per la scuola
di Giuseppe Sorce
Non mi piacciono i discorsi che affermano di aver trovato il grande male e il grande bene dentro le cose. Così come non mi piacciono i discorsi anti-antropologici del tipo “come adesso così in passato, lì come qui, se lo fanno tutti allora…”. E adesso uno si aspetterebbe un “ma”. Glielo mettiamo questo “ma”? Un autore attento se lo chiede, un autore interattivo magari la mette proprio questa domanda, questo trucco camuffato da richiesta di aiuto, bias di conferma ben vestito. Allora un autore intelligente, e forse anche pigro, si rimette a “ciò che è e che potete provare voi stessi”.
Dai testi greci, latini sicuro, a quelli di domani, fin quando sì un grande bene arriverà miracoloso chissà da dove, i vecchi, i saggi, gli uomini di una volta, si lamentano dei giovani, i nuovi, gli uomini che mai saranno davvero, di domani. Vecchi e giovani, sia chiaro, ogni epoca ha la sua età limite per definire entrambe le categorie. Questi giovani non sarebbero abbastanza qualcosa, non farebbero le cose come si facevano prima (come si facevano poi? Bene, male? Siete davvero sicuri, chiederei io ai primi e ai secondi).
Ma, e ora ci sta, questa doveva essere una riflessione sulla scuola. Troppo vasta per le mie manie di controllo sulla raccolta degli studi sui e dei fenomeni, per la mia ossessione del punto di vista più relativo e largo possibile, massimamente rispettoso dei dati reali e plurali. E allora scelgo la via pragmatica: circoscriviamo il campo, i fenomeni, le voci, i trend, come si dice oggi, con buona pace dei puristi della lingua. Sì perché le recenti polemiche sull’italiano e l’uso dello schwa [1] (a cui io stesso avevo partecipato qui [2], con un topic diverso rispetto a quello recentissimo), i miei occhi annoiati dalla contingenza pura e semplice non possono che vederle sovrapposte, parallele o incidenti (ognuno interpreti i vettori come preferisce) a quelle sulla scuola, in particolare, nate dopo la tragica morte di uno studente durante un pomeriggio di alternanza scuola-lavoro [3] e continuate poi in seguito alle decisioni prese dal governo sull’esame di maturità 2021/2022 [4].
C’è da dire che le, ancora recenti, polemiche sulla Dad hanno preparato il terreno ai malcontenti e alle tensioni. No, non dibattiti. Non ci sono stati dibattiti, tuttalpiù un qualche sbraitare confuso su varie cose in qualche programma TV che nessuno guarda più, figuratevi i diretti interessati alla questione ovvero ragazze e ragazzi. No! Nessuna polemica, non devo infervorarmi. No, anche se tutti lo fanno, no. Ecco vedi? Ma allora vuoi proprio? No. Schwa ed esame di maturità dopo due anni di Dad. È colpa della dad infatti! No, ma che cosa dici? La Dad ha solo esacerbato le disuguaglianze che c’erano già prima. Quali disuguaglianze? La scuola non dovrebbe servire a limarle, scusa? Sì. Ma quindi non lo fa? Non credo. Quindi non è colpa della dad?
La Dad è la miccia forse, la dinamite è la struttura vetusta dell’istituzione scuola. Quindi non è che ragazzi e ragazze sono meno preparati di qualche decennio fa? Sì è vero, anche questo. Ma allora di chi è la colpa? I ragazzi di oggi, quelli di prima erano meglio. Ma come? Ma che ragionamento è? È colpa dei telefonini. È colpa del sistema. È colpa della corruzione che vige in Italia. Ma l’Italia è in Europa il Paese che investe meno nella ricerca e nell’istruzione! Ma il sistema universitario italiano è marcio, lo sanno tutti. Tutti chi? Chi lo dice? È colpa dell’inglese e di questa storia del linguaggio inclusivo? Ma se l’Italia è uno dei Paesi più indietro in Europa sull’insegnamento scolastico dell’inglese? Ma se in Italia non è passato ancora neanche il ddL Zan?
Ecco due coppie, due binomi su cui riflettere: il potere e la rete, l’informazione e il sapere. La scuola è esercizio e pratica del potere votati al sapere. La rete ha cambiato, talvolta rovesciato, il rapporto potere e informazione. Da un lato quindi la scuola istituzione, dall’altro la scuola fatta di carne, docenti, lavoratori, studenti e studentesse. Pioletti dice bene, anzi, benissimo quando parla di «formare cittadini del mondo coscienti» (Pioletti 2022) [5]. Questo dovrebbe essere il fine ultimo, il fine nobile. Quindi subito ci si chiede: i cittadini di oggi, che cittadini del domani vogliono? La politica, che dipende dai cittadini, di oggi e degli ultimi vent’anni, che tipo di cittadini di domani ha contribuito a formare e come?
Pioletti e Dei [6] sulle pagine del numero 53 di Dialoghi Mediterranei hanno quindi parlato di disuguaglianza e di riforme, strategie didattiche e strategie dispersive adottate dai governi più o meno consapevolmente. Perciò dalla lettura dei loro contributi mi torna sempre in mente il conflitto eterno fra l’Italia illuminata e pensante e l’Italia retrograda e votata ad altri, l’Italia cioè che non vuole proprio formare cittadini del mondo coscienti. Ho come la sensazione, praticando la scuola in carne e ossa e praticando i dibattiti seri come quelli discussi da Dei e Pioletti e non dai vari show e personaggi di media stanchi, logori e logoranti, che alla fine dei conti però lo scollamento fra mondo e scuola sia lo stesso che c’è fra scuola-istituzione e scuola-carne, lo stesso anche che c’è fra vecchi e giovani (di pirandelliana memoria), boomer e Gen Z (io da millennial mi voglio collocare comodamente in mezzo).
Stiamo parlando di scollamenti quindi, qualcosa potrebbe essere aggiustato, che in qualche modo potrebbe tornare a funzionare decentemente. Poi si parla sempre di “Scuola”, con la esse maiuscola, come se fosse una persona a sé, un’entità autonoma. Quindi, le domande che sto per fare le voglio formulare correttamente: la politica degli ultimi vent’anni ha colto le implicazioni culturali rivoluzionarie (se pensiamo appunto agli ultimi venti trent’anni) della rete? Ha colto la frizione sempre più rumorosa fra sapere e informazione? Fra potere e informazione? Fra potere e sapere? No, la lavagna elettronica non è una risposta.
Quand’è stata l’ultima volta in cui la politica, e quindi i cittadini che l’hanno votata, è stata nel mondo dell’educazione e della formazione? Nel mondo giovanile soprattutto. Ah sì, quando i giovani di venti e dieci anni fa venivano accusati di essere ‘bamboccioni’. Quindi un maturo che dà dell’immaturo a un altro. Un maturo, che in quanto tale dovrebbe sottrarsi alla dinamica dello sfottò, dà dell’immaturo a chi, eventualmente, se tale fosse, avrebbe anche il diritto di esserlo dato che è stato cresciuto, evidentemente male, proprio da quello lì che si autoproclama maturo.
Della sua esperienza a scuola Dei ci racconta che
«la pretesa della programmazione di definire “scientificamente” a priori l’intero processo di apprendimento sulla base di oggettivi criteri psico-pedagogici, ovvero di una teoria assoluta dello sviluppo della mente, era fallace. Non coglieva una serie di aspetti cruciali del processo educativo, le sue contingenze, la sua natura non psicologica ma culturale – nel senso antropologico del termine» (Dei 2022) [7].
L’antropologo tocca quindi una componente essenziale delle nostre coppie che dialettiche come tutte sono false, ossia quella culturale. Fra carne e teoria, fra immaginazione e potere, fra informazione e sapere, si è dimenticato di trattare il processo educativo, così come la struttura dell’istituzione-scuola, nel loro calarsi nella cultura, nei fatti e fenomeni culturali che determinano gran parte di un’altra cosa fondamentale: la sensibilità. La cultura attraversa e soggiace a tutto. Se infatti da millenni si porta avanti la battaglia vecchi-giovani è perché spesso né gli uni né gli altri si sono limitati a osservare che semplicemente con la cultura cambia la sensibilità, con la sensibilità le idee, le pratiche, le credenze, i sogni, le speranze, le paure e così via.
Nel non riconoscersi c’è la negazione di fondo del cambiamento, proprio quel cambiamento che avviene sotto gli occhi dei “vecchi” e che dai “vecchi” viene portato avanti. I “giovani” ci sono dentro invece, ed è più difficile per loro guardare in retrospettiva e comprendere. Di questo eterno ma tenero e confortante conflitto la Scuola è ovviamente il campo prediletto dello scontro. Recentemente quindi, tornando alla cruda cronaca che mai ci piace fino in fondo, la scuola, dopo decenni di abbandono in termini di investimenti economici e cambiamenti e miglioramenti tecnici, sociali e culturali, si è ritrovata soggetto passivo di uno scontro retorico più che politico. Vi ricordate? Dad o non dad, chiusure o non chiusure. Ovviamente i disagi strutturali, la carenza di personale, le condizioni di disuguaglianza nell’accesso al sapere, la scarsità di investimenti veri e consistenti nella scuola e nella ricerca, sono cose passate tutte in secondo piano.
Perché è troppo comodo dire che è la Dad a creare disuguaglianze. Troppo comodo e purtroppo viviamo in un Paese in cui pochi, pochissimi, si oppongono pubblicamente a tale mistificazione della realtà. Le disuguaglianze sono economiche e sociali. Queste tutt’al più vengono rivelate dalla dad nel momento in cui viene organizzata male, introdotta male, pensata peggio ma, soprattutto, applicata a una scuola-istituzione che invece non fa nulla (perché non è stata gestita e amministrata in tal senso) per attenuare tali disuguaglianze d’origine. Perché dovrebbe essere la scuola-istituzione, e quindi chi l’amministra, a farsi carico della lotta alle disuguaglianze, sul piano sociale, culturale, educativo nel territorio. In risposta a tali neoliberiste mistificazioni pronunciate in scioltezza da Draghi [8], risponde Cristiano Corsini, docente di pedagogia all’università di Roma Tre, non riportato troppo dalle grandi testate giornalistiche, dai media ufficiali, dai media autorevoli.
«Affermando che le disuguaglianze sono prodotte dalla dad, Draghi di fatto omette di dire che certe disuguaglianze sono in primo luogo prodotte da disparità di natura sociale ed economica. Addossare alla “dad” tali differenze consente di continuare a disinvestire nell’approntamento di una presenza in grado di rispettare il diritto alla salute di tutte e tutti» [9].
Temi scomodi ovviamente, cioè i temi reali. Perché è duplice l’effetto nocivo di tali dichiarazioni: da un lato si crea un falso nemico, dall’altro si tace omertosamente sulle vere mancanze della Scuola italiana in termini di sicurezza delle strutture, spazi, servizi, oltre che nella didattica, nel personale, nelle risorse umane e materiali. Lo hanno detto in pochi: il problema della dad più che l’accesso alla linea internet e la fornitura di strumenti adeguati agli studenti è stata la capacità più o meno reattiva ed elastica della scuola-carne di adattarsi a una situazione estrema, come quella della pandemia, dovendo però prima fare i conti con la scuola-istituzione. Al singolo è stata affidata la capacità di sviluppare una didattica cyberdigitale interessante ed efficace, e non appena le cose lo hanno permesso, l’esperienza della dad è stata demonizzata in favore di un ritorno in classe demonizzante, questa volta sì, a tutti gli effetti, ossia: divieto di muoversi dal banco anche durante la ricreazione (si poteva magari potenziare il personale scolastico per consentire che a turno ragazzi e ragazze e massimo in due-tre potessero uscire dalla classe per sgranchirsi le gambe, prendere aria), seduti e immobili, costretti a seguire un docente che parla un po’ con loro, un po’ con gli altri dietro lo schermo del computer (perché mezza classe è a casa) fra “eh, cosa, non ho sentito, ripeti, se i tuoi compagni… si sente poco, si vede male…”.
Si potevano creare dei turni allora, organizzare lo svolgimento del programma in modalità laboratoriale con dei progetti settimanali che mantenessero alti l’interesse e la partecipazione di tutti, seppur in queste condizioni di immobilismo e sdoppiamento. Lo si è fatto, si sono fatte, create strategie didattiche, multimediali, digitali, contenuti video, progetti in grafica, percorsi a tema, molti e molte si sono sperimentate e messe in gioco. Ma è stato sempre su iniziativa personale. Le direttive politiche, al fine di garantire il rispetto di norme sanitarie necessarie, si sono limitate alla scuola-istituzione, lasciando la scuola-carne alla carne appunto. Demonizzando la dad anziché potenziandola e migliorandola. Facendo ricadere responsabilità politiche ventennali a un uso maldestro di una tecnologia, facendo ricadere investimenti ed idee sbagliate nella pigrizia degli alunni e l’inefficienza degli insegnanti. Troppo comodo. E adesso, la trovata qual è, dopo aver demonizzato il mezzo che hai dovuto usare ma che non hai voluto rendere migliore possibile? Ovviamente scaricare il peso dei fallimenti della scuola-istituzione sulla scuola-carne. Gli studenti? Che svolgano le prove così come noi glielo imponiamo! Ma come, siete stati i primi voi a dire che la dad è stata un disastro, ci avete rimesso in classe da poco e malamente e ora dite che l’esame va fatto in questo modo, perché comunque dobbiamo tornare alla normalità quando proprio voi stessi avete detto che quella non era e non poteva essere normalità? [10]
Ora, al di là di come finirà, perché la contingenza da sola non deve guidare il nostro ragionamento, se o meno la decisione di mantenere i due scritti e annullare la tesina verrà confermata, anche se è stata già ribadita, al di là anche del fatto che proprio in queste ore in cui scrivo un altro ragazzo ha perso la vita durante uno stage (e qui di nuovo il clash fra scuola-istituzione e scuola-carne fa pagare il prezzo più alto) [11], che mondo la politica degli “adulti/vecchi/saggi” sta offrendo ai più giovani? Che messaggio si sta dando in termini di attenzione, cura, sensibilità, comprensione, a individui che vengono definiti immaturi, giovani appunto, ragazzini? Mi chiedo allora quali sforzi fa la politica per interrogarsi sulla sensibilità di chi oggi si ritrova sui banchi di scuola [12].
Perché il problema non possono essere solo i programmi o le strategie didattiche ma come invece questi attori dell’educazione e della formazione vengono declinati e adattati a seconda delle sensibilità generazionali. Una generazione che fra collasso climatico e crisi economiche ha vissuto anche una pandemia globale (non è la prima né sarà l’ultima probabilmente). Cambiamento climatico e pandemia, ovvero traumi che le generazioni che sono lì a decidere hanno avuto il lusso di non vivere. Dov’è il rispetto per la sensibilità di queste generazioni più giovani?
Per concludere, non sono quindi i “giovani” oggi a essere più indietro di quelli di prima, ma è la modalità con cui si propone loro un certo sapere e una certa informazione. Prima però bisogna capire oggi come informazione e sapere stanno fra loro, così da chiedersi cosa pensano gli studenti e le studentesse in merito e provare a costruire un lavoro insieme su questo. La rete ha scavalcato le mediazioni, i mediatori dell’informazione e del sapere, lo sappiamo. Chi è che ingenuamente ha pensato che la scuola fosse immune da questo mutamento culturale? Se c’è una cosa che la Dad ha rivelato è la diffusa e persistente distanza che c’è ancora fra il corpo docente, corpo appunto, e l’utilizzo di tecniche e tecnologie digitali di produzione e comunicazione di contenuti e saperi, che per un qualsiasi studente invece sono pane quotidiano. Risultato: molti docenti hanno imparato e hanno imparato da studenti e studentesse in uno scambio di conoscenze e saperi educativo comunque.
La scuola deve riformulare le modalità con cui diffonde ed educa al sapere e all’informazione, ma non si può delegare tutto alla sensibilità, appunto, del singolo docente, della singola scuola, delle singole iniziative o progetti. La scuola-istituzione deve dare supporto alla scuola-carne. Deve essere scheletro di un sistema muscolare e non una testa priva di un sistema nervoso equamente distribuito, diffuso ed efficiente, che non sappia che far rantolare di tanto in tanto i suoi arti, magari i migliori, giusto per esibirli per qualche minuto in qualche scenetta televisiva in prima serata, paladini della retorica acchiappaconsensi di turno.
Gramsci, spedito in confino ad Ustica dal regime, non appena arrivò nell’isola, all’epoca povera, senza luce né acqua né fogne, scrisse a un amico più o meno: «per non abbrutirci e per fare del bene agli altri». Era la motivazione alla base della creazione di una scuola, sull’isola. Una scuola serale per i braccianti, pescatori, muratori, altri confinati e chi volesse. Una scuola dove chi teneva una lezione, l’indomani, si ritrovava a prendere appunti da studente in un’altra. Una scuola che il regime ha tardato a comprendere, e quindi poi a distruggere. Perché racconto questo? L’idea è sempre quella. Che la scuola-istituzione sia attenta alle sensibilità culturali della scuola-carne. Un auspicio, una speranza. Per convertire le faglie in soglie, i limiti in frontiere.
Dialoghi Mediterranei, n. 54, marzo 2022
Note
[1] In rete vi sarete sicuramente imbattuti in uno sciame di articoli e altro; eccone alcuni, quelli più ragionati e meno ideologici: https://www.valigiablu.it/schwa-lgbt/; https://www.wittgenstein.it/2022/02/13/un-po-di-cose-sullo-schwa-ma-soprattutto-non-sullo-schwa/
[2] https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/crisi-dellitaliano-falsi-problemi-campanilismo-e-un-sano-bilinguismo/
[3]https://www.repubblica.it/cronaca/2022/01/21/news/udine_ultimo_giorno_di_stag-_scuola_muore_schiacciato_a_18_anni-334726663/
[4]https://www.valigiablu.it/proteste-studenti-alternanza-scuola-lavoro/; https://www.ilsole24ore.com/art/maturita-e-alternanza-scuola-lavoro-piazza-protesta-100mila-studenti-AE2vGKCB;
[5] Pioletti A., Per non essere di coloro che tacciono”: per una mobilitazione della Scuola e dell’Università in «Dialoghi Mediterranei», n. 53, gennaio 2022; https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/per-non-essere-di-coloro-che-tacciono-per-una-mobilitazione-della-scuola-e-delluniversita/
[6] Dei F., Ancora sul saper scrivere all’università. La scuola progressista e i suoi critici, in «Dialoghi Mediterranei», n. 53, gennaio 2022; https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/ancora-sul-saper-scrivere-alluniversita-la-scuola-progressista-e-i-suoi-critici/
[7] Vedi nota precedente.
[8] https://www.youtube.com/watch?v=_yuoy-ANj1s.
[9] Di seguito il link dell’intervista: https://www.tecnicadellascuola.it/didattica-a-distanza-e-sbagliato-dire-che-produce-disuguaglianze-la-parola-alla-pedagogia
[10]https://www.open.online/2022/02/11/scuola-patrizio-bianchi-proteste-studenti-maturita/; https://www.ilpost.it/2022/02/09/manifestazioni-proteste-esame-di-maturita/
[11] https://www.open.online/2022/02/14/proteste-studenti-16enne-morto-stage-video/
[12] Gli articoli qui nelle note dovrebbero offrire un colpo d’occhio esaustivo sul tono del dibattito, sull’intransigenza della classe politica non solo verso gli studenti ma anche verso le associazioni di insegnanti ecc., chi cioè la scuola la viva. Ancora scuola-carne versus scuola-istituzione.
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Giuseppe Sorce, laureato in lettere moderne all’Università di Palermo, ha discusso una tesi in antropologia culturale (dir. M. Meschiari) dal titolo A new kind of “we”, un tentativo di analisi antropologica del rapporto uomo-tecnologia e le sue implicazioni nella percezione, nella comunicazione, nella narrazione del sé e nella costruzione dell’identità. Ha conseguito la laurea magistrale in Italianistica e scienze linguistiche presso l’Università di Bologna con una tesi su “Pensare il luogo e immaginare lo spazio. Terra, cibernetica e geografia”, relatore prof. Franco Farinelli.
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