il centro in periferia
di Nicola Martellozzo, Maria Molinari, Gabriele Orlandi, Manuela Vinai
In occasione del IX convegno della Società Italiana di Antropologia Applicata, che quest’anno si è tenuto a Roma dal 15 al 18 dicembre, è stato presentato un panel dal titolo “Abitare le montagne d’Italia fra ricomposizioni demografiche e politiche di sviluppo territoriale. Quali risorse può mettere in piedi l’antropologia nelle terre alte?”
L’idea di presentare un panel al convegno SIAA è nata da un gruppo di dottorandi della Scuola di Dottorato in Scienze Psicologiche, Antropologiche e dell’Educazione dell’Università di Torino, accomunati da un interesse di ricerca per le cosiddette aree interne del nostro paese.
Il gruppo aveva sperimentato, già nel maggio di quest’anno, il coordinamento di una giornata di studi intitolata “L’antropologia in quota. Un confronto tra orientamenti, un percorso tra i vuoti”. Alla presenza di collaboratori interni ed esterni all’Università di Torino, come Pier Paolo Viazzo, Giovanni Kezich, Laura Bonato, Lia Zola, Elisabetta Dall’Ò e Roberta C. Zanini e di alcune personalità storiche nel panorama degli studi montani come Paolo Sibilla, la giornata aveva portato a riunirsi, attorno ad un virtuale tavolo di discussione, studiosi della montagna italiana afferenti ad altri atenei (oltre alla già citata Università di Torino, l’Università Milano-Bicocca, l’Università di Genova e l’Università di Aix-Marseille) ma anche provenienti da organizzazioni esterne (come l’Agenzia Turistico Culturale del Comune di Capo di Ponte) e altri ricercatori indipendenti.
In quella sede erano state affrontate le tematiche della narrazione sulla montagna e le sue rappresentazioni, le ricomposizioni demografiche, le frizioni istituzionali che vi insistono così come le ibridazioni che in essa si stanno costituendo.
Questa prima giornata di studi è stata all’origine della consapevolezza, per gli organizzatori, della densità delle tematiche rivolte alle aree interne del Paese oltre che della variegata presenza di studiosi che si dedicano alla montagna. È nata così l’idea di pensare ad un ulteriore spazio di discussione sul tema della montanità.
Il panel SIAA, coordinato dallo stesso gruppo che aveva organizzato la giornata torinese (Nicola Martellozzo, Maria Molinari, Gabriele Orlandi e Manuela Vinai), a cui si sono aggiunti Pier Paolo Viazzo e Pietro Clemente, ha permesso di affrontare quindi le condizioni di un’antropologia della montagna, considerando quest’ultima dal punto di vista delle sue ricomposizioni demografiche, delle forme turistiche ricreativo-esperienziali che stanno prendendo una nuova forma così come delle mutevoli condizioni di vita che la caratterizzano.
Le aree montane sono spesso associate a un’idea di immutabilità e per lo meno di temporalità lenta: il panel ha permesso al contrario di fare emergere la complessità e la rapidità dei processi che le stanno interessando, sottolineando in particolare come le sfide che si trovano ad affrontare (in tema di cittadinanza, ecologia, patrimonio, salute e governance) siano un’occasione per ripensare la nostra società nel suo insieme. Nel farlo, ci si è interrogati anche su quelli che possono essere gli apporti di antropologi e antropologhe che in questi territori lavorano e che sono chiamati a portare le loro competenze di volta in volta come mediatori tra le istanze presenti, accompagnatori di nuovi processi o promotori di nuove visioni.
Il panel è stato aperto da una sessione relativa alle ricomposizioni demografiche che si registrano nelle aree interne del Paese. Nell’ultimo secolo, infatti, Alpi e Appennini sono stati soggetti a importanti cambiamenti demografici, acceleratisi con lo sviluppo dell’industrializzazione. Negli ultimi decenni questi mutamenti hanno indirettamente plasmato una narrazione sulla montagna che ad oggi si potrebbe definire “inattuale”.
Nei loro interventi Paolo Carera, Chiara Calzana e Brunella Bonetti si sono focalizzati su un’osservazione della montagna partendo dalle relazioni dei nuovi abitanti con i territori in cui si inseriscono. Tra i casi presentati vi sono quelli del paese di Erto, nella zona del Vajont, e di Castel di Tora. In questa sezione ci si è interrogati in particolare sulla relazione che intercorre tra il processo di ricomposizione demografica e sociale e la costruzione culturale delle Alpi e degli Appennini.
La seconda sessione è stata dedicata alle armonie e alle disarmonie delle pratiche turistiche – nella loro forma ricreativo-esistenziale – rispetto ai territori alpini. Centro del primo intervento (Tobias Boos e Daniela Salvucci) è stata l’esperienza di ricerca multi-disciplinare in Valle d’Aosta, condotta nel comune di Jovençan, e che all’esplorazione etnografica del comune ha unito l’utilizzo della metodologia del deep mapping quale strumento d’indagine precipuo. A questo primo intervento ha fatto seguito una panoramica (curata dal gruppo composto da Valentina De Marchi, Agata Gridel, Marta Pascolini, Marta Tassi e Chiara Zanetti) sul progetto pluriennale L’altra montagna, nell’area dolomitica, risultato di collaborazione tra enti pubblici, università e l’associazione Isoipse: al centro, la realizzazione di un modello di comunicazione turistica lontano dai canoni classici, basato sul coinvolgimento di amministrazioni, turisti e residenti in un approccio di community holder. Passando dalle Dolomiti all’Appennino abruzzese, l’intervento successivo (di Omerita Ranalli) ha offerto una prima mappatura delle pratiche di gestione del patrimonio e di coinvolgimento comunitario di questo territorio al confine tra Abruzzo, Lazio e Molise, con un’attenzione specifica alle nuove proposte di turismo sostenibile elaborate da coloro che qui hanno scelto di vivere. Ha concluso la sessione l’analisi di un caso studio nell’Alta valle del Volturno (Gianpiero Iacovelli e Emidio Ranieri Tomeo), in cui il difficile percorso di patrimonializzazione di una festa locale è stato messo in dialogo con il più ampio processo di marginalizzazione che continua a caratterizzare le aree montane del Molise. La valorizzazione del patrimonio comunitario ha costituito indubbiamente il fil rouge dei quattro interventi, declinato di volta in volta secondo le particolari relazioni tra vecchi e nuovi abitanti, territori e forme turistiche.
La terza sessione ha permesso di approfondire il tema delle ‘condizioni di vita’, indagando con differenti posizionamenti ulteriori aspetti che connotano le zone montane, sia alpine che appenniniche. Attraverso lo sguardo di un’antropologa attivista (Serena Caroselli) si è affrontata la riflessione sul tema degli usi civici quale strumento sociale in grado di riattivare forme di economie comunitarie. Questo primo intervento è stato seguito dalla presentazione di una ricerca sulla trasformazione dell’industria estrattiva del porfido (Andrea Tollardo), che ha sottolineato la centralità di una riflessione sulle condizioni della riproduzione sociale delle popolazioni alpine, anche alla luce dei cambiamenti dovuti alle ripercussioni di questo depauperamento sul mercato immobiliare locale. L’ultimo intervento (Roberta Clara Zanini) ha invece preso in considerazione l’ambito sanitario attraverso le potenzialità offerte dalla figura professionale dell’infermiere di comunità, mettendo a confronto criticità e “capitale di benessere” delle aree montane.
Il panel è stato quindi l’occasione per stimolare la riflessione sul tema delle disparità territoriali e le nuove ri-articolazioni che si stanno costituendo alla luce della recente attrattività delle aree interne. La recente crescita di attenzione per le terre alte, la diffusione di forme turistiche ricreativo-esperienziali, i processi di neo-popolamento e di rigenerazione territoriale sono tematiche che incoraggiano l’attuale dibattito sulla governance delle aree interne a partire da quelle che sono le prospettive degli abitanti di quelle stesse aree.
La presenza di studiosi di differenti provenienze, sia geografiche che di interessi di ricerca, ma che condividono un background di studi socio-antropologici, inoltre, ha sottolineato l’utilità di coinvolgere le Alpi e gli Appennini in una stessa analisi, ponendosi quindi in continuità con il lavoro svolto da due studiosi della montagna italiana quali Viazzo e Clemente.
Dialoghi Mediterranei, n. 53, gennaio 2022
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Nicola Martellozzo, dottorando presso la Scuola di Scienze Umane e Sociali (Università di Torino), negli ultimi due anni ha partecipato come relatore ai principali convegni nazionali di settore (SIAM 2018; SIAC 2018, 2019; SIAA-ANPIA 2018). Con l’associazione Officina Mentis conduce un ciclo di seminari su Ernesto de Martino in collaborazione con l’Università di Bologna. Ha condotto periodi di ricerca etnografica nel Sud e Centro Italia, e continua tuttora una ricerca pluriennale sulle “Corse a vuoto” di Ronciglione (VT).
Maria Molinari, laureata in Antropologia culturale ed etnologia all’Università degli Studi di Bologna (triennale e specialistica), dopo alcune esperienze di cooperazione all’estero, ha lavorato (dal 2005 al 2019) nel campo dell’accoglienza migranti, con enti locali ed organizzazioni no profit. Impiegata nei primi anni come educatrice, dal 2011 ha avviato e coordinato progetti di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati nelle aree montane. Ha svolto un master su studi interculturali all’Università di Modena e Reggio Emilia; una borsa di studio presso l’Università di Parma; un corso di perfezionamento in Antropologia museale e dell’Arte presso Università degli Studi Milano Bicocca; ha svolto numerosi corsi di progettazione. Originaria dell’appennino parmense, dove vive e pratica la professione di guida ambientale escursionistica, attualmente si occupa di progettazione, consulenza e coordinamento di progetti sulla valorizzazione del patrimonio e su progetti socio-culturali richiesti da enti locali ed organizzazioni. È fondatrice e coordinatrice del Piccolo Festival dell’Antropologia della Montagna.
Gabriele Orlandi, diplomato in Antropologia all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, è attualmente dottorando all’università di Aix-Marseille e membro dell’Institut d’ethnologie européenne, méditerranéenne et comparative. Ha svolto ricerche etnografiche in Italia, Francia e India, occupandosi di critical agrarian studies e di rappresentazioni delle ruralità. Attualmente i suoi interessi spaziano dagli immaginari delle aree alpine, alle politiche di sviluppo montano, agli approcci etnografici e microanalitici, ai processi di governance territoriale.
Manuela Vinai, Laureata in sociologia all’Università di Trento e in Etnologia all’Università di Nizza Sophia Antipolis, è attualmente PhD fellow in Scienze Psicologiche, Antropologiche e dell’Educazione presso l’Università degli Studi di Torino. Si occupa di ricerca applicata ai servizi socio-sanitari, con particolare riferimento alle marginalità sociali e ai processi di impoverimento.
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