di Raffaele Callia, Maria Marta Farfan e Franco Pittau
Accoglienza, gli italiani e loro apporto: l’eccezionalità del caso argentino
L’Argentina si colloca tra le destinazioni preferite dell’emigrazione italiana, tenuto conto che dalla metà dell’Ottocento ad oggi oltre 3 milioni di italiani si sono recati in quel Paese [1]. Tuttora vi risiede la più consistente collettività italiana (sono di poco inferiori a 1 milione i cittadini iscritti all’AIRE), alla quale si aggiunge un elevato numero di oriundi (circa 20 milioni, secondo alcune stime) [2]. Sin dal loro arrivo gli italiani si diffusero gradatamente su tutto il territorio argentino, mostrandosi operosi tanto nelle campagne quanto nelle città. Col tempo si inserirono nei vari ambiti della società argentina e pervennero progressivamente a un’integrazione ben riuscita, anche se gli inizi furono duri e problematici.
Una caratteristica del caso argentino va riferita alla considerazione positiva che la Costituzione dell’Argentina ebbe dell’apporto dei migranti, riscontrabile con una certa analogia anche in altri Paesi latinoamericani (come ad esempio in Brasile e in Perù). Sulla politica migratoria – che conobbe anche fasi meno aperte rispetto a quella iniziale, per poi pervenire a una sintesi più serena – sono numerosi gli studi, sia in Italia che in Argentina. Da quando il Centro de Estudios Migratorios Latinoamericanos (CEMLA), fondato dai Missionari Scalabriniani a Buenos Aires, si adoperò per inserire in un archivio elettronico i dati degli arrivi dei migranti nel porto di Buenos Aires, è stato possibile disporre di nuovi elementi conoscitivi sulle singole persone sbarcate, sui luoghi di nascita, sulle date di arrivo e sulle navi utilizzate per il trasferimento dai vari Paesi di provenienza.
Presso il CEMLA di Buenos Aires, tra la fine di aprile e primi di maggio del 2008, si svolsero i lavori di approfondimento sulle migrazioni riguardanti l’Argentina e gli altri Paesi dell’America Latina, promossi dal Centro studi e ricerche Idos, con il patrocinio della Caritas Italiana e della Fondazione Migrantes. L’iniziativa coinvolse una trentina di ricercatori italiani e altri studiosi latinoamericani. Alcuni di loro, peraltro, la mattina del 3 maggio ebbero l’opportunità di incontrare in episcopio l’allora arcivescovo di Buenos Aires, il cardinale Jorge Mario Bergoglio, destinato nel 2013 a diventare Papa Francesco [3].
Questo breve saggio, prendendo lo spunto dalle varie ricerche condotte sul tema, si sofferma sulle diverse fasi di oltre un secolo e mezzo di flussi migratori italiani, fino alle vicende dell’attuale collettività italiana, per poi chiudere con una riflessione sugli aspetti peculiari del modello d’accoglienza praticato in Argentina. La grande apertura iniziale verso gli italiani ebbe un corrispettivo nell’apporto straordinario da essi fornito nella crescita di quel Paese. Terra promessa è una pubblicazione di Paola Cecchini che si sofferma su questo aspetto, dopo aver raccolto testimonianze dirette di vario tipo sui marchigiani, mettendo in evidenza diversi aspetti riguardanti anche gli italiani che emigrarono da altre regioni della penisola [4].
Gli italiani furono catturati dai sogni di fortuna propagandati dalle Compagnie di navigazione, proposti con accenti idilliaci dagli agenti e dai subagenti di emigrazione, riscuotendo prevalentemente l’attenzione della popolazione rurale. Come racconta un’ampia letteratura sul tema, arricchitasi da una prolifica produzione di ricerche in ambito regionale, queste persone intrapresero un viaggio avventuroso e fortemente disagiato verso un Paese sconosciuto e sconfinato, costretti ad accettare condizioni di inserimento spesso non rispondenti a quelle promesse. Non tutti ebbero la forza di resistere e molti di essi o si trasferirono in città o rimpatriarono. La maggior parte di quelli rimasti sul posto riuscì con grande sacrificio a realizzare il proprio progetto migratorio, contribuendo alla formazione dell’Argentina come Paese moderno, destinato a lasciarsi oramai alle spalle il passato coloniale.
Maria Immacolata Macioti, riflettendo sul complemento che le statistiche trovano nelle testimonianze autobiografiche, riassume con queste parole l’impressionante galleria di memorie riportate da Paola Cecchini nel citato volume: «I protagonisti sono agricoltori (i più numerosi), vitivinicoltori, ortolani e giardinieri, e poi ancora pescatori e marinai, artigiani, lavoratori edili e della ferrovia. E poi politici, avventurieri, artisti. E ancora letterati e uomini di scienza». Non è esagerato parlare di un loro enorme impegno: la colonizzazione dei campi incolti, la fondazione di città, il supporto alla nascita delle industrie, il protagonismo nelle nuove professioni. Il tutto si svolse con un legame ai valori tradizionali di appartenenza: attaccamento al lavoro, alla famiglia e ai valori religiosi. Oltre agli apprezzamenti, nei loro confronti non mancarono neppure i problemi. La loro presenza fu numerosa e all’inizio del XX secolo quella giovane nazione si basò, come si vedrà nei paragrafi seguenti, sull’intreccio delle peculiarità locali – in particolare quelle relative ai discendenti dei coloni – con quelle degli immigrati europei: l’apporto degli italiani, anche in ragione della loro consistenza, fu quello più incisivo.
Attuando un confronto tra quell’esperienza storica e l’attuale panorama migratorio mondiale si riscontra che la povertà e la limitazione delle libertà continuano a essere un potente fattore di espulsione, mentre nei Paesi di immigrazione ad attirare non sono più le terre incolte ma altri elementi, non ultimo la situazione demografica deficitaria. Rimangono immutate nella sostanza le problematiche riguardanti il superamento di atteggiamenti di paura e di chiusura nei confronti dell’immigrazione, con le conseguenti difficoltà sul piano dell’integrazione. La nostra convinzione è che le riflessioni sui problemi di allora possano aiutare a orientarci anche nell’attuale situazione migratoria.
Uno sguardo d’insieme sui flussi
Prima di procedere a un commento delle singole fasi storiche è opportuno presentare un prospetto riassuntivo dei flussi di massa degli italiani in Argentina, iniziati dopo l’Unità d’Italia (1861). Tra il 1871 e il 1900 si recarono in Argentina più di 800 mila italiani: una media di quasi 9 mila persone l’anno nel primo decennio, 39 mila nel secondo e quasi 37 mila nel terzo. Tra il 1901 e il 1910 sbarcarono in Argentina oltre 734 mila italiani e quello fu il decennio con la più alta intensità migratoria. Nel decennio successivo, inclusivo del periodo bellico (1915-1918), gli espatri furono più che dimezzati (circa 315 mila), ma subito dopo la fine del primo conflitto mondiale continuarono a essere intensi. Nei due decenni successivi, in cui peraltro si impiantò il regime fascista, emigrarono complessivamente più di 600 mila persone: una media di 53 mila l’anno nel primo decennio e di 8 mila l’anno nel periodo dal 1931 al 1940.
Dopo la Seconda guerra mondiale si ebbe una ripresa, con una media di circa 54 mila espatri all’anno fino al 1950, cui seguì una forte riduzione con una media di 20 mila espatriati all’anno fino al 1960, per poi cedere il passo a poche migliaia lungo il corso della seconda metà del Novecento e dei primi anni del 2000. Nel complesso, dall’Unità d’Italia al secondo decennio del XXI secolo, sono partiti verso l’Argentina oltre 3 milioni di italiani, come si evince dalla tabella e dal grafico seguenti. Pertanto, tale Paese, insieme agli Stati Uniti d’America, al Brasile e alla Germania in Europa, rappresenta la meta più ricorrente nella storia dell’emigrazione italiana.
Espatriati italiani (lavoratori e non) in Argentina. Anni 1871-201o
1871-1880 |
1881-1890 |
1891-1900 |
1901-1910 |
1911-1920 |
1921-1930 |
1931-1940 |
1941-1950 |
43.039 |
391.503 |
367.220 |
734.597 |
315.515 |
537.751 |
80.753 |
274.523 |
1951-1960 |
1961-1970 |
1971-1980 |
1981-1990 |
1991-2000 |
2001-2010 |
||
209.545 |
10.979 |
7.875 |
8.478 |
18.477 |
15.298 |
Fonte: Centro Studi e Ricerche IDOS, Elaborazioni su dati Istat, Serie storiche espatriati per alcuni Paesi di destinazione. Anni 1869-2014.
N.B. Per il periodo 2000-2019 si è fatto riferimento ai dati AIRE, caratterizzati da maggiori disaggregazioni.
I pionieri dell’emigrazione nel XIX secolo, nel solco della Costituzione federale del 1853 [5]
Nel XIX secolo arrivarono in Argentina gli esuli politici, espulsi nel corso dei moti risorgimentali. La successiva ondata, destinata ad aumentare nel tempo, fu quella dei migranti per lavoro. Questo Paese immenso (circa 9 volte l’Italia) e poco popolato (meno di 2 milioni di residenti a metà del XIX secolo, a fronte degli oltre 20 milioni dell’Italia) non esitò a incoraggiare la venuta dei migranti europei, interessato ad affidare loro le terre incolte per aumentare la produzione agricola. Peraltro, il territorio si ampliò dopo la Guerra de la Triple Alianza (o guerra del Paraguay), finita nel 1870 con l’annessione di alcune aree della regione di Misiones e del territorio del Chaco.
La propaganda, condotta anche nei più remoti villaggi italiani, era imperniata sulla possibilità di fare fortuna e ciò indusse molti a vendere il poco che possedevano, e all’occorrenza anche a indebitarsi, per pagare la traversata in nave. Nel commercio fluviale del Rio de la Plata i genovesi furono i primi e principali protagonisti nella navigazione, attivi nel commercio al dettaglio e nella cantieristica. Poi giunsero i piemontesi, i lombardi, i veneti, i friulani, i trentini e di seguito gli immigrati da altre regioni italiane. In quel periodo l’Argentina spalancava le porte alla modernità confidando anche sull’apporto dei nuovi arrivati, e l’apertura al mondo dell’immigrazione contrassegnò in modo decisivo quel periodo. Si può ritenere che, a differenza dell’accoglienza riservata agli italiani nell’America del Nord (specialmente se originari delle regioni meridionali), in Argentina in quella fase storica sia stato assunto in qualche modo un “pregiudizio positivo”.
Un percorso singolare di diversi italiani fu quello dei protagonisti nella fondazione delle città. Si trattava, talvolta, di piccoli imprenditori operanti nell’indotto delle costruzioni ferroviarie, che ebbero l’intelligenza di precedere piuttosto che seguire la costruzione dei binari, acquistando in anticipo i terreni che sarebbero stati adatti alle future stazioni e ai paesi che sarebbero nati intoro a esse. Per questo, alcuni di loro sono ricordati come veri e propri “fondatori di città” [6]. Dell’attivismo degli italiani di quel tempo, fortemente legato alle tradizioni agricole e culinarie, restano tuttora diverse tracce. Citiamo, ad esempio, la città di Colonia Caroya, nella Provincia di Córdoba, che ogni anno diviene la capitale del “Friuli nel mondo”, con le sue feste tipiche. La provincia di Río Negro (a Nord della Patagonia) ospita invece Villa Regina, dove coloni italiani trasformarono il deserto in frutteti, vigneti, piantagioni di foraggi, granturco e ortaggi. I vitigni del Piemonte furono portati nei pendii della Cordigliera delle Ande, dove trovarono un habitat simile a quello piemontese.
Dopo l’indipendenza dalla Spagna, ottenuta nel 1810, l’Argentina con la Costituzione del 1° maggio 1853 divenne uno Stato federale aperto al lavoro degli immigrati europei, precedendo così il Brasile, che continuava ad avvalersi del lavoro degli schiavi (fino alla sua completa soppressione approvata nel 1888). L’articolo 25 della Costituzione del 1853 prevedeva che il governo federale incoraggiasse l’immigrazione europea, non restringendo, limitando o gravando con alcuna imposta l’ingresso nel territorio argentino degli stranieri che avessero l’obiettivo di «coltivare la terra, migliorare le industrie, introdurre e insegnare le scienze e le arti» [7]. Ne scaturì un’articolata politica attiva di misure compensative e dispensative volte a incoraggiare l’arrivo e l’integrazione degli immigrati europei.
Già dal 1853 le compagnie incaricate della colonizzazione concedevano prestiti ai coloni per far fronte alle spese relative all’insediamento e all’avvio dei lavori [8]. Il governo federale istituì la Comision de Inmigración, finalizzata a incrementare soprattutto la popolazione rurale; inoltre, nel 1870, nella Provincia di Buenos Aires, iniziarono ad essere varate disposizioni per assegnare gratuitamente a giovani coppie degli appezzamenti di terreno per costruirvi una casa e dare inizio alle coltivazioni. Nel 1878, in applicazione di una legge federale, furono assegnati agli immigrati dei terreni demaniali a prezzi moderati. Un’altra legge federale, varata nel 1882, concesse gratuitamente lotti di venticinque ettari a nuclei familiari. Tuttavia, va anche rilevato che il governo argentino (con una sola eccezione nel 1890) non seguì la strategia adottata da quello brasiliano, il quale, al fine di procurarsi la manodopera agricola necessaria, anticipava la somma necessaria al pagamento del biglietto di viaggio transoceanico.
In questa prima fase pionieristica si diede vita a un imponente flusso di lavoratori agricoli che coinvolse specialmente i contadini e i piccoli proprietari terrieri italiani, motivati non solo a sottrarsi alla miseria (obbiettivo sostanzialmente raggiunto) ma anche, in qualche misura, a “fare fortuna”: meta, questa, decisamente più impegnativa per la maggior parte di essi. Comunque si rivelasse la realtà rispetto ai progetti delle singole persone, la presenza italiana, in continuo aumento, rispose pienamente alle direttive del governo argentino.
Tra le nazioni del continente latino-americano l’Argentina si concepì come quella a maggiore impronta europea, considerata questa una categoria identitaria della nuova Repubblica. È quanto si deduce dal pensiero dello scrittore e diplomatico argentino Juan Bautista Alberdi (1810-1884), il quale fu l’ispiratore della Costituzione argentina del 1853, in particolare con la sua opera edita l’anno prima e intitolata Bases y puntos de partida para la organización política de la República Argentina. In linea con questo orientamento fu anche Domingo Faustino Sarmiento Albarracín (1811-1888), che fu presidente della Repubblica argentina dal 1868 al 1874 e continuò a essere un influente uomo politico anche dopo la fine di questo incarico. L’apertura agli immigrati europei fu considerata un fattore di rinnovamento non solo sul piano produttivo ma anche a livello culturale, sociale e politico. Buenos Aires, la capitale, fu chiamata a proporsi come modello di questa inedita stagione identitaria. La nuova classe dirigente riteneva che la “debole” cultura della popolazione originaria dovesse essere compensata con l’apporto identitario portato dagli immigrati provenienti dall’Europa.
Anche se questa immigrazione produsse dei risultati molto positivi, per il Paese e per i diretti protagonisti, non mancarono gli aspetti di tragica durezza: l’isolamento, la fatica nella coltivazione dei terreni, le dure condizioni di vita in abitazioni improvvisate, l’impegno supplementare per la costruzione delle strade, gli scarsi ricavi a seguito della concorrenza dei prodotti provenienti dal Canada, dall’Australia e dalla Russia e, non ultimo, il rapporto conflittuale con la popolazione nativa. Di fronte a queste difficoltà molti abbandonarono la campagna per trasferirsi in città, mentre altri rimpatriarono. Non mancarono i pregiudizi degli argentini, soliti affermare con ironia che nella mitica Pampa ai gauchos si erano sostituiti i gringos. Ancora oggi, nell’immaginario collettivo, è rimasto vivo il sostanziale antagonismo fra le due concezioni di vita.
Dall’inizio del secolo XX alla prima guerra mondiale
All’inizio del Novecento l’Argentina si affermò come il primo sbocco latinoamericano per i migranti italiani, mantenendo tale posizione fino alla Seconda guerra mondiale; in particolare, il porto di Buenos Aires accolse circa i tre quarti dei flussi diretti in Sud America. Contribuì a rendere preferibile la meta argentina anche la rigida decisione del governo italiano nei confronti delle migrazioni sovvenzionate verso il Brasile. Infatti, con il decreto del 1901, dovuto all’iniziativa del ministro degli esteri Giulio Prinetti, si proibì questa forma di espatrio, che costringeva gli interessati a restare alle dipendenze dei proprietari delle fazendas (abituati a trattare i lavoratori come schiavi) fino all’estinzione delle somme anticipate e ad accettare condizioni di lavoro al limite della sopportazione. Un altro fattore di pregiudizio per la meta brasiliana fu la depressione del commercio del caffè, settore che conobbe una grave crisi nel 1906, con conseguente diminuzione della produzione e della relativa domanda di manodopera [9].
Con i popoli nativi, in particolare con quelli del Sud dell’Argentina, spinti sempre più verso le terre a ridosso delle Ande, i militari e i gauchos furono durissimi. Durante la violenta e controversa Conquista del desierto, condotta dal generale – poi divenuto presidente – Julio Argentino Roca, con le popolazioni indigene ebbero scontri anche gli stessi coloni venuti a occupare le loro terre.
Gli italiani si stabilirono in prevalenza nelle zone litoranee di Buenos Aires, a Santa Fe, a Sud di Córdoba e nella provincia di Entre Ríos. Negli anni seguenti alcune catene migratorie (molte di esse a carattere regionale) spostarono la propria meta verso le province interne, fino a giungere nelle zone più periferiche. Grazie alla capacità di operare nel settore agricolo in condizioni proibitive, i coloni italiani riuscirono a trasformare le terre loro affidate, rendendole fertili. I coloni migliorarono le tecniche di coltivazione, aumentarono la base produttiva e introdussero la viticoltura. Peraltro, non pochi furono gli italiani che si distinsero in ambito letterario, nelle libere professioni e nelle arti. Nel 1895, come emerge dal censimento nazionale, su un totale di 407.503 proprietari agricoli più di un quarto erano di nazionalità straniera e tra i poderi gestiti dagli immigrati più della metà (62.975) avevano un titolare italiano.
L’apporto dei lavoratori italiani fu notevole anche nel settore industriale. All’inizio del XX secolo, infatti, in Argentina andava sviluppandosi l’industria e ciò indusse molti italiani a lasciare le colonie per trasferirsi in città, dove si recò anche una buona parte dei nuovi arrivati dall’Italia, trovandovi l’opportunità sia di lavorare in fabbrica che di esercitarvi diversi altri mestieri legati all’indotto. L’edilizia era un settore che attirava moltissimo gli italiani, i quali speravano in un celere passaggio da muratori a piccoli imprenditori. Era forte e motivata la loro soddisfazione per i livelli salariali praticati, che in effetti in quel periodo erano tra quelli più elevati al mondo. Nel frattempo, per gli italiani che continuavano ad arrivare diventò meno agevole realizzare l’auspicata progressione dei pionieri, sintetizzata nella formula: “Primo anno agricoltore, secondo affittuario, terzo proprietario” [10].
Poiché l’afflusso dall’Italia si mantenne costante fino alla fine del XIX secolo, già gli italiani erano distribuiti pressoché in tutto il Paese e perfino nelle località più remote, ma i flussi continuarono con intensità anche nel primo Novecento e si interruppero solo alla vigilia della Prima guerra mondiale. La popolazione immigrata italiana raggiunse la massima incidenza sul totale della popolazione argentina nel 1895, con il 12,5%. Fino al 1890 prevalsero le partenze dalle regioni settentrionali, come il Piemonte e la Lombardia (nella misura dei quattro quinti del totale), mentre i meridionali aumentarono nettamente la loro presenza nei primi anni del nuovo secolo, giungendo in particolare dalla Calabria e dalla Campania.
Nel periodo più critico del loro inserimento fu molto significativa la dimensione solidaristica. Risale al periodo a cavallo dei secoli XIX e XX la creazione di società di mutuo soccorso, scuole, ospedali, camere di commercio, strutture associative, centri socio-culturali e testate giornalistiche, che furono di grande sostegno alla coesione comunitaria. Nel 1886, a Buenos Aires, quello della Boca era un barrio popolato per metà da italiani, che vi crearono una molteplicità di strutture, dalle scuole alle società di mutuo soccorso. L’immigrato italiano, appena arrivato, trovava rifugio in questa “Piccola Italia”, integrandosi nel gruppo che riproduceva i valori e i comportamenti importati dalla patria. A Buenos Aires gli immigrati trovarono alloggio nella zona del porto, in palazzi trasformatisi in abitazioni: i conventillos, edifici su due piani, con cortile interno dove si trovavano i servizi in comune. I conventillos della capitale diventarono veri e propri centri di riproduzione della cultura italiana e nei quartieri italiani le strade assunsero ben presto la funzione della tradizionale piazza del paese, con un patrimonio culturale sospeso tra identità vecchie e nuove.
La maggior parte degli italiani arrivava dalla penisola con un progetto migratorio temporaneo, che per molti diventò invece definitivo, anche se furono numerosi i rimpatri, specialmente negli anni a cavallo tra i due secoli. I ritorni erano considerati dal governo argentino (e così anche dagli altri governi dei Paesi latinoamericani) un fallimento rispetto alle loro politiche. Invece, dal punto di vista dei singoli migranti, i ritorni potevano essere il segno del raggiungimento degli obiettivi prefissati, con l’estinzione degli eventuali debiti, l’invio delle rimesse e un ulteriore risparmio da utilizzare al momento della partenza. In questa prima fase pionieristica furono vicini agli emigrati i sacerdoti italiani, sia quelli appartenenti ai tradizionali ordini religiosi, sia quelli provenienti dai nuovi istituti, come i salesiani fondati da San Giovanni Bosco e gli scalabriniani, la cui origine fu dovuta al vescovo di Piacenza mons. Giovanni Battista Scalabrini [11].
Già dagli anni ’90 del XIX secolo l’aumentata richiesta delle terre coltivabili aveva fatto lievitare i prezzi degli affitti e degli acquisti, riducendo di conseguenza la capacità di risparmio dei lavoratori agricoli e determinando condizioni di grave sfruttamento. Nel 1890 una crisi economica importante colpì anche l’Argentina, coinvolgendo gli stessi emigrati italiani. La situazione diventò ancor più problematica in coincidenza con la perdita dei raccolti di mais del 1911 e il drastico ribasso del prezzo del grano. Nel 1912, l’episodio conosciuto come il “Grido di Alcorta” (dalla località situata nella provincia di Santa Fe, che divenne epicentro della protesta) si trasformò in un importante sciopero durato circa tre mesi e promosso anche da italiani, fra cui spicca il nome dell’avvocato Francisco Netri [12]. Lo sciopero fu in grado di rendere evidente il profondo malessere esistente tra i mezzadri delle campagne e determinò la nascita della Federazione Agraria Argentina (FAA), che si diffuse progressivamente in tutto il Paese. Fu un evidente segnale di una coscienza sindacale e politica che maturava all’interno delle classi dirigenti locali, molte delle quali composte da emigrati italiani formatisi nelle associazioni e nelle società di mutuo soccorso e determinati a incidere sul futuro dell’Argentina.
Dall’inizio del XX secolo e fino allo scoppio della Prima guerra mondiale fu molto elevata sia la media annuale degli espatri sia – seppure in misura inferiore – quella dei rimpatri, interessando in particolare l’Argentina e gli Stati Uniti. Secondo i dati censuari del 1914, su una popolazione di circa 8 milioni di residenti, quelli nati in Italia erano 942 mila: circa un decimo di tutti i residenti (la metà di essi a Buenos Aires) e circa un terzo dell’intera popolazione straniera. A questo proposito va precisato che i figli degli italiani nati in Argentina diventavano argentini fin dalla nascita per effetto dello ius soli. Come è comprensibile, i ritorni aumentarono nell’imminenza del conflitto mondiale. Gli italiani continuarono ad avere un’alta incidenza sul totale della popolazione residente, mentre in seguito conobbero una costante diminuzione.
Alcuni aspetti peculiari durante il periodo fascista
Sui flussi migratori nel periodo successivo alla Prima guerra mondiale influirono, da una parte, le politiche restrittive adottate da diversi Paesi, come avvenne negli Stati Uniti e anche in Brasile e, dall’altra, le limitazioni all’esodo imposte dal regime fascista in Italia, che furono mitigate solo dopo la crisi economica mondiale del 1929. Tuttavia, l’approdo degli italiani in Argentina, anche se non fu segnato dai ritmi elevati di una volta, fu comunque più agevole rispetto ad altre mete, perché questo Paese preferì non imporre limitazioni con la previsione di quote, limitandosi al controllo dei migranti al loro arrivo riguardo alla regolarità dei documenti e alla sussistenza dei requisiti per l’ammissione. Peraltro, va segnalato che, contrariamente all’orientamento assunto dai Paesi di tradizione anglosassone (in particolare Stati Uniti e Australia), in Argentina ai migranti del Centro-Nord Europa furono preferiti quelli dei Paesi meridionali.
Nel periodo fascista si registrarono in Argentina anche gli arrivi degli oppositori politici al regime e, dopo le leggi razziali del 1938, s’incrementò anche l’esodo degli ebrei. Come avvenne all’interno di altre collettività italiane all’estero, anche in Argentina vi furono contrapposizioni tra i simpatizzanti del fascismo e i suoi oppositori, molti dei quali giunti nel Nuovo mondo come veri e propri antifascisti in esilio. Tra i fattori di espulsione di quegli anni, dunque, alle strettezze economiche si affiancò anche il bisogno di abbandonare un Paese soggiogato al fascismo, con il suo corollario fatto di violenze squadriste, di limitazione della libertà e di annientamento della democrazia [13].
In quel periodo il 70% degli italiani sbarcati in Argentina si dichiarò disposto a essere ospitato nelle strutture messe a disposizione dal governo: questa prima ospitalità, infatti, era concepita come un’opportunità e non come un obbligo; tra il 1931 e il 1940, invece, la percentuale di quelli che si avvalsero dell’ospitalità pubblica scese al 13% e nel periodo 1941-1950 diminuì ancora fino a raggiungere il 9%.
L’atteggiamento di chiusura agli inizi del XX secolo e la criminalizzazione degli immigrati
A cavallo tra il XIX e il XX secolo e, grosso modo, fino al 1940, in opposizione all’orientamento precedente si diffusero teorie xenofobe sugli immigrati: quello che un tempo era l’apporto di civiltà riferito agli operai e ai contadini europei venne attribuito quasi esclusivamente alla borghesia argentina. Furono numerosi gli autori che cominciarono a parlare dell’immigrazione con toni diversi da quelli assunti durante l’epopea dei pionieri e alcuni sentirono persino il bisogno di dare un’interpretazione restrittiva dell’articolo 25 della Costituzione federale del 1853. Fra essi spiccò, senza dubbio, un importante uomo politico, nonché giurista e accademico: Miguel Cané (1851-1905). Egli rappresentò una figura chiave di questo cambiamento radicale di rotta. Fu scrittore prolifico, parlamentare e ministro, giornalista e un classico esponente dell’élite porteña di fine Ottocento. A lui si deve, nel 1902, l’approvazione della ley n. 4.144 de Residencia de Extranjeros (conosciuta, appunto come “Legge Cané” e rimasta in vigore fino alla fine degli anni ‘50), attraverso cui il potere esecutivo argentino veniva autorizzato, all’occorrenza, a impedire l’ingresso degli stranieri e a espellere coloro la cui condotta avrebbe potuto compromettere la sicurezza nazionale o perturbare l’ordine pubblico, anche senza un processo preventivo.
Come recita il titolo evocativo di un saggio di Francesco Rotondo [14], in quel passaggio chiave della storia novecentesca argentina si verificò un cambiamento sostanziale delle politiche migratorie, le quali passarono dall’aperturismo fortemente voluto dalla generazione di Juan Bautista Alberdi all’approccio securitario della “difesa sociale”. Se dunque nella seconda metà dell’Ottocento si era insistito sulla dicotomia tra civiltà (legata all’immigrazione europea) e barbarie (rozzezza degli indigeni e dei neri), nei primi anni del Novecento le barbarie furono riferite agli immigrati di estrazione operaia e la civiltà alla borghesia argentina. Ne scaturì una violenta polemica contro gli immigrati e ben presto cominciò a essere stigmatizzata una certa loro tendenza alla devianza. Un caso che fece enorme scalpore fu quello di Cayetano Santos Godino (1896-1944), nato a Buenos Aires da genitori calabresi. Cresciuto con seri problemi fisici e mentali, vittima di violenze familiari, si rese protagonista di efferati atti criminali a danno di altri minori, fino a diventare un vero e proprio serial killer. Ritenuto malato di mente, fu rinchiuso nel 1913 in un manicomio criminale per poi essere condannato in seguito all’ergastolo.
Quella vicenda e altri fatti criminali, che videro protagonisti degli immigrati italiani, provocarono un grande dibattito nell’opinione pubblica argentina e non si tardò, anche nel Sud America, ad essere accolto il nuovo verbo positivista lombrosiano. Ne è un esempio quanto scrisse il giurista Cornelio Moyano Gacitúa (1858-1911), che di Cesare Lombroso apprezzava le teorie antropologiche al fine di elaborare dei postulati nell’ambito del positivismo penale: «La scienza ci insegna che insieme col carattere intraprendente, intelligente, libero, inventivo e artistico degli italiani c’è il residuo della sua alta criminalità di sangue» [15].
Fu così che acquistò sempre più credito lo stereotipo riguardante gli italiani, bravi lavoratori ma tendenzialmente criminali. Si trattava di una netta inversione di tendenza rispetto al secolo precedente, con un chiaro discredito della “classe inferiore degli immigrati” giustificato da presunte motivazioni criminologiche. Agli immigrati, anzitutto agli italiani (che erano i più numerosi), fu addebitata la tendenza alla delittuosità e non più un ruolo innovativo. Questa diffidenza andava incrementandosi in un contesto sociale in cui i migranti continuavano a crescere a un tasso più elevato rispetto agli argentini. Le argomentazioni basate sulla differenza delle razze, riprendendo l’impostazione che in quell’epoca era sostenuta in Italia dal governo fascista, furono completate con propositi di strategie eugenetiche paradossalmente rivolte contro gli stessi emigrati italiani.
Questi aspetti peculiari sono stati studiati da Eugenia Scarzanella, storica delle istituzioni dell’America Latina, che, con un ampio supporto di dati e documentazione giudiziaria, ha esaminato l’intero periodo tra gli inizi del Novecento e lo scoppio della Seconda guerra mondiale. L’analisi del rapporto tra criminalità e immigrazione pone in luce l’esistenza di non pochi pregiudizi e luoghi comuni. In questo contesto vanno lette le strategie operative che, al fine di diminuire nella popolazione l’incidenza della criminalità e di incrementare una presunta “razza più pura”, invitavano le donne argentine a fare più figli [16]. A partire dalla fine degli anni ’50, dopo la Seconda guerra mondiale e la brusca diminuzione degli arrivi dall’Europa, è stato possibile pervenire a una sintesi più equilibrata in merito alla funzione dell’immigrazione italiana nella formazione dell’attuale Argentina.
Il periodo successivo alla Seconda guerra mondiale
Dopo la Seconda guerra mondiale i flussi migratori furono assoggettati a specifiche regolamentazioni, sia nei Paesi di partenza sia in quelli di arrivo, mentre in Argentina l’orientamento fu diverso perché nel Paese persisteva una forte richiesta di manodopera straniera, specialmente per sostenere lo sviluppo dell’area industriale di Buenos Aires. Molti italiani, quindi, preferirono quella meta e il governo, al loro arrivo, assicurò loro il primo alloggio in albergo.
L’attrazione del polo argentino continuò a durare almeno fino alla crisi del 1952. Nel corso di quegli anni il CIME, il Comitato Intergovernativo per le Migrazioni Europee, la cui idea primigenia fu formulata a Bruxelles nel novembre del 1951 in occasione di una conferenza convocata su iniziativa degli Stati Uniti e del Belgio, si fece carico dell’assistenza degli italiani interessati a emigrare per lavoro o per ricongiungimenti oltreoceano [17]. Negli anni successivi lo sbocco argentino perse l’importanza avuta in precedenza a causa della problematica situazione economica e politica del Paese e anche perché gli italiani, almeno fino agli anni ’70, privilegiarono i Paesi europei godendo peraltro degli effetti di un conquistato benessere nel decennio del cosiddetto boom economico.
Per sette anni, dal marzo del 1976 al dicembre del 1983, in Argentina si instaurò una dittatura militare, che con il triste fenomeno dei desaparecidos coinvolse direttamente anche la collettività italiana. Il cosiddetto Proceso de reorganización nacionál, così denominato dalla Junta militar capeggiata da Videla, Viola, Galtieri e Nicolaides, portò alla “guerra contro la sovversione”, che venne combattuta contro un “nemico interno” portatore di ideologie ritenute sediziose, fra cui il marxismo e il peronismo. L’estensione e le crudeltà della repressione dei presunti o effettivi oppositori e la violazione sistematica dei diritti umani furono gli aspetti caratterizzanti del Proceso, attraverso cui alla fine fu combattuta una vera e propria “guerra sporca” (guerra sucia) contro qualunque forma di dissidenza non solo sotto il profilo politico e sindacale ma anche culturale, accademico e perfino religioso. Il ripristino della democrazia nel 1983, dopo il fallimento del Proceso e la sconfitta nella guerra delle Falkland/Malvinas un anno prima, posero fine solo simbolicamente a quella dolorosissima pagina di storia argentina, considerando le molte famiglie, fra cui quelle di origine italiana, che ancora oggi sono alla ricerca dei propri desaparecidos [18].
Come ebbe a scrivere lo scrittore argentino Ernesto Sabato, anch’egli figlio di immigrati italiani, fondatore e primo presidente della Comisión Nacional sobre la Desaparición de Personas (CONADEP), «il più terribile dramma che in tutta la sua storia soffrì la Nazione durante il periodo in cui ci fu la dittatura militare iniziata nel marzo del 1976 servirà a farci capire che unicamente la democrazia è in grado di preservare un popolo da un simile orrore; che solo essa può mantenere e salvare i sacri ed essenziali diritti dell’essere umano. Solo così potremo essere sicuri che mai più nella nostra patria si ripeteranno fatti che ci hanno reso tragicamente famosi nel mondo civilizzato» [19].
In quella terribile vicenda non mancarono di risuonare tanti cognomi italiani, sia tra le vittime sia tra i carnefici. Un quadro recente è stato tracciato da alcuni studi pubblicati a seguito di diverse sentenze emesse dai tribunali italiani negli ultimi anni, fra cui la sentenza della Corte d’Assise di Roma del 17 gennaio 2017, n. 31.709, depositata il 10 aprile 2017 [20], con cui sono state pronunciate otto condanne all’ergastolo nei confronti dei responsabili delle morti di numerosi cittadini italiani oppositori al regime della dittatura militare e annoverabili fra i desaparecidos [21].
Nei lustri seguenti, al ritorno della democrazia, l’Argentina conobbe altre crisi economiche, la più importante delle quali fu quella tra la fine degli anni ’90 e i primi anni duemila, culminata con le immagini della povertà estrema dei cartoneros di Buenos Aires e delle proteste dei piqueteros e dei cacerolazos. Col tempo quella che veniva definita la “Svizzera latinoamericana” ha finito per cedere a un impressionante indebitamento estero, alle nazionalizzazioni di interi settori strategici, alla “dollarizzazione” che ha fatto seguito a uno sconsiderato piano di convertibilità monetaria, nonché a una generale impunità nei confronti di numerosi esponenti politici e militari compromessi con la dittatura [22]. Quando le conseguenze sociali di questa fase critica avrebbero potuto considerarsi attenuate, ma certamente non superate a causa delle loro radici profonde, sopravvenne nel 2008 la crisi economica mondiale, mentre da ultimo si sono fatti sentire gli effetti devastanti anche sotto il profilo sociale ed economico della pandemia da Covid-19.
Fatta eccezione per i pochi anni del secondo dopoguerra, l’Argentina non è stata più considerata dagli italiani una meta così attrattiva come nel passato, mentre questo Paese ha continuato ad attirare flussi migratori da diversi Stati latinoamericani, in particolare Bolivia, Paraguay e Perù. Al giorno d’oggi, peraltro, non sono pochi gli italo-argentini interessati all’acquisizione della cittadinanza italiana iure sanguinis, potendo così fruire – come cittadini europei – della libera circolazione negli Stati membri dell’Unione Europea. Pare che i pochi arrivati in Italia, la terra dei loro antenati, non siano stati contenti dell’accoglienza ricevuta, rilevando un divario tra l’apertura argentina del passato e l’attuale diffidenza degli italiani nei confronti degli immigrati (anche se di origine italiana).
Comunque sia, il flusso migratorio dall’Italia verso l’Argentina non si è mai esaurito del tutto e, stando ai dati AIRE prima richiamati, sono emigrati 10 mila italiani l’anno nel primo decennio del Duemila e circa 6 mila l’anno nel secondo decennio.
La collettività italiana in Argentina nei primi decenni del 2000
La fase attuale della collettività italiana in Argentina, costituita per lo più da italo-argentini, appare idealmente in bilico tra il peso della memoria del passato e la prospettiva di una nuova stagione migratoria, in cui convive anche il desiderio di emigrare in Europa. Ancora oggi il dato quantitativo continua a pesare in modo significativo. Di fatti, quella presente in Argentina è la collettività più numerosa al mondo, con circa 860 mila membri che, alla fine del 2019, hanno conservato (o acquisito) la cittadinanza italiana. Circa un quarto di essi si è insediato nell’area di Buenos Aires. Tra gli iscritti all’AIRE nel 2019, circa 266 mila lo sono per espatrio, 529 mila per nascita sul posto e 41 mila per acquisizione della cittadinanza. Questi dati attestano che la collettività italiana residente in Argentina ha raggiunto l’attuale consistenza facendo perno in particolare sulla nascita in loco.
Si è già rilevato come i pionieri arrivarono inizialmente dalle regioni settentrionali dell’Italia, ai quali si aggiunsero in un secondo momento quelli del Sud: sono un esempio di questa eterogeneità di provenienze Papa Francesco (i genitori, originari della provincia di Asti, si imbarcarono per l’Argentina alla fine degli anni ’20) e Astor Piazzolla (1921-1992), musicista divenuto famoso a livello mondiale per il suo approccio innovativo al tango, i cui ascendenti erano originari di Trani, in Puglia [23]. Attualmente, secondo i dati AIRE, poco più di un terzo degli italiani fa riferimento alle regioni settentrionali (il 21,3% a quelle del Nord-Ovest e il 15,1% a quelle del Nord-Est); la quota di pertinenza delle regioni del Centro Italia è del 19,2%, mentre il Meridione si avvicina a quasi la metà del totale degli iscritti all’AIRE (32,9% alle regioni meridionali e quasi l’11,5% alle Isole).
Il numero complessivo degli oriundi, come ricordato in apertura, è di circa 20 milioni. Quando si pensa a loro si è soliti citare uomini dello sport, come l’asso automobilistico Juan Manuel Fangio (1911-1995) o il grande calciatore Omar Sivori (1935-2005) e diversi altri. Ma non mancano gli italiani d’Argentina che si distinsero nel mondo della cultura e dell’arte, fra cui il grande sociologo Gino Germani (1911-1979). Il giovane Germani, messo in carcere nel 1930 per aver distribuito volantini contro il regime fascista, nel 1934 si trasferì con la madre a Buenos Aires, ottenendo in seguito una cattedra presso il Colegio libre de estudios superiores che ricoprì effettivamente solo dal 1955, per via della sua avversione al regime di Juan Domingo Perón. Dopo il colpo di stato militare del 1966 Germani si trasferì negli Stati Uniti, dove fu docente all’Università di Harvard fino al 1976, continuandovi l’insegnamento anche quando ritornò in Italia, dove fu titolare della cattedra di sociologia presso l’Università Federico II di Napoli. Fine studioso della modernizzazione e della secolarizzazione, fu definito «il sociologo del mutamento e dell’integrazione sociale».
Tra i figli dei primi emigrati genovesi bisogna menzionare Manuel Belgrano (1770-1820). Il padre, un commerciante originario di Oneglia (Liguria), nel 1754 si recò a Buenos Aires, dove si sposò con María Josefa González Casero, divenendo ben presto un criollo, attributo comune a buona parte di quella classe dirigente che fu protagonista del processo di emancipazione delle province sudamericane dalla corona spagnola. Suo figlio Manuel, nato a Buenos Aires nel 1770, si integrò perfettamente nella società coloniale e potendo contare sulle risorse familiari riuscì a compiere gli studi universitari in Spagna, dove fece sue le idee illuministiche che circolavano nell’Europa di quel periodo. Tornato in Argentina, Manuel Belgrano divenne un generale importante e un politico illustre. Nel 1810 partecipò alla deposizione del viceré, nel 1812 ideò la bandiera argentina e nel 1816 fu attivo al congresso di Tucumán, ove i rappresentanti delle Province Unite del Rio de la Plata ratificarono la dichiarazione d’indipendenza dalla dominazione spagnola. Come ricordato, con la Costituzione del 1853 sarebbe stato superato l’iniziale indirizzo centralista e il nome scelto per il Paese sarebbe stato “Argentina”. Ancora oggi esiste un legame particolare tra la figura di Manuel Belgrano e l’Italia. Nello stesso mese in cui si tengono le celebrazioni in Argentina per il giorno della bandiera, nel centro di Costa d’Oneglia, in piazza del duomo si celebrano la figura e le gesta del patriota argentino di padre italiano. Inoltre, nell’ambito dei buoni rapporti italo-argentini, nell’ottobre del 1995 si è stabilito che ogni anno il 3 giugno, giorno della nascita di Belgrano, in Argentina si celebri el día del inmigrante italiano, il “giorno dell’immigrato italiano” [24].
Come già accennato in precedenza, da alcuni anni un certo numero di italo-argentini arriva in Italia munito della documentazione necessaria per acquisire la cittadinanza italiana iure sanguinis [25], ovvero per discendenza italiana, da presentare nel Comune italiano, per ovviare alle lunghe attese che caratterizzano i Consolati italiani che non riescono a smaltire l’elevato numero di domande. È frequente il caso di oriundi che, ottenuta in Italia la cittadinanza, rimangono in Italia o si recano poi in Spagna, Paese del quale sentono maggiormente l’attrazione anche per via della lingua.
È interessante ricordare che nel 1992, a Buenos Aires, il CEMLA e l’ARCI intervistarono 509 giovani argentini di ascendenza italiana, potenzialmente interessati a emigrare in Italia [26]. Di questi, il 17,8% parlava un dialetto delle aree di provenienza degli avi; il 25,5% aveva appreso l’italiano da entrambi i genitori; il 73% sapeva di avere dei parenti in Italia; il 32% manteneva una corrispondenza con i propri parenti o li aveva visitati; il 36,3% aveva la cittadinanza italiana mentre il 55,5% era intenzionato a emigrare. Oltre a un generico interesse per l’Italia, da questi dati si rileva un’attenuazione del legame per quanto riguarda la lingua e la cultura. Anche alla luce di ciò l’italianità è un concetto sul quale conviene soffermarsi.
Sull’italianità della collettività italo-argentina
È avvincente la riflessione con la quale Alicia Bernasconi e Mario Santillo aprirono il convegno svoltosi nel 2008 a Buenos Aires sul tema America Latina-Italia. Vecchi e nuovi migranti, già richiamato in apertura. Secondo questi autori «i discendenti degli italiani in Argentina, salvo alcune eccezioni, non presentano segni marcati di identificazione con la cultura italiana – se con questa si intende la conoscenza della lingua, la partecipazione alle associazioni o lo stretto contatto con i parenti italiani. L’onnipresenza della cultura italiana nel contesto sociale del paese spiegherebbe l’assenza di questi segni. Il passaporto italiano rappresenterebbe dunque l’accesso all’Europa o a qualsiasi Paese del mondo».
In Argentina altre collettività di immigrati conservano la loro lingua, trasmessa loro dai pionieri dell’emigrazione, mentre i protagonisti della “grande emigrazione” italiana parlavano i loro dialetti. Anche i frequenti matrimoni degli italiani con gli autoctoni hanno avuto il loro peso al riguardo. Non va dimenticato che la linea politica argentina, preoccupata di un’ampia diffusione dell’italiano tra una collettività così numerosa, vi ravvisò un pericolo e si adoperò per prevenire un ulteriore diffusione. Al giorno d’oggi questa lingua è meno diffusa delle altre lingue europee presso le scuole superiori. Di certo, una maggiore diffusione della lingua italiana sarebbe stato un efficace veicolo dell’italianità (per conoscere meglio storia, bellezze, letteratura e prodotti dell’Italia). A Buenos Aires vi sono 15 scuole italiane ma la percentuale degli iscritti è bassa; pertanto, non è agevole fare della lingua italiana l’unico criterio di italianità.
Secondo Galbiani e Gianfranceschi, e così anche per altri studiosi, «l’italianità in Argentina risulta difficile da definire, perché è riuscita a distribuirsi nel tempo in tutta la società inafferrabile e onnipresente»[27]. Pertanto, bisogna cercare di individuare anche indicatori di tipo nuovo dell’italianità. I protagonisti della “grande emigrazione” trasmisero ai figli la propria “italianità” (il ricordo della terra lasciata, il dialetto, la gastronomia, le tradizioni, la pratica religiosa, l’etica, i valori comportamentali, la tenacia per l’integrazione in loco senza dimenticare le origini, ecc.). Con le terze generazioni questo patrimonio è diventato meno forte in ambito familiare ma si è sedimentato maggiormente, esercitando una certa influenza nei vari ambiti del Paese di accoglienza. I pionieri mantennero i contatti con l’Italia con l’invio delle rimesse e il racconto delle sue bellezze nei contatti con gli autoctoni. Per i loro discendenti le cose sono diverse. Anche se l’Italia rimane sullo sfondo come un grande Paese, ne vedono la presenza incarnata nella nuova patria e di questa “italianità diffusa” sono anche orgogliosi.
Il rapporto con l’Italia persiste, anche se su nuove basi, e naturalmente può essere rafforzato. Questa vasta area di attenzione, in Argentina come in altri Paesi del mondo, è funzionale al ruolo socio-economico che l’Italia è chiamata a svolgere a livello globale: tali implicazioni non sempre vengono avvertite o quanto meno incrementate con azioni di supporto. Tanto basta per concludere che l’emigrazione non è una questione confinata nel passato e che anche “l’italianità” non è venuta meno con i pionieri: tuttavia, bisogna interrogarsi criticamente su una certa retorica della presenza italiana nel mondo, sull’associazionismo tradizionale, sul ruolo delle regioni, sull’inclusione dell’italianità nei vari aspetti della politica estera [28].
Una comunità così vasta di italiani, come quella presente in Argentina, è una realtà che deve portare a riflettere su queste prospettive. Anche il tema del mantenimento dell’idioma italiano – lingua di cultura – va affrontato con una consapevolezza nuova, sostenendolo in particolare nell’ambito dei curricula scolastici; in questo senso va rilevato che altri Paesi hanno ottenuto, in Argentina, molto più di quanto abbia ottenuto l’Italia. Alla luce di questi e di molti altri aspetti non è ozioso pretendere che sulle diverse questioni riguardanti l’italianità maturi un atteggiamento diverso, meno nostalgico e più propositivo.
L’Argentina, un esempio di positivo inserimento degli italiani
Al netto dei diversi aspetti problematici e meno validi, come avviene da sempre in ogni esperienza umana, tanto più se multiforme e imponente, in un arco di storia assai ampio – come nel caso delle migrazioni di massa –, la valutazione che emerge dell’emigrazione italiana in Argentina è nel complesso positiva, tanto da poter essere citata come un caso favorevole d’integrazione, tenuto conto del superamento delle riserve che dall’inizio del secolo scorso fino alla seconda guerra mondiale interruppero l’orientamento aperto all’immigrazione. Com’è stato scritto nel citato saggio di Galbiani e Gianfranceschi, in nessun luogo del continente americano «gli italiani ci sono andati e ci sono rimasti come in Argentina. Non solo per i numeri importanti che descrivono il fenomeno […]. È anche una questione culturale e identitaria, perché l’Argentina è anche la nazione nella quale la cultura italiana si è maggiormente radicata, a tal punto che l’italianità ha dapprima messo in discussione l’identità nazionale argentina, per poi entrare a tutti gli effetti a far parte della argentinidad, dell’identificazione di ciò che è argentino» [29].
I fattori che favorirono un’efficace integrazione degli italiani furono molteplici. Dal nostro canto abbiamo provato a individuarne alcuni. Anzitutto un consistente fabbisogno di manodopera da parte del mercato del lavoro locale, di pari passo con la grande disponibilità di forza lavoro da parte delle regioni italiane, anzitutto del Nord. Ha poi inciso una particolare consapevolezza culturale e politica della classe dirigente argentina, resa assai evidente nella Costituzione del 1853 (e in particolare all’articolo 25), aprendosi all’immigrazione e al suo inserimento, e supportandola a livello amministrativo e finanziario. Ha influito anche una concezione sostanzialmente positiva dei migranti di origine italiana, tanto da privilegiarli (soprattutto nel periodo tra le due guerre) a quelli del Centro Europa, a fronte dell’avversione riscontrata invece in altri Paesi. Peraltro, l’inserimento degli italiani non ha avuto limiti per quanto riguarda i settori e i livelli di responsabilità: vi fu un loro contributo iniziale nella fase del passaggio all’indipendenza e, inoltre, sono stati diversi i presidenti della Repubblica Argentina di origine italiana [30]. Infine, pur nel contesto di un mutato atteggiamento nei confronti degli italiani – comunque circoscritto nel tempo – gli argentini hanno avuto il merito di non cadere nel rischio di considerare gli atti di devianza, compiuti da una ristretta cerchia d’italiani, come un segno distintivo dell’intera collettività. La collettività italiana è stata valutata nel suo insieme e tale valutazione resta nel complesso positiva.
Dialoghi Mediterranei, n. 51, settembre 2021
Note
[1] Per ulteriori approfondimenti, oltre alle indicazioni particolari contenute nell’articolo, citiamo alcune voci di una bibliografia quanto mai ampia: AMBROSETTI E, STRANGIO D., Italiani in movimento, Ripensare l’emigrazione italiana in Argentina, Edizioni Nuova Cultura, 2015: Roma, 2015; FAVERO L., TASSELLO, G, Cent’anni di emigrazione italiana (1876-1976); CSER, Roma, 1978; BEGNINO V., FRANZINA E., PEPE A. (a cura di), La riscoperta delle Americhe. Lavoratori e sindacato nell’emigrazione italiana in America Latina 1870-1970, Milano, 1994; GALLINARI L., SPAGNOLI L., L’emigrazione italiana in Argentina. Percezione e rappresentazione, Società Geografica Italiana Onlus, Roma, 2011; ROSOLI G. (a cura di), Un secolo di emigrazione italiana (1876-1976), Roma, Cser, 1978; ZILLI I., Un ponte sull’oceano. Migrazioni e rapporti economici fra Italia e Argentina dall’Unità ad oggi, CNR-ISSM, Napoli, 2012.
[2] L’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (AIRE) è stata istituita con la legge n. 470 del 27 ottobre 1988. Gli oriundi sono i discendenti degli emigrati italiani espatriati Italia in possesso della cittadinanza del paese di nascita. Lla legge consente loro anche il riconoscimento della cittadinanza italiana, sebbene i turni per la presentazione della documentazione comportino alcuni anni di attesa causa delle enormi difficoltà operative dei Consolati italiani all’estero, preposti alla a trattazione di queste pratiche, in particolare in paesi come Argentina, Brasile e Uruguay.
[3] Da quella esperienza di studio e dalle relazioni presentate nelle varie sessioni di lavoro ne scaturì una pubblicazione edita l’anno seguente: cfr. Caritas/Migrantes, America Latina-Italia. Vecchi e nuovi migranti, Edizioni Idos, Roma 2009.
[4] Cfr. P. Cecchini, Terra promessa. Il sogno argentino, Edizioni Regione Marche, Ancona 2006, 2 voll. Riguardo a questo saggio si suggerisce la consultazione dell’ampia recensione fattane da Maria Immacolata Macioti nel saggio dal titolo L’emigrazione italiana in Argentina e i materiati autobiografici, in “Rapporto Italiani nel Mondo”, Edizioni IDOS, Roma 2009: 427-436. Cfr., inoltre, il “classico” volume di G. Rosoli (a cura di), Identità degli italiani in Argentina. Reti Sociali, Famiglia, Lavoro, Edizioni Studium, Roma 1993.
[5] Il periodo che va dal 1853 alla cosiddetta “batalla de Pavón” fu determinante per la conformazione dello Stato moderno argentino, con conseguenze importanti anche sul piano delle politiche migratorie. La letteratura, soprattutto argentina, è particolarmente nutrita. In questa sede si segnala il saggio di B. Bosch, En la confederación argentina 1854-1851, Eudeba, Buenos Aires 1998. Sul tema specifico dell’immigrazione italiana in questa fase della storia argentina cfr., fra gli altri, G. Frediani, Pionieri italiani nell’agricoltura americana, con prefazione di Giuseppe Prezzolini, Pan, Milano, 1976. Un’ampia analisi di tale saggio è stata realizzata da Stefano Petroni in Una grande epopea dimenticata (sec. XIX-XX). I pionieri italiani nell’agricoltura americana. Riflessioni su uno studio di Giuseppe Frediani e su altre fonti, consultabile al seguente link:
https://www.museoemigrazioneitaliana.org/assets/Uploads/Una-grande-epopea-dimenticata.pdf.
[6] Assai interessante, a questo proposito, la rassegna dei “fondatori di città” proposta nel sito della Fondazione Paolo Cresci per la storia dell’emigrazione italiana, al seguente link:
https://museo.fondazionepaolocresci.it/le-nuove-patrie/.
[7] L’art. 25 della Costituzione del 1853 recita testualmente: «El Gobierno federal fomentará la inmigración europea; y no podrá restringir, limitar ni gravar con impuesto alguno la entrada en el territorio argentino de los extranjeros que traigan por objeto labrar la tierra, mejorar las industrias, e introducir y enseñar las ciencias y las artes».
[8] Successivamente si occuparono anche della concessione di mutui per l’acquisto dei lotti, della messa a disposizione di magazzini, delle pratiche per l’esenzione delle tasse e anche del reperimento di sacerdoti per l’assistenza religiosa; richieste in tal senso furono rivolte a mons. Giovanni Battista Scalabrini, vescovo di Piacenza e fondatore delle Congregazioni dei missionari e delle suore di San Carlo Borromeo (Scalabriniani).
[9] Non va dimenticato che i latifondisti, a differenza dei coloni, non erano abituati alle policolture, che avrebbero consentito di far medglio fronte alla minore richiesta di caffè. Sull’emigrazione italiana in Brasile cfr. F. Jorio, F. Pittau, S. Waisel dos Santos, Brasile: trenta milioni di oriundi italiani nel Paese del meticciato, in “Dialoghi Mediterranei”, n. 48, marzo 2021
(https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/brasile-trenta-milioni-di-oriundi-italiani-nel-paese-del-meticciato/).
[10] Cfr. F. Lazzari (a cura di), Migranti di ieri e di oggi, in “Quaderni del CSAL”, n. 3, luglio 2010: 28.
[11] Per un quadro sul tema dell’identità religiosa degli emigrati italiani cfr. M. Sanfilippo, Breve storia del cattolicesimo degli emigranti, in https://www.treccani.it/enciclopedia/breve-storia-del-cattolicesimo-degli-emigranti_%28Cristiani-d%27Italia%29/.
[12] Sulla vicenda, fra gli altri, scrisse anche l’italo-argentino Torcuato S. Di Tella, nel contesto di un saggio dal titolo Italiani in Argentina. Gli ultimi duecento anni, e consultabile al seguente link:
https://storicamente.org/sites/default/images/articles/media/1627/di_tella_it.pdf.
[13] Va ricordato che dopo la Seconda guerra mondiale si rifugiarono in Argentina anche molti italiani compromessi con il regime fascista.
[14] Cfr. F. Rotondo, Italiani d’Argentina. Dall’accoglienza alla “difesa sociale” (1853-1910), in “Historia et ius”, n. 12/2017: http://www.historiaetius.eu/uploads/5/9/4/8/5948821/rotondo_12.pdf.
[15] Citazione tratta da G.A. Stella, Negri, froci, giudei & co. L’eterna guerra contro l’altro, Rizzoli, Milano 2009.
[16] Cfr. E. Scarzanella, Italiani malagente. Immigrazione, criminalità, razzismo in Argentina, 1890-1940, Franco Angeli, Milano 1999.
[17] Cfr. Cime, Il Comitato intergovernativo per le migrazioni europee (C.I.M.E.). La sua struttura e le sue attività, Ginevra 1958. Il testo è integralmente consultabile al seguente link: https://www.cser.it/wp-content/uploads/2021/03/CIME-strutture-e-attivita%CC%80-1958.pdf.
[18] La vicenda rappresenta ancora oggi una “ferita aperta” nella coscienza collettiva argentina e non solo. Infatti, sono ancora molti i nodi da sciogliere non solo sotto il profilo storiografico ma anche giudiziario. Un punto di partenza conoscitivo irrinunciabile è rappresentato dall’Informe de la Comisión Nacional sobre la Desaparición de Personas, dal titolo “Nunca mas”, Eudeba, Buenos Aires 1984. Molto interessanti sono le testimonianze sul periodo della dittatura pubblicate da un giornalista e da un diplomatico: I. Moretti, I figli di Plaza de Mayo, Sperling & Kupfer Editori, Milano, 2002; E. Calamai, Niente asilo politico. Diario di un console nell’Argentina dei desaparecidos, Editori Riuniti, Milano 2003.
[19] Informe de la Comisión Nacional sobre la Desaparición de Personas, op. cit.: 11.
[20] La sentenza è stata pubblicata e commentata dalla Rivista online Diritto penale contemporaneo, al seguente link: https://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org/d/5685-nunca-ms-la-corte-dassise-di-roma-condanna-i-vertici-dei-regimi-dittatoriali-dellamerica-latina-per.
[21] Si stima che gli italiani scomparsi furono attorno a un migliaio tra i circa 30.000 desaparecidos complessivi. Per approfondire questa triste pagina cfr. M. Rosti, La forza della memoria nel caso dei desaparecidos argentini, in “Culture”, Annali del Dipartimento di Lingue e culture contemporanee dell’Università degli Studi di Milano, 2005-2006:.149-169. Della stessa autrice si veda inoltre il saggio dal titolo L’Italia e i desaparecidos argentini d’origine italiana, in “Algo más sobre los Italianos en la Argentina”, Báez Ediciones, Córdoba 2008: 251-273.
[22] Cfr. R. Callia, C. Mancosu, Ida y vuelta (andata e ritorno): gli italiani in Argentina oggi, in Fondazione Migrantes, “Rapporto Italiani nel Mondo”, Edizioni Idos, Roma 2007: 338.
[23] Un altro musicista proveniente dal Sud, esattamente da Crotone (in Calabria), fu Vincenzo Francesco Scaramuzza (1885-1968), pianista, compositore e didatta. Tra i suoi allievi più famosi a livello mondiale vi è la grande pianista argentina María Martha Argerich.
[24] Cfr. https://ambbuenosaires.esteri.it/ambasciata_buenosaires/es/ambasciata/news/dall_ambasciata/argentina-giorno-dell-immigrante.html
[25] Cfr. M.M. Farfan, Immigrazione e cittadinanza: legislazione e prospettive di riforma, in “Immigrazione, accoglienza, integrazione, cittadinanza: una mappa ragionata”, Rivisidem,a, n. 3, settembre-dicembre 2006; IDEM, , La cittadinanza italiana: dati, legislazione e prospettive di riforma; in Fondazione Migrantes, “Rapporto Italiani nel Mondo”, Edizioni Idos, Roma 2007: 237-246.
[26] Cfr. L. Favero, C. Cacopardo, M. Santillo, Quelli che verranno ancora, in J.L. Rhi Sausi, M.A. García, “Gli argentini in Italia: una comunità di immigrati nel paese degli avi”, Biblioteca universale Synergon, Bologna, 1992; Sul tema si rinvia anche a: G. Bramuglia, M. Santillo, Un ritorno rinviato: discendenti di italiani in Argentina cercano la via del ritorno in Europa, in Rivista “Altreitalie”, n. 24, gennaio-giugno 2002 (consultabile al seguente link:
https://www.altreitalie.it/Pubblicazioni/Rivista/Numeri_Arretrati/N_24/Saggi/
Un_Retorno_Postergado_Los_Descendientes_De_Italianos_En_Argentina_Buscan_El_Camino_De_Regreso_A_Europa.kl).
[27] A. Galbiani, L. Gianfranceschi, Italiani dell’Argentina: come e perché siamo andati e siamo rimasti nella “terra argentea”, 2020; consultabile al link https://www.amistades.info/post/italiani-dell-argentina-come-e-perch%C3%A9-siamo-andati-e-siamo-rimasti-nella-terra-argentea.
[28] Tali tematiche sono state sviluppate in R. Callia, A. Aledda, L’associazionismo italiano nel mondo: nodi e prospettive, in “Rapporto Italiani nel Mondo”, Edizioni Idos, Roma 2008: 269-279; Idos, Gli italiani all’estero,, Collettività storiche e nuove mobilità, “Affari Sociali Internazionali, n. 1-4/2020, Roma. dicembre 2020.
[29] A. Galbiani, L. Gianfranceschi, Italiani dell’Argentina…, op. cit.
[30] L’ultimo in ordine di tempo è stato Mauricio Macri, dal 2015 al 2019. Suo padre, Francesco, era un imprenditore italiano (nato a Roma nel 1930) naturalizzato argentino.
_____________________________________________________________
Raffaele Callia, è responsabile del Servizio Studi e Ricerche della Delegazione regionale Caritas Sardegna. Dopo la laurea in Scienze Politiche ha compiuto studi di specializzazione in Scienze Sociali in Argentina, dove ha effettuato una ricerca sull’emigrazione italiana nella provincia di Tucumán. Redattore del Dossier Statistico Immigrazione, ha pubblicato diversi lavori riguardanti l’emigrazione italiana e sui processi di interazione degli stranieri in Italia.
Maria Marta Farfan, è nata in Argentina, dove ha ottenuto il titolo di avvocato presso l’Università di Cordoba. Trasferitasi in Italia nel 1975, si è specializzata e in Sociologia e ricerca sociale presso l’Università di Roma “La Sapienza”. Ha coltivato gli approfondimenti giuridici in materia di immigrazione, emigrazione e cittadinanza, ottenendo il riconoscimento di Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana. È stata responsabile nazionale delle politiche sociali e migratorie del Patronato INAS-CISL fino al 2014.
Franco Pittau, dottore in filosofia, è studioso del fenomeno migratorio fin dagli anni ’70, quando è stato anche impegnato sul campo in Belgio e in Germania. Ideatore del Dossier Statistico Immigrazione (il primo annuario del genere realizzato in Italia). Già responsabile del Centro studi e ricerche IDOS (Immigrazione Dossier Statistico), continua la sua collaborazione come presidente onorario. È membro del Comitato organizzatore del Master in Economia Diritto Intercultura presso l’università di Roma Tor Vergata e scrive su riviste specializzate su emigrazione e immigrazione.
______________________________________________________________