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di Roberto Manfredi
Il Kumbh Mela è una festa antica. Le prime testimonianze dei bagni rituali nell’area di Prayag, la zona vicina alla confluenza dei fiumi sacri Gange e Yamuna, si trovano nei Rigveda, testi sacri dell’Induismo, databili nel secondo millennio a.C.
Tuttavia per leggere la prima cronaca del Kumbh Mela come lo conosciamo oggi, ad opera del monaco buddista e viaggiatore cinese Xuanzang, occorre aspettare il settimo secolo della nostra era.
Ma nella mitologia Hindu le origini di questa festa si calano nella suggestione di scenari leggendari. Si narra che il dio Vishnu, dopo aver sottratto un’urna (Kumbh) ricolma di amrita, il nettare dell’immortalità, durante una battaglia tra dèi e demoni che se la contendevano, fuggisse lasciando cadere accidentalmente quattro gocce di amrita.
I quattro luoghi dove caddero le gocce, così benedetti, acquisirono un certo potere mistico e uno straordinario valore spirituale, e divennero perciò le sedi del più grande raduno religioso dell’India e del mondo, il Kumbh Mela, che per questo si tiene a rotazione in quelle quattro località: Prayagraj (già Allahabad), Haridwar, Nashik e Ujjain.
Il momento e il luogo in cui si deve tenere il Kumbh Mela sono determinati dalle posizioni del Sole, della Luna e di Giove, i cui aspetti reciproci determinano anche l’importanza della festa.
Il Maha Kumbh Mela (Grande festa del vaso) che si tiene ogni dodici anni è il maggiore, seguito dopo sei anni dall’Ardha Kumbh Mela, mentre è più frequente, e meno importante, il Purna Kumbh Mela.
Per i devoti l’aspetto più importante del Kumbh Mela è costituito dalle abluzioni rituali, che grazie alla virtù salvifiche delle acque dei fiumi sacri, potenziato in quei periodi dalle posizioni favorevoli degli astri, raggiungono il massimo del loro potere purificante.
Ma il Kumbh Mela è anche un grande festival religioso, in cui si radunano i devoti di varie sette e correnti religiose insieme ai loro leader, che così possono esporre davanti a un immenso pubblico la loro offerta religiosa.
All’Ardha Kumbh Mela che si tenne nel febbraio del 2019 a Prayagraj, secondo le cifre ufficiali, i pellegrini furono 120 milioni, con una concentrazione di 40-50 milioni di persone presenti contemporaneamente nei giorni più sacri, quelli durante i quali ho scattato queste foto.
Un affollamento incredibile: immaginate di riunire tutti gli italiani adulti in una città grande come Bergamo; non ci riuscite? No, non si può immaginare, bisogna esserci, nemmeno le immagini riescono a rendere l’idea.
Al Kumbh si arriva con la famiglia, spesso con tutto il villaggio, con il necessario per soggiornare alcuni giorni: tende, pagliericci e coperte per dormire, viveri e bevande, fornelli e bombole per il gas, stoviglie per cucinare.
Fiumi di persone, a tutte le ore del giorno e della notte, attraversano i ponti galleggianti sul Gange per entrare nell’area della festa, portando sulle spalle le loro masserizie. Al Kumbh si dorme, si cucina e si mangia, e soprattutto si fanno i bagni rituali nelle sacre acque che lavano dai peccati.
Ma i protagonisti del Kumbh sono i Naga Sadhu, gli asceti nudi eredi di antiche sette (akharas) shivaite e vishnuite di monaci guerrieri, sorte anticamente per combattere contro gli invasori musulmani prima e inglesi poi.
Erano questi gruppi di asceti che, fino al dominio della Compagnia delle Indie Orientali, organizzavano e gestivano i Kumbh Mela, che per loro erano, e sono tuttora, luoghi di reclutamento, ma anche di scambi commerciali, diatribe teologiche e dibattiti filosofici.
Insieme ad essi al Kumbh Mela si incontrano anche molti sadhu isolati, cani sciolti che non appartengono ad alcun akhara, ma che sono sempre al centro dell’attenzione dei pellegrini, cui impartiscono le loro benedizioni, spesso in cambio di offerte in denaro.
Il momento culminante del Kumbh Mela è costituito dalla processione con cui i Naga Sadhu si recano alle abluzioni, nelle ore più importanti e più sante della festa, che in questo Kumbh mela cadevano prima dell’alba. Ad essi è riservata la precedenza assoluta.
Sfilano tra ali di folla con cipiglio minaccioso, roteando nodosi bastoni per fendere la folla quando non sono protetti dalle transenne e dall’esercito. Marciano in corteo nudi e cosparsi della cenere prodotta (si dice) durante la cremazione di corpi umani, gridando i loro mantra come slogan, fino ad arrivare sulle sponde nel punto in cui il Gange si unisce allo Yamuna dove, tra grandi clamori, si tuffano.
Con un piccolo gruppo di appassionati di fotografia, alloggiavamo in un campo tendato appena all’esterno dell’area del Kumbh ma, mentre eravamo all’interno, nel pomeriggio precedente la processione dei sadhu siamo stati raggiunti dalla notizia che la polizia aveva chiuso tutti gli accessi per l’eccessivo affollamento. Si poteva uscire ma non rientrare.
Ci siamo così trovati di fronte al dilemma: tornare al nostro comodo campo tendato o trascorrere la notte in qualche modo nell’area della festa? Fortunatamente abbiamo avuto l’onore di essere ospitati da un gruppo di asceti che ci hanno prestato dei giacigli per dormire in terra in una tenda e hanno condiviso con noi i loro pasti. Ed erano organizzatissimi: nel giro di un’ora o due ci hanno anche fornito i pass nominali, con tanto di fotografia, grazie ai quali abbiamo potuto seguire dall’interno la loro processione, fotografandoli liberamente.
Anche se occorre dire che, per fotografare, in realtà non c’era bisogno di particolari permessi né di mimetizzarsi: tutti, pellegrini e sadhu, si lasciavano fotografare con la massima naturalezza, senza alcuna ritrosia, talvolta mettendosi in posa.
La processione e le ore successive sono state un’emozione indescrivibile e irripetibile, vissuta anche con un filo di terrore, per la paura di essere schiacciati o di perderci in mezzo a una folla inimmaginabile, che sembrava accalcarsi in ogni luogo e occupare ogni centimetro quadrato, fino a perdersi all’orizzonte. Ma per fortuna oggi sono qui a raccontarlo.
Dialoghi Mediterranei, n. 54, marzo 2022
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Roberto Manfredi, già insegnante di matematica al liceo, fotografa da circa 30 anni anche se solo nell’ultimo lustro ha potuto dedicare più tempo alle sue passioni: i viaggi e la fotografia. Si considera un fotografo dilettante in senso letterale: fotografa esclusivamente per diletto, con grande passione. Il suo sito: www.robertomanfredi.it
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