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Radici e germogli. Maria Immacolata Macioti, la ricerca e l’azione

 

Maria Immacolata Macioti

Maria Immacolata Macioti 

per minette

di Emanuela Del Re

Seduta su una sedia, con le gambe accavallate e i lunghi capelli argentei che scendevano morbidamente sulle spalle, Maria Immacolata Macioti mi osservava mentre conversavo con alcune persone. Avevo seguito mio padre Michele in una delle visite a gruppi che costituivano l’oggetto delle ricerche di Minette e sue, ovvero movimenti religiosi, in quel caso specifico la figura di un carismatico. Non avevo neppure vent’anni. Minette disse a mio padre che aveva visto come mi muovevo, aveva ascoltato le mie conversazioni, e che riteneva che avessi talento per la ricerca e che le avrebbe fatto piacere se avessi lavorato un po’ con lei.

Era forse il 1982, o il 1983. Anni entusiasmanti in cui la ricerca sociologica era viva, palpitante, con gruppi di studiosi che si muovevano anche insieme sugli stessi temi, perché ciascuno poteva dare un contributo secondo una prospettiva personale utile a comprendere il tutto. La professoressa Macioti, che poi è diventata Minette per me, la mia maestra, la donna più importante nella mia vita dopo mia madre, mi aveva molto colpita. Lei mi osservava, io osservavo lei. Con il suo fare gentilissimo, la sua erre francese che portava con molta eleganza come i grandi anelli in stile etnico che le decoravano le dita, intratteneva dialoghi molto lunghi e profondi con persone che ad un primo sguardo potevano apparire anche distanti e non centrali. Cominciavo ad apprendere da lei il valore del rispetto della persona anche nelle sue espressioni più semplici che possono invece celare un universo, il valore dell’attesa, della pazienza, dell’osservazione partecipante come metodo di ricerca che consentiva di entrare nelle cose pienamente, partecipando e osservando allo stesso tempo.

Erano anni in cui frequentavamo Cesare Magrini, che preparava un gruppo di persone alla camminata sul fuoco; Marcello Creti, medium e mago, con le sue teorie sugli Ergoniani, e altri. Ricordo i viaggi in automobile comprando cassette di frutta e verdura da portare in dono. Ricordo gli immancabili taccuini di Minette e miei su cui appuntavamo tutto per poi confrontare le nostre riflessioni. È così che è cominciata la mia vita di studiosa sul campo, e devo a Minette quello che sono oggi. All’università La Sapienza, gli anni con lei sono stati ricchissimi. Si faceva fatica a starle dietro per tutti i rapporti internazionali con studiosi e soprattutto studiose che intratteneva in tutto il mondo. Era un fiorire di progetti, pubblicazioni, convegni, seminari. Un’attività entusiasmante che lei svolgeva con naturalezza perché le apparteneva pienamente, non vi era né sforzo né fatica in tutto quel muoversi nel mondo con il mondo.

Ricordo innumerevoli occasioni d’incontro a casa di Minette con studiosi che avevo conosciuto sui libri, o in qualche trattoria romana o altrove nel mondo dove ci capitava di trovarci. Incontri in cui io restavo spesso quasi muta, giovanissima, perché travolta dallo spessore dei contenuti delle conversazioni. Si partecipava insieme a moltissimi convegni. Quello che ricordo come particolarmente vivace è il Convegno della Società Internazionale di Sociologia della Religione (SISR) a Helsinki nel 1989, dove eravamo andati mio padre ed io insieme a Minette, e dove potemmo incontrare tutti gli studiosi di Sociologia della Religione del mondo. Fu un convegno molto partecipato con una quantità di papers stampati che ci costrinse a comprare una valigia per riportarli in Italia (non c’era internet allora). Fu così che conobbi Arnaldo Nesti, ad esempio, e ne apprezzai subito la profondità e anche la simpatia, diciamolo. Fu una specie di iniziazione per me, perché imparai le dinamiche delle discussioni tra rappresentanti di scuole diverse di pensiero e tanto altro.

Minette Macioti era capace di grandi amicizie, che si basavano su un’intesa intellettuale e un legame fatti di dialogo e confronto costante. Ricordo l’amicizia con Maria Michetti, ad esempio, la cui scomparsa fu uno strappo dolorosissimo per Minette. Quando erano insieme io restavo affascinata dalla loro intesa, dal livello altissimo delle tematiche e dalle risate su sciocchezzuole che a volte punteggiavano il dialogo. Ricordo in particolare un viaggio Firenze-Roma, con loro, con me alla guida che avrei preferito fermarmi ad ascoltare e prolungare il percorso il più possibile. Rispettava tutti, Minette, ma si percepiva fortemente quando stimava una persona e quando non la stimava.

Non è stata solo una maestra sul piano scientifico per me e per altre sue allieve e allievi, è stata un modello proprio nel suo essere donna, madre, professionista. Nata nel 1942, Minette aveva vissuto epoche storiche estremamente importanti, facendo scelte coraggiose, sempre coerente con i suoi principi. Dalle ricerche con Ferrarotti nelle periferie allo studio delle migrazioni italiane verso paesi lontani e dell’immigrazione in Italia. I fenomeni religiosi e le donne nella storia. Ernesto Nathan. Il concetto di ruolo. La metodologia qualitativa che lei difendeva con le unghie e con i denti rivendicandone il valore nella profondità che si poteva raggiungere solo con il metodo dell’osservazione partecipante nello studio di fenomeni sociali. Io ho appreso molto da lei, e infatti ho dedicato la mia vita alla ricerca sul campo, in particolare in zone di conflitto. Tra Minette sempre dedita all’ascolto dei vulnerabili, dei deboli, e mio padre giurista vittimologo sempre in difesa degli ultimi, la mia formazione è stata veramente potente sul piano dei princìpi e della metodologia.

Con Minette

Con Minette

Minette Macioti combatteva battaglie con una instancabile attività scientifica, con la capacità di farsi tramite tra mondi diversi di persone che metteva in contatto con naturalezza e garbo perché era insito in lei il senso dell’universalità dell’umanità. Minette si batteva strenuamente per i diritti, per la giustizia e l’equità sociale, per l’inclusione. Migranti, rifugiati, donne vulnerabili, giovani, leader religiosi e credenti, nelle periferie, nelle comunità religiose, ecologiche, e molti altri, erano suoi interlocutori quotidiani. Non l’ho mai vista ritrarsi di fronte a un appello, a una richiesta di ascolto. Neppure quando era stanca.

L’Accademia istituzionale non l’ha sempre compresa. D’altronde non amava i compromessi e le manovre politiche. La sua coerenza, il suo impegno, la sua trasparenza, la sua correttezza, il suo rigore scientifico erano però talmente riconosciuti che nell’Università ha potuto affermarsi e formare migliaia di giovani negli anni, che costituiscono un’eredità straordinaria. È stata senza dubbio una grande sociologa. Apprezzavo negli anni la sua pacatezza, il suo non mettersi sul piano della competizione, l’attendere il suo turno pazientemente per lanciare sfide intellettuali o rispondere anche con durezza e decisione con argomentazioni serissime a provocazioni su temi sociologici spesso ideologizzati. La sua originalità nella scelta dei temi aveva una razionalità alla base che consentiva di ricostruire il puzzle della sua attività di ricerca, perché tutto fa parte di tutto e tutto ha un senso.

Le sue numerose pubblicazioni restano parte importante del patrimonio culturale italiano e internazionale anche per lo stile narrativo raffinato e colto. Considero il suo Libertà e oppressione. Storie di donne del XX secolo (Guida editori, 2020) il suo libro più maturo, la sintesi del suo pensiero. 

Le nostre conversazioni erano scherzose, vivaci, spaziavano dalla letteratura – grandi lettrici di romanzi – al cinema, al teatro, dalle articolate nostre vicende personali alle ricerche in corso, alle pubblicazioni. Ho avuto il privilegio di poter crescere con lei, maestra severa, che correggeva e commentava i miei scritti e le mie azioni anche con durezza ma sempre per farmi migliorare. Mi sentivo un anatroccolo spinto in acqua dalla mamma anatra quando lei mi spingeva a fare, fare, fare, perché quel fare, per persone come noi, diceva, può cambiare le cose.

Quello che più resterà in me di lei è il suo senso della contemporaneità. Come ho scritto altrove, tra le parole che le assomigliano metterei certamente movimento, perché a lei la staticità non apparteneva e non la riconosceva nella società se non per certe radici da cui, come per le piante che tanto amava, dovevano nascere germogli che poi vivevano di vita propria. Le radici e i germogli, questa è forse la sintesi del suo pensiero. Germogli che nel suo leggere il mondo potevano essere frutto di innesti, il cui destino poteva essere determinato da gelate invernali, da improvvise siccità, da mani generose che li coltivavano con amore o da mani crudeli che ne recidevano il gambo impedendo per sempre il loro sbocciare.

Minette, credo che questa metafora per spiegare il tuo pensiero sulla società ti piacerebbe. Le piante sono state una costante nei tuoi scritti, preziosissime perché ne coglievi il significato sociale nella storia dell’umanità e diventavano un collante per le tue teorie sociologiche.

Con Minette

Con Minette

Avrei potuto soffermarmi sugli scritti di Minette Macioti. Avrei potuto descrivere la sua carriera accademica. Ma ho scelto di parlare di lei, che incarnava l’essenza stessa dello spirito della ricerca che aveva trasformato in un vero e proprio stile di vita, e per questo era sempre credibile. Chiunque percepiva nettamente quanto non vi fosse alcun filtro in quello che Minette Macioti era e per questo con il suo semplice “essere se stessa” era capace di sfondare qualunque barriera di perplessità. È stata un’epoca, Minette. La ricerca che si faceva con lei, con quello spirito, con quell’impeto, con quella dedizione, senza sosta, oltre la fatica, oltre la prova intellettuale ed emotiva, con grandi valori e l’ambizione di apportare un vero contributo alla società, credo sia irripetibile oggi. Quella ricerca aveva la grande capacità di raggiungere veramente l’opinione pubblica, il mondo dei media, di entrare nel dibattito politico nel senso più alto del termine in tutti gli ambiti.

Poiché uno dei temi a lei più cari era la memoria, mi chiedo cosa vorrebbe venisse conservato di lei, cosa potrei conservare io. Ricordi di vita vissuta. Una volta che eravamo andate a seguire un seminario di un famoso Guru indiano venuto in Italia per formare centinaia di adepti, eravamo sedute a gambe incrociate a terra su una stuoia con tutti gli altri. Era una delle mie prime esperienze con lei. Io seguivo ad occhi chiusi le indicazioni del Guru che diceva al gruppo come meditare, come respirare. Ad un certo punto lei, accovacciata accanto a me, dalla sua stuoia allungò la mano e mi toccò. Apersi gli occhi e lei mi disse “ma se non apri gli occhi ogni tanto con discrezione, come fai a capire che impatto ha questa pratica sulle persone?” e fece una delle sue risatine trattenute.

L’amore per la lingua francese, per i cappelli a falde larghe, i ventagli, per il balletto. Anche la tua biblioteca Minette deve restare nella memoria. Libri accatastati negli scaffali, che vivevano di vita propria perché spostati a seconda degli interessi del momento. La collezione di immagini di San Giorgio che anch’io alimentavo portandotene qualcuna dai miei viaggi. Le fotografie di famiglia, e in particolare quella foto di te, giovane e bellissima, con i capelli lunghissimi che scendevano morbidamente sulle spalle.

Ed ecco che in questo mio racconto il cerchio si conclude. I tuoi capelli, la tua eleganza, il tuo rigore, il tuo rifiuto della superficialità, la tua severità nei giudizi e intransigenza verso le violazioni dei diritti. Una volta ho paragonato la tua solidità – che pure celava tante fragilità – alla capacità di tenere la barra dritta nelle tempeste. A un mese dalla tua scomparsa, Minette, rifletto sul dialogo interrotto improvvisamente, alla tua ultima email che mi spronava ancora una volta a fare sempre di più e meglio, con le bozze dell’ultimo tuo libro sulla scrivania, con la ristampa del libro su Ernesto Nathan che tanto ti aveva fatto piacere, con l’appuntamento telefonico quotidiano al giorno dopo che avevi dato a mia madre, tua grande amica, e a tanti altri.

Maria Immacolata Macioti, Minette, è quel concetto che una volta avevamo elaborato insieme presentando un progetto di ricerca: è la “memoria futura”. I suoi testi continueranno a costituire un patrimonio di riferimento per la comunità scientifica e per tantissime comunità e persone che da lei hanno appreso la limpidezza e la profondità dell’impegno nella ricerca. Un nesso unico che solo Minette ha saputo realizzare con la sua produzione scientifica e la sua esperienza di vita: vita, ricerca e azione. Radici nel passato, germogli del futuro. 

Dialoghi Mediterranei, n. 51, settembre 2021

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Emanuela C. Del Re è sociologa, specialista nello studio dei conflitti etnici e religiosi, Cooperazione allo Sviluppo, migrazioni, sicurezza. Professore Associato Abilitato, Ricercatrice confermata (Uninettuno), ha insegnato per anni presso l’Università La Sapienza di Roma. Vice direttrice della Rivista “Religioni e Società” diretta da Arnaldo Nesti, dal 1990 ha condotto sul campo ricerche in zone di conflitto (Balcani, Caucaso, Africa, Medio Oriente). Attualmente è Vice Ministra per gli Affari Esteri e la Cooperazione Internazionale (anche nel I Governo Conte) e deputato della Repubblica. Testimone delle trasformazioni sociali, politiche, economiche nel mondo – Kosovo, Iraq, Afghanistan e oltre – ha dato voce a politici, vittime, società civile e altri attraverso numerose pubblicazioni, film-documentari, attività accademica e nei fora internazionali.  Scrive su importanti riviste e collane italiane e internazionali tra cui Limes, di cui è membro del consiglio redazionale. Tra le sue più recenti pubblicazioni: Women and Borders. Refugees, Migrants and Communities (Tauris, 2018)con S. Shekhawat; Il comportamento collettivo. “Via con la pazza folla”: internet, ultras, terrorismo e oltre (Rubbettino, 2012).

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