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Hermann Bausinger e la svolta nella Volkskunde

Herman Bausinger

Hermann Bausinger

di Nicola Squicciarino                                                    

Hermann Bausinger ci ha lasciato all’età di 95 anni, il 24 novembre scorso. Nato a Aalen il 17 settembre 1926, dopo il servizio militare e la prigionia, ha studiato a Tubinga germanistica, anglistica, storia e Volkskunde (demologia) [1]. Dal 1960 fino al 1992 è stato professore ordinario e direttore del ‘Ludwig-Uhland-Instituts für Empirische Kulturwissenschaft’. A Tubinga, nei decenni del dopoguerra, la storia e i contenuti della Volkskunde hanno coinciso sostanzialmente con il suo percorso scientifico. 

Tubinga: Volkskunde e nazismo 

Il concetto Volkskunde a Tubinga apparve ufficialmente per la prima volta in una lezione del semestre estivo tenuta nel 1903 dal professore Karl Voretzsch. Tuttavia, dal punto di vista dei contenuti la disciplina, sebbene non ancora istituzionalizzata, ebbe come precursori nomi di spicco che ivi insegnarono, in particolare il poeta e germanista Ludwig Uhland (1787-1862), e più tardi i due studiosi di linguistica, anch’essi svevi, Karl Bohnenberger e il suo collega Hermann Fischer. Tra la fine del XIX secolo ed i primi due decenni del XX secolo questi due germanisti-demologi, con la loro attività scientifica e didattica, contribuirono all’istituzione a Tubinga di una iniziale Volkskunde: una ‘Deutsch-Kunde’ (‘Studio della lingua e della cultura tedesca’), che venne chiaramente ancorata alla germanistica ed ebbe una forte caratterizzazione regionale.

Nel 1925 Gustav Bebermeyer, giunto a Tubinga qualche anno prima, venne nominato professore straordinario di lingua e letteratura tedesca e poi, con l’avvento al potere di Hitler, non solo aderì al nazionalsocialismo, ma ne promosse l’ideologia nell’ambito accademico riuscendo a istituire, nell’estate 1933, «una speciale cattedra di Volkskunde tedesca» di cui divenne titolare [2]. L’università di Tubinga, che «senza riserve» si era riconosciuta nel nazionalsocialismo [3], fu la prima a creare un proprio posto di professore di Volkskunde ed anche un istituto di Volkskunde, la cui guida venne assunta dallo stesso Bebermeyer. In questo nuovo ruolo mise in atto le proprie capacità programmatiche, organizzative e di reperimento di risorse finanziarie al fine di «promuovere a Tubinga lo sviluppo della Volkskunde come scienza politica e politicizzante» [4]. L’istituto di Tubinga era «al primo posto fra gli istituti di Volkskunde»[5] allora riconosciuti ed ebbe una svolta decisiva nel 1939, quando su sua proposta, al fine di adeguare ufficialmente la disciplina all’indirizzo nazionalsocialista, il ministero autorizzò la modifica della denominazione, da ‘Institut für deutsche Volkskunde’ in ‘Institut für deutsche Volksforschung und Volkskunde’. La Volkskunde tedesca del terzo Reich, di cui Bebermeyer fu convinto sostenitore, si proponeva infatti un concreto compito politico attraverso le ricerche in tale ambito, «una finalità educativa di prim’ordine … all’interno ed al di fuori dell’istituzione formativa» [6].

Con il passaggio dallo status di ‘seminario di Volkskunde tedesca’, fino ad allora parte del ‘seminario di germanistica’, a quello di istituto, avvenuto a fine del 1934, ci fu anche il trasferimento nella ‘Kalte Herberge’ situata nell’ala sud-ovest del castello di Tubinga. La scelta del luogo da parte di Bebermeyer non fu affatto casuale. L’edificio, per la sua posizione dominante rispetto alla città, si prestava molto bene a tale scopo, era pregno di storia e aveva una specifica importanza per la storia regionale e militare. Tra i lavori necessari per riadattare gli spazi scelti in istituto universitario, l’arredo e la decorazione richiesero una particolare diligenza nell’attenersi al tratto della tradizione e nell’esprimere in forma chiara e compiuta il linguaggio nativo della mano tedesca [7]. I motivi decorativi, i cui modelli si richiamavano soprattutto alle locali tradizioni popolari contadine, miravano a evocare antichi contenuti simbolici fatti propri dal nazionalsocialismo. Si cercò di ridare vita all’antica arte popolare al fine di porre un fondamento per un nuovo stile artigianale che, negli anni ’30, si voleva valorizzare e contrapporre ai prodotti del crescente processo di industrializzazione. «La Volkskunde fascista promosse uno studio dell’arte popolare prevalentemente intesa come ricerca simbolica; questa avrebbe dovuto dimostrare un’ininterrotta continuità mitica fra la moderna arte popolare e la remota epoca germanica» [8].

besauIn realtà il nuovo orientamento della ‘ricerca demologica’ (‘Volksforschung’), a cui l’istituto di Tubinga era interessato, coincideva con le esigenze del nazionalsocialismo, come testimoniano, ad esempio, le ricerche sulle ‘isole linguistiche’ [9]. Con l’inizio della guerra, nel 1939, Bebermeyer e la gran parte dei docenti furono chiamati alle armi e non ebbero più il tempo di dedicarsi al lavoro scientifico. La durata della carriera accademica di Bebermeyer in questa città universitaria coincise con quella del terzo Reich. Dovette lasciare infatti l’insegnamento e la direzione dell’istituto subito dopo la fine della guerra, quando si cercò di tornare alla concezione puramente germanistica e relativamente non politica della disciplina, che era stata rappresentata da K. Bohnenberger e da H. Fischer [10]. La città di Tubinga, che non aveva subìto quasi alcun danno dalla guerra, nell’aprile 1945 venne occupata dalle truppe francesi. La sua università, una delle quattro rimaste incolumi, venne riaperta già il 15 ottobre del 1945 e posta sotto il controllo delle truppe francesi e della ‘Direction de l’Education Publique’ che nominò l’ufficiale René Cheval quale curateur dell’università di Tubinga.

Nelle scelte universitarie dell’epoca ebbe un ruolo importante anche Carlo Schmid che, eletto nel giugno 1945 rappresentante dei docenti nel senato accademico, nell’ottobre dello stesso anno dall’amministrazione francese venne poi nominato responsabile dell’istruzione e della giustizia. L’istituto di ‘deutsche Volksforschung und Volkskunde’ di Tubinga, pur essendo sopravvissuto alla guerra, si trovò tuttavia nell’impossibilità di funzionare perché i provvedimenti di epurazione ne avevano decimato il personale. In ogni caso, nota Hermann Bausinger, a motivo dei contenuti delle ricerche e della didattica, esplicitamente caratterizzati dalle categorie proprie del nazionalsocialismo, «anche lo spirito più liberale non avrebbe consentito un’ulteriore attività nella continuità» [11]. La sua guida, dopo la destituzione di Bebermeyer, nell’estate 1945 venne assunta dal germanista classico Hermann Schneider, a quel tempo rettore dell’università. L’istituto, sostiene Sabine Besenfelder, «certamente non avrebbe potuto continuare ad esistere se non avessero dato il loro assenso Carlo Schmid e Renè Cheval», ed aggiunge: «Decisivo … fu senza dubbio Hermann Schneider, senza il cui impegno progettuale e diplomatico l’istituto non sarebbe stato riaperto»[12]. Al fine di liberare l’istituto di Tubinga dal discredito in cui era caduto a motivo delle sue scelte ideologiche, egli ne sostenne una ristrutturazione che avrebbe dovuto privilegiare gli studi della storia delle tradizioni popolari sveve, dei suoi generi poetici popolari e, come avevano concordato prima della guerra Fischer e Bohnenberger, anche dei dialetti svevi.

Dopo alcune proposte di cambiamento di nome dell’istituto, il 30 gennaio 1948, il senato accademico dell’università di Tubinga approvò all’unanimità la nuova denominazione ‘Ludwig-Uhland-Institut für deutsche Altertumswissenschaft, Volkskunde und Mundartenforschung’. Alla vaga e discutibile espressione ‘Schwabenforschung’ (‘Studi svevi’) si preferì il termine ‘Mundartenforschung’ (‘Dialettologia’), che rimandava comunque ad un orientamento tematico di tipo regionale. L’intento dell’istituto di voler curare in modo particolare la cultura sveva risultava in ogni caso molto ben evidente con il riferimento a Ludwig Uhland, nel XIX secolo professore a Tubinga, uno dei maggiori poeti svevi tardoromantici, autore di scritti importanti per la Volkskunde, ed in particolare un politico liberale. Si voleva chiaramente prendere le distanze dal precedente orientamento politico dell’istituto, «liberarlo nominalmente e programmaticamente dalla ricerca demologica caratterizzata dallo studio delle razze ed indirizzarlo nuovamente verso la germanistica» [13]. L’espressione ‘deutsche Altertumswissenschaft’ (Scienza dell’antichità tedesca) indicava in realtà il ritorno della disciplina a un più stretto contatto con la germanistica, il suo legame con questa così come era stato auspicato da H. Schneider. Il termine Volkskunde doveva invece rimanere nome costitutivo per non porre in discussione l’autosufficienza della disciplina, vale a dire l’esistenza stessa dell’istituto ed evitarne quindi una sua riannessione alla germanistica [14]. 

30263232498Sensibilità scientifica del giovane Bausinger 

Il 21 febbraio 1948 il ministero, con il consenso delle autorità militari francesi, autorizzò la ripresa delle attività dell’istituto di Volkskunde di Tubinga sotto la direzione del germanista H. Schneider. Quest’ultimo, sebbene si fosse impegnato tanto per evitarne la chiusura, non ebbe un ruolo significativo nell’ambito degli studi demologici. Nella collaborazione scientifica e didattica si fece affiancare in particolare da H. Moser e da H. Dölker. Quest’ultimo fu il principale responsabile della riorganizzazione e del nuovo orientamento dell’istituto di cui, quando nel 1954 Schneider divenne professore emerito, ne divenne commissario, incarico mantenuto fino al 1960 [15].

La Volkskunde in Germania, nell’immediato dopoguerra, a motivo delle sue implicazioni ideologiche non godette certo di una buona reputazione, perse il suo peso scientifico ed in alcune università, ad esempio quella di Heidelberg, il suo insegnamento venne del tutto soppresso. A Tubinga invece ebbe una nuova chance e riuscì persino ad evolversi. Negli anni ’50 e ’60, afferma Bausinger, tale disciplina poté coltivare i propri interessi scientifici ed agire anche all’esterno dell’università, tuttavia non sulla base di un proprio peso, ma solo perché era collocata nell’ambito della germanistica. «Senza il sostegno dei germanisti l’istituto non avrebbe potuto sopravvivere» [16]. Ciò significò che da una parte la ricerca demologica dovette concentrarsi essenzialmente sulle tradizioni linguistiche, dunque sullo studio dei racconti, dei canti popolari e temi simili, e che dall’altra rimase valida la tesi, elaborata nel Romanticismo, secondo cui nella cultura popolare, quindi nella cultura dei ceti inferiori, in quella contadina in particolare, fosse rimasta preservata l’essenza della cultura medioevale.

La Volkskunde, che già negli anni ’20 e ’30 era stata posta in parte al di fuori dei processi storici, nell’immediato periodo postbellico, proprio per il suo essere «fortemente limitata dal corsetto della germanistica», si trovò così dinanzi all’ulteriore difficoltà di lavorare con gli storici, sebbene non mancarono nuove interessanti opportunità di collaborazione [17]. Quando l’istituto fu riaperto la Volkskunde era ancora una disciplina secondaria, ma già l’anno successivo, nel 1949, venne riconosciuta come disciplina principale e a Tubinga fu possibile conseguire la laurea in Volkskunde. Vennero nuovamente organizzate le escursioni con gli studenti, intese come attività didattiche irrinunciabili per gli studi demologici. Tra i suoi giovani partecipanti, già nel 1950, vi fu pure Hermann Bausinger il quale, intervistato sulla propria avventura scientifica ed istituzionale, a proposito delle motivazioni che da studente di germanistica lo portarono ad avvicinarsi alla Volkskunde, in un esplicito riferimento alle proprie dure esperienze giovanili, ha affermato: 

«Anch’io ho fatto parte un po’ del popolo, e soprattutto ho ascoltato e compreso molto dal popolo: un anno e mezzo di servizio di lavoro e di servizio militare, ed un anno e mezzo come prigioniero di guerra, e lì appunto nessuno raccontava fiabe, venivano cantati, se ben ricordo, anche pochissimi canti popolari e nessuno parlava di costruzioni ad intelaiatura visibile (‘Fachwerkbauten’) e di costumi antichi. Vi fu tuttavia una vita comune molto intensa, ed inoltre in questa cultura del ricordo assai banale, ma piena, ebbero importanza cose del tutto diverse … Si soffriva la fame e si parlava dei pasti, questo era un momento centrale. Naturalmente si parlava dei familiari, delle esperienze amorose ed anche del lavoro. A quel tempo ero un ragazzo senza esperienza; i racconti erano un po’ un sostituto della realtà, sebbene lì facessi l’esperienza di altre realtà .(…) Credo che per me abbia avuto una grande importanza tale differenza molto netta tra ciò che, in qualche maniera abbellito, veniva presentato come cultura popolare e ciò che io avevo vissuto nel contatto diretto. Questo non ha significato che io mettessi semplicemente da parte tradizioni esteticamente pregevoli – sempre di nuovo mi sono occupato di fiabe e cose simili. Per me tuttavia sembrava importante chiedersi quale significato avessero ancora tali temi, e naturalmente quale valore avessero avuto, giacché negli studi demologici (…) era spesso riconoscibile più una romantizzazione che una descrizione realistica» [18]. 

Non sorprende che tale dato biografico di Bausinger abbia poi influito sui suoi interessi scientifici, sulla motivazione, ad esempio, a studiare non fiabe e leggende, forme letterarie ormai morte, ma ciò che realmente le persone semplici si raccontano nella vita di ogni giorno, «un narrare possibilmente origliato e non evocato» [19]. Si trattò di una svolta rispetto al passato, come testimoniano i temi da lui affrontati nella tesi di laurea del 1952 dal titolo Lebendiges Erzählen (‘Racconti dal vivo’), uno scritto che, sebbene non sia stato mai stampato, ha influito molto nell’evoluzione delle ricerche sul narrare. Già come studente di germanistica, da una parte aveva percepito alcuni temi della Volkskunde come del tutto familiari perché appartenenti alla propria storia, ai ricordi della quotidianità vissuta in famiglia, dall’altra però si era reso subito conto dell’insoddisfacente approccio ad essi. «Si partiva fondamentalmente dal fatto, difficile da dimostrare, che nel popolo fossero state mantenute tradizioni vecchie di secoli e si presumeva che il popolo – sebbene nessuno avesse mai chiarito chi fosse il popolo – avesse costantemente a che fare con tali cose» [20].

Le dure esperienze fatte prima degli studi, lo spirito critico con cui poi già da studente si rapportò all’allora concezione della disciplina ed inoltre, casualmente, la riattivazione presso l’istituto di un posto di assistente che venne a lui assegnato, favorirono Bausinger nella decisione di dedicarsi agli studi di Volkskunde. Riferendosi a tale fase iniziale del suo percorso scientifico, nel 1999, scriveva: 

«A conclusione dei miei studi mi sono rivolto alla Volkskunde perché qui ravvisavo la chance di un vivo approccio scientifico alle tradizioni culturali ed alle strutture sociali. Gli sbandamenti di diversi rappresentanti della disciplina e le gravanti ipoteche su essa mi erano divenuti noti, e mi ero ripetutamente adoperato per un riesame. Avevo tuttavia anche individuato nella disciplina alcune celate possibilità e potenzialità e sentii il dovere di congiungerle alle esigenze di un nuovo inizio» [21]. 

41v4xrhp0vl-_sx327_bo1204203200_Fino al 1954 l’attività dell’istituto di Volkskunde rimase strettamente collegata alla germanistica classica, ma dal semestre invernale 1952-53 alle lezioni di H. Schneider, di H. Moser e di H. Dölker si aggiunse l’attività didattica di Bausinger. Egli ricorda che da parte di tutti ci fu lo sforzo di rimanere «in uno stretto contatto realistico con la germanistica» e di impegnarsi in «esercitazioni sulle fiabe e sulle leggende, sul dialetto e sulla lingua parlata». Il particolare interesse per gli studi di linguistica e di onomastica, per i dialetti, anche quello svevo, comportò la necessità di dotarsi di costosi apparecchi di registrazione. Nel 1955 l’allora assistente Bausinger e lo studente Arno Ruoff, al fine di giungere ad una maggiore legittimazione scientifica della dialettologia, applicarono alle proprie ricerche analisi non solo fonogeografiche, ma anche fonometriche. Interessati a che cosa e come le persone realmente parlano, e non alla finzione del ‘puro’ dialetto, contribuirono alla formazione dell’inventario delle registrazioni dei dialetti tedeschi e della lingua parlata che consentì poi l’istituzione del Deutsches Spracharchiv (‘archivio tedesco di linguistica’), diretto da Arno Ruoff. Nel primo dopoguerra, i germanisti e in particolare i rappresentanti della filologia tedesca classica offrirono di fatto alla Volkskunde una specie di «mantello protettivo», un limite che andava accettato giacché tale sfera d’influenza semplicemente non poteva essere scavalcata, doveva essere superata gradualmente [22].

Grazie proprio alla stima, al crescente peso assunto in istituto, a metà degli anni ’50 Bausinger iniziò un processo di emancipazione dai temi di ricerche decisi dai germanisti e dai metodi d’indagine vincolati all’idea di recupero e raccolta propria della Volkskunde tradizionale [23]. L’attenzione cominciò a essere rivolta alla cultura della vita quotidiana, al teatro popolare, alle associazioni e alla musica moderna. Il contesto in cui si mosse in quegli anni gli fu senz’altro favorevole. Da una parte la disciplina non era ancora scientificamente ed istituzionalmente ben definita e dall’altra tale situazione di incertezza e di vuoto significava per lui una grande libertà e responsabilità nella individuazione dei contenuti che avrebbero dovuto caratterizzare l’istituto. All’interesse per il presente seguì presto un avvicinamento alle scienze sociali, e ciò non senza ostacoli, divergenze e dubbi. Ad esempio, vennero compiuti tentativi per mantenere la disciplina nel solco della tradizione da parte di H. Moser, possibile successore di H. Schneider come direttore dell’istituto. Egli cercò di fermare Bausinger e di indirizzarlo esclusivamente verso la germanistica. Dal decanato dell’università il giovane assistente venne invece esplicitamente incoraggiato a continuare il suo lavoro in piena libertà e a preparare l’abilitazione a Tubinga. Ebbe il pieno sostegno di professori quali Otto Fr. Bollnow ed anche di chi, come H. Dölker, pur rappresentando la concezione tradizionale della Volkskunde, condivideva la nuova sensibilità scientifica del promettente assistente. In istituto, di cui nel frattempo era divenuto direttore di fatto, favorì un clima di familiarità e responsabilità con grossi vantaggi per la collaborazione e per la libertà nella ricerca.

9783863510206-itIl percorso intrapreso, il Tübinger Weg, inizialmente non era dunque ben delineato, era comunque aperto a molte nuove tematiche. Una di queste, che chiarisce molto bene il mutamento verificatosi poi in istituto, fu costituita dalle migrazioni nella Germania del dopoguerra di rifugiati e di profughi provenienti dalle province tedesche orientali e da alcune regioni orientali dell’Europa centrale. Tale epocale fenomeno migratorio incideva enormemente anche sullo stesso stile di vita delle popolazioni in cui sorsero i nuovi insediamenti. Alla Volkskunde degli anni ‘50 però interessavano non i mutamenti che la presenza di rifugiati e di profughi implicava, ma le tradizioni che questi portavano con sé [24]. Tale tipo di ricerche gradualmente motivò sempre meno Bausinger il quale, invece, avvertiva la necessità di un’analisi socioculturale delle nuove condizioni di vita. Bisognava seguire i processi di mutamento, di acculturazione, capire quali nuovi legami, quali dinamiche consentivano negli insediamenti la convivenza di culture differenti, di residenti e di immigrati. Prioritario doveva essere non il nostalgico intento di salvare le antiche tradizioni, ma la questione del contesto sociale, del costituirsi di nuovi gruppi, della funzione sociale delle tradizioni che venivano mantenute e di quelle di nuova formazione. Il tema di studio, che poi si tradusse in un grosso progetto a cui collaborarono docenti e studenti dell’istituto, divenne così la nuova ‘patria’ (Heimat) degli espulsi dalla patria [25]. Già allora emerse la complessità di tale concetto che successivamente, nelle ricerche sulle migrazioni, assunse in generale un peso sempre maggiore. I risultati di questi studi vennero poi raccolti nel volume Neue Siedlungen (‘Nuovi insediamenti’) pubblicato nel 1959 [26].

Tale grosso lavoro fu il primo esplicitamente definito ‘demologico-sociologico’, segnò un ulteriore passo, inconsueto per quei tempi, verso la sociologia e come tale fu in parte interpretato anche da vari sociologi. Il trentenne Bausinger venne infatti ufficialmente invitato al congresso internazionale di sociologia tenutosi a Norinberga nel 1958, al quale fra gli altri parteciparono studiosi come Theodor W. Adorno, Karl R. Popper e Ralf G. Dahrendorf. La sua relazione sottolineò il fatto che nelle ricerche sui nuovi insediamenti era emerso il palese nesso di differenti campi di ricerca, erano «risultati evidenti, in una unità comprensiva, i tratti essenziali dello sviluppo sociale e culturale» [27]. Si trattò in pratica della proposta d’integrare i metodi sociologici con le indagini della Volkskunde e questa, nota Bernhard Tschofen, «apriva una nuova via» alla disciplina. Bausinger espose la tesi di fondo che «la cultura sia da impiegare come categoria euristica per l’analisi della società» e si chiese «come la cultura, nel senso di interazione simbolica, sia significativa per l’ambito strutturalmente sociale» [28]. Questa esperienza congressuale costituì per lui un fondamentale incoraggiamento a dare una decisiva nuova collocazione alla Volkskunde, a non sminuirla nei confronti della sociologia e di altre discipline culturalmente caratterizzate.

Nel 1959 la Südwestdeutsche Zeitung pubblicò un articolo, molto probabilmente preparato dallo stesso Bausinger, dal significativo titolo Volkskunde erobert die Gegenwart (‘La Volkskunde conquista il presente’) in cui, riferendosi all’istituto di Tubinga, si sosteneva che l’attuale disciplina «non si esaurisce affatto nella raccolta di venerande tradizioni patrie o persino nel gretto intento di conservarle. Al contrario essa si rifiuta di ravvivare l’antiquato. Si preoccupa invece che ciò che appartiene al passato divenga tema di considerazione storica. … Si cerca di comprendere e di descrivere anche il presente della vita popolare. In ciò a volte manca certamente l’oggettivante distanza storica, ma in cambio allo sguardo dello studioso si spiega tutta una quantità di fenomeni non ancora scartati dalla dimenticanza e dalla tradizione» [29]. Quando, nel maggio 1959, H. Moser accettò l’insegnamento a Bonn e rifiutò la chiamata come professore di Volkskunde a Tubinga, motivò questa sua scelta con il fatto che non avrebbe potuto condividere «l’orientamento sociologico» della Volkskunde di Tubinga [30]. Nel 1960 la cattedra di Volkskunde venne assegnata così al trentaquattrenne Hermann Bausinger. Come giustamente osserva S. Besenfelder, «Se Hugo Moser avesse accettato, l’istituto di Volkskunde di Tubinga sarebbe probabilmente diventato un istituto di germanistica classica con un nuovo nome. Hermann Bausinger non avrebbe ottenuto la cattedra a Tubinga ed oggi la Empirische Kulturwissenschaft (la ‘scienza empirica della cultura’) verrebbe forse insegnata in un’altra università»[31]. 

4149wpez4jlApertura al sociale, alla modernità 

Nel 1961 venne pubblicato il lavoro di abilitazione di Bausinger Volkskultur in der technischen Welt (‘Cultura popolare e mondo tecnologico’), considerato uno dei punti di svolta nella storia della Volkskunde in generale e non solo di Tubinga. Egli contesta la «visione obsoleta e sorpassata» [32] di intendere la cultura popolare pressoché naturale, ferma a forme e contenuti premoderni, distinta e immune da qualsiasi influsso della tecnica. Ne pone invece in luce le effettive trasformazioni e la crescente apertura all’ambito tecnologico. Lo scritto, il cui primo capitolo porta il significativo titolo ‘Il mondo della tecnica come ambiente naturale’, «ha sottratto alla cultura popolare quell’apparenza di ‘tradizione incontaminata’» a cui implicitamente ci si richiamava attraverso il largo uso di termini quali ‘originale’, ‘vero’, ‘autentico’. Bausinger descrive qui come anche la cultura della ‘gente semplice’ non fosse esente dalle modalità e dai reticoli del mondo tecnologico e fosse pure in grado di muoversi con dimestichezza dinanzi a tali mutamenti. La cultura popolare dunque non andava più contraddistinta da ristrettezza mentale, al contrario essa si caratterizza come «un coraggioso processo di confronto fra i modelli tradizionali e le possibilità del moderno» [33]. Egli ritiene inoltre che tale confronto non sia passato di moda anche nella nostra epoca della globalizzazione, come dimostra l’esempio della cucina regionale o del dialetto, ambiti in cui vengono recepiti influenze esterne, di altri Paesi. Non solo è quindi cambiato il peso degli elementi culturali tradizionali, ma si è verificata un’estensione della cultura popolare ad aspetti della moderna vita quotidiana, una volta del tutto esclusi.  

Questo scritto a motivo dell’approccio di tipo sociologico e dell’ampliamento di orizzonti del tutto inusuali, suscitò aspre discussioni nell’ambito della disciplina. Iniziava già con un affronto nei suoi confronti, e cioè con una citazione di Bertolt Brecht, tratta dalle Fünf Schwierigkeiten beim Schreiben der Wahrheit (‘Cinque difficoltà nello scrivere sulla verità’) in cui quest’ultimo, dissociandosi dall’uso politico unilaterale del concetto di ‘popolo’ (Volk) durante il nazionalsocialismo, proponeva di sostituirlo con il termine ‘popolazione’ (Bevölkerung). Il più insigne rappresentante della Volkskunde austriaca di quegli anni, Leopold Schmidt, quando ebbe tra le mani il lavoro di Bausinger l’attaccò in questi termini: «Un libro che inizia con la citazione di un’astiosa frase di Brecht di per sé potrebbe esser messo nuovamente da parte senza leggerlo». Schmidt lesse comunque lo scritto e burbero commentò: «questo assistente di Tubinga si propone di somministrare alla disciplina Volkskunde non il colpo di grazia, ma un’iniezione di vitamineσ [34]. Pur riconoscendo la validità della richiesta di Brecht, a Bausinger riusciva tuttavia impossibile ignorare davvero il concetto di Volk – inteso però non nella problematica accezione di ‘personalità organica’, ma in quella di ‘gente semplice’ – perché questo in realtà era parte significativamente intrinseca della tradizione della disciplina: «l’amalgama, la componente fondamentale di quasi tutti i temi di cui si era occupata la disciplina, … un’impronta che risale già ai fratelli Grimm o al più tardi a W. H. Riehl» [35]. In verità, pur avendo dedicato in quegli anni vari scritti all’analisi critica del concetto mistico e statico di ‘popolo’, egli ammette di essere stato del tutto incerto, fino ai dibattiti del ’68, se fosse giusto mantenere il termine Volkskunde semplicemente in considerazione della tradizione di questo ambito scientifico. Proprio per la sua funzione di «concetto di coperturaϋ tale termine compare ancora oggi nella denominazione della rivista Zeitschrift für Volkskunde e della Gesellschaft für Volkskunde [36]

Il culto del passato, i tentativi di ricostruirlo avevano portato la Volkskunde tradizionale a prendere in considerazione solo alcune componenti della vita socioculturale: i ceti contadini e non la cultura borghese o proletaria, il villaggio e non la città, i modi arcaici di pensare e lavorare e non il moderno stile di vita segnato dal processo di industrializzazione crescente, dall’affermazione della tecnica. La mentalità conservatrice, lo stretto e acritico legame alla tradizione sempre nuovamente ribadito, avevano favorito una visione cristallizzata della disciplina che, essendo intesa come fattore compensativo della modernizzazione, non si occupava dei reali problemi sociali e si poneva come contromodello. Intorno al 1960, a Tubinga, l’interesse venne invece rivolto alle articolazioni vive della cultura, più che ai temi alle loro funzioni. L’istituto si aprì gradualmente a nuovi argomenti, a nuovi ambiti di studio ed a modalità di lavoro innovative rispetto al passato. «Il fatto che nella disciplina ci fosse una libertà in certo qual modo strutturalmente maggiore che in molte altre discipline», confida Bausinger, «aveva costituito per me il fascino della disciplina» [37]. Negli anni ’60 crebbe il numero di coloro che parteciparono a tale affascinante avventura scientifica e, sulla base della positiva esperienza del decennio precedente, si continuò a mantenere uno «stile cooperativo»[38]. Il lavoro d’équipe da lui introdotto si prestava bene ai temi di studio propri della disciplina e al coinvolgimento degli stessi studenti nelle ricerche, per le quali bisognava procurarsi le fonti da sé e veniva richiesto un approccio differente rispetto all’esperienza, ad esempio, di una relazione di germanistica. Lo studio sui nuovi insediamenti testimoniava il graduale e profondo avvicinamento dell’istituto alla sociologia, una svolta che venne recepita anche dagli studenti.

518qizzmzblA proposito della carenza teorica della disciplina, che anche lui aveva segnalato e che aveva suscitato critiche da parte di studiosi di Volkskunde e di settori scientifici confinanti, riferendosi ai primi anni ’60, parla di «teorie piuttosto implicite. Si lavorava naturalmente sulla base di determinate asserzioni teoriche, ma dal punto metodologico non ci fu un rigoroso supporto teorico … Le questioni teoriche venivano collegate molto saldamente al tema di volta in volta preso in esame». A riguardo cita ancora Brecht, secondo cui «le teorie sono come dei dardi nella faretra, e bisognerebbe afferrare il dardo giusto». «Questo, commenta Bausinger, è anche il mio punto di vista … bisogna partire dall’oggetto …. Nella comprensione costruttiva dell’oggetto si deve contemporaneamente sviluppare anche l’approccio teorico» [39].   

Per poter tuttavia rimuovere lo sbarramento al rinnovamento della disciplina era però indispensabile liberarsi del fardello nazionalsocialista attraverso una sua «critica radicale», porre in discussione le premesse ideologiche esplicite ed implicite legate al passato che erano poi sfociate nella «disumana» realtà del nazionalsocialismo [40]. Su tale tema già nelle prime pubblicazioni aveva preso una chiara posizione mantenuta con coerenza anche negli scritti successivi. Venti anni dopo la fine dell’era hitleriana l’università di Tubinga organizzò dunque una serie di lezioni, giudicate troppo tardive sebbene in Germania, in ambito accademico, queste fossero state la prima posizione critica ufficiale di varie discipline nei confronti dell’ideologia nazionalsocialista e della Volkskunde in particolare. Tale chiarimento iniziò nel semestre invernale 1964/65 con una lezione di Bausinger per lo ‘Studium Generale’, dal titolo Das deutsche Geistesleben und der Nationalsozialismus (‘La vita intellettuale tedesca ed il nazionalsocialismo’) [41]. Egli definisce «riprovevole» tale ritardo che «certamente ha anche a che fare con discutibili continuità personali e con considerazioni problematiche. Ma non solo: vi era chiaramente il bisogno di riappropriarsi … dell’oggetto e innanzitutto di tentare di liberarlo da ogni patetico significato ad esso ancora associato» [42]. Non fu affatto facile ripulire i temi dal contenuto ideologico nazionalistico presente, anche se in modo non vistoso, in molti assunti e formulazioni, ad esempio nel termine Volk (popolo) rintracciabile in diverse parole composte, quali Volksmärchen (fiabe popolari), Volkslied (canto popolare), Volkstanz (ballo popolare), Volkstracht (costume popolare), Volkskunst (arte popolare) [43]. Si trattò di «una dura resa dei conti con la storia della disciplina che discipline affini non hanno vissuto o non in questa forma acuta» [44]: nella Volkskunde infatti «la contaminazione era stata molto più profonda» [45].

In istituto sono tuttora visibili una decorazione, un arredamento e raccolte che rimandano all’epoca del nazionalsocialismo. Negli ultimi decenni questa presenza di simboli germanici è stata sempre di nuovo occasione per studi sulle implicazioni ideologiche della disciplina, una funzione che Bausinger considerava essenziale, importante anche per l’oggi: «non bisognava far sparire una parte visibile della storia dell’istituto, essa al contrario doveva servire come tema per una riflessione critica» [46]. Un concreto impegno in tal senso fu, ad esempio, la ricerca che ricostruiva gli eventi storici del 30 gennaio 1933 a Mössingen, una località vicino Tubinga ove, fatto quasi unico in tutto il Reich, gli operai scioperarono e dimostrarono contro Hitler [47]

Del non facile stadio di transizione dei contenuti della Volkskunde ne fu prova, ad esempio, la giornata di lavoro tenutasi a Tubinga nell’aprile 1966, al cui invito aderirono quasi tutti i colleghi della disciplina di altre università. Le relazioni, raccolte poi nel volume Populus Revisus, le animate discussioni da esse sollevate documentarono lo stato d’animo di chi viveva ormai l’inizio di una nuova fase, ma non ancora un cambiamento radicale [48]. Le differenze di posizione emerse negli anni ’60 divennero tuttavia sempre più nette e conseguentemente gli istituti di Volkskunde assunsero un maggior peso per lo più a livello regionale. I vari congressi organizzati in quegli anni in Germania ebbero una «funzione sismografica» [49] per il dibattito scientifico. Si pensi al congresso di Volkskunde dell’autunno 1967 a Würzburg in cui gli studenti di Tubinga – i Tübinger divenne un appellativo ammonitore dinanzi a un pericolo di contagio – chiesero un loro maggiore coinvolgimento nel processo decisionale ed un mutamento dell’obiettivo scientifico della disciplina intesa sempre più esplicitamente come scienza sociale.

Il congresso tenutosi poi nel 1969 a Detmold fu preceduto da un seminario compattato di una settimana, organizzato a Tubinga da Bausinger insieme a Herbert Schwedt, sul tema ‘Documentazione e ricerca di campo’ (‘Dokumentation und Feldforschung). Vi parteciparono pure alcuni ospiti stranieri, interessati al percorso scientifico che la disciplina aveva intrapreso a Tubinga. Il seminario funzionò molto bene ed il fatto di non avere avuto un programma rigidamente definito consentì ai partecipanti, tra cui giovani laureati, dottorandi e studenti, anche di altre università, di esporre nelle relazioni e lunghe discussioni il loro punto di vista, molto critico nei confronti della concezione tradizionale della disciplina, e di affrontare il problema dei nuovi fondamenti teorici e dei metodi d’indagine. Tale seminario tenutosi nell’estate 1969, venne considerato da Bausinger «il vero e proprio ’68 dell’istituto» [50].

Quegli anni impressero delle spinte decisive in direzione del rinnovamento dei contenuti della Volkskunde, della sua apertura a tematiche nuove. Il movimento studentesco della fine degli anni ’60, la consapevolezza sempre più diffusa della necessità di un mutamento della società, e dunque di un impegno sociopolitico, coinvolsero anche la disciplina e l’istituto di Tubinga. Le principali riflessioni emerse dal seminario del 1969 vennero raccolte nella pubblicazione del 1970 ‘Abschied vom Volksleben’ (‘Congedo dalla vita del ‘popolo’). Questo scritto già nel titolo indicava il punto di svolta della disciplina, il congedarsi non dalla vita popolare che continuava ad essere oggetto di studio, ma da un’interpretazione molto discutibile del concetto di Volk, e sollevava l’esigenza di un nuovo modo di procedere a livello teorico e metodologico [51]. In tale raccolta di saggi, lo scritto di Bausinger delineava la Volkskunde come disciplina storica da cui ci si attendeva non certo prove di una presunta continuità germanica, ma uno sguardo attento alle attuali forme della cultura e della società intese come parte di un processo storico [52].

71rvnrc4qwlAl marxismo Bausinger riconosceva il merito di essere stato «un importante strumento di conoscenza che liberava l’analisi culturale da costruzioni troppo astratte e rimandava fondamentalmente alla sottostruttura economica» [53]. Aveva contribuito così a smascherare la supposta «armonia sociale» propagandata dall’ideologia nazionalsocialista, «l’idea che esista una tradizione popolare capace di saldare tutte le tensioni sociali» [54]. La Volkskunde infatti si era occupata a lungo quasi soltanto delle oggettivazioni culturali, senza mai interrogarsi davvero sulla loro funzione nella vita sociale e sui portatori delle tradizioni. Intorno al 1970 l’orizzonte delle analisi si ampliò, soprattutto si sviluppò una particolare attenzione verso il proletariato, verso la classe operaia. I nuovi interessi per la storia della cultura operaia e del movimento operaio consentirono alla disciplina di avvicinarsi al complesso mondo industriale. A tali tematiche fu dedicato il congresso di Volkskunde tenutosi a Treviri nel 1971, in cui Bausinger intervenne con una relazione su Verbürgerlichung als Interpretament (‘Imborghesimento come cliché’) [55]. In un più libero approccio ai problemi culturali concreti, la disciplina prese poi in considerazione i ceti della piccola borghesia in senso vasto, la loro cultura [56].  La tacita supposizione di un’omogeneità sociale, espressa nella vaga e problematica idea di ‘popolo’ e anche nelle categorie di ‘classe’ e ‘ceto’, è stata successivamente superata dall’introduzione della categoria, non univoca ed esclusiva, di ‘milieu’ che la disciplina, richiamandosi in particolare a Pierre Bourdieu, ha utilizzato per l’analisi delle differenze. I nuovi ‘milieus’, scriverà Bausinger nel 1999, «non dipendono in senso stretto soltanto dalla situazione sociale», ma registrano «rapporti divenuti più complessi, … dipendono anche da presupposti ideologici, da orientamenti estetici, dall’età e dal livello di cultura, da caratterizzazioni regionali e locali» [57]. In tal senso, ad esempio, il significato della differenza generazionale e quindi l’appartenenza ad un determinato gruppo di età, sia esso di giovani o di anziani, generalmente «provoca demarcazioni più nette di quanto avvenga con l’appartenenza ad un determinato ceto sociale» [58] 

71tyhrrmvzlNuova denominazione dell’istituto 

Dopo il ’68, in un contesto di diffusa voglia di radicale mutamento nella società e nei temi di studio, emerse anche l’intento di ufficializzare la nuova identità della disciplina. A Tubinga c’era in realtà il consenso sulla necessità di non mantenere la denominazione Volkskunde. In altre università, per quel che riguarda il cambiamento del nome, sorsero proposte che erano il risultato di nuovi orientamenti e anche di divergenze teoriche all’interno della disciplina: ad esempio, Regionale Kulturforschung (‘ricerca della cultura regionale’), Kulturanthropologie (‘antropologia culturale’), Europäische Ethnologie (‘etnologia europea’) per distinguerla dalla Völkerkunde (‘etnologia dei popoli non europei’). Nel convegno dei demologi tedeschi sul rinnovamento della disciplina, tenutosi nel 1970 a Falkenstein, la maggioranza si espresse a favore della denominazione Europäische Ethnologie [59]. Vi furono anche, non solo da parte di Tubinga, riserve e pareri contrari e, poiché importanti rappresentanti della disciplina non erano lì presenti, i singoli istituti e dipartimenti seguirono strade diverse con effetti negativi sull’insieme della disciplina. Non affatto pochi restarono con il nome Volkskunde e passarono dopo, in parte solo negli anni più recenti, ad altre denominazioni. Ciò spiega perché la disciplina ha oggi in Germania così tanti nomi ed istituti. La discussione sulla nuova denominazione della disciplina, secondo Bausinger, «cadde nel periodo in cui la problematica del ’68 … era nella sua fase più acuta. In tale clima non fu affatto possibile raggiungere una soluzione unitaria. Se ci fossero stati i presupposti, forse ci saremmo trovati d’accordo, presumo non su ‘etnologia europea’, ma su ‘antropologia culturale’» [60]. All’epoca del convegno di Falkenstein la proposta dei Tübinger non esisteva ancora, e comunque, a suo parere, non avrebbe avuta alcuna chance proprio per il fatto che si trattava di un’idea dei Tübinger, a quel tempo considerati da molti come ‘i rossi’, etichetta rimasta ancora negli anni ’80, tuttavia senza conseguenze negative per la collaborazione scientifica con altre università.

Ben consapevoli che l’epoca della Volkskunde ‘tedesca’ fosse ormai conclusa, in istituto non mancarono lunghi ed accesi dibattiti sul nuovo nome da scegliere. Tra le diverse proposte di nuova denominazione ci fu Kultursoziologie (‘Sociologia della cultura’), che tuttavia non poté essere accettata perché conteneva il rischio di essere assorbiti dalla sociologia e di suscitare diffidenze nei sociologi con cui si intendeva invece collaborare. Come soluzione, nel 1971, venne preferita, con il consenso quasi unanime, la denominazione proposta da Bausinger Empirische Kulturwissenschaft (EKW, ‘scienza empirica della cultura’). Kulturwissenschaft definiva il nuovo orientamento delle ricerche, il suo ampio rapportarsi alla società, e l’aggettivo empirisch non indicava un’assenza teorica ed un’attitudine positivistica, ma precisava il procedimento basato sull’esperienza, sulla conoscenza concreta della realtà circostante, la differenza dunque di approccio rispetto ad altre discipline culturalmente caratterizzate.

Per le indagini si era dunque sprovvisti di fonti e di presupposti metodologici, si era sostanzialmente abbandonati alle proprie proprie osservazioni. In istituto venne anche creata l’espressione EKW Blick (‘sguardo dell’Empirische Kulturwissenschaft’) appunto per indicare la capacità di afferrare immediatamente, quasi per intuito, il nesso di un frammento di realtà con una problematica, un approccio che richiama alla mente quello di Georg Simmel [61]. Bausinger chiarisce tale modo di procedere con il concetto di serendipity, adoperato anche dagli antropologi americani, che indica appunto «l’inattesa e sorprendente scoperta di cose e relazioni»[62]. A differenza delle ricerche dell’etnologia classica, ove maggiore è l’estraneità dei temi che si attenua solo gradualmente in un prolungato soggiorno sul campo, nella disamina dell’ovvietà del quotidiano che compie l’Empirische Kulturwissenschaft esiste invece per lo più una grande vicinanza all’oggetto di studio. Questo è infatti parte della nostra quotidianità, della nostra stessa cultura, della nostra storia, del nostro mondo sociale.

Lo spostamento dell’asse scientifico-culturale dalle ‘scienze umane’ alle ‘scienze sociali’ che motivava il cambiamento della denominazione avvenne anche nel contesto di una nuova collocazione dell’istituto. Fino ad allora la disciplina era rimasta sotto l’ala protettiva della germanistica e la gran parte di chi studiava Volkskunde sosteneva esami di germanistica. «Bisognava decidere se staccarci e poter nuotare liberamente, che era ciò che volevamo, … il nuovo orientamento verso il sociale ci portò a scegliere l’appartenenza alla facoltà di scienze sociali e comportamentali (Sozial- und Verhaltenswissenschaften[63]. La scelta a favore di una specifica autonoma disciplina, di un approccio interdisciplinare, si rivelò molto positiva. Si ebbe un notevole incremento di iscritti, di laureandi ed anche di coloro che scelsero la EKW come disciplina principale. Negli anni ’60 e ’70 chi intendeva studiare a Tubinga si trovò dinanzi a un’offerta eccezionale: c’erano i filosofi Ernst Bloch e Walter Schulz, i teologi di diverso orientamento Hans Küng e Joseph Ratzinger, per l’ambito letterario Hans Mayer e Walter Jens, e al Ludwig-Uhland-Institut Hermann Bausinger, che era riuscito nel non facile compito di aprire la Volkskunde alla modernità, liberandola dalla zavorra ideologica e antiquaria.

Proprio nel 1971 Bausinger pubblica ‘Volkskunde, una introduzione critica allo studio della disciplina, che inizia con un significativo appello «problemi al posto di fatti»[64]. In questo scritto dedica ampio spazio alla decostruzione di alcuni vecchi concetti e alla demolizione di stereotipi a cui tale ambito di studio faceva ancora in gran parte riferimento. Introduce nuove categorie e nell’ultima parte si sofferma sulla cultura del presente, una cultura non elitaria, sensibile anche all’apparentemente banale quotidianità. In tal modo la disciplina avrebbe potuto liberarsi dall’isolamento in cui si trovava, aprirsi inevitabilmente ad altri ambiti scientifici e divenire analisi di un più ampio contesto storico e sociale.  Appunto per evidenziare la fase di transizione verso un profondo mutamento in cui si trovava la Volkskunde di quegli anni, il suo essere su una «soglia, da cui lo sguardo tornava ancora una volta indietro, da cui tuttavia si delineavano anche nuove prospettive, si aprivano nuovi orizzonti»[65], nel titolo di questo libro Bausinger da una parte mantenne il termine ‘Volkskunde, un concetto portante della tradizione di questa disciplina, dall’altra nel sottotitolo Von der Altertumsforschung zur Kulturanalyse (‘Dallo studio dell’antichità all’analisi della cultura’) chiariva il percorso che stava seguendo l’istituto ufficializzato con il cambiamento della propria denominazione. In questo doppio riferimento, consapevole anche delle divergenze allora ancora esistenti nell’ambito della Volkskunde, poté congiungere il richiamo alla storia della disciplina ed il nuovo orientamento.

41vqvsx3nhlTale approccio critico nei confronti delle tradizioni, dei relitti intoccabili di una quotidianità premoderna, e la convinzione che si dovesse cercare la «specificità» della disciplina «in un’estensione dell’orizzonte da indagare e nell’affermarsi di prospettive che suscitassero nuovi interrogativi»[66], costituiscono la ‘costante illuministica’ del percorso scientifico di Bausinger, già esplicita nella sua prolusione Aufklärung und Aberglaube (‘Illuminismo e superstizione’) del 1961 [67]. In un saggio del 1974 egli riporta alcuni esempi che ben illustrano gli ambiti tematici della disciplina in cui si muoveva a quel tempo l’istituto. Il canto popolare, che aveva portato alla scoperta della poesia popolare e che per lungo tempo era stato un tema centrale della Volkskunde, nelle ricerche fu inevitabilmente collocato nell’ambito di altri nuovi fenomeni simili, come la canzone di successo, l’evergreen. I canti popolari non furono più innanzitutto registrati e confrontati nelle loro variazioni, così come era stato fatto da intere generazioni di studiosi, non vennero più cercati per ragioni di nostalgia per il passato, ma ci si interrogò piuttosto sulla funzione e sul significato sociale del cantare. Anche lo studio dell’abitazione, un ambito in cui la Volkskunde tradizionale aveva favorito un approccio idilliaco ed un rapporto solo museale, già nel primo lavoro di gruppo dell’istituto di Tubinga sui ‘nuovi insediamenti’ non ebbe come prioritari gli interessi antiquari, le antiche case contadine. «Si trattava dunque non più dell’abitazione nella sua forma, nel suo valore storico-architettonico e geografico-culturale, ma del vivere (Hausen), del dimorare (Wohnen) nei suoi presupposti e conseguenze sociali»[68].

Pur mantenendo l’attenzione per i temi delle tradizioni popolari, l’orientamento della disciplina non fu più statico, ma reagiva ai moderni mutamenti culturali come risulta, ad esempio, pure dalle ricerche sul carnevale. A tale argomento Tubinga aveva dedicato sempre nuove indagini sulle modalità tradizionali di mascherarsi, sul senso e significato delle maschere e dei rituali nelle comunità rurali della regione. L’oggetto di studio si estese però al dato di fatto che gradualmente questa forma tradizionale di rappresentazione si era trasformata in una manifestazione di socialità ludica, anche deviante rispetto alla tradizione, in nuove forme di creatività e spettacolo e quindi, ad esempio, era diventata inevitabilmente indifferente alla sua origine religiosa, alla partecipazione di cattolici o protestanti [69].

Ciò che per lungo tempo era stato oggetto di studio della Volkskunde venne spesso etichettato con la parola folklorismo. Con questo termine si riconosceva il carattere artificiale di certe tradizioni, il fatto che l’invenzione e la ricostruzione delle tradizioni fossero fondate su false ipotesi di continuità e genuinità, fossero motivate dalla ricerca sentimentale dell’autentico, propria di una concezione superata della disciplina [70]. L’ampliamento di interessi della disciplina significò poi un’irruzione nella dimensione della vita quotidiana dell’‘industria culturale’. Questo termine, affermatosi con Theodor W. Adorno e Max Horkheimer evidenziava che non si trattava di una cultura che sorgeva spontaneamente dalle stesse masse, ma invece di una cultura ‘industriale’ condizionata da fattori economici che assegnava ai beni culturali tradizionali, anche al folklorismo, nuove forme ed altre funzioni [71]. Il fatto che la Volkskunde tradizionale avesse demonizzata la cultura di massa sorta con il processo d’industrializzazione fece necessariamente fallire la sua pretesa di comprendere in tutta la sua ampiezza la ‘cultura popolare’. Questa, essendo stata definita in modo molto rigido, si contrapponeva inevitabilmente alla cultura di massa cui mancava la patina della tradizione ed il carattere nazionale, ma che tuttavia si impose sempre più fino a divenire realmente ‘cultura popolare’.

Le indagini si aprirono all’arte di massa prodotta industrialmente in luogo dell’antica arte artigianale, alle offerte di vestiti e mobili di moda al posto dei duraturi e tradizionali costumi e mobili rustici. Ci si interrogò sugli «equivalenti funzionali»[72] rispetto ai fenomeni passati e così, ad esempio, al posto delle fiabe si approdò alla letteratura dozzinale, a studi sulla funzione socioculturale di tale nuovo ambito, successivamente fatto proprio dalle discipline letterarie. Nel campo dei mass media, in costante espansione nella vita di ogni giorno, l’istituto di Tubinga ebbe un ruolo pioneristico. A metà degli anni ’70, venne creato un piccolo servizio stampa che consentì agli studenti l’esperienza del tutto nuova ed importante di scrivere o collaborare in giornali locali e regionali, e in trasmissioni radiofoniche su temi di attualità culturale [73]. La sensibilità per i mutamenti in atto è testimoniata da ricerche sul turismo di massa [74] e sullo lo sport, aspetti importanti dell’odierno tempo libero. Un tema inconsueto, «vistosamente ignorato» fino agli anni ’80 nella gran parte degli scritti di Volkskunde, era quello del ‘Gender’ che richiedeva il superamento della «invisibilità delle forme di vita delle donne», la rivendicazione sociopolitica e culturale di una loro parità [75].

9788846756091_0_536_0_75Non affatto marginale per gli studi dell’istituto fu il fenomeno della moda, da Bausinger definita «un legittimo tema» della disciplina [76], che la Volkskunde tradizionale aveva invece «tenacemente escluso» dal proprio quasi illimitato orizzonte tematico. La moda infatti, essendo «caratterizzata da processi di mutamento di breve durata», si poneva in aperta contraddizione con i principi della «continuità ed invariabilità» che, come nel caso dei ‘costumi popolari’, definivano invece la concezione della disciplina [77]. La moda è un argomento ritornante nei suoi scritti, anche se spesso nascosto nel contesto di altre tematiche. Da antesignano, come testimoniano anche i suoi quattro corposi interventi radiofonici del 1973 [78], scrive su tale argomento in anni in cui c’era ancora il rifiuto del mondo accademico a considerarlo come tema di studio, a riconoscergli una dignità scientifica. Egli ritiene un «paradosso» il fatto che ciò che è socialmente appariscente e culturalmente importante non venga subito recepito nella disciplina e prevalga ancora una certa avversione nei suoi confronti, ignorando così che «ciò che è di moda è spesso soltanto il travestimento odierno di ciò che è tradizionale»[79]. Riporta l’espressione di Goethe «durata nel mutamento» (Dauer im Wechsel), un concetto che rimanda alle funzioni che sopravvivono ai costanti, sempre più frenetici mutamenti osservabili in superficie. Un esempio di tale «insolubile dialettica» sono i jeans, un capo d’abbigliamento che pur facendo parte ormai della tradizione, si rinnova di continuo e, con ogni nuova generazione, è sempre di moda proprio per il suo valore simbolico e pratico: soddisfa «soggettivi bisogni … di comodità, estetici e di piacere erotico» che sono delle costanti del comportamento abbigliamentare» [80]. Vennero studiati pure temi appartenenti ad una realtà quotidiana non affatto idealizzata, a ciò che è poco appariscente, che sembra semplice, futile, banale, ad abitudini ed attitudini di routine, ritualizzate, ad esempio il saluto, il togliersi il cappello, l’andare a passeggio [81]. Ci si trovò così dinanzi ad un campo tematico nuovo, ampio e vario che includeva «cose e fatti che normalmente non sono presi in considerazione, che in ogni caso non sono oggetto di riflessione, e tuttavia strutturano la vita in modo molto significativo»[82].

I termini ‘quotidiano’ (Alltag) e ‘cultura’ (Kultur) vennero intesi come due concetti che si integrano e si affinano reciprocamente, e già a metà degli anni 70’ furono unificati nell’espressione Alltagskultur (‘cultura della vita quotidiana’). Tale termine composto, era stato adoperato già in brevi saggi, e poi nel 1967 in una lezione dal titolo Deutscher Alltag (‘Quotidianità tedesca’). Anche se non ancora elaborato, rendeva bene l’avvenuta estensione del concetto di cultura, intesa ora come struttura dinamica, viva, e divenne «un concetto guida della disciplina» attraverso cui è tuttora possibile ampliare l’orizzonte ad ambiti nuovi ed anche distinguersi dalla sociologia [83]. A proposito del rapporto di profonda complementarietà fra il ‘sociale’ ed il ‘culturale’ Bausinger precisa: «La Volkskunde … lavora con altre scienze sociali a problemi reali che hanno sempre anche il loro lato culturale. Il compito della Volkskunde è l’analisi di tale aspetto culturale della vita sociale» [84]. Il rinnovamento della Volkskunde a Tubinga, non sempre del tutto compreso e riconosciuto [85], è stato caratterizzato dal superamento dei ristretti confini disciplinari in direzione della sociologia e della storia, e anche dall’intento, non semplice, di andare oltre i propri confini geografico-politici, già attraverso la graduale collaborazione con l’allora Germania orientale che s’intensificò a partire dal 1981 [86]. C’era l’urgenza per la disciplina di instaurare contatti con altri Paesi, di non essere più intesa come ‘deutsche Volkskunde’, ma come ‘Volkskunde europea’, di aprirsi così al confronto internazionale.

Pur essendo stato l’artefice di tali aperture, Bausinger ha rifiutato diverse offerte di trasferimento in altre università, ha preferito rimanere a Tubinga a motivo del suo forte legame all’istituto e al proprio territorio. Il Ludwig-Uhland-Institut für di Empirischen Kulturwissenschaft è stato definito e, a volte, viene tuttora definito come ‘l’istituto di Bausinger’. Ciò è ben comprensibile dato che nel dopoguerra, è stato lui ad aver colto l’opportunità di decidere l’indirizzo da dare alla disciplina e di creare così le premesse fondamentali per il rinnovamento degli studi e delle ricerche. In tal senso è certamente del tutto giustificato lo stretto collegamento tra la storia dell’istituto e il suo personale percorso scientifico. In più occasioni egli ha tuttavia precisato che la particolare qualità del lavoro scientifico e didattico realizzata in istituto è stata resa possibile soprattutto grazie alla presenza di un gran numero di eccellenti studiosi. Di questi, molti rimasero a Tubinga solo per breve tempo, altri invece per tanti anni hanno svolto qui la loro attività garantendo così l’innovativa svolta della disciplina e la reputazione dell’istituto in campo scientifico. Nei decenni passati questo piccolo istituto ha formato un gran numero di studenti e non pochi, dopo la conclusione degli studi, in una percentuale eccezionalmente alta, sono divenuti professori e collaboratori scientifici in altre università o hanno assunto posti di responsabilità anche in ambiti culturalmente importanti, ad esempio quello museale. Tutto ciò ha senza dubbio contribuito ad una certa normalizzazione dei rapporti con i vari istituti tedeschi di Volkskunde e con ambiti disciplinari confinanti, ed ha favorito un’estensione ed un riconoscimento, oltre i ristretti confini della Svevia e della stessa Germania, dei contenuti innovativi introdotti dalla ‘Scuola di Tubinga’. 

71qc5x1liilQuasi 30 anni da professore emerito, in un ruolo attivo fino agli ultimi giorni 

Nel 1992, dopo aver diretto autorevolmente e con successo il Ludwig-Uhland-Institut per ben 32 anni, Bausinger andò in pensione con la fondata speranza che il distacco da questa sua ‘creatura’, ormai culturalmente ben strutturata, non avrebbe comportato il rischio di perdere la nuova identità di cui era stato ideatore. Come professore emerito è rimasto un importante riferimento per l’istituto e ha mantenuto i legami con i suoi più giovani colleghi (si pensi ad esempio ai settimanali incontri su specifici temi di studio, aperti anche agli studenti). Egli ha comunque vissuto questo punto di arrivo come opportunità per un nuovo vitale punto di partenza. La sua attività di ‘docente’ si è estesa ad un pubblico molto più vasto di quello elitario accademico, a differenti ceti sociali e fasce di età, in differenti spazi pubblici di città e di paesini, in librerie e in circoli privati come il Rotary. Ne sono prova le tante apprezzate conferenze, tra cui anche quelle organizzate dall’Università per lo ‘Studium Generale’, la partecipazione a eventi culturali di vario genere come i vernissage, e in particolare le presentazioni e le letture di brani dei suoi scritti. Oltre ad articoli in riviste scientifiche e in vari quotidiani locali, interviste in radio e in televisione, ha accolto senza pregiudizi le opportunità comunicative offerte dalla moderna tecnologia digitale. È della primavera scorsa il film-intervista per festeggiare, in modo virtuale a motivo della pandemia, i 50 anni del cambio di denominazione dell’Istituto da Volkskunde in Empirische Kulturwissenschaft. Recentemente, tramite zoom ha potuto incontrare i suoi colleghi dell’istituto per gli auguri di compleanno e ha partecipato all’audio registrazione del suo ultimo scritto.

Sono state tuttavia le numerosissime pubblicazioni, tra cui in primo luogo lo scritto Cultura popolare e mondo tecnologico del 1961 che ha segnato la svolta culturale della disciplina, a far conoscere Bausinger ben oltre la Svevia e i confini dei Paesi di lingua tedesca. Tra i vari Paesi che lo hanno invitato c’è anche l’Italia, ove è stato a Cagliari, Firenze, Roma, Siena e Urbino per convegni e presentazioni di traduzioni italiane dei suoi libri. La traduzione di alcuni scritti in diverse lingue (in cinese, francese, giapponese, greco, inglese, italiano e ungherese), così come il conferimento di vari premi attestano la considerazione del suo lavoro scientifico anche a livello internazionale [87]. La vitalità scientifica e didattica che lo hanno contraddistinto pure da professore emerito sono la concreta testimonianza del fatto che il ruolo dell’intellettuale ‘illuminista’ è stato da lui inteso come servizio, faceva parte integrante della sua persona e quindi non poteva non continuare per tutta la vita. Ciò emerge chiaramente dai colloqui con alcuni suoi colleghi dell’istituto, raccolti poi nel volume Ein Aufklärer des Alltags (Un illuminista della quotidianità) del 2006, che è un interessante sguardo retrospettivo sulla sua attività.

Questa è stata inoltre caratterizzata dal personale talento di saper trasmettere, sia in forma scritta che orale, i contenuti delle sue ricerche in modo brillante, con tocchi di ironia ed efficaci richiami ad aneddoti. Collaboratori, studenti e pubblico percepivano immediatamente che la scostante attitudine professorale era del tutto estranea alla sua persona, alla sobrietà del suo stile di vita, alla schietta umanità e disponibilità ad ascoltare e ad apprendere dagli altri. Aveva scelto di abitare a Reutlingen, una città con ritmi di vita e attività normali, differenti dalla vicina accademica Tubinga. Sulla università di questa città, poco più di due anni fa, ha raccolto alcune frammentarie considerazioni personali, nachkriegsuni. Kleine Tübinger Rückblenden, 2019, che sono qualcosa di più di semplici schizzi letterari sul dopoguerra.

Anche negli anni vissuti da professore emerito ha saputo cogliere, in un approccio interdisciplinare, in un’interazione di aspetto empirico e teorico, di continuità e mutamento, il nuovo continuamente irrompente nella vita di ogni giorno ed inteso come punto d’arrivo di uno sviluppo storico. Ha mantenuto un’apertura di orizzonti, un vivo interesse per le tendenze in atto nella società, da cui hanno tratto ispirazione i suoi scritti. Nel settembre scorso, in una intervista del Reutlinger General Anzeiger in occasione del suo compleanno, ha tra l’altro affermato “di non aver mai perso la curiosità”, nonostante l’età avanzata.

L’osservazione partecipante, congiunta a un interesse critico scevro da preconcetti sono stati gli strumenti conoscitivi indispensabili per liberare la Volkskunde dall’antiquaria e nostalgica ricerca dei relitti della tradizione e aprirsi a un sapere diverso, vivo, che non nasce esclusivamente nel chiuso delle biblioteche e delle aule universitarie. Sul tema, nel 1999 Bausinger ripubblica Volkskunde, divenuto nel frattempo un classico della disciplina.  Nella postfazione, dal titolo Nuove prospettive, precisa: «La cultura popolare non era certamente del tutto rigida come la vecchia Volkskunde spesso aveva presunto, non era rimasta immobile … I tratti caratteristici della modernità andavano considerati non più soltanto come un retroscena contrastivo per far risaltare il patrimonio della tradizione. Le tendenze alla modernizzazione migravano nella tradizione o conferivano all’elemento tradizionale un nuovo peso e una nuova funzione. Più generalmente la questione delle funzioni dei beni culturali e delle tradizioni faceva recedere dall’autosufficiente attitudine della raccolta e della descrizione» [88]. Il suo interesse per le nuove forme di vita della cultura popolare lo motiva a proporre per la traduzione italiana, Quotidianità come esperienza culturale, 2014, una raccolta di brevi scritti, apparsi prima del 1992, sulla superstizione, sul collezionismo, sui significati della moda, sul raccontare, sul progresso in prospettiva storico-culturale.

unnamedLa denominazione dell’istituto di Tubinga Ludwig-Uhland-Institut für empirische Kulturwissenschaft sintetizza bene la duplice dimensione della sensibilità e attività scientifica di tutta una vita: una attenta lettura della quotidianità senza tuttavia ignorare i profondi legami alla tradizione culturale cui apparteneva. L’aver rinnovato profondamente i contenuti della Volkskunde non ha significato infatti per Bausinger, che proveniva dalla germanistica, escludere l’interesse per i temi di storia sociale, linguistica e letteraria della sua regione. Da intellettuale svevo, aveva gli strumenti idonei per una profonda comprensione del proprio mondo, come testimoniano i suoi vari scritti sul tema. Due di questi Die bessere Hälfte. Von Badenern und Württembergern, 2002, Der herbe Charme des Landes. Gedanken über Baden-Württemberg, 2006, sono un confronto ironico e conciliante di pregi, specificità e differenze di due popolazioni storicamente e culturalmente differenti. Nella raccolta di saggi Berühmte und Obskure. Schwäbisch-alemannische Profile, 2007, porta poi alla luce aspetti ignorati della vita di personalità note della cultura letteraria sveva-alemanna e di altre invece, anche femminili, ingiustamente rimaste nell’ombra. Risvolti inediti di cinque intellettuali svevi sono raccolti anche nel bel volumetto Seelsorger und Leibsorger. Essays über Hebel, Hauff, Mörike, Vischer und Hansjakob, 2012. Nella collana ‘Kleine Landesbibliothek’ ha curato inoltre monografie di lirica e prosa di vari autori svevi, tra cui Fr. Th. Vischer, Kritische Skizzen, 2009; J. P. Hebel, Kalendergeschichten, 2009; L. Uhland, Lyrik und Prosa, 2010; B. Auerbach, Dorfgeschichten, 2011; J. Kerner, Sinnliches und Übersinnliches, 2012. Tale forte radicamento letterario al proprio territorio raggiunge il culmine in Eine schwäbische Literaturgeschichte vom 18. Jahrhundert, un volume di ben 438 pagine, apparso in occasione dei suoi 90 anni e pubblicato, come gli altri scritti, dal suo editore Klöpfer&Meyer. In questo riuscito tentativo di storia della letteratura sveva, che include anche un capitolo sulla letteratura dialettale, Bausinger espone, in una scrittura essenziale e piacevolmente discorsiva, la vita letteraria della sua regione.

Tale intento di valorizzare il ricco patrimonio letterario svevo e di farlo conoscere tramite tante pubblicazioni non ha affatto distolto Bausinger dall’analisi del presente e dei suoi mutamenti, dall’approccio empirico proprio delle scienze sociali che ormai da decenni caratterizzava il rinnovamento della Volkskunde. Il radicamento alla realtà locale ha contribuito alla sua reputazione, gli ha consentito di divenire un importante riferimento culturale per la stessa regione. Questa tuttavia non poteva più essere intesa come spazio culturalmente chiuso, come unità già data, ma come ordine storicamente e socialmente creato, come realtà in divenire, e quindi come «concetto aperto» alla diversità culturale [89]. Così, ad esempio, andando oltre i confini regionali, nella raccolta di scritti Fremde Nähe. Auf Seitenwegen zum Ziel, 2002 (‘Vicinanza estranea. La cultura popolare fra globalizzazione e patria’, 2008), egli constata come tale dialettica di ‘vicinanza estranea’, ha permesso di meglio focalizzare il locale, il regionale, ma pure di mantenerlo collegato all’attuale dimensione sovranazionale, globalizzata. In Typisch deutsch. Wie deutsch sind die Deutsche?, 2000 (‘Tipico tedesco. Quanto tedeschi sono i Tedeschi?’, 2007), Bausinger s’interroga sull’adeguatezza degli stereotipi attribuiti al popolo tedesco, vale a dire a una pluralità di regioni molto differenti per storia e cultura. Sebbene i clichés siano ricavati dall’esperienza reale, ne evidenzia il loro limite, il superamento già avvenuto o in divenire grazie alla complessità dei cambiamenti socioculturali e politici, come la presenza di milioni di stranieri, l’unificazione della Germania, il processo di globalizzazione e i flussi migratori.

Tale nuova realtà in costante divenire ha inevitabilmente messo in discussione l’antiquato e statico concetto di Heimat della vecchia Volkskunde [90]. Su tale tema, nella sua lunga attività, è tornato più volte per precisarne il senso. Heimat «ha anche a che fare con la vita di ogni giorno, … è il risultato di una sensazione di armonia con il proprio piccolo mondo», di una migliore qualità di vita, e tuttavia non è in contraddizione con la «società aperta»[91]. In tempi più recenti ha considerato il nesso di tale concetto con quello di globalizzazione: l’Heimat è un riferimento contrastivo rispetto ai nuovi ampi orizzonti che si sono dischiusi, ma anche un fattore compensativo dinanzi all’affermazione dei processi di livellamento. Egli parla di «glocalizzazione» intesa come «rapporto di positiva ibridazione», e auspica «un mondo vitale che integri vecchio e nuovo, tradizione locale e apporti estranei». Attraverso l’immigrazione di stranieri ed anche di ciò che è estraneo, l’Heimat «non viene distrutta, al contrario vengono prodotte nuove forme di località» e di identità, ad esempio le ‘isole culturali’ formatesi con l’arrivo delle loro famiglie e di altra gente del proprio Paese  [92]

Interpretato in senso dinamico Heimat diviene un concetto valido per i tanti stranieri, non solo di prima generazione, che si sono integrati e si trovano bene in due ‘Heimaten’: quella nuova trovata in Germania, o in altri Paesi europei, e quella del Paese d’origine in cui tornano anche volentieri. In una breve intervista del 2006 sostiene che da tempo ormai per molti ci sono più Heimaten e ne spiega in questi termini il concetto: «Heimat è lì dove io posso acquistare a credito», vale a dire fa riferimento ad «un clima in cui posso sentirmi sicuro, in cui mi viene data fiducia ed in cui anch’io posso fidarmi degli altri» ad un luogo dunque, forse anche gradevole paesaggisticamente e culturalmente, dove si vive fondamentalmente con «persone di cui potersi fidare». Un bisogno psicologico presente nell’epoca della globalizzazione, sentito ancor di più proprio perché oggi «mantenere stabili le relazioni sociali, nonostante l’alta mobilità, non è un compito facile»[93].

Intervistato dopo l’incendio dell’edificio in cui aveva il suo studio (20 marzo 2017), Bausinger commentò: «In una certa misura sono ora Heimatlos», intendendo tale termine in senso fisico, proprio di chi è diventato un senzatetto, e anche psichico di chi ha perso lo «spazio mentale» (Geistesraum), vale a dire l’abituale e tranquilla atmosfera di lavoro [94]. L’incendio distrusse parte dell’archivio dell’istituto, dei suoi libri e oggetti, gli costò lunghi e non piacevoli mesi di lavoro che, a 90 anni, volle fare da solo per selezionare uno per uno i fogli parzialmente bruciati. A questo tema accenna pure nell’amichevole colloquio, pubblicato in un tascabile Heimat, Kann die weg?, 2019, con la presidente del parlamento del Baden-Württemberg, Muhterem Aras, nata in Turchia. Nella gran parte di precisazioni di tale concetto egli si richiama anche a una citazione che in istituto era stata sempre un importante riferimento nelle discussioni e negli studi sull’Heimat, quella di Ernst Bloch che, a proposito della tendenza in atto parlava di «trasformazione del mondo in patria (Heimat)»[95].  

9788860813176_0_536_0_75Le sue analisi hanno continuato a includere altri temi apparentemente banali della vita di ogni giorno, evidenziandone le funzioni. In Ergebnisgesellschaft. Facetten der Alltagskultur, 2015 (di imminente pubblicazione in traduzione italiana), si sofferma su un sacco di esempi dell’odierna frenetica società dei consumi che ha permeato anche mentalmente gli individui nel rapporto, ad esempio, con gli acquisti, con il denaro, con il viaggiare, con la tecnologia digitale. Fra i tanti scritti pubblicati, ai cui contenuti non è qui possibile accennare, ne ricordo uno sullo spettacolo televisivo Wie ich Günther Jauch schaffte. 13 Zappgeschichten (2011), i cui 13 racconti analizzano, con ironia, la realtà culturale odierna dal punto di vista dello spettatore ed anche del conduttore televisivo. Infine ancora un bel libro sullo sport, Sportkultur, 2006 (‘Cultura dello sport’, 2008), ricco di richiami non solo a testi letterari che mirano a evidenziare la rilevanza culturale acquisita dallo sport, divenuto per molti, in misura crescente, una componente importante della vita quotidiana, dell’identità locale in un mondo globalizzato. Il linguaggio dello sport, fatto di moderni emblemi araldici e di rituali, attraverso un insieme di pratiche sociali, crea comunanze che legano persone al di là del loro ceto sociale. Lo sport non solo è diventato un tema centrale della comunicazione interpersonale, delle trasmissioni radiofoniche e televisive. Ha invaso anche il campo della moda e della pubblicità, modella lo stile di vita di molti gruppi sociali e funge da grande collante della società. La cultura attuale, sottolinea Bausinger, viene oggi letta e recepita anche nei termini del genere sportivo, in un processo di «sportivizzazione della società», di estetizzazione crescente del quotidiano, di «movimento, messa in scena del corpo». In tal senso egli parla di «de-sportivizzazione dello sport» e di «sportivizzazione della cultura» [95]. Caratteristica di questo libro, e in genere dei suoi scritti, è l’approccio interdisciplinare, indispensabile per poter meglio avvicinarsi alla comprensione della complessità dei temi trattati. Già da piccolo Bausinger ha amato il calcio e lo ha praticato pure da professore, spesso in compagnia del suo collega Walter Jens. Lo sport è stato un suo costante hobby che lo ha interessato non solo come studioso e spettatore. Fino a qualche anno fa, alla guida della sua auto, andava a Tubinga ove ha continuato a frequentare, con altri suoi coetanei, il tennis club. Per ovvi limiti di età, il gioco era probabilmente piuttosto una simulazione, una rituale dimostrazione di resistenza che aiutava a rimuovere l’inarrestabile avanzare degli anni.

Pur consapevole della sua crescente fragilità fisica, non si è mai arreso, è rimasto intellettualmente instancabile e si è congedato da noi con un ultimo libro, la cui pubblicazione è prevista in febbraio e alla cui revisione è rimasto fino all’ultimo lucidamente impegnato. Poche settimane prima del suo congedo dalla vita è riuscito a partecipare, nello studio della SWR di Tubinga, all’audioregistrazione di tale libro, letto dall’attore Ulrich Tukur. Il contenuto di questo scritto, dal titolo Vom Erzählen. Poesie des Alltags (‘Sui racconti. Poesia della quotidianità’), riprende il tema della sua dissertazione del 1952, Lebendiges Erzählen (‘Racconti dal vivo’) aggiornandolo naturalmente alla odierna realtà. Il testo racconta i fatti di cui si fa quotidianamente esperienza, come le imprecazioni alla fermata dell’autobus, le favole raccontate ai bambini ed anche le fake news dei social network.

L’innovativo contributo scientifico di Hermann Bausinger costituisce una pietra miliare per il suo ambito disciplinare, suggerisce un sentiero da seguire e diviene in qualche modo la sua trascendenza che, in particolare per le persone che lo hanno conosciuto più da vicino, compensa solo in parte la sua assenza. 

Dialoghi Mediterranei, n. 53, gennaio 2022 
Note
[1] La parola tedesca Volkskunde viene di solito tradotta, richiamandosi anche ad A. Cirese e più recentemente ad A. Simonicca, con ‘demologia’. Se con tale termine si intende indicare «una tradizione post-romantica e post-positivista, storicisticamente avvertita e dinamica», la traduzione non corrisponde pienamente al significato assegnato alla parola tedesca, almeno fino all’epoca del dopoguerra. Per tale ragione nelle pagine che seguono si è preferito lasciare il termine tedesco. Il virgolettato appena riportato è tratto da P. Clemente, Oltre l’orizzonte, in H. Bausinger, Cultura popolare e mondo tecnologico, (Volkskultur in der technischen Welt, Campus, Frankfurt a.M. 20053), a cura di L. Renzi, Guida, Napoli 2005 (235-270): 238. Nel presente scritto in ricordo di H. Bausinger l’autore si richiama in parte a un precedente saggio, N. Squicciarino, Hermann Bausinger e la “scienza empirica della cultura”. Cenni su un innovativo percorso scientifico a Tubinga, in «Lares», LXXVII, 2, 2011: 219-268, e nelle ultime pagine cerca poi di delinearne nei tratti essenziali l’attività da professore emerito.
[2] I riferimenti qui riportati sulla storia dell’istituto di Volkkunde di Tubinga sono tratti dalla ricostruzione contenuta in S. Besenfelder, “Staatsnotwendige Wissenschaft”. Die Tübinger Volkskunde in den 1930er und 1940er Jahren, TVV, Tübingen 2002: 134; cfr.: 134-144.
[3] Ivi: 44.
[4] Ivi: 109.
[5] Ivi: 393.
[6] Ivi: 232.
[7] Ivi, cfr.: 162-163.
[8] Brano tratto da appunti di M. Scharfe, in ivi: 172. Sul particolare valore simbolico-decorativo delle porte dell’istituto, cfr. ivi:169-177. In seguito a tale strumentalizzazione ideologica, nota Bausinger, Volkskunde. Von der Altertumsforschung zur Kulturanalyse, Habel, Darmstadt 19992, questo ambito di ricerche fu messo da parte, e solo con molta gradualità la simbologia dei beni culturali, dei rituali e delle forme di linguaggio venne successivamente ripresa come tema di studio (cfr. 299).
[9] A riguardo, S. Besenfelder, “Staatsnotwendige Wissenschaft”, cit., cfr.: 393-395, cita M. Fahlbusch, Wissenschaft im Dienst der nationalsozialistischen Politik? Die ‘Volksdeutschen Forschungsgemeinschaften’ von 1931-1945, Nomos, Baden-Baden 1999, secondo cui tali ricerche sono state utilizzate in tempo di guerra e di pace come «strumento politico di egemonia tedesca» (59).
[10] Cfr. S. Besenfelder, “Staatsnotwendige Wissenschaft”, cit.: 34-40.
[11] H. Bausinger, Das Institut in der Nachkriegszeit. Ein Geburtstagsgruss für Helmut Dölker und Hugo Moser, in “Tübinger Korrespondenzblatt”, 25, 1984: 2.
[12] S. Besenfelder, “Staatsnotwendige Wissenschaft”, cit.: 442.
[13] Ivi: 454.
[14] Sul tema, cfr. ivi: 446-455.
[15] Cfr. Ivi: 472. Il ‘Festschrift’ del 1964 in onore di Dölker, oltre che essere stata la prima pubblicazione scientifica da parte della Tübinger Verinigung für Volkskunde, offriva soprattutto uno sguardo sul passato e sulle prospettive future della Volkskunde nel ‘Württemberg’. 
[16] H. Bausinger, Ein Aufklärer des Alltags. Der Kulturwissenschaftler Hermann Bausinger im Gespräch mit Wolfgang Kaschuba, Gudrun M. König, Dieter Langewiesche und Bernhard Tschofen, Vorwort von Bernd Jürgen Warneken, Böhlau, Wien – Köln – Weimar 2006: 20. Il volume riporta in appendice una interessante scheda bibliografica dei numerosissimi scritti di Bausinger suddivivi per anno, dal 1951 al 2006.
[17] Ivi: 21. I progetti di creare una Württembergische Landesstelle für Volkskunde ed un Istitut für geschichtliche Landeskunde, precedentemente non riusciti, vennero riproposti e realizzati dopo il 1945. Sull’argomento, cfr. S. Besenfelder, “Staatsnotwendige Wissenschaft”, cit.: 419-434.
[18] H. Bausinger, Ein Aufklärer, cit.: 18.
[19] B. J. Warneken, Von der Weite des Nahhorizonts. Der Kulturwissenschaftler Hermann Bausinger, in H. Bausinger, Ein Aufklärer, cit. (7-12): 9.
[20] Ivi: 16.
[21] H. Bausinger, Neue Perspektiven, Nachwort 1999, in Volkskunde, cit.: 299.
[22] H. Bausinger, Das Institut in der Nachkriegszeit, cit.: 2-3.
[23] Cfr. H. Bausinger, Ein Aufklärer, cit.: 26.
[24] Bausinger afferma che queste ricerche erano state stimolate da H. Moser che già negli ultimi anni ’20 aveva compiuto frequenti viaggi di studio e di assistenza dei tedeschi residenti all’estero (Auslandsdeutsche) (cfr. ivi: 29).
[25] Heimat è una parola tedesca ricca di significati e sfumature e perciò difficile da rendere in italiano. Può corrispondere a precisi luoghi geografici, fisici come ‘nazione’, ‘paese’, ‘casa’, ad un particolare ambiente, ma anche al concetto di ‘patria’, a rapporti interpersonali percepiti psicologicamente e culturalmente rassicuranti, a luoghi dello spirito in cui si è a proprio agio.
[26] H. Bausinger, M. Braun, H. Schwedt, Neue Siedlungen. Volkskundlich-soziologische Untersuchungen des Ludwig-Uhland-Instituts Tübingen, Kohlhammer, Stuttgart 1959, a cui seguì un’edizione ampliata nel 1963.
[27] H. Bausinger, Vorwort, in C. Köhle-Hezinger (a cura di), Neue Siedlungen – Neue Fragen, Silberburg, Tübingen 1995: 12.
[28] Commento di B. Tschofen riportato in H. Bausinger, Ein Aufklärer, cit.: 28-29. Il contenuto dell’intervento di Bausinger al congresso è stato pubblicato con il titolo Über die Ergänzung soziologischer durch volkskundliche Erhebungen, in «Akten des XVIII. Internationalen Soziologenkongresses» (Nürnberg 10-17.09.1958), II, 1962: 195-200.
[29]  Volkskunde erobert die Gegenwart, in <<Südwestdeutsche Zeitung>>, 11.08.1959, citazione riportata in S. Besenfelder, “Staatsnotwendige Wissenschaft”, cit.: 491.
[30] Ivi: 480.
[31] Ivi: 481.
[32] H. Bausinger, Premessa alla nuova edizione, in Cultura popolare e mondo tecnologico, cit.: 16.
[33] Ivi: 20. P. Clemente, Oltre l’orizzonte, cit., riferendosi a tale tesi di Bausinger, constata come invece in Italia, ancora negli anni ’70, gli studi in tale ambito non presero in esame i cambiamenti in atto nella società e generalmente «l’idea di cultura popolare aderì a quella di folklore e non a quella di cultura di massa, lasciando in genere alla sociologia l’analisi della trasformazione» (246). Non poteva esserci alcun interesse culturale per il presente, per la modernità, per i prodotti della tecnica partendo dal «presupposto che essi sono solo il riflesso dell’egemonia delle classi dominanti». In campo antropologico l’allora nesso politica-cultura-società portò «ad approfondire una teoria dell’arcaico che oscillava tra passato e futuro senza orizzonte di contemporaneità, e quindi ad una condanna sommaria della contemporaneità come inautentica, diabolica, consumista, persa, impura» (251). Anche l’analisi di F. Dei, Per un approccio riflessivo alla cultura popolare. Una essay-review di Hermann Bausinger, in “Lares”, LXXII, 2, 2007: 221-241, evidenzia questa lettura dello scritto di Bausinger: «Il tema che affronta, e soprattutto le sue principali acquisizioni teoriche e metodologiche, non sono ancora state metabolizzate dagli studi italiani sulla cultura popolare; possono dunque aiutarci a capire la situazione di stallo in cui questi ultimi si trovano, e portare un contributo determinante a una loro ormai indispensabile rifondazione» (221).
[34] Brano riportato in B. J. Warneken, Von der Weite des Nahhorizonts, cit.: 7.
[35] H. Bausinger, Ein Aufklärer, cit.: 39.
[36] Ibid. H. Bausinger ha diretto dal 1967 al 1983 tale ormai ultracentenaria rivista tedesca di demologia, la Zeitschrift für Volkskunde. È stato anche nella redazione della Enzyklopädie des Märchens, e autore di alcune sue voci.
[37] H. Bausinger, Ein Aufklärer, cit.: 32.
[38] Ivi: 31.
[39] Ivi: 33. In Volkskunde, cit., Bausinger accenna a H. Riehl, la cui giusta esigenza di un «sapere vissuto» lo motiva a considerare biblioteche, archivi, uffici statistici non adeguati a descrivere la vivacità della vita popolare attuale, ad offrirne «un’immagine che respiri vita. A tal fine si ha bisogno di fonti dirette, rintracciabili con i propri piedi andando in giro per il paese». Parole che portarono però a «dilettantesche limitazioni», a «interpretazioni spesso sommarie» e hanno indirettamente favorito «la rinuncia ad approcci analitici» (60-61).
[40] H. Bausinger, Ungleichzeitigkeiten. Von der Volkskunde zur empirischen Kulturwissenschaft, in «Der Deutschunterricht», 39, 6, 1987 (5-16): 11.
[41] Il contenuto di questa conferenza venne successivamente elaborato nel saggio di H. Bausinger, Volksideologie und Volksforschung. Zur nationalsozialistischen Volkskunde, in «Zeitschrift für Volkskunde», 61, 1965: 177-204.
[42] H. Bausinger, Ungleichzeitigkeiten: 12
[43] Sul tema più in generale, cfr. le considerazioni di H. Bausinger, Appunti sullo sviluppo della demologia nella Germania postbellica (Notizien zur Entwicklung der Volkskunde in Deutschland seit 1945, saggio pubblicato in francese, La Volkskunde en Allemagne depuis 1945, in «Ethnologie Française», 27, 1977: 457-464), tr. it. a cura di A. Simonicca, in “Lares”, LXIX, 1, 2003: 135-146.
[44] H. Bausinger, Ein Aufklärer, cit.:  85.
[45] Ivi: 41.
[46] H. Bausinger, Ein Aufklärer, cit.: 42. 
[47] H.-J. Althaus e altri, Da ist nirgends nichts gewesen ausser hier. Das ‘rote Mössingen’ im Generalstreik gegen Hitler. Geschichte eines schäbischen Arbeiterdorfes, Rotbuch-Verlag, Berlin 1982. 
[48] H. Bausinger, R. Schenda, H. Schwedt (a cura di), Populus revisus, TVV, Tübingen 1966. Tra i vari contributi di questo volume segnalo in particolare quello di K. S. Kramer, Historische Methode und Gegenwartsforschung in der Volkskunde: 7-16.
[49] Espressione adoperata da W. Kaschuba, in H. Bausinger, Ein Aufklärer, cit.: 90.
[50] Ivi: 92.
[51] K. Geiger, U. Jeggle e G. Korff (a cura di), Abschied vom Volksleben, TVV, Tübingen 1970.
[52] Cfr. H. Bausinger, Zur Problematik historischer Volkskunde, in Abschied vom Volksleben, cit. (155-172): 156. Il tema della situazione in cui si trovava la disciplina è affrontato in vari scritti, ad esempio in Id., Kritik der Tradition. Anmerkungen zur Situation der Volkskunde, in «Zeitschrift für Volkskunde», 65, 1969: 232-250. In Traditionale Welten. Kontinuität und Wandel in der Volkskultur, in «Zeitschrift für Volkskunde», 81, 1985: 173-191, Bausinger critica le prevalenti forme di ricostruzione ed analisi della cultura storica popolare e richiama l’attenzione su quegli ambiti, per lo più trascurati, della storia popolare nelle cui semplici forme è possibile esperire la continuità storica.
[53] H. Bausinger, Ein Aufklärer, cit.: 94
[54] H. Bausinger, Appunti, cit.: 136.
[55] H. Bausinger, Verbürgerlichung – Folgen eines Interpretaments, in G. Wiegelmann (a cura di), Kultureller Wandel im 19. Jahrhundert, Verhandlungen des 18. Deutschen Volkskunde-Kongresses in Trier von 13.-18. 09. 1971, Göttingen 1973: 24-49. Il congresso ebbe come tema Kultureller Wandel im 19. Jahrhundert (‘Mutamento culturale nel XIX secolo’).
[56] A questo tema, ad esempio, è dedicato un saggio di H. Bausinger, Wir Kleinbürger. Die Unterwanderung der Kultur, in G. Fichtner, J. Peiffer (a cura di), Erlebte Geschichte. Zeitzeugen berichten in einer Tübinger Ringvorlesung, Tübinger 1994: 41-50.
[57] H. Bausinger, Neue Perspektiven, in Volkskunde, cit.:303.
[58] H. Bausinger, Appunti, cit.: 144.
[59] Su tale convegno, cfr. W. Brückner (a curadi), Falkensteiner Protokolle, Aku-Fotodruck, Frankfurt a.M., 1971.
[60] H. Bausinger, Ein Aufklärer, cit.: 100. Sul problema del nuovo nome da dare alla disciplina, così come sull’approccio interdisciplinare negli studi di Volkskunde, Bausinger si era soffermato già in un saggio del 1968, cfr. H. Bausinger, Kritik der Tradition. Anmerkungen zur Situation der Volkskunde, in «Zeitschrift für Volkskunde», 65, 1969: 239-250. Sul tema, cfr. Id., Empirische Kulturwissenschaft, in «Tübinger Korrespondenzblatt», 3, 1971: 25-26. Sul tema, cfr. Id., Appunti, cit.: 137. Gli interrogativi legati ai grossi mutamenti avvenuti intorno agli anni ’70, il tema della specificità della disciplina, vengono successivamente ripresi e precisati da Bausinger, Zur Spezifik volkskundlicher Arbeit, in «Zeitschrift für Volkskunde», 76, 1980: 1-21. Riferimenti al ruolo avuto da Tubinga nel processo di rinnovamento della Volkskund, sono contenuti in H. Gerndt (a cura di), Fach und Begriff “Volkskunde” in der Diskussion, Wissenschafliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1988, cfr.: 1-21.
[61] La posizione scientifica di Bausinger, fatta propria dall’istituto, mi rimanda immediatamente al pensiero di G. Simmel, che M. Landmann (a cura di), Einleitung, in G. Simmel, Brücke und Tür. Essays des Philosophen zur Geschichte, Religion, Kunst und Gesellschaft, Köhler, Stuttgart 1957, ha così sintetizzato: «Simmel filosofa su cose di cui prima di lui nessuno mai si era occupato: l’ansa del vaso, le rovine, l’avventura, la moda, la civetteria … Ai suoi tempi nessuno era così aperto all’impressione delle cose viventi, così sensibile al loro fascino e mistero. Egli non voleva e non poteva filosofare … mettendosi di fronte ai libri, ma mettendosi di fronte alla vita. In ogni dettaglio … scorgeva una ricchezza di senso e la rappresentazione di un senso ultimo» (XI).
[62] H. Bausinger, Ein Aufklärer, cit.: 67. Egli aggiunge qui che I.-M. Greverus impiega tale concetto come principio delle sue osservazioni di viaggio.
[63] H. Bausinger, Ein Aufklärer, cit.: 98.
[64] H. Bausinger, Volkskunde, cit.: 7.
[65] H. Bausinger, Neue Perspektiven, in Volkskunde, cit.: 300. La situazione di quegli anni viene chiarita anche in Id., Ungleichzeitigkeiten, cit., ove Bausinger fa esplicito riferimento al filosofo E. Bloch (6-13), su cui torna poi con lo scritto, Alltag und Utopie, in «Kuckuck», 6, 1991 (12-21).
[66] H. Bausinger, Zur Spezifik volkskundlicher Arbeit, in «Zeitschrift für Volkskunde», 76, 1980: 15.
[67] H. Bausinger, Aufklärung und Aberglaube, (Tübinger Antrittsvorlesung am 30.11.1961, in «Deutsche Vierteljahresschrift für Literaturwissenschaft und Geistesgeschichte«», 37. 1963, 3: 345-362.
[68] H. Bausinger, Zur Entwicklung des Ludwig-Uhland-Instituts, in «Attempo», 49/50, 1974: 6. Tra l’altro sono riportate qui alcune sue considerazioni sull’immagine di San Rocco sorte da una esperienza di studio in un distretto rurale dell’alta Svevia (cfr. ivi: 9).
[69] Sul tema rimando allo scritto di H. Bausinger, Dietro il carnevale, tr. it. di I. Sordi, in «La ricerca folklorica», 6, 1982: 87-93, il primo scritto di Bausinger tradotto in italiano.  
[70] H. Bausinger, Appunti, cit.: 142. Cfr. Id., Zur Kritik der Folklorismuskritik, in Populus revisus, cit.: 61-76. Questo saggio è stato pubblicato in italiano, Per una critica alle critiche del folklorismo, in P. Clemente e F. Mugnaini (a cura di), Oltre il folklore, Carocci, Roma 2001: 145-165.
[71] Cfr. H. Bausinger, Folklorismus und Kulturindustrie, in Id., Volkskunde, cit.: 195-209,  196.
[72] H. Bausinger, Zur Entwicklung des Ludwig-Uhland-Instituts, in «Attempo», 49/50, 1974: 9.
[73] Al quotidiano locale maggiormente diffuso, lo Schwäbisches Tagblatt, che per i contributi della pagina culturale ha avuto, ad esempio, la firma di un ex allievo del LUI, W. Alber, hanno collaborato e collaborano con propri articoli oltre a Bausinger anche altri docenti dell’istituto. A cura di E. Frahm e W. Alber, questo giornale locale, in occasione dei 65 anni di Bausinger, pubblicò una raccolta di suoi brevi saggi sulla cultura della vita quotidiana, Der blinde Hund. Anmerkungen zur Alltagskultur, Schwäbisches Tagblatt, Tübingen 1991.
[74] Segnalo qui, ad esempio, H. Bausinger, Grenzenlos … Ein Blick auf den modernen Tourismus, in H. Bausinger, K. Beyrer, G. Korff (a cura di), Reisekultur. Von der Pilgerfahrt zum modernen Tourismus, Beck, München 1991: 343-354; Id., Warum ich in Urlaub fahre, in «Haus der Geschichte-Magazin», 3, 1996: 10-11.
[75] H. Bausinger, Neue Perspektiven, in Volkskunde, cit.: 302.
[76] Ivi: 79.
[77] H. Bausinger, Zu den Funktionen der Mode, in «Schweizerisches Archiv für Volkskunde», 68/69, 1972/73, (22-32), 22. Tale tema ritornante, anche se non esplicito nel titolo, è ad esempio ben approfondito in H. Bausinger, Volkskultur/Massenkultur, in H. Bausinger, U. Jeggle, G. Korff, M. Scharfe (a cura di), Grundzüge der Volkskunde cit.: 220-242.
[78] Alla radio tedesca, per quattro domeniche consecutive (dal 21 gennaio all’11 febbraio 1973), con il titolo Die Wiederkehr des Neuen vennero trasmessi quattro interventi di Bausinger sul tema della moda. I dattiloscritti portano i seguenti titoli: Ursprünge und Wege modiche Bewegungen:1-14; Mode als Rangabzeichen und soziale Barriere: 1-15; Wirtschaft und Mode, pp. 1-14; Über die Versuche, der Mode zu entkommen: 1-14. Tra i vari saggi sull’argomento, cfr. H. Bausinger, Tücken der Natürlichkeit. Friedrich Theodor Vischer als Modefeind, in «Schwäbische Heimat», 20/1969: 301-305; Id., Funktionen der Mode in unserer Gesellschaft, in «Sindelfinger Jahrbuch 1971», 13, Sindelfingen 1972: 170-177.
[79] H. Bausinger, Ein Aufklärer, cit.: 79.  Su tale tematica più generale, affrontata da Bausinger in vari scritti, cfr. ad esempio, Id., Traditionale Welten. Kontinuität und Wandel in der Volkskultur, in «Historische Zeitschrift», 241, 1985: 265-286. Il recente fallimento a Firenze di un corso di laurea in ‘Cultura e Stilismo della Moda’ che intendeva dare un fondamento culturale ed artistico all’esperienza manuale della creatività del design di moda è stato l’esito di una dominante concezione antiquaria della cultura accademica, diffidente nei confronti del nuovo. La giustificazione istituzionale è stata ripetutamente: “questo tipo di studi non ha nulla a che fare con la ‘tradizione culturale’ della facoltà”. Si sono disattese così le aspettative di tanti giovani e si è persa l’opportunità di aprire l’università al mondo artigianale ed imprenditoriale presenti nel territorio, agli stimoli del nuovo, di indagare gli intrecci interdisciplinari che si celano in un fenomeno importante della vita quotidiana, l’abbigliamento, dal mondo accademico ancora considerato banale, privo di legittimazione scientifica.
[80] Brani tratti da uno scritto on line di H. Bausinger, Dauer im Wechsel, saggio pubblicato in M. Scharfe (a cura di), Jeans. Beiträge zu Mode und Jugendkultur, TVV, Tübingen 1985: 7-17.
[81] Su quest’ultimo tema segnalo il lavoro di un docente dell’istituto, B. J. Warneken, Kleine Schritte der sozialen Emanzipation. Ein Versuch über den unterschichtlichen Spaziergang um 1900 (1994), in R. Johler, B. Tschofen (a cura di), Empirische Kulturwissenschaft, cit.: 299-320.
[82] H. Bausinger, Ein Aufklärer, cit.: 61; cfr.:76-77; cfr. Id., Zur Spezifik volkskundlicher Arbeit, cit.: 9
[83] H. Bausinger, Neue Perspektiven, in Volkskunde, cit.: 306; cfr. Id., Ein Aufklärer, cit.: 72-73.
[84] H. Bausinger, Volkskunde im Wandel, intr. a H. Bausinger, U. Jeggle, G. Korff, M. Scharfe, Grundzüge der Volkskunde, cit. (1-15) 14. In tal senso egli si era già espresso nella stesura del piano di studi della disciplina, cfr. Studienplan für das Fach, cit., p. 12. Questo concetto è ribadito anche H. Bausinger, Zur Spezifik volkskundlicher Arbeit, cit.: «Una società si realizza nel contesto di una cultura, la cultura da parte sua necessita di atti sociali per l’esistenza e la propria stabilizzazione … La cultura è l’“altro lato” della società» (10).
[85] Le pubblicazioni dell’istituto, ben due collane di libri, sono divenute i bigliettini da visita di una produzione caratterizzata dalla multiculturalità e dalla interdisciplinarietà. In proposito, cfr. A. Heesen, R. Johler, B. Tschofen, “Band 100” – Eine Enzyklopaedie der Themen und Zugänge aus vier Jahrzehnten, in R. Johler, B. Tschofen (a cura di), Empirische Kulturwissenschaft, (a cura di), Empirische Kulturwissenschaft. Eine Tübinger Enzyklopädie, TVV, Tübingen 2008: 9-12.
[86] Tra i vari contributi dell’istituto sul tema, cfr. K. Köstlin, DDR-Volkskunde: die Entdeckung einer ferner Welt (1991), in R. Johler, B. Tschofen (a cura di), Empirische Kulturwissenschaft, cit.: 97-115.
[87] 1993 Brüder-Grimm-Preis della Università di Marburg; 1995 Ludwig-Uhland-Preis; 1996 Justinus-Kerner-Preis; 2009 Theo-Pinkus- Ehrenpreis; 2009 Verdienstmedaille des Landes Baden-Württemberg; 2016 Europäischer Märchenpreis; 2016 Staufermedaille des Landes Baden-Württemberg, in oro.
[88] H. Bausinger, Neue Perspektiven, in Volkskunde: 300-301; cfr.: 297-310.
[89] H. Bausinger, Ein Aufklärer, cit.: 126.
[90]  Al molteplice significato di tale parola si accenna già nella nota 25 del presente scritto.
[91] H. Bausinger, Heimat in einer offenen Gesellschaft. Begriffsgeschichte als Problemgeschichte (1990), in R. Johler, B. Tschofen (a cura di), Empirische Kulturwissenschaft, cit. (351-366) 362-363. Qui egli espone le differenti sfaccettature di questo complesso concetto non solo riferendosi al molteplice impiego attuale, ma alla sua storia passata.
[92] H. Bausinger, Globalisierter Alltag – Heimat und Welt, in U. Bechdolf, R. Johler, H. Tonn (a cura di), Amerikanisierung – Globalisierung. Transnationale Prozesse im europäischen Alltag, Wissenschaftlicher Verlag, Trier 2007 (171-183) 182. A tale dinamica fa in parte riferimento pure l’importante tema della ‘Europeizzazione del regionale’. In proposito, cfr. H. Bausinger, L’Europa delle regioni: prospettive culturali, (Europa der Regionen: kulturelle Perspektiven, in «Leviathan. Zeitschrift für Sozialwissenschaft», 21, 1993, 4: 471-492, tr. it. di A. Simonicca, in «Ossimori», 5, 1994: 81-94, a cui seguono i commenti di R. Koshar, D. Senghaas, R. Barzanti, G. Angioni, G. L. Bravo (95- 117.
[93] H. Bausinger, in «Schwäbisches Tagblblatt» del 12.09.2006.
[94] Ch. Keck, Tübinger Volkskundler Hermann Bausinger, in “Stuttgarter Zeitung” del 07.04.2017.
[95] E. Bloch, Das Prinzip Hoffnung, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 19763, (I-III), I: 334. La citazione viene riportata in altri scritti di H. Bausinger, anche in Alltag und Utopie, in «Kuckuck» 6, 1991 (12-21) 16.
[95] H. Bausinger, La cultura dello sport, cit.: 37-39.

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Nicola Squicciarino, dopo la laurea in Filosofia, è stato borsista presso l’Università di Basilea e di Tubinga. È stato docente all’Università di Firenze e, negli anni prima di andare in pensione, anche alla Luiss di Roma. Ha inizialmente pubblicato saggi di carattere prevalentemente filosofico, e poi monografie su Georg Simmel e Gottfried Semper. In un approccio interdisciplinare, ha scritto anche sull’abbigliamento e la moda come testimoniano i suoi ultimi due lavori: Significati dell’abbigliarsi. L’apparire non esclude l’essere (2017) e Arte tessile, abbigliamento e architettura in Gottfried Semper (2019).

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