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Ecomuseo di Buscemi. Esperienza unica ed esemplare in Sicilia

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il centro in periferia

di Mario Sarica

«Il tempo vola, ed il progresso ogni dì incalzante spazza istituzioni e costumi. La scomparsa è fatalmente necessaria nel corso degli eventi: onde urge che si fissi il ricordo di questa vita vissuta in migliaia di anni da milioni e milioni di persone semplici».

È quanto scrive Giuseppe Pitrè nell’Avvertenza alla sua ultima opera, il venticinquesimo titolo della sua monumentale Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane, ovvero La famiglia, la casa, la vita del popolo siciliano, che vede la luce nel 1913. Un altro luminoso e acuto sguardo, l’ultimo, quello del padre nobile della demologia siciliana, che ha appena il tempo di affacciarsi sull’orizzonte epifanicamente tragico del Novecento, lo lascerà infatti nel 1916, sommerso dai battiti di morte dei tamburi della prima devastante guerra mondiale.

Nel breve incipit del Pitrè riaffiorano temi fondativi del dibattito che da più versanti, da quello filosofico a quello sociologico, a quello antropologico, animeranno le diverse teorie del XX secolo, tumultuoso e devastante, sulla nozione di tempo, di cultura, di storia, di economia, di sviluppo e modernità, e ancora,  dello stretto legame fa passato e presente, e di conservazione della memoria individuale e collettiva, e dei suoi artefatti, dunque delle sue forme materiali e immateriali delle società fondate sui saperi di tradizione orale, dunque senza scrittura. E questo articolato dibattito a più voci approda inevitabilmente e opportunamente ad un radicale ripensamento della funzione svolta dai musei, da rigenerare, nel più ampio scenario della comunicazione culturale, nel sempre più problematico e complesso confronto fra passato, presente e futuro.

Lo studioso palermitano, ci piace ricordare, con la sua memorabile mostra etnografica palermitana di fine Ottocento rappresentativa delle più emblematiche espressioni di secolari tradizioni dell’intera Isola, fortemente voluta e faticosamente allestita, che prenderà forma compiuta nel 1910, ci offre l’archetipo del museo demoetnoantropologico del Novecento.

Le sue preziose collezioni, miracolosamente giunte fino a noi, nonostante le tante traversie patite, sono oggi come si dice finalmente fruibili, grazie ad un recente restyling espositivo del tutto godibile, in linea con i nuovi indirizzi museografici. Dentro la cornice del contemporaneo, dominata dalla figura mitica della tecnica e del vitello d’oro dell’economia e della finanza, una sorta di religione laica, votata al consumismo indiscriminato, cui ci si affida ciecamente per un improbabile salvezza del mondo, non è mai tuttavia venuto meno da parte dei pensatori più acuti il tema centrale della ricostituzione di un’identità culturale multipla ancorata alle memorie del territorio.

Buscemi, cortile e botteghe lungo l'Itinerario dei Luoghi del Lavoro

Buscemi, cortile e botteghe lungo l’Itinerario dei Luoghi del Lavoro

Scosso dalle fondamenta al cielo, da un homo sapiens, prima predatore e saccheggiatore delle risorse, e ora colpito dalla pandemia, il futuro del pianeta terra, sofferente e malconcio, appare tenebroso. E allora ecco il grido di allarme che si leva da ogni dove parte, e significativamente anche dalle nuove generazioni, sull’urgenza di un radicale ripensamento dei modelli di società e di sviluppo, intravedendo nella polifonia delle voci dei pensatori più acuti, non sempre consonanti, le flebili luci di speranza di rinascita, che non può prescindere dalla valorizzazione del patrimonio culturale comune di ogni territorio e dei suoi segni antropici più rappresentativi.

Una corsa collettiva e planetaria per salvare il salvabile, ricostituendo, se mai sarà possibile quell’armonia da troppo tempo perduta, perché andata in frantumi, fra uomo, ambiente, territorio e culture locali. Gli slogan, si sa, sono transizione digitale, energie rinnovabili, mitigazione del rischio climatico, riduzione dei gas serra, sviluppo sostenibile…saranno sufficienti per salvare il genere umano e il pianeta?

«Nessuno – ammonisce papa Francesco – vuole tornare all’epoca delle caverne, però è indispensabile rallentare la marcia per guardare la realtà in un altro modo, raccogliere gli sviluppi positivi e sostenibili, e al tempo stesso recuperare i valori e i grandi fini distrutti da una sfrenatezza megalomane». E noi aggiungiamo, che bisogna arrestare questa deriva sfrenata, rischiosa e alla fine autodistruttiva, perché non ci può essere salvezza senza fede, ricostituendo «forme di cooperazione e di organizzazione comunitaria che difendano gli ecosistemi locali dalla depredazione (…) È necessario ricorrere anche alle diverse ricchezze culturali dei popoli, all’arte e alla poesia, alla vita interiore e alla spiritualità», ci suggerisce accorato papa Francesco.

Rivolgendo lo sguardo alla Sicilia, o meglio alle cento Sicilie per dirla con Gesualdo Bufalino, sul tema della ricostituzione di quella trama culturale multietnica e interculturale, di cui le forme culturali di tradizione, nei diversi registri performativi, costituiscono, testimonianze vive, fortemente radicate e sentite identitarie dalla stragrande maggioranza delle comunità,  lo scenario che si dispiega nel paesaggio siciliano, fra natura e cultura, passato e presente appare in chiaroscuro.

Dentro un’ampia rete di musei etnografici variamente connotati, in gran parte autogerminati negli anni Ottanta, grazie a solitari appassionati, eroi romantici, sullo sfondo di un dibattito a dire il vero che in più occasioni ha chiamato a raccolta, soprattutto a Palermo, gli addetti ai lavori,  si osserva quasi sempre una distanza o peggio una cronica indifferenza istituzionale preoccupante, e soprattutto l’assenza di figure professionali e competenti all’altezza della sfida del presente e del futuro.

Bottega del falegname lungo l'Itinerario dei Luoghi del Lavoro

Bottega del falegname lungo l’Itinerario dei Luoghi del Lavoro

Dopo i promettenti anni Ottanta, quando la Regione Siciliana diede vita con l’assessore Luciano Ordile e il direttore dell’assessorato Alberto Bombace ad una rivoluzione copernicana, riservando a sé la governance dei patrimonio dei beni culturali siciliani, dai musei ai siti archeologici, alle biblioteche, oltre che dotarsi di Soprintendenze provinciali, nati come presidi territoriali di salvaguardia e tutela con interventi di restauro e valorizzazione, comprese le dirigenze e unità operative per i beni demoetnoantropologici, unitamente alla nascita del Cricd, ovvero del centro di documentazione e di produzione editoriale regionale, anche successivamente con notevoli opere multimediali, sembrò aprirsi una stagione radiosa e innovativa. Invece, sul finire del secolo scorso, fino al primo ventennio del terzo millennio, c’è stato un inesorabile declino dell’interesse istituzionale e politico regionale sul tema, con interventi parziali, con decisioni verticistiche controverse, a parte eccezioni quale l’istituzione dei parchi archeologici e quelli subacquei, voluti dal compianto Sebastiano Tusa, ma in contemporanea si è assistito ad un ridimensionamento drastico delle Soprintendenze, con  la soppressione della sezione autonoma a tutela  dei beni demoetnoantropologici.

Su questo versante, tra i pochi segnali positivi, l’istituzione del Museo silvo-pastorale G. Cocchiara di Mistretta, unica espressione etnografica istituzionale regionale, come dire politica, e ancora l’acquisizione del Museo del Carretto siciliano di Terrasini, e quello della Casa Museo di Antonino Uccello di Palazzo Acreide. Una figura quella di Antonino Uccello che emerge a tutto tondo, imprescindibile sulle sorti della conservazione e difesa dei beni demoetnoantropologici siciliani, che ha colto come Pitrè lo spirito del tempo che fugge via veloce, trascinando con sé le millenarie storie del territorio. Ricercatore instancabile, scomodo per certi versi, consapevole che il secondo dopoguerra avrebbe segnato per sempre la fine di quel mondo contadino e pastorale millenario raccontato in versi da Teocrito, Antonino Uccello è stato autore prolifico di testi fondamentali sulla cultura di tradizione iblea.  In più è stato capace di dialogare e attrarre attorno a sé le nuove generazioni, che da lui, maestro elementare di professione emigrato al nord, hanno ereditato un insegnamento di vita e di rispetto e di dignità per la cultura popolare davvero unico. E fra i suoi giovani amici prediletti non posso non citare Luigi Lombardo, storico e antropologo di razza.

E se oggi Buscemi, ad un tiro di schioppo da Palazzo Acreide, vanta l’unico Ecomuseo siciliano, voluto fortemente trent’anni fa dal visionario e ricercatore competente, appassionato e instancabile, Rosario Acquaviva, che ha imparato fino in fondo la straordinaria lezione di ricerca e studio etnografico sul campo svolto da Antonino Uccello. Ma Rosario Acquaviva, raccogliendo l’eredità di Uccello ha svolto lo sguardo più avanti, anticipando temi oggi di grande attualità rispetto alla conservazione del patrimonio di beni demoetnoantropologici entro l’orizzonte geografico che li ha prodotti, dentro dunque lo spazio e il tempo del paesaggio fra natura e cultura, che ne ha determinato i caratteri e profili demoetnoantropologici unici ed esclusivi. Ed è davvero singolare ed esemplare l’azione di recupero, valorizzazione e trasmissione dei saperi dell’area iblea ad opera di Rosario Acquaviva, che trova una esemplare corrispondenza con quanto recita la Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società, adottata a Faro, in Portogallo, nel 2005, ovvero sull’importanza delle risorse ereditate dal passato, attraverso le quali le persone si possono identificare con la riflessione sulle loro memorie, e sull’insieme di credenze, tradizioni e conoscenze in costante evoluzione.

Museo di Buscemi, il Palmento

Museo di Buscemi, il Palmento

Ma in più Rosario Acquaviva con la sua azione tenace, non priva di ostacoli e sordità istituzionali, ha posto un altro tema decisivo nei rapporti spesso ambigui e sfuggenti con la politica e la gestione dei beni demoetnoantropologici. Ha teorizzato e dimostrato che è necessario fare una distinzione fra il valore intrinseco della cultura materiale e il valore aggiunto che invece deriva dal processo di conservazione; dal modo in cui conserviamo il passato deriva lo sviluppo di un sentimento di appartenenza e la percezione di una continuità all’interno della collettività di un patrimonio condiviso e riconosciuto identitario. In più, dal momento che è impossibile ricostruire il passato perduto, ovvero le esperienze fondative delle forme culturali materiali ed immateriali di tradizione, l’orizzonte dei luoghi del lavoro contadino, pastorale ed artigianale diventa la chiave di volta per trasformare i lacerti del passato, segmenti di vita di un abitare il mondo, in significanti riconoscibili dentro lo spazio del museo en plein air, che è appunto l’Ecomuseo.

Un’esperienza pilota quella di Buscemi “Paese Museo. I luoghi del lavoro contadino”, itinerario etnoantropologico tra Buscemi e Palazzolo Acreide, che peraltro ha certamente esortato a livello regionale l’istituzione, solo la scorsa legislatura, di una normativa ad hoc sugli Ecomusei, che ancora, in verità stenta a prendere forma. È appena il caso di precisare quanto il tema degli Ecomusei imponga una riflessione attenta alle teorie più recenti sulla memoria, suggerendo, fra l’altro, come sia necessario riflettere sulle diverse interpretazioni soggettive della nozione di conservazione e fruizione del passato, per produrre espressioni di significato identitario condiviso, così cercando di comprendere sempre più e meglio il rapporto dialettico fra passato e futuro, tra forze conservatrici e spinte innovatrici.

Per conoscere e approfondire queste questioni abbiamo volute incontrare Rosario Acquaviva che ci racconta come Buscemi si configuri come un grande teatro naturale che domina la valle dell’Anapo, circondata dalle vestigia di Akrai e dalla necropoli di Pantalica.

«Un’area, aggiunge Rosario, dove si è sedimentata nei secoli un’economia agropastorale, che ha fortemente segnato l’ambiente fisico e socioculturale del territorio, entrata in crisi irreversibile con il miraggio dell’industrializzazione, ma cristallizzata, perché distante dagli appetiti voraci della modernità, e tuttavia a rischio di totale estinzione, perché non funzionale ai nuovi bisogni della comunità. In quella stagione irripetibile degli anni Ottanta io ed altri giovani, consapevoli che era urgente intervenire per mettere in salvo un patrimonio di beni demoetnoantropologici di inestimabile valore, sullo sfondo di un più vasto dibattito, e guidati dalla figura carismatica di Antonino Uccello, ci siamo rimboccate le maniche per recuperare le testimonianze della millenaria cultura di tradizione in una nuova prospettiva, quella del rapporto tra l’uomo e l’ambiente , secondo una visione ecologica, conservando e valorizzando gli stessi oggetti d’uso lavorativo e domestico nelle realtà fisiche, ovvero case e luoghi di lavoro, dove si sono sedimentati nel tempo, così definendo la trama socioculturale della comunità su tutto l’orizzonte dell’abitare. Rigenerare, riabitandoli, le dimore dell’uomo con i suoi segni e le forme del tempo, questo l’obiettivo principale.

Interno del mulino ad acqua di Santa Lucia lungo l'Itinerario dei Luoghi del Lavoro

Interno del mulino ad acqua di Santa Lucia lungo l’Itinerario dei Luoghi del Lavoro

Al consueto prelevamento-isolamento dei beni demoetnoantropologici, per inserirli dentro un contenitore da musealizzare, ci è sembrato quanto mai vivificante e coinvolgente individuare i luoghi canonici di lavoro dei cicli agricoli (palmenti, frantoi e mulini) come siti primari, in grado di parlare e raccontare il loro vissuto. Poi si sono aggiunte le botteghe artigianali, quella del fabbro, ad esempio. Si è riavviato, dunque, il film della tradizione dentro gli spazi di fatica, di lavoro, di gioia, di festa, di nascita e morte, che hanno scandito per secoli il tempo stagionale e il vissuto individuale e collettivo di questa comunità».

Una sfida non facile, quella di Rosario Acquaviva, vinta a pieni voti, il suo sogno si è realizzato. Il suo paese museo è diventato realtà, richiamando oggi più che mai tutti i paradigmi che animano il dibattito su come conservare le tracce del passato di ogni territorio, generando nuovo sviluppo, declinando passato e futuro.

«Un’esperienza davvero unica, di cui andiamo orgogliosi, aggiunge Rosario, perché illuminati da sempre da un pensiero guida, ovvero che un museo della vita popolare, come a me piace definirli, deve puntare non tanto e non solo alla conservazione passiva e muta degli oggetti, ma soprattutto ai contesti e ai livelli di cultura di cui gli oggetti sono elementi costitutivi. In più, attraverso la creazione di un linguaggio che trasponga al proprio livello e nella propria dimensione – come ci ricorda Alberto Cirese – quella vita di cui ha il compito di raccogliere, conservare e presentare i documenti. Con il “Buscemi Paese Museo”, si è voluto offrire il contesto culturale di una comunità nel suo vero rapporto tra l’uomo e la natura, attraverso il fluire del tempo. Ha colto bene il significato profondo del nostro lavoro Salvatore Testa, quando scrive che “il patrimonio storico dell’antica civiltà contadina degli alti Iblei riconosce in Buscemi un sicuro presidio ai fini della sua conservazione e valorizzazione secondo i criteri definiti dall’esemplare opera di Antonino Uccello”. La costituzione del paese-museo della civiltà contadina di Buscemi ha il merito del tutto originale di aver rigenerato un’intera comunità riscoprendo un sentimento di appartenenza smarrito, con ricadute anche sul versante del turismo culturale e didattico. Vi confesso che non è stato facile, ma grazie ad uno spirito combattivo, e soprattutto convinti della bontà del nostro progetto, abbiamo affrontato e superato ogni difficoltà. Lungi dall’equivalenza museo-morte, il nostro paese museo non ha mai perso di vista l’obiettivo principale, ovvero la riappropriazione della nostra cultura con finalità didattiche e di sviluppo sociale e turistico. Lo attestano le tantissime iniziative culturali organizzate, in particolare con il supporto e la collaborazione della Casa Museo Antonino Uccello di Palazzo Acreide, secondo una strategia di rete, oggi quanto mai indispensabile».

Interno del mulino ad acqua di Santa Lucia lungo l'Itinerario dei Luoghi del Lavoro

Interno del mulino ad acqua di Santa Lucia lungo l’Itinerario dei Luoghi del Lavoro

Nove le unità museali: a casa ro massararu, la casa del Massaro, u parmientu, il palmento, a putia ro firraru, la bottega del fabbro, a casa ro iurnataru, la casa del bracciante, a putia ro quarararu, la bottega del calderaio, a putia ro falegnami, la bottega del falegname, a putia ro scarparu e r appuntapiatti, la bottega del calzolaio e del concia brocche, il mulino a acqua Santa Lucia, il laboratorio didattico e le sezioni dedicate al ciclo del grano, agli scalpellini, all’arte popolare, alla sartoria, all’abbigliamento. Un passaggio di ulteriore crescita del progetto, racconta ancora Rosario, è stato l’ampliamento d’interesse di ricerca sul territorio ibleo, con l’istituzione del Centro di documentazione della vita popolare iblea, che comprende oltre 240 ore di filmati, 17 mila immagini tra diapositive, negativi e foto d’epoca. Una scelta non casuale necessaria al linguaggio degli Ecomusei che non è quello di proporre in vitro frammenti di vita del passato, ma piuttosto di comunicare e rappresentare la vita che ha bisogno di ritrovare le saldi e rassicuranti radici della storia collettiva smarrita.

Ma Rosario ha fatto qualcosa di più, dopo questo affascinante viaggio fra passato e presente, ha promosso un confronto decisivo e risolutivo tra i soggetti istituzionali deputati ad assumere la titolarità di questa singolare realtà etnografica siciliana, declinata secondo i ritmi di una full immersion esperienziale. A leggere gli ultimi atti formali prodotti dal Comune di Buscemi siamo confortati per la piena e matura consapevolezza espressa dal sindaco e dalla giunta comunale che ha fatto tesoro di quanto realizzato da Rosario Acquaviva, per assicurare ai “luoghi del lavoro contadino di Buscemi” un futuro dalla governance affidabile.

Risale solo al 12 gennaio scorso la Deliberazione della Giunta Municipale  per «l’approvazione  dello schema di protocollo di intesa per il coordinamento  delle attività  tecnico scientifiche, culturali, tutela  e valorizzazione dei siti museali “I luoghi del lavoro contadino” Buscemi-Palazzolo Acreide, autorizzando il sindaco alla sottoscrizione del Protocollo d’intesa, con la Regione Siciliana, Assessorato Regionale Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, la Galleria Regionale di “Palazzo Bellomo” (Museo Interdisciplinare) di Siracusa, il Comune di Buscemi, il Comune di Palazzolo Acreide e l’Associazione  per la conservazione della cultura popolare degli Iblei per il coordinamento delle attività tecnico-scientifiche, culturali,  tutela e valorizzazione  del sito museale». Nell’articolo protocollo presto alla firma di tutti gli attori istituzionali, fra l’altro, emerge nel secondo capoverso che «il Museo di Buscemi  rappresenta in Sicilia  il primo  modello  rilevante  è consistente  di “Museo diffuso”, caratterizzandosi per il suo riferimento spaziale e di rilevanza ambientale che interessa due ambiti territoriali Buscemi e Palazzo Acreide, per l’interpretazione e valorizzazione in situ, per il coinvolgimento  della comunità  locale, profondamente  legata al territorio: aspetti fondamentali  della mission dell’ecomuseo, nonché un raro esempio, condotto con encomiabile rigore tecnico-scientifico, di buona prassi inerente l’impegno di soggetti privati nei confronti  della salvaguardia  di beni materiali  e immateriali,  mobili e immobili, nel settore demoetnoantropologico». A rafforzare normativamente quanto si legge nel comma successivo si dichiara l’itinerario etnoantropologico intercomunale Buscemi-Palazzolo Acreide di interesse culturale (ex art 13 del D. Lgs 42/2004; D.D.S. n.3719 del 29/11/2013 e con D.D S. n.391 del 24/02/2914).

Interno di una casa contadina lungo l'Itinerario de Luoghi del Lavoro

Interno di una casa contadina lungo l’Itinerario de Luoghi del Lavoro

Rosario Acquaviva, che con ulteriore gesto d’amore per la sua terra ha donato oltre 3000 reperti, può dunque essere rassicurato avendo affidato il suo sogno a mani istituzionali accreditate. A me pare che questa singolare esperienza di salvaguardia di un patrimonio demoetnoantropologico di inestimabile valore, attesti con forza una confortante maturità da parte degli amministratori locali e dirigenti regionali, e siamo certi che le migliori energie profuse da Rosario Acquaviva per quarant’anni nella conservazione e valorizzazione di ogni aspetto della vita popolare del territorio ibleo, non corrano il rischio di essere mortificate e vanificate. La memoria d’altra parte, nella sua accezione di reperti oggettuali, a vario titolo rappresentativi di una cultura scomparsa eppure viva nel ricordo, non ricostruisce solo il passato, ma organizza, rielabora criticamente e progetta anche l’esperienza del presente e del futuro dentro il paesaggio mutevole del contemporaneo.

Dialoghi Mediterranei, 54, marzo 2022

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Mario Sarica, formatosi alla scuola etnomusicologica di Roberto Leydi all’Università di Bologna, dove ha conseguito la laurea in discipline delle Arti, Musica e Spettacolo, è fondatore e curatore scientifico del Museo di Cultura e Musica Popolare dei Peloritani di villaggio Gesso-Messina. È attivo dagli anni ’80 nell’ambito della ricerca etnomusicologica soprattutto nella Sicilia nord-orientale, con un interesse specifico agli strumenti musicali popolari, e agli aerofoni pastorali in particolare; al canto di tradizione, monodico e polivocale, in ambito di lavoro e di festa. Numerosi e originali i suoi contributi di studio, fra i quali segnaliamo Il principe e l’Orso. Il Carnevale di Saponara (1993), Strumenti musicali popolari in Sicilia (1994), Canti e devozione in tonnara (1997); Orizzonti siciliani (2018).

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