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Ma quale visione senza una cultura diffusa?

_12042021172504di Antonietta Iolanda Lima

Tralascio di soffermarmi su occasioni d’architettura in Sicilia che ritengo mancate, dallo Zen al post-terremoto del Belice, e inizio con tre considerazioni, calzanti con l’Italia tutta.

- La prima: affermati come nuovi valori i disvalori in cui la maggioranza si riconosce, riassumibili, per me, nel seguente acronimo – PID, che sciolto conduce a: potere immagine denaro;

- la seconda: Pur non mancando luoghi dove si produce cultura, l’arte e con essa l’architettura ha oggi scarsa dignità in Italia e ancor più in Sicilia;

- la terza: L’architettura, ma qualsiasi intervento nel corpo della città, deve favorire l’interazione e la coesione sociale dando un contributo sostanziale che, per quanto non sempre palpabile né facilmente raggiungibile, è fondamento indispensabile per la fioritura dell’ambiente. 

Sono consapevole del rischio implicito nel condensare tre temi così impegnativi in una sintesi più che frugale e tuttavia la ritengo necessaria per la sua capacità di densificare il senso di una sua compiuta argomentazione in una forma semplice e immediata. 

Un commento brevissimo su queste tre affermazioni. La prima, il Pid, restituisce una emergenza grave in atto, accentuata nei Paesi dove il denaro circola in abbondanza, presente in Italia. Ma in quale altro pianeta è fugata l’etica? Si domandano alcuni; va abiurata rispondono in molti, è noiosa, come la morale, infastidisce le coscienze, aggiungo nel caso in cui se ne sente ancora la voce.

Amara come la prima, la seconda affermazione pone l’accento sul perché il nostro Paese, tranne alcune virtuose eccezioni di cui qualcuna eccellente, non riesca globalmente ad assumere il ruolo di produttore di nuova cultura nello scenario non solo europeo. 

Do avvio quindi ad alcune considerazioni che ritengo connesse con tali asserzioni e con l’interrogativo alla base. 

Inizio dalla specializzazione. Sia pure necessaria, il suo eccesso, sempre più mancante di giudizio critico su stessi come dentro e fuori l’Università, ha diviso invece che unire, ha creato steccati, campi disciplinari non interagenti; ha impedito che si attivasse la capacità di saper guardare contemporaneamente a ciò che veramente significa l’intervento progettuale nei confronti del paesaggio che lo riceve; intendendo per paesaggio quello spazio, concettualmente polisemico, sfuggente a qualsiasi definizione, fatto di città, di territori, di storia, di cultura e di esseri umani che in esso vivono e agiscono. Sicché, a mio parere, quando si parla di ambiente si parla anche di paesaggio. 

In tutt’uno con la settorializzazione, la specializzazione che, sin dall’insegnamento scolastico, ha formato permeando le coscienze, ha via via espunto, con l’avanzare unilaterale della tecnologia, la dimensione umanistica del vedere, del conoscere, del comprendere, dell’interpretare infine. Nel rinunciare a un approccio olistico ai fenomeni, creando e alimentando la cesura dialettica tra umanesimo e scienza, è venuta meno la capacità di attivare quella ginnastica mentale, potenzialmente insita nel prodigio che struttura l’universo e anche le nostre menti, capace di guardare al micro e al macro, al locale e al globale – come è in uso dire da tempo riducendo questa importante polarità ad uno slogan, come tale svuotato di senso. 

4c80a-gomez_mortisia_palermocapitale_progetto_680x900_2Quali le conseguenze di tutto questo? Di matrice positivista, ritenuta strumento necessario per risolvere i problemi di un mondo sempre più complesso e in accelerato cambiamento, la specializzazione ha determinato la frantumazione del sapere. Ha ricusato così il confronto con ciò che invece è irrorazione necessaria; nell’alimentare arricchisce, stimola a rivedere le proprie prospettive, a cambiare anche punti di vista.

Si è generata una gravissima perdita di cultura, perché rinuncia alla fertilizzazione feconda che nasce dal guardare oltre la propria disciplina, lasciandosi e lasciandola contaminare, laddove se ne riscontri la positività, da altre espressioni della creatività umana. Né è conseguito un tale depauperamento culturale da incidere negativamente sulla capacità di visione e conseguentemente di azioni adeguate e benefiche per il paesaggio tutto, dal piccolo borgo alle città metropolitane, alle immense megalopoli e al pianeta intero già da decenni in stato di collasso, sempre più prossimo come si evince dallo scenario internazionale. 

La cultura non è un superfluo e la dignità è pietra angolare della società, ha detto il presidente Sergio Mattarella nel suo bellissimo discorso a parlamentari sordi e ciechi, nonostante i continui e a mio parere applausi ipocriti. Due affermazioni queste del Presidente che se condivise e messe in atto da ciascuno avrebbero evitato di cadere nell’abisso in cui ci troviamo, in cui ‘ruolo’ negativo ha a lungo avuto e continua ad avere la mancanza di una autocritica costante; «la distanza/assenza di un autoesame, quando invece dovrebbe essere la condizione preliminare a tutte le altre» (Edgar Morin, Lezioni di un secolo di vita, Mimesis, 2021). Ciò che colgo con tristezza e anche con indignazione è molto simile a un vuoto del pensiero, la cui presenza richiede nutrimento. Quale cura dunque se non conoscenza, competenza, cultura, autocritica?  

E in Sicilia? Quale visione, mi chiedo, a fronte di un degrado quale questo dell’oggi che, come nei Sud del mondo segnati generalmente da una crisi ancor più accentuata e a plurimi livelli, ha raggiunto un grado di pervasività estremamente elevato.  

La crisi in atto investe tutti e tutto prepotentemente, a fronte di problemi irrisolti e sempre più gravi quali l’inquinamento ambientale, il traffico e la rete infrastrutturale, la mancanza di verde, l’incapacità di risolvere lo smaltimento dei rifiuti, il cattivo uso delle risorse, il problema drammatico delle migrazioni, le diseguaglianze sempre più accentuate, la dignità negata a tanti siciliani e dell’Italia tutta. Un degrado la cui massima manifestazione nell’isola è nel modo sciagurato con il quale si è gestita da decenni l’autonomia regionale, in tutt’uno con l’inerzia, l’indifferenza, la non partecipazione consapevole alla “cosa” pubblica dei cittadini congiunta all’offesa che quotidianamente, tranne una minoranza consapevole, è data allo spazio pubblico della città. 

capitale-italiana-2018Palermo, capitale della cultura nel 2018. Al riguardo si sono registrate alcune azioni positive da parte di qualche Istituzione, anche se va rivelata la non avvenuta gestione partecipata, inizialmente promessa dall’attuale amministrazione comunale e chiesta dalla citata minoranza. L’Unesco non è andato nel profondo; ha tralasciato le sue molteplici ferite urbane, territoriali, sociali. Si è rivolto invece alla ricchezza stratificata generata dal percorso di una storia plurimillenaria e alla sua propensione al sincretismo che l’ha resa a lungo immune dal rifiuto della diversità, anche se oggi iniziano a serpeggiare atteggiamenti opposti.

Manca comunque ciò che costituisce il presupposto indispensabile per una ricezione, da parte del tessuto umano che struttura globalmente la città, non passiva, non superficiale quand’anche questa avvenga, ma consapevole; critica sul valore o dis-valore delle azioni nel corpo strutturale e organico, non solo della città ma anche dell’ampio territorio, urbanizzato e non, che le appartiene, per il carattere metropolitano che concretamente dovrebbe connotarla in base alla legge regionale dell’agosto 2015.

Quale, infatti, il suo attuale scenario, o meglio quale cultura emana la sua realtà comunitaria e sociale? Radicale la mia risposta, avendola fondata da decenni sullo studio, sull’osservazione attenta e continua e sull’ascolto partecipe della città e dei suoi abitanti: tranne una minoranza di intellettuali autentici – sempre più esigua scomparendo via via alcun di essi – che s’impegna, investendo al massimo e con continuità le sue migliori energie per incidere positivamente sull’ambiente e sul corpo sociale  nella sua interezza;  che lotta, con sofferenza anche nell’essere conscia della sua esiguità quantitativa, ciò che vedo lo ritengo prossimo all’incultura. Una condizione che nega qualsiasi possibilità di emancipazione. 

Guardando alle stelle e non ai propri piedi – come a lungo ha sollecitato un gigante del pensiero come Stephen Hawking, città culturalmente consapevoli hanno sterzato l’azione verso nuovi e necessari percorsi mostrando di saper dare risposte adeguate ad una questione drammatica quale, tra le tante, l’ecologica. L’idea di città foresta in alcune di esse è già presente. Le Corbusier poco prima di morire aveva indicato una strada totalmente disattesa. Diceva: «Occorre ritrovare l’uomo. La linea che sposa biologia natura cosmo» e Paolo Soleri nel rivendicare l’interiorizzazione della realtà sollecita una riflessione che solo se autenticamente consapevole può ri-portare il cosmo nella natura dell’essere umano, riacquisendo così la coscienza della sacralità della vita di cui è pregna anche la sua più infinitesima particella in ogni angolo della terra. Occorre per questo coltivare gli spazi dell’anima ponendo l’energia creativa a servizio di un vivere e di una città che siano entrambi principio di una nuova civiltà. La coscienza ecologica dovrebbe vertebrarne lo sviluppo dimostrando così di possedere, comprendendo, la dinamica evolutiva del mondo.

Si aggiunge alla voce dei due grandi pensatori appena citati, quella di Rita Levi Montalcini. Nobel della medicina nel 1986, a fronte della drammatica condizione del pianeta sollecitava un confronto propositivo delle “galassie-menti” sulle strategie da adottare subito per arrestare un percorso da lei ritenuto votato all’estinzione.    

_01022017182741Ma a me sembra che in particolare in questa nostra Sicilia non abbia cittadinanza alcuna la riflessione e conseguentemente l’azione su tale problema la cui assenza ha determinato l’attuale «agonia planetaria», così definita da Morin nel 1993 in Terra Patria. Eppure è una terra ancora pregna di grandi potenzialità e di una storia che in alcune sue fasi l’ha vista assumere ruoli significativi nello scenario europeo. 

Siamo tutti coinvolti; e ancor più, insieme a chi ci governa, ciascuno di noi. É noto che l’Unesco nel 2004 ha introdotto il concetto di città creativa. Con la tempestività che lo caratterizza, Maurizio Carta ne ha fatto tema centrale di una ricerca e di un’operatività fattiva aperta al positivo confronto con lo scenario internazionale. Nell’aderirvi anch’io, alcune brevi considerazioni, riferite alla Sicilia e alla sua capitale, su quanto ne ritengo presupposto, fondamento e strumento: una semplice parola, cultura, indispensabile per attivare il percorso di rigenerazione richiesta dalle città per avviare il processo che dovrebbe condurle a ‘divenire creative’.

Senza una cultura che, se non tutti, investa almeno una collettività quantitativamente maggiore di una ristretta minoranza, quali le strategie da porre in atto? 

Due proposte da attivare contemporaneamente: – la prima chiama in causa gli intellettuali, il governo locale e nazionale, l’Europa anche. Ritengo infatti che, nella attuale condizione, ed anche a fronte della complessità che oggi è implicita nell’agire responsabile, quelli che in piena coscienza non solo si affermano come tali ma dimostrano con il loro agire di esserlo veramente, devono scendere in campo uniti da un obbiettivo comune: agire per contribuire a restituire qualità all’ambiente e al paesaggio, per diffondere cultura. Ed essendo la qualità un bene desiderato ritengo da tutti e strettamente dipendente dal come si agisce, non solo gli architetti – progettisti, storici, critici – ma gli antropologi, i geografi, gli ingegneri, gli economisti, i filosofi, i promotori di nuove competenze funzionali alla attuale trasformazione del lavoro, e quindi tecnologi, esperti digitali quanto mai necessari in una contemporaneità sempre più vertebrata dalla cibernetica, ma anche i climatologi, gli scienziati, i letterati, gli scrittori, gli artisti, gli insegnanti sin da quelli connessi alla fase iniziale dell’apprendimento.

Richiesta dalla grande complessità del mondo attuale, l’azione degli intellettuali ‘veri’ deve essere una azione militante e propulsiva, pari a quella che, colma di tensione visionaria, caratterizzò la prima stagione del dopoguerra; un’azione ininterrotta fondata su un programma profondamente meditato, fecondato dall’incrocio e dallo scambio propositivo di tutte le competenze in gioco, che abbia come finalità prioritaria l’alfabetizzazione di quanti abdicando al loro essere persona, perché privi di cultura, diventano massa.

francobollo-palermo-capitale-della-culturaOccorre inculcare il grande valore che nasce dal confronto con i diversi saperi, tralasciando barriere, dando un significato altro all’azione della specializzazione il cui effetto è stato la creazione di campi chiusi entro cui si muovono dalle elementari all’Università insegnanti e allievi, dimentichi che ‘il volo di una farfalla si ripercuote nell’intero pianeta’. Ma questa ‘azione militante e propulsiva’ che, senza dubbio richiede tempi lunghi per produrre effetti di lunga durata, deve rivolgersi a tutti.  Sarebbe quindi fondamentale che la partecipazione a cinema, teatri, mostre, e quant’altro diffonde conoscenza, riflessione, cultura, sia ‘gratuita’ per le persone escluse sino ad oggi perché impediti dalla loro condizione economica.  È calpestata la dignità di quanti hanno perso il lavoro. Ma è calpestata anche la Costituzione, in uno dei suoi articoli che amo particolarmente: «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e   l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti all’organizzazione politica, economica e sociale». 

Non solo di sanità pubblica, ma anche di cultura pubblica abbiamo bisogno – la seconda sollecita ancora il coinvolgimento di chi governa la città, Palermo e i territori ad essa connessi su due temi reciprocamente dipendenti: traffico, inquinamento e quindi produzione di Co2, rifiuti, superiori anche al 75%.  In relazione ad entrambi, due suggerimenti da porre in atto:

- l’incentivazione del trasporto pubblico, la piantumazione e la manutenzione di alberature lungo tutti i viali (si fece nell’Ottocento), la creazione diffusa di polmoni di verde grandi e piccoli; la valorizzazione di tutte le piazze della città con l’espulsione definitiva in esse dei veicoli automobilistici;

- la riconversione ecologica degli edifici condominiali che dovrebbe sin da ora pretendere il ‘superbonus’ in atto. 

Ma per attuarli entrambi occorre un cambiamento radicale di pensiero e di azione, perché Palermo torni ad essere davvero capitale della cultura. Una nuova visione finalizzata alla fioritura autentica della vita. Una sfida alla quale anche l’Europa dovrebbe partecipare. 

Dialoghi Mediterranei, n. 54, marzo 2022

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Antonietta Iolanda Lima, architetto e professore ordinario di Storia dell’Architettura presso l’Università di Palermo, ha insegnato conoscenza e rispetto per l’ambiente e il paesaggio, intrecciando nei decenni 60-70 anche l’elaborazione progettuale, poi lasciata, seppur con dolore, dando priorità alla formazione dei giovani. Ad oggi continua il suo impegno a favore della diffusione della cultura, promotrice di numerose mostre ed eventi, autrice di saggi, volumi e curatele, tra i quali meritano di essere ricordati: L’Orto Botanico di Palermo: intreccio tra mondo vegetale e mondo architettonico, 1978; La dimensione sacrale del paesaggio,1984; Alle soglie del terzo millennio sull’architettura, 1996; Frank O. Gerhy: American Center, Parigi 1997; Le Corbusier, 1998; Monreale, collana Atlante storico delle città Europee, ital./inglese, 2001 (premio per la ricerca storico ambientale); Soleri. Architettura come ecologia umana, 2000 (ed. contemporanea Monacelli Press, New York, – menzione speciale 2001 premio europeo); Architettura e urbanistica della Compagnia di Gesù in Sicilia. Fonti e documenti inediti XVI-XVIII sec., 2000; Critica gaudiniana La falta de dialéctica entre lo tratados de historia general y la monografìas, ital./inglese/spagnolo, 2002; Soleri. La formazione giovanile 1933-1946. 808 disegni inediti di architettura, 2009; Per una architettura come ecologia umana Studiosi a confronto, 2010; L’architetto nell’era della globalizzazione, 2013; Lo Steri dei Chiaromonte a Palermo. Significato e valore di una presenza di lunga durata, 2016, voll. 2; Dai frammenti urbani ai sistemi ecologici Architettura dei Pica Ciamarra Associati, 2017; Bruno Zevi e la sua eresia necessaria, 2018; Giancarlo De Carlo, Visione e valori, 2020. Il suo Archivio è stato dichiarato di notevole valore storico dal Ministero dei Beni Culturali.

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