Tra gli effetti negativi della pandemia, soprattutto nel corso dell’anno 2019-2020, cioè durante le misure più restrittive, c’è stato quello di vedere vari eventi artistici e culturali passare sotto silenzio, come se non fossero accaduti, e comunque senza essere accompagnati da quella presenza di pubblico e di strumenti mediatici che permettesse loro di uscire allo scoperto, e di dare luogo a commenti e scambi di punta di vista, tale da fare di quell’evento un momento di simbiosi e di confronto culturale. Purtroppo, è stato questo il destino, fra l’altro, dell’Antologia dei Poeti Tunisini, uscita nel 2019 a Roma, frutto di una collaborazione tra la Federazione Unitaria Italiana Scrittori (FUIS) e l’Istituto di Traduzione di Tunisi (ITRAT).
Nonostante l’originalità dell’impresa che mette a confronto tre lingue, l’italiano, il francese e l’arabo, attraverso la traduzione di 25 poeti viventi di espressione araba e francese, il libro è passato inosservato, non dico dal gran pubblico spesso indifferente, nell’era dominata dalla profusione di eventi grandi e piccolo messi in circolazione dalla potente rete mediatica, ma anche da istituzioni direttamente interessate al dialogo culturale italo-tunisino, come l’Istituto Italiano di Cultura di Tunisi, e gli atenei dove esistono dipartimenti di italianistica, i quali non possono non cogliere contributi di questa portata sia a livello tematico che espressivo.
E se non ci fosse stata la presentazione del libro il 19 marzo 2021, quasi due anni dopo la pubblicazione dell’Antologia, organizzata dall’Unione degli Scrittori Tunisini in collaborazione con l’Itrat e con la presenza dei traduttori e di alcuni protagonisti della vita culturale tunisina, il libro sarebbe rimasto completamente sconosciuto ai più. Quindi la presente recensione vorrebbe colmare in parte questo vuoto, ed inserire nel “Dialogo” italo-arabo un corpus di testi poetici i quali, al di là delle critiche che si potrebbero fare alla qualità della traduzione – e noi sappiamo quanto è difficile tradurre la poesia – offrono, come diremo in seguito, un largo ventaglio di temi e di esperienze poetiche, e servono come indicatore affidabile delle ultime tendenze poetiche, essendo questi testi appartenenti a una generazione poetica ancora in piena attività, ed essendo i contenuti dei medesimi testi ancorati ad una realtà ancora in movimento.
«Desiderosa di viaggiare, alla ricerca di una brezza marina, vede in sé un essere universale stretto nei limiti dei luoghi, prigioniero delle frontiere, che vorrebbe affermare la sua identità creativa tunisina ancorata alle sue radici e ai suoi rigogliosi spazi, e crearsi quel posto che le spetta nell’universo della letteratura mondiale».
Così si espresse poeticamente Taoufik Aloui, direttore dell’Istituto di Traduzione di Tunisi (ITRAT), nella sua presentazione di quest’Antologia dei Poeti Tunisini, aggiungendo che questo libro rappresenta un’importante occasione creativa, essendo la prima antologia di poeti tunisini nella produzione dell’Istituto di Traduzione di Tunisi dalla sua fondazione nel 2006. Quest’impresa non sarebbe stata possibile senza l’iniziativa e la collaborazione della Federazione degli Scrittori Italiani (FUIS), ed in particolare grazie all’impegno del suo Presidente, Natale Antonio Rossi, e il suo corrispondente per la Tunisia, il poeta Lucio Castagneri.
Dal canto suo, il presidente della FUIS, Natale Antonio Rossi, ha dichiarato che grazie alla collaborazione tra la Confederazione italiana e l’Istituto di traduzione è stato possibile, per la prima volta, pubblicare in Italia una raccolta così significativa della produzione poetica attualmente presente in un Paese così vicino, un Paese del Mediterraneo, così ben caratterizzato per cultura e per espressione artistica, le quali sono poco note in Italia. Ed ha aggiunto che la scelta del testo a fronte
«non ha soltanto il valore di confronto tra lingue diverse, arabo, francese e italiano: vuole soprattutto significare che l’unione degli scrittori e delle loro espressioni artistiche può superare lo scoglio della diversità linguistica e progettare un’intesa tra popoli accomunati nella battaglia per la conquista di una cultura globale fondata su valori universali».
Sottolineando che ogni antologia prevede delle esclusioni, Natale Antonio Rossi ha reso un omaggio all’Itrat, ai quattro traduttori: Meriem Dhouib, Fethi Nagga, Abdelmonem Khlifi e Ahmed Somai, e soprattutto ai 25 poeti che hanno offerto i loro testi, concludendo che «è stato fatto un lavoro che va interpretato – a parere della FUIS – come un tentativo riuscito di aprire le porte alla conoscenza delle figure più significative dell’espressione poetica tunisina».
Questo viaggio nella poesia tunisina odierna è cominciato nell’autunno 2017, quando l’Istituto di Traduzione di Tunisi, nella persona del suo direttore Taoufik Aloui, mi ha incaricato di coordinare il lavoro del gruppo di traduttori, per la realizzazione del progetto congiunto con la FUIS di Roma, per tradurre in italiano circa 140 brani di poesia appartenenti a 25 poeti, di cui 6 poetesse. I testi originali sono per la maggior parte in lingua araba, ed alcuni, 5 autori, sono in lingua francese.
Il gruppo di traduttori è stato prescelto dall’Istituto di Traduzione e quindi, senza saperlo in anticipo, ci siamo trovati coinvolti nell’impresa e abbiamo dovuto lavorare di concerto al fine di presentare un testo omogeneo quanto possibile, dove non si avvertono discrepanze e varietà di stile dovute alle diverse esperienze di traduzione e ai diversi percorsi di formazione dei quattro traduttori. Per raggiungere lo scopo i testi sono passati dall’uno all’altro per una lettura/confronto e il testo finale è stato riletto e corretto dallo scrivente curatore dell’Antologia e dal rappresentante FUIS, Lucio Castagneri.
La selezione dei poeti da tradurre è stata curata dall’Istituto di Traduzione, attraverso una commissione, tenendo conto di alcuni criteri tra cui la condizione che siano poeti in vita e ancora attivi, che non siano stati precedentemente tradotti in italiano, e che non abbiano partecipato alla selezione dei poeti. I poeti prescelti sono stati 25 di cui 6 poetesse, numero chiaramente al di sotto di quello dei poeti esistenti in Tunisia, ma sono rappresentativi, per qualità espressive e per originalità di contenuti della poesia tunisina di lingua araba e francese. I quattro traduttori si sono divisi i testi consensualmente e secondo le proprie inclinazioni e formazioni linguistiche (arabo/francese), incaricandosi ciascuno di tradurre circa sei poeti. In una seconda fase abbiamo operato uno scambio dei testi tradotti, concluso con una lettura finale da parte del curatore, seguita da una lettura-confronto tra il curatore e Lucio Castagneri, per la stesura finale del testo che il lettore ha oggi sotto gli occhi.
Inoltre, fin dall’inizio era stato deciso che le traduzioni avrebbero avuto il testo originale a fronte, francese o arabo, il che ha dato a questa antologia un carattere particolare mai tentato precedentemente. L’unico esempio di traduzione italiana di poesia tunisina con testo arabo a fronte è quella di Abūl-Qāsim Ash-Shābbī, I canti della vita, uscita nel 2008: sommo poeta tunisino morto nel 1934 ed entrato ormai a far parte della letteratura araba “classica”, molto presente anche nei manuali scolastici.
Nel nostro caso, invece, si ha la compresenza di tre lingue che riflettono la storia culturale e linguistica della Tunisia, dove accanto alla francofonia imposta dalla colonizzazione francese, è presente l’elemento italiano dovuto alla presenza continua e a volte consistente della gente italiana. Quest’antologia è un tassello che si aggiunge a quelli precedenti che da alcuni anni diffondono la cultura araba e tunisina contemporanea nel mondo culturale italiano, ancora poco informato sulle tendenze e sui contenuti della letteratura in versi e in prosa della Tunisia.
Questi poeti, noti e meno noti, di varia provenienza geografica e culturale offrono esperienze e tendenze poetiche diverse che permettono, nonostante la deformazione dovuta all’atto traduttivo, di percepire i vari percorsi poetici e le varie tecniche espressive tuttora operanti nel panorama letterario tunisino. Il verso, nella maggior parte libero, rivela la presenza di ricerca continua per distaccarsi dai moduli tradizionali, prigionieri della rima tanto cara agli arabi. D’altra parte, la presenza di tante voci molto dissimili fra loro, offre una varietà tematica che va dall’evocazione nostalgica di tempi e di luoghi, all’impegno socio-politico e all’immersione contemplativa nei segreti del cosmo di stampo Sufi.
A guardar bene, quest’Antologia mette a confronto due generazioni di poeti e poetesse: quella nata negli anni ’50 e quella venuta dopo negli anni ‘70 e oltre. Tante eredità diverse, tante speranze e angosce, espresse in registri poetici che vanno dalla prosa fatta poesia, al testo spezzato, ridotto a una sola parola, alla punteggiatura che lascia in sospeso le parole. Nessuna poesia somiglia a un’altra, è un campo fiorito di mille colori. Non ci sarà possibile descrivere tutti questi colori, né inserirci in tutti questi universi dissimili. E non mi resta che saltellare al ritmo della loro musica, da un canto all’altro, da una strofa all’altra, da una parola all’altra. Quale commento potrei fare di ognuna di esse? Qualsiasi commento rovinerebbe la loro bellezza e distruggerebbe le loro sapienti costruzioni.
Inutile dire che cantano tutte la vita e la morte, ognuno alla sua maniera, con le parole di Ridha Abidi :
Prima di sfilarmi leggero come un filo sottile si sfila da un ago
Fuori
(O dentro, non so!)
Dove una strada mi porterà
Da un’altra parte.
(…)
O con le parole di Raja Chebbi dove la speranza di vita nasce dalla coscienza della morte:
Ho tanta paura di partire/ nella notte profonda/ Ho tanta paura di morire/ mettendoti al mondo/ Ecco mi presento/ Ti confido il mio amore/ Se nel mio cuore farà freddo/ Quando vedrai il giorno/ A te mi confesso/ E ti chiedo aiuto/ Ecco, mi chiamo “Raja” / Che significa “Speranza”.
Il più giovane di questi poeti è Saber el Absi, nativo di Beja nel 1979, laureato in lingua e letteratura araba. Oltre alla raccolta pubblicata La rosa nel fazzoletto bianco, ha in corso di stampa un’altra raccolta dal titolo Il più bello di te non si traduce. Ecco come canta il mare e la donna:
(…) Il mare questo mare prima di te/ Era legato/ come uccello al mio piede/ da un filo sottile/ il mare pieno di mare/ Da quando ti vide/ Da quando vi entrasti come luna/ impazzì e fuggì dal suo regno stalla
(…)Il mare questo mare/ Cieco come toro scatenato/ Mi corre dietro/ Schiumando/ Il mare questo mare/ chiede di te da quando ti vide/ Chiede come diventare donna…!
Il più anziano è Mohamed el Ghozzi, nato a Kairouan nel 1949. Poeta affermato con alle spalle sette raccolte pubblicate e vari scritti per il teatro e l’infanzia. Canta la sua città Kairouan come universo pieno di mistero, meta di viandanti in cerca di illusioni, e di innamorati in cerca d’amore, e di un poeta in cerca di una donna che non troverà mai:
Prima di arrivare a Kairouan/ Ritornerai ad alberi che non conosci, e andrai verso città che ignori/ E giungerai in valli dove non crescono le palme/ Né si trova vicino il dente di leone.
(…) Prima di arrivare a Kairouan/ Andrai da una donna che non ricordi, e mangerai frutti che non conosci/ E vedrai la notte prima che le stelle s’illuminino/ E la terra prima che le burrasche si scatenino/ E l’erba prima che le stagioni sboccino.
(…) Prima di arrivare a Kairouan/ Chiederai alla viandante di notte la sua porta/ E trascorrerai il resto dei tuoi anni cercando la sua strada/ E saprai dopo l’invecchiar della tua anima/ che non ne troverai la traccia.
Un altro poeta degli anni ’50 proveniente anche lui dalla provincia di Kairouoan, è Abdelaziz Hajji (1955), docente di lingua araba, che ha al suo attivo sei sillogi pubblicate. Le sue poesie sono animate da cose, alberi, pietre e colombe, acqua e vino, luna e stelle, morte e sangue e l’urlo del martire: Il martire col petto trafitto da proiettili/ Guardate come ha brandito dalla tomba la mano sinistra/ Urlando verso di noi: vendetta, vendetta, vendetta!! (poema dedicato alla memoria del martire Fadhel Sassi, 2017).
Dei 25 autori che compongono questa Antologia, cinque scrivono in lingua francese: la già citata Raja Chebbi, Amri Walid, Kacem Abdelaziz, Lahouar Frej e Mhenni Mansour. La letteratura tunisina, parimenti a quella algerina e marocchina, è ricca di produzione (prosa e poesia) in lingua francese che tuttora continua ad alimentare il mercato del libro. Contrariamente a ciò che si pensava prima, cioè che la letteratura francofona tunisina fosse destinata col tempo a scomparire, vediamo che molti si mettono o continuano a scrivere in francese.
Se prima si pensava che questo fenomeno fosse legato al periodo del colonialismo francese e che dopo l’indipendenza ci sarebbe stata una sorta di allontanamento e di recupero della lingua (e dell’identità) araba, vediamo che dopo più di mezzo secolo, la tendenza non accenna a invertirsi e ci sono oggi più scrittori e poeti francofoni che nel passato, e di fronte al successo all’estero di illustri predecessori come Abdelwaheb Meddeb, Tahar Bekri, Moncef Gachem e altri, molti scelgono di esprimere i loro universi poetici e le loro narrazioni in lingua francese. La ragione non è più legata al colonialismo o al cosiddetto imperialismo culturale, ma al fatto più concreto che per i più esprimersi in lingua araba è assai più difficile. Oltre al fatto che nel percorso di studi elementari e secondari e superiori la lingua più usata è il francese, soprattutto per le materie scientifiche e tecniche, chi si accosta all’arabo per scrivere sente subito la sua resistenza e la sua estraneità strutturale e lessicale all’arabo dialettale. Tutta la spontaneità espressiva viene soffocata, non c’è più immediatezza, e non è possibile trasgredire, mentre la trasgressione e la naturalezza espressiva diventano alla portata di chi vuole dire la sua senza tanti complimenti.
I brani provenienti da poesie francofone presenti in questa Antologia mescolano verso e prosa poetica, come in Amri Walid (1977), che canta in versi il Sud, la sua Matmata: Ho già parlato troppo/ del mio amore per i popoli/ di laggiù/ radunati in trogloditi/ rifugiati negli anfratti/ della montagna (…), mentre evoca in prosa il dramma dei bambini di Gaza:
«I bambini sono appena usciti dalla scuola, ma non sanno che moriranno gasati a Gaza. Non sanno neanche cosa significhi vivere. Tutto ciò che sanno è che le lezioni sono noiose e che il maestro è un buffone con gli occhiali. (…) Gli innamorati si sono appena sposati ma non sanno che moriranno gasati a Gaza, che tutti i progetti che nutrivano diventeranno cenere nelle loro teste, che la loro storia finirà lì, accanto allo scolo dalla bocca immensa, sul marciapiede indeciso, sotto le bombe precise».
Un altro poeta francofono che ha una carriera densa di impegni nel settore culturale e comunicativo è Kacem Abdelaziz, autore di varie raccolte in arabo e in francese. Le sue poesie sono uno scavo alla ricerca del suo essere perduto nei luoghi, nelle stagioni: La mia doppia effigie galleggia sui venti delle raffiche/ E il male si sdoppia per le facoltà doppiatrici/ E la memoria addormenta il rimorso che la morde/ Nelle profondità d’un Levante ancorato ai suoi annali/ Di questo Oriente che perde il nord e questo Nord/ disoORIENTato scrivo questo vano giornale di bordo.
Mansour Mhenni è un saggista, romanziere, traduttore, ma è soprattutto poeta tunisino di lingua francese. I titoli delle sue poesie sono altrettante sfaccettature del suo estro poetico: Adolescenza, Attesa, Invito 2, Lampo, Plenilunio-3, Plenilunio-8, “A” L’iniziale, Maternità, Papavero, Mia madre, L’alba, Volo, Notte marina, Testamento, dal quale cito:
Lo sai un giorno me ne andrò/ Come un’ombra dell’ombra/ Che sfugge di notte/ Nulla mi tedia nulla mi spaventa/ Tranne lo sguardo di questi occhi scuri/ Appesantiti dal tempo/ Sguardo spezzato contro le porte dell’oblio/ Un giorno forse chissà riappariranno/ Quei tratti discreti che si contano/ sopra un vecchio cranio che sorride.
Di fronte a tante immagini di cose e di persone, di fatti e di destini, di desideri e di lamenti, non c’è che l’imbarazzo della scelta: cosa menzionare e cosa tralasciare? Che filo devo seguire? Quale Arianna mi soccorre? Mi affido dunque al mio gusto personale, al gusto di chi non ha mai scritto poesie da pubblicare e ne ha declamate tante nella sua solitudine.
L’uomo, qualsiasi uomo, nasce poeta. È la sua espressione istintiva, strumento del suo bisogno di comunicare con i suoi dèi, come facevano gli uomini all’inizio della creazione. I profeti sono anzitutto poeti che si pongono come tramite tra cielo e terra, tra materia e spirito, tra uomini e divinità. Non a caso la poesia è venuta prima della prosa, e i primi messaggeri di tutte le nazioni erano poeti, e la prima letteratura araba pre-islamica era quella nata fra le dune del deserto, uscita dalle sabbie del Sahara, col viandante solitario che cammina a fianco del suo dromedario, compagno paziente e austero. Sono poeti che cantano la fierezza ed il coraggio, l’amore per la donna che ha levato le tende, l’ospitalità per il viandante solitario, di notte alla ricerca di un rifugio.
Questa comunione tra uomo e uomo, uomo e albero, uomo e animale cavallo o dromedario, è onnipresente nelle poesie che riempiono queste pagine: Glorificherò la tua nudità o albero/ Loderò il tuo misticismo o erba/ e tu/ adorna di un abito alabastro/ vieni/ Riscaldiamoci con la luce della nudità/ E ricordiamo la scaltrezza dei mistici, così canta Mejdi ben Issa creando una simbiosi tra uomo e natura, come in quest’altra strofa: Ti incontrerò felice come un uccello/ nel cielo di Dio. Aspetti il mio vagabondare/ Che in volo mi porta lungo il sentiero/ Dal tuo mondo sereno, e offri/ alla mia lingua/ la limpidezza del cielo/ e con il suo blu profondo/ spieghi l’orizzonte davanti a me.
Dal canto suo, Mohamed Ali Yusfi fa partecipare ogni cosa del mondo naturale e animale agli eventi degli uomini e alle tribolazioni dell’anima umana, come nella poesia intitolata Descrizione degna della Rivoluzione Tunisina, uscita nel 2012, in cui declama: La rivoluzione che infiammò la rosa dei venti nelle sabbie/ E sanguinò per essa il papavero nei campi/ La dirige ora la saggezza delle tombe/ che riempie i nostri polmoni di effluvi d’incenso corrotto. Mentre la poetessa Zaier Oumeima cala la sua poesia in una dimensione esistenziale sporca e brutta, ma che rimane tuttora la sua condizione di vita:
Niente foto di Charlie Chaplin in casa mia/ Niente foto di Marilyn Monroe nuda sopra il mio letto/ Non troverai dischi di Charles Aznavour nel mio studio/ Da Vinci non affrescò le mie pareti/ (…) Ti accorgerai delle mie brutte abitudini:/ Fumo come un turco/ Sfrenate sono le mie serate/ Non mi fido delle finestre chiuse/ e delle porte sbarrate.
C’è materia qui per chi vuole accostarsi alla poesia tunisina odierna arabofona e francofona. Quest’Antologia non offre solo al lettore italiano testi di poesia contemporanea, ma ha dato a tanti poeti e poetesse non tradotti l’occasione di vedere i loro poemi uscire dai limiti angusti dettati dai confini geografici e di entrare tramite la lettura incrociata e l’interpretazione pluridimensionale nel dibattito culturale mediterraneo.
Dialoghi Mediterranei, n. 53, gennaio 2022
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Ahmed Somai, italianista e traduttore tunisino. Co-autore dei tre primi manuali per l’insegnamento della lingua italiana in Tunisia (1995-1997). Autore di una Bibliografia italiana sulla Tunisia (ed. Finzi), ha curato per la collana “I Classici” i volumi: G. Verga, Vita dei campi; L. Capuana, Il marchese di Roccaverdina. Dalla metà degli anni ’80 è impegnato in una costante attività di traduzione in arabo di opere e autori italiani: I. Calvino, Fiabe italiane, vol.1, Finzi Ed. Tunisi, 1988; G. Bonaviri, Il sarto della stradalunga, Finzi, Tunisi, 1998; N. Ammaniti, Io non ho paura, Cenatra, Tunisi, 2008; di U. Eco ha tradotto in arabo i romanzi: Il nome della rosa (1991); L’isola del giorno prima (2000); Il cimitero di Praga (2014); Numero zero (2017) e i saggi Semiotica e filosofia del linguaggio (2005); Dire quasi la stessa cosa (2012). Co-traduttore e curatore dell’Antologia di Poeti Tunisini tradotti in italiano, Roma-Tunisi, 2018. Ha tradotto ultimamente per l’editore Madar al Islam, Beirut, 2019, La colonia saracena di Lucera di Pietro Egidi.
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