘ammazza asini’ e formiche giganti.
Tanto la Corsica è popolata da flora e fauna [7] quanto lo è spopolata di abitanti: all’1 gennaio 2018 sono 338.550 le persone residenti [8]. A fronte di una notevole emigrazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni, si assiste negli ultimi venti anni ad un forte flusso di ritorno degli ‘over 55’, dovuto in massima parte all’immigrazione dei pensionati; si aggiunge l’immigrazione di funzionari pubblici, oltre che a quella dei lavoratori extracomunitari [9]. Un altro dato da menzionare è che la popolazione si è concentrata, nel tempo, verso le uniche due vere città dell’isola, Bastia ed Ajaccio, che con i rispettivi hinterland raccolgono ormai circa il 60% degli abitanti dell’intera Corsica (mentre nessuno degli altri centri arriva ai 10 mila abitanti); questo vuol dire che, al di fuori delle due cittadine, che si trovano sul mare, il resto del territorio e in particolare quello montano è abitato da circa 110 mila persone (una densità media di circa 15 abitanti/km²)[10].
Tale bassa densità di popolazione ha portato secondo il sociologo Antonio Fadda [11], che nel 2002 ha scritto Isole allo Specchio [12], a due conseguenze: da un lato non c’è stato uno sfruttamento intensivo del territorio, per cui c’erano «abbastanza terre per poche persone» [13], e dall’altro ha rallentato la crescita di ‘invenzioni’ per lo sfruttamento dei terreni stessi. Seguendo le connessioni di Fadda, che ci informa che esistono più di 92 comuni con meno di 500 residenti, la «struttura dell’insediamento e organizzazione familiare sono realtà intimamente connesse», perché «in un centro di un centinaio di abitanti è impossibile tenere separati gli schieramenti politici dai gruppi di interesse, di parentela o di famiglia»[14] e «si deve tenere ben presente la rete che tiene uniti famiglia, territorio ed individuo» [15].
Con quest’immagine di una rete che lega, che asfissia, che protegge, che include e che esclude, ho cominciato a ragionare su quanto questa Natura abbia inciso sui nostri rapporti e sulla nostra ricerca.
Noi e lei
Numeri alla mano, le foto scattate in soli sei giorni sono molte; in totale nell’archivio creato dalla nostra professoressa sono finite 955 foto, da noi schedate e catalogate. Di questi quasi mille scatti, 42 hanno come soggetto unico animali, 25 animali e persone, più di 200 mostrano solo elementi naturali come, piante, fiori, panoramiche di paesaggi montani o marittimi, circa 250 riguardano persone inserite all’interno di uno sfondo naturale, 143 inquadrano case e costruzioni antropiche inserite in una cornice naturale, mentre in 122 foto qualcuno del nostro gruppo è presente, spesso involontariamente ma presente; di queste circa 20 sono solo tra di noi, insieme. Il restante sono dettagli di interni di case o di monumenti. Facendo un po’ i conti comprendo che la Natura, con i suoi paesaggi e le sue creature, è spesso protagonista o fa da sfondo ai nostri soggetti.
Ripercorrendo con la mente il nostro lavoro, esso si è svolto per la maggior parte all’aperto. Le foto proiettate sul muro del Foyer Rural [16] erano all’aperto, la processione di San Vincente parte da Pianellu e arriva sulla cima del Monte, il nostro informatore privilegiato Jean-Charles Adami ci ha portati nei suoi terreni, a visitare le mucche e a farci vedere la sua casa in campagna.
Le notti sono state la parte più significativa della relazione instaurata con Lei. Di notte mentre si scendeva lenti, curva dopo curva, dalla montagna, con il buio assoluto intorno a noi, la Sua presenza la avvertivo forte e determinata, la percepivo viva, con i suoi suoni animaleschi, con le sue ombre lunari che rendevano i nostri viaggi densi di emozioni: paura e stanchezza, si mescolavano con l’adrenalina, tutte dentro di me. Quando si giungeva al nostro rifugio sulla #piagghja#, la prima cosa che si faceva era scambiarsi impressioni degli avvistamenti notturni; si parlava degli animali che uscivano all’improvviso da un cespuglio, la paura del buio pesto dietro ogni curva, la sensazione di impotenza rispetto a quello che ci circondava. Il gruppo si stava creando intorno ad un racconto condiviso, ad una narrazione su qualcosa che non stavamo cercando.
Una notte mi ricordo che fummo impegnati tutti insieme a ‘combattere’ le vespe ammazza asino. Sfatti e sfiniti dalla giornata al ‘campo’ trovammo sulle travi di legno della nostra dimora sulla spiaggia tre enormi vespe, le più grandi che avessi mai visto. Decidemmo insieme che dormire con quegli insetti giganti, non avrebbe portato il sonno a nessuno e così il gruppo si mise in moto per cacciare e uccidere quegli esseri. Non so se eticamente fosse corretto, ma il gruppo decise ‘o noi o loro’. Scattò ‘la battaglia’ fatta di ciabatte lanciate, tuffi sotto le coperte, grida di incitamento, cuscini lanciati sul soffitto. Il gioco durò quasi un’ora e quando le vespe furono sconfitte, andammo a festeggiare con una bella passeggiata al mare. Prima l’odio e poi l’amore, solo Lei ci suscitava sentimenti così forti e contrastanti. Il buio ci circondava, la luna era calante, solo il rumore del mare e la torcia del telefonino ci guidavano. Insieme e vittoriosi ci sdraiammo sulla sabbia ad ascoltare la voce del mare, a cercare di vedere nell’oscurità, ripercorrendo insieme le tappe della battaglia.
Stavamo creando una nostra storia, che avremmo raccontato ai nostri figli e agli amici. Lei, la Natura, ci stava dando la possibilità di entrare in intimità, stava tirando fuori i nostri punti di forza e le nostre debolezze, la frustrazione condivisa, i nostri comportamenti e atteggiamenti appropriati o inappropriati, stavano plasmando in profondità il gruppo. E che dire di quella notte in cui il nostro rifugio marittimo venne invaso dalle formiche giganti? Il muro, il tavolo, le coperte appoggiate sulla panca e il pavimento erano stati invasi da formiche nere enormi. Di nuovo la difficoltà che unisce. La Natura viva con i suoi figli si prendeva gioco di noi. Ma come! L’indomani si sarebbe partiti all’alba! La speranza sarebbe stata per i miei compagni, quella di dormire qualche ora, prima di affrontare il lungo viaggio di ritorno. Invece no, l’ultimo tiro mancino di quella terra dirompente, che invadeva i nostri spazi intimi, che ci circondava, mettendoci all’angolo. E il gruppo pronto e reattivo, con le scope in mano a buttar fuori le formiche fino quasi all’alba. Abbiamo aggiunto un’altra pagina al nostro album di gruppo.
Conclusione
Questa è stata la mia “scoperta”, intesa in senso antropologico, non come qualcosa che tu trovi e di cui nessuno ha dato mai notizie prima, ma come qualcosa che consente a chi fa ricerca, me in questo caso, di cambiare la propria prospettiva e postura totalmente. L’obiettivo dichiarato del nostro gruppo era quello di occuparsi della festa di San Vincente, e della Confraternita del SS. Crocifisso dei Servi di Maria che lavora da anni sul territorio della #pieve# [17]de A Serra# e che ha rivitalizzato quella tradizione e molte altre, come ad esempio il canto a #paghiella#. L’incontro con la Natura aveva cambiato radicalmente il mio tema, mi portava in un’altra direzione, non immaginata. Non so se questo possa essere un caso di serendipity. In una bella nota Ugo Fabietti dice che: «Nella letteratura anglosassone il termine serendipity, è stato impiegato per oltre due secoli allo scopo di indicare prevalentemente una scoperta di tipo accidentale»[18]. Non pensavo sinceramente, oltre che con gli informatori e la lingua, di dover interloquire e confrontarmi con la Natura a tratti benevola e a tratti arcigna. L’antropologo ricorda che «Serendipità è stata coniata nel 1754 dal letterato e uomo politico Horace Walpole» [19] il quale poneva l’accento sullo «scoprire per caso e per sagacia, cose che non si andavano cercando» [20]. Riuscire a fare una forte torsione di sguardo, saper cogliere creativamente gli stimoli contingenti, comprendere che i linguaggi quanto del corpo che dell’ambiente vanno ascoltati e registrati, sono possibili aspetti di quella sagacia utilizzata come strumento sia verso l’esterno che verso l’interno, modellando infine, in modo significativo, le nostre relazioni e la nostra personale storia di viaggio.
Dialoghi Mediterranei, n. 51, settembre 2021
Note
[1] Di tali riflessioni se ne darà una più ampia descrizione nella Conclusione di questo scritto.
[2] P. Bevilacqua, estratto da Tra natura e storia (1996), in www.Eddyburg.it, 20.04.2007, in Nadia Breda, Ambiente, nota n.5, rivista AM, n. 22, speciale 2009.
[3] V. Lanternari, Ecoantropologia. Dall’ingerenza alla svolta etico culturale, Dedalo, 2003.
[4] N. Breda, Ambiente, rivista AM, n. 22, speciale 2009: 7.
[5] https://it.bagheera.fr
[6] # tale simbolo verrà usato ogni volta che si citeranno parole in lingua corsa.
[7] Nel 1972 è stato creato il Parco naturale regionale della Corsica, che interessa quasi un quarto del territorio dell’isola (circa 2000 km²) e permette la conservazione del paesaggio e di numerose specie animali e vegetali, alcune delle quali rare e peculiari della Corsica (fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Corsica).
[8] https://www.corsicaoggi.com/sito/338-550-abitanti-in-corsica-nel-censimento-2018-57-rispetto-al-2013/
[9]Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Corsica
[10] Ibidem
[11] Professore associato di Sociologia presso l’Università di Sassari.
[12] Fadda A, Isole allo specchio: Sardegna e Corsica tra identità, tradizione e innovazione, Carocci Editore, Roma, 2002.
[13] Ivi: 40
[14] Ivi: 48
[15] Ivi: 49
[16] È un’associazione culturale senza scopo di lucro. Le sue attività consistono nel lavorare per lo sviluppo locale promuovendo la partecipazione dei cittadini con tutti i mezzi.
[17] La pieve (dal latino plebs, “popolo”) fu una circoscrizione territoriale religiosa e civile facente capo ad una chiesa rurale con battistero, detta chiesa matrice, pievana (o in latino plebana) [1]. Nell’Alto Medioevo ad essa erano riservate le funzioni liturgiche più importanti per la comunità e da essa dipendevano le chiese e cappelle prive di battistero [2]. Dal Basso Medioevo le funzioni proprie della pieve passarono alla parrocchia. https://it.wikipedia.org/wiki/Pieve#:~:text=La%20pieve%20(dal%20latino%20plebs,(o%20in%20latino%20plebana.
[18] U. Fabietti, Scoprire, rivista AM, n. 22, speciale 2009: LIV, nota 2.
[19] Ibidem
[20] Ibidem
Riferimenti bibliografici
Acquaviva S., La Corsica. Storia di un genio, Franco Angeli/La società, Milano, 1988.
Bevilacqua P., estratto da Tra natura e storia (1996), in www.Eddyburg.it, 20.04.2007, in Nadia Breda, Ambiente,rivista AM, n. 22, speciale 2009: nota 5.
Biscottini U., L’anima della Corsica, Vol I – II, Zanichelli, Bologna, 1928.
Breda N., Ambiente, rivista AM, n. 22, speciale 2009: 7
Broccolini, A. (2018) Le “comunità di eredità” come democrazie del fare, in “Dialoghi Mediterranei”, n.33, settembre.
Caison, M., Pieve e paesi: communautées rurales corses, Paris, CNRS, 1978.
Candea M., Fire and identity as matters of concern in Corsica, in Anthropological Theory, n. 8, 2014.
Clemente P., Piccoli paesi decrescono. Una rete per una battaglia di generazione, in “Dialoghi Mediterranei”, settembre 2017 n. 27.
Fabietti U., Scoprire, rivista AM, n. 22, speciale 2009: LIV, nota 2.
Fadda A, Isole allo specchio: Sardegna e Corsica tra identità, tradizione e innovazione, Carocci Editore, Roma, 2002
Lanternari V., Ecoantropologia. Dall’ingerenza alla svolta etico culturale, Dedalo, Bari, 2003.
Teti, V., Il senso dei luoghi. Memoria e storia dei paesi abbandonati, Donzelli, Roma, 2004.
Sitografia
https://it.bagheera.fr
https://it.wikipedia.org/wiki/Corsica
https://www.corsicaoggi.com/sito/338-550-abitanti-in-corsica-nel-censimento-2018-57-rispetto-al-2013/
https://it.wikipedia.org/wiki/Pieve#:~:text=La%20pieve%20(dal%20latino%20plebs,(o%20in%20latino%20plebana
https://it.wikipedia.org/wiki/Corsica
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Selene Conti, laureata in Lettere e Filosofia nel 2004, indirizzo Demoetnoantropologico, nel 2006 ha partecipato alla Ricerca sul campo sulla festa di Sant’Antonio a Fabrizia, come Tutor dei corsisti di Antropologia Culturale dell’Università La Sapienza. Dopo aver frequentato diversi stage formativi in Corsica e altrove, nel 2021 si è diplomata presso la Scuola di specializzazione in Beni Dea.
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