di Valeria Dell’Orzo
I passi dell’uomo hanno creato sulla Terra una fitta rete, un ordito di vissuti, di desideri, di paure, di speranze, di disillusioni; una trama di vita che si annoda con altre vite, sulla base mobile delle realtà socio culturali.
I movimenti umani, che inizialmente si irradiavano dal centro denso alle periferie dei grandi spazi, oggi seguono le vie battute dalla globalizzazione, la migrazione si connota ora, fortemente, non solo come unica via di sopravvivenza, ma come la possibilità di un arricchimento esperienziale e dell’abbattimento del divario del trattamento economico, aprendosi a fasce sempre più ampie di popolazione.
I fenomeni migratori più estesi si sono sempre inseriti in periodi e luoghi chiave della storia e non si può, dunque, distogliere lo sguardo dal senso che le attuali migrazioni portano in sé: una condizione che continua a basarsi sul rapporto tra i fattori di espulsione che spingono l’uomo fuori dalla propria realtà, e i fattori di attrazione che lo indirizzano verso un nuovo Paese, sulla scia delle dinamiche globalizzanti dei media e del consumismo.
Una «febbre migratoria planetaria»[1],dalla quale si evincono due principali fattori propulsivi: la rivoluzione tecnologica che investe mezzi di comunicazione e di trasporto, accorciando le distanze visuali e fisiche, facilitando e incrementando la mobilità del singolo e il contatto con l’altro; e il crescere delle disuguaglianze, non più velate dalla non conoscenza di realtà differenti, tra i vari mondi della Terra. Il perdurare delle dinamiche di sfruttamento e vessazione, coloniale e post-coloniale, ha spinto milioni di uomini e donne ad abbandonare la propria casa nel tentativo di aggrapparsi a quella realtà, ricca e sicura, riflessa dai media.
L’arrivo del migrante innesca, nella società che lo accoglie, dinamiche complesse, frutto spesso di una precisa strumentalizzazione della paura; troviamo l’altro dentro quel fittizio recinto che abbiamo eretto a protezione dell’idea del noi, avvertendo così la minaccia e non l’arricchimento che il fenomeno migratorio porta nella nostra realtà. La rilevanza del fenomeno, e la sua portata emotiva, hanno, così, reso necessaria la stesura di normative, nazionali e internazionali, volte a ricreare quell’ordine concettuale che permette all’uomo di rassicurare se stesso attraverso la gestione e la comprensione di una realtà altra che si trasforma in realtà comune.
Sulla base di un primario bisogno umano, quello di assistere per rassicurarsi, si ramificano, dunque, le politiche sociali che dal generico piano comunitario giungono fino alle circoscritte realtà territoriali, nel riconoscimento, ancora vago,della vastità e mutevolezza delle esigenze specifiche relative ai singoli contesti sociali, varietà purtroppo dimenticata e annullata dalla spietatezza gelida della mera burocrazia di carta che tutto riduce a una «questione di ordine pubblico, arido e stretto passaggio tra sanatorie e fogli di via»[2].
Seguendo la scia della necessaria propensione umana all’agire sociale, si formano, all’interno della collettività, gruppi di persone accomunate da un uguale intento di assistenza, che danno così vita a quello che viene definito, nel suo prismatico insieme, Terzo Settore. Trovano qui spazio, nell’astrazione concettuale del termine, le innumerevoli associazioni di volontariato e quelle di promozione sociale, le ONLUS, le cooperative sociali e le ONG, organizzazioni non governative, che si muovono, in continua evoluzione, sui vari piani del nostro vivere comunitario[3].
È nel micro-contesto locale che l’uomo immigrato deve reinventare se stesso, adeguandosi a un nuovo spazio di vita, a un nuovo sistema socio culturale, abituandosi a una trasformata immagine di sé: questo è il luogo nel quale prendono vita le attività cooperanti, puntellando di iniziative di scambio e sostegno la dimensione del convivere.
Spesso impreparati alla mutata realtà, gli immigrati si imbattono come pionieri in una sequela di difficoltà che investe il loro vivere quotidiano: dal differente approccio alle cose, agli iter burocratici di articolata e contorta complessità. Una rete sociale, volta alla distribuzione di servizi, si rende quindi un indispensabile strumento di ausilio orientato al raggiungimento del comune benessere dei cittadini.
Ề questo il quadro all’interno del quale il Terzo Settore si fa mezzo di appoggio e soccorso, sotto lo sguardo del sistema statale centrale, rigido e poco legato alla realtà umana; risponde al bisogno di ausilio concreto di cui si necessita inserendosi in una dimensione molte volte distante dalla propria, e rassicura al contempo, attraverso la gestione del contatto e dell’incontro, chi si ritrova ad accogliere e chi viene accolto.
Nella continua contrapposizione tra gli allarmisti, che lasciano ricadere le proprie paure su ogni possibile causa esterna, e la vera realtà circostante, l’immigrato ancora oggi, viene purtroppo spesso appiattito sulla connotazione di un colore, sulla caricatura di un accento, su una tipizzazione professionale o peggio delinquenziale. L’immigrato si trasforma, nel magma del superficiale immaginario collettivo, in una folla che scappa da casa propria e dal nostro controllo, rappresentato quale un problema da risolvere, un problema che giustifica mezzi di controllo ingiusti o mera diffidenza.
Chi sia però, nella realtà personale, il singolo membro di quell’esteso gruppo umano che si sintetizza nella categoria ‘immigrato’, e come vada seguito nel processo di inserimento sociale, è un aspetto ignorato dall’istituzionalismo burocratico e da quegli strumentalizzanti mezzi di comunicazione che forgiano un piatto pensiero di massa. Il Terzo Settore, con le sue azioni cooperanti,col reciproco sguardo, con l’esperienza del condividere e del cum vivere, con l’interazione sociale che ramificandosi coinvolge piccole o più ampie sfere umane e spaziali, permette a queste realtà di emergere e di essere seguite, di conoscere e di essere conosciute, attraverso un diretto scambio, col rispetto che merita la mutevolezza della dimensione individuale.
Dialoghi Mediterranei, n.3, agosto 2013
[1] Kapuściński R., L’altro, Feltrinelli, Milano, 2007, p. 34.
[2] Cusumano A., Interdipendenza senza integrazione e cittadini senza cittadinanza, in “Archivio Antropologico Mediterraneo”, anno III-IV, Sellerio, Palermo, 2001, p.25.
[3] Pozzoli M., Principi contabili per il terzo settore, Franco Angeli, Milano, 2009, pp. 19-20.