omaggio a Guatelli
del Comitato Scientifico (a cura) [*]
Il 30 novembre 2019, in piena pandemia il Comitato Scientifico del Museo Guatelli, presieduto da Pietro Clemente, approvava il nuovo documento di missione (il primo documento era stato stilato ed approvato in occasione della nascita della Fondazione – 2003).
Vicenda e Patrimonio
Il Museo Ettore Guatelli è stato un progetto personale di vita, che nel tempo ha trovato nel Museo la dimensione per esprimersi in forma pubblica. Ettore non era uomo delle istituzioni, si sentiva invece uno di quei personaggi delle pianure emiliane che sconfinano tra genio e follia. Cercava riconoscimenti e autorevolezza alle sue invenzioni e alle sue imprese ed il museo era insieme strumento e progetto, conoscenza e (tenace, cocciuta, ostinata) comunicazione pubblica. Aveva vocazione e genialità per la ricerca fatta dentro il suo stesso mondo sociale, era capace di cogliere differenze e articolazioni che l’esterno non coglie. Perciò le cose che veniva accumulando erano sempre varie, comparative e narrative. Il territorio veniva così rivelandosi al di là della storia agraria, dell’economia, della sociologia: infatti chi avrebbe mai immaginato gli scimmiai di montagna, i raccoglitori delle erbe nel Taro, le guide sonore dentro la nebbia?
Nel modo ironico di dire degli storici contemporanei, Ettore non era un paracadutista, ma un cercatore di funghi, un cercatore che li trova in quantità. Ma era anche un marginale, un contadino che sentiva di avere vissuto l’alterità, e che da quella dimensione poteva vivere altre alterità, e accoglierle nel museo, fino a catalogare un mondo minuto, palmo a palmo, che non era rappresentabile con le generalizzazioni delle teorie, né con le schematizzazioni delle schede regionali degli oggetti. Era un marginale alla ricerca di riconoscimento, lettore di poesie, frequentatore d’intellettuali (Attilio e Giuseppe Bertolucci, Roberto Tassi, Giorgio Cusatelli…), autore di diari fin dalla gioventù, scrittore di bellissimi e originali racconti sul mondo contadino, cercatore indefesso non solo di cose ma anche di donne, di successo, di autorità. Per questo fu visto come figura non del tutto chiara, ambigua. Fu in realtà un intellettuale contadino, rabelaisiano, esagerato, animato da sogni ingordi. Ma forse non c’è conoscenza senza esagerazione, senza tentativi che superano il confine. Ettore ebbe nel museo il suo massimo investimento, ma anche il suo maggiore riconoscimento, benché tardivo e non lontano dalla data della sua morte.
Ettore Guatelli nel museo investì anche le sue arti di scrittura e di lettura, le sue capacità di expertiseur del mondo della vita pratica, tra campagna e artigianato. L’ascolto degli ambulanti, dei poveri, dei pellegrini divenne per lui memoria sociale e conoscenza museale. Elaborò un’arte di iscrivere le pareti con le cose del mondo pratico che fu subito intuita da Alberto Cirese come forma nuova di allestimento creativo e ridefinita da Mario Turci come museo “installazione”. Il museo come luogo della comunicazione, del dialogo con chi quel mondo non conosceva, del riscatto implicito negli oggetti dai quali sorgevano cori di racconti. Il suo museo faceva pensare a Dada e ai Surrealisti, ai Merzbild di Schwitters, all’ obget trouvé e al ready-made di Duchamp, fino alla Pop Art e a Munari, perché lui era dentro a quel tempo e a quel mondo, cui pure non si sentiva di appartenere, e al quale non intendeva ispirarsi, ma pur sempre era nel suo orizzonte di riferimento, anche se alla lontana. Soprattutto era traversato dall’ intuizione che «mettere bene rende apprezzabili gli oggetti poveri che altrimenti nessuno guarderebbe» e dalla consapevolezza che ogni oggetto è diverso dall’altro e racconta storie differenti, sia per zona, che per classe di età ed esperienza. Il mondo del lavoro è visto come variabilità infinita, come creatività individuale costante e non come legge sociologica. Le “formazioni” grafiche sulle pareti – come Cirese scrisse – sono insieme i segni della “massa” delle classi subalterne e della differenza costante tra i singoli oggetti (e storie) di essi.
La missione
Come ereditare in un museo pubblico, le libertà del museografo privato, del collezionista ingordo, che vorrebbe acquisire tutto il mondo e tutte le varietà di tutte le forme? Nella prima formulazione della missione (2003) si disse che il progetto di fondo del Museo doveva basarsi sul rispetto dell’opera compiuta, sulla sua ispirazione. Oggi, in seconda formulazione, possiamo fare un passo avanti. Usare ciò che Ettore ci ha lasciato, per guardare anche al mondo di oggi. Quello che non ha conosciuto. Cercare un sempre rinnovato rapporto fra difesa dell’eredità ed esigenza di sperimentazione di nuovi linguaggi. Mantenere una stretta relazione con le riflessioni e gli orientamenti del dibattito contemporaneo sul ruolo del museo, che emergono dai temi propri dell’educazione al patrimonio, dal rapporto fra musei, patrimonio e paesaggio, come esplicitato nella Carta di Siena 2.0 promossa da ICOM, e non ultimo dalla relazione fra eredità patrimoniale e democrazia, come contenuto nella Convenzione del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società (Convenzione di Faro). Pensare un museo capace di mettere al centro il territorio nel suo divenire, visto come insieme del lavoro, dei saperi pratici, delle tecniche, in cui il museo stesso è da un lato agenzia di monitoraggio e dall’altro centro di comunicazione e di allestimento creativo.
Nato come museo privato, tocca a noi dare cornice pubblica al mondo creativo del suo autore. Ancor oggi la missione del Museo Ettore Guatelli deve essere quella di guardare al di fuori del museo stesso, al territorio, per conoscerne i nuovi saperi pratici legati al mondo delle cose e per riuscire a raccontarli con semplicità e capacità di emozionare, tenendo presente l’aspetto dello sfruttamento del lavoro, ma soprattutto quello della creatività, dell’adattamento, dell’invenzione concreta.
Il Museo Guatelli vuol essere luogo di accoglienza ed esperienza per i diversi pubblici interessati all’incontro con quelle “meraviglie dell’ovvio”, che dal museo portano al mondo e alle sue storie d’umanità. Ettore è diventato un “classico” dell’invenzione creativa del museo, così come Nuto Revelli lo è per le fonti orali e Saverio Tutino per la scrittura della gente comune. Ettore fa parte di quella schiera di outsider creatori di conoscenza non sempre riconosciuta, ma comunque indiscutibile
La missione del Museo richiede una linea di continuità, nella conoscenza sui saperi pratici della gente comune, tra montagna e pianura (agricoltori, grandi centri commerciali, Barilla, Carlo Erba, pastori sardi, braccianti e mungitori africani e asiatici, nuovi contadini, piccoli industriali, giovani nativi digitali, scolari, cuochi, operatori turistici, piccoli paesi, migranti e Sprar). Nella missione del Museo resta quindi centrale la cura e la trasmissione dello stretto rapporto fra ricerca e allestimento e il presidiare e difendere la memoria come fondamento della storia sociale del luogo. Inoltre per la sua natura di opera mirata alla promozione della consapevolezza del necessario riconoscimento e rispetto della dignità della vita nelle sue espressioni del quotidiano, il Museo non può non partecipare al dibattito legato alle nuove agricolture, all’ambiente, al clima, alle migrazioni e alla dignità e diritto al lavoro. La missione del Museo Guatelli è quella di una macchina museale che concorre al riconoscimento e alla comprensione dell’alterità, che critica il senso comune e l’apparenza, ed apre a conoscenze nuove. Nella museografia demo etno antropologica, è centrale il mostrare l’alterità globale delle forme di vita che danno senso alle cose che includono gli oggetti e i saperi.
Nella museografia il senso ultimo è mostrare le cose per poter guardare oltre ad esse, alla loro vita e alle vite che ad esse si sono relazionate. Il Museo Ettore Guatelli, per propria natura, è luogo delle libertà interpretative, in cui ognuno deve poter trovare una propria cittadinanza. Per tal motivo il Museo deve continuare ad essere un cantiere d’incontri, laboratorio critico di scambio fra visioni del mondo e saperi pratici, fra etnografia e le diverse espressioni dell’arte, fra design e pratiche del riuso, fra quotidiano e creatività.
Il Museo dovrà mantenere e consolidare la posizione che in questi anni ha saputo conquistarsi partecipando a reti e sistemi, offrendo le proprie competenze in ambito museografico, diventando luogo di formazione in collaborazione con diverse Scuole, Università ed Istituti, luogo di riflessione e elaborazione sui temi dell’educazione al patrimonio a partire dalle intuizioni e dalla pratica della “didattica delle cose” di Ettore, maestro ed educatore.
Novembre 2019
Dialoghi Mediterranei, n. 53, gennaio 2022
[*] Il Comitato Scientifico è così composto: Presidente, Pietro Clemente (già Docente Università degli Studi di Firenze); Consiglieri, Michele Guerra (Università degli Studi di Parma); Marina Giuffrè (Università degli Studi di Parma); Flaviano Celaschi (Università di Bologna); Marisa Dalai Emiliani (Università La Sapienza di Roma); Vito Lattanzi (Direzione generale Musei – MiBACT); Franca Zuccoli (Università degli Studi Milano-Bicocca).