speciale cirese
di Leandro Ventura
Al principio del passato mese di aprile, l’amico Pietro Clemente, mi ha chiesto un parere sulla possibile nuova destinazione del fondo archivistico e bibliografico di Alberto Mario Cirese, Eugenio Cirese e Aida Ruscitti. Il fondo, infatti, stava per perdere la sua collocazione, dal momento che la Fondazione Varrone di Rieti, presso cui era conservato, a causa dell’imminente avvio di importanti lavori di ristrutturazione della sua sede, aveva deciso di rinunciare al comodato d’uso, grazie al quale conservava ormai da diversi anni il materiale librario e archivistico.
Si rendeva perciò necessario trovare una nuova sede e a me e ai miei collaboratori è sembrato naturale proporre la Biblioteca e l’Archivio dell’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale come nuova sede del Fondo Cirese, anche perché l’importante collezione si sarebbe andata a riunire con la raccolta di spartiti e trascrizioni di musica popolare di Eugenio Cirese, già presente in Istituto.
Dopo i necessari accordi con il figlio, Eugenio, il Fondo di Alberto Mario Cirese è stato così donato all’Istituto, con l’impegno della messa a disposizione del pubblico degli studiosi. Sono stati quindi allestiti i locali necessari a ospitare l’archivio e la biblioteca e, a inizio luglio, il Fondo è stato trasferito da Rieti a Roma.
Il Fondo archivistico nel suo complesso è costituito da 5 faldoni relativi ad Aida Ruscitti, 73 faldoni di Eugenio Cirese, di cui 4 faldoni di carteggio e altri 4 contenenti i versi dell’autore. La sezione del Fondo relativa ad Alberto Mario Cirese è invece costituita da 446 faldoni, di cui 50 faldoni di carteggio e 49 di scritti, nonché da circa 180 tesi di laurea. A questo si aggiunge la biblioteca con oltre 7600 volumi e numerose riviste, nonché vinili, VHS, nastri e audiocassette.
Attualmente il materiale è stato sistemato nei locali appositamente allestiti ed è in corso di revisione, per individuare eventuali lacune rispetto a quanto si trova negli elenchi inviati all’Istituto dalla Fondazione Varrone. Appena terminato questo lavoro si procederà con il trasferimento dei dati già presenti nell’indice SBN, così che il materiale nell’OPAC SBN risulterà finalmente presso la Biblioteca dell’Istituto, che sarà infine dedicata ad Alberto Mario Cirese.
Una volta ultimate queste fasi, sarà possibile attivare le giuste forme di valorizzazione del Fondo Cirese, tramite la ricerca e l’approfondimento del ricchissimo materiale presente, anche attraverso contemporanei sondaggi negli archivi fotografico, audiovisuale e sonoro dell’Istituto. Le nuove ricerche potranno affrontare, approfondire e arricchire gli ambiti di studio di Cirese, sia sul piano metodologico che sui contenuti presenti nei materiali del Fondo [1]. Si potrà così dare spazio a uno degli intendimenti dello studioso, che preferiva i problemi alle definizioni. Le nuove ricerche forse potranno così tentare di risolvere alcuni dei problemi individuati dai suoi studi, magari aprendone altri, con il necessario rigore e impegno etico e di studio.
Dal mio punto di osservazione di studioso di storia delle immagini alcuni problemi li avrei già individuati, magari partendo proprio dal fatto che solitamene Cirese, pur in una impostazione di ricerca multidisciplinare, abbia trascurato proprio le immagini [2]. Invece è proprio lo studio delle immagini con un metodo iconologico contestuale che consente di individuare elementi iconografici e simbolici che legano profondamente motivi e temi radicati, per esempio ma non solo, nella devozione alla produzione di immagini colta.
Questa è solo una proposta da approfondire metodologicamente e nei contenuti, ma osservare le immagini non da antropologo, ma da storico dell’arte iconologo, consente di individuare elementi iconografici e simbolici che, sia nello sviluppo di una diacronia storica che nell’istantaneità della produzione contemporanea, mostrano numerosi elementi di linguaggio comune con il contesto della cultura immateriale[3]. In alcuni casi, anzi, è agevole notare come le diseguaglianze culturali studiate da Cirese, nelle immagini tendano ad annullarsi, per diventare linguaggio comune alle classi “colte” e a quelle “subalterne”. L’immagine di un gioco, di un evento tradizionale, di un santo, per esempio, trovano stretti punti di contatto a ogni livello della produzione artistica con il contesto culturale che quelle immagini ha prodotto. Le motivazioni di questi stretti legami tra “alto” e “basso” nella produzione di immagini hanno radici storiche profonde, che vanno dalla originaria funzione delle immagini come Biblia pauperum, per esempio, alla normale estrazione sociale degli artisti che spesso provenivano dalle classi medio-basse della società.
Questo vuole solo essere uno spunto di approfondimento, un po’ eretico forse, ma che potrebbe essere uno dei tanti punti di partenza possibili, da cui avviare future ricerche sul Fondo Cirese, che consentano di ampliare le nostre conoscenze sul patrimonio demoetnoantropologico italiano ed europeo.
Dialoghi Mediterranei, n. 51, settembre 2021
Note
[1] Sono già arrivate delle richieste di studio del materiale molisano, ma sarebbe importante coinvolgere le università e le scuole di specializzazione in beni demoetnoantropologici, per attivare ricerche e tesi sul Fondo Cirese.
[2] Per esempio, in Culture egemoniche e culture subalterne, Cirese introduce una serie di ambiti interdisciplinari che vanno dalla psicologia alla sociologia, dalla storia delle religioni alla paletnologia, dalla linguistica alla semiotica, ma non si parla di storia delle immagini o di storia dell’arte. Ovviamente non va tralasciato che Cirese abbia ampiamente utilizzato le immagini fotografiche nella sua ricerca, e che sia stato uno degli autori della voce “Arte popolare” dell’Enciclopedia Universale dell’Arte. Qui si vuole far riferimento nello specifico alla produzione di immagini studiata dalla storia dell’arte.
[3] Sul legame tra patrimonio culturale immateriale e arte contemporanea, è stata proposta una sintetica lettura nelle due mostre “Unwritten Structures. Racconti (in)visibili” che l’Istituto ha organizzato in due percorsi paralleli in sud America ed Europa orientale e che ora è aperta a Fermo, Terminal Dondero, fino a fine ottobre (https://www.raccontinvisibili.com/). Oltre a questa proposta espositiva, si può considerare che circa il rapporto tra diacronia storica e sincronia antropologica, lo stesso Cirese osservava che nel campo delle scienze umane l’«esperienza scientifica […], per essere storica, deve usare modelli antropologici, e, per essere antropologica, deve appoggiarsi alla storia» (Alberto Mario Cirese, Alterità e dislivelli interni di cultura nelle società superiori, ediz. consultata in Alberto Mario Cirese, Folklore e antropologia tra storicismo e marxismo, Palermo, Palumbo Editore, 1972: 9-42, in part. 42).
______________________________________________________________
Leandro Ventura, attualmente è dirigente storico dell’arte del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. Dopo aver ricoperto l’incarico di Segretario regionale e direttore del Polo museale del Molise, è ora responsabile del Servizio VI (Tutela del patrimonio demoetnoantropologico e immateriale) della Direzione Generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio, nonché direttore dell’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale. È stato anche direttore ad interim del Museo delle Civiltà di Roma. In qualità di docente a contratto, ha insegnato Storia dell’arte veneta presso l’Università di Roma I La Sapienza, e Teoria e Storia della Produzione e della Committenza Artistica presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Ha dedicato la sua attività di ricerca principalmente al contesto mantovano e alla committenza e al collezionismo dei Gonzaga, pubblicando saggi e monografie su Pisanello, Andrea Mantegna, Lorenzo Leonbruno, Isabella d’Este, Correggio, Sabbioneta. Collabora con diverse riviste scientifiche.
______________________________________________________________