di Alfonso Barbarisi
Il Mediterraneo è una di quelle aree del mondo vocate a disegnare gli equilibri internazionali per posizione geografica, dinamiche storiche, confluenze di interessi, di religioni, di culture. Con le sue onde trasporta la storia, rinnova il passato e plasma il futuro del mondo in un ciclo che continua da millenni tra i paesaggi eterogenei, che si alternano sulle sponde del “Grande Mare” a cavallo tra tre continenti, tre grandi religioni, due oceani e un’unica, perenne vocazione ad essere al centro degli eventi.
Il Mediterraneo è da sempre emblema della complessità delle relazioni umane, il mare del meticciato, mare di mezzo tra gli oceani “Medioaceano” connettore fra l’Oceano Atlantico e quello Indo-pacifico.
Nei vari cicli della vita del Mediterraneo la posizione geografica dell’Italia meridionale, continentale ed insulare, ha dato una indiscussa centralità, baricentrica, a tutto il nostro Paese, che non sempre si è dimostrato all’altezza del ruolo ricevuto dalla natura e dalla storia. L’Italia, negli ultimi secoli, ha recepito passivamente questa centralità per la sua fragilità politica, strategica ed economica e la relativa difficoltà ad ergersi a un Paese, una volta avvenuta la riunificazione, attore maturo nella realtà di un mare che i Romani chiamavano “nostrum” e dove gli Amalfitani ci scorrazzavano in lungo ed in largo. Ciò si è riflesso pesantemente sulla realtà sociale delle nostre popolazioni meridionali.
Il nostro Paese, nell’ultimo dopoguerra, abbondonata ogni velleità di potenza mediterranea, è confluita nel sistema NATO delle alleanze occidentali degli Stati Uniti e ne è scaturito un lungo periodo di stabilità. Le radici dell’attenzione geo-politica americana al Mediterraneo, durata oltre mezzo secolo, vengono da lontano. L’imperio europeo dell’America nasce in Sicilia con l’operazione Husky, quando nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1943, la più colossale flotta, fino allora radunata al mondo, punta sulla costa sudorientale della massima isola mediterranea e gli USA mettono piede in Europa a partire dal suo confine mediterraneo. Furono i britannici a suggerire questa iniziale via, da cui poi è scaturito il primato statunitense nella Europa continentale, anche se, fino al maggio 1943, gli strateghi americani erano riluttanti ad invadere l’Europa dal Mediterraneo, come per altro era stato già concordato politicamente fra Churchill e Roosevelt a Casablanca. Essi propugnavano il concetto: Atlantic first e pianificavano lo sbarco in Normandia, mentre vedevano nell’opzione Mediterranean First, un cedimento agli interessi britannici nel favorire le loro rotte verso le Indie, via Suez. Di fatto l’Operazione Husky fu il punto di partenza di un nuovo assetto geopolitico europeo che vedeva, giustamente, il Mediterraneo in posizione centrale.
Oggi l’area mediterranea oscilla pericolosamente per gli interessi dell’Occidente, mentre il Mediterraneo stesso riacquista un rinnovato valore geopolitico da parte di un nuovo soggetto: l’Unione Europea. L’attuale momento storico è caratterizzato proprio da questo riassetto e determina la necessità per l’ Unione europea, e per Paesi come l’Italia che è letteralmente immersa in questo mare, di ridisegnare una strategia mediterranea per il lato sud dell’Unione.
Di fatto in questo mare si affollano la Russia, che ormai è stabilmente presente in Siria e Cirenaica con uno sguardo strabico verso il fianco sud della NATO e verso il Sahel (è di pochi giorni fa la notizia del ritiro delle truppe francesi da questo scenario, immediatamente rimpiazzate dai contractors russi della formazione Wagner); il neo-ottomanesimo turco, con le contese, tutte interne alla Nato, con la Grecia e il protettorato di Tripoli; nonché la geoeconomia euro-atlantica delle “Nuove vie della seta” a trazione cinese. Non meno da considerare sono la volontà di Israele di riscoprire una sua identità marittima e un nuovo espansionismo col Trattato di Abramo e l’onda lunga delle primavere arabe, le guerre civili in Siria e Libia e Libia, la corsa a Occidente dell’Iran e degli sciiti nel Grande Medio Oriente.
Tutte queste realtà presentano un forte dinamismo e riguardano, in un modo o nell’altro, il Mediterraneo e le sue sponde meridionali. Esse hanno al loro centro la volontà di conquistare nuovi e profondi spazi di influenza legati a un mare, tanto ben delimitato nella sua definizione geografica, quanto amplificato come bacino geopolitico e come sistema integrato fino a comprendere il Mar Nero, il Mar Rosso, le sponde atlantiche della Penisola Iberica e del Nord Africa.
Tuttavia, questo mare non lo si può considerare, solo e solamente, uno scacchiere di interesse militare, di conquiste bianche e subdole, di guerre non guerreggiate, ma altrettanto dolorose, che usano, per esempio, esseri umani, disperati migranti in fuga dalle miserie delle loro case, come ricatto, oggetto di scambio di favori e di commerci, per avere il controllo di materie prime o fonti di energie, per avanzare territorialmente ed esercitare angherie di ogni genere.
Il Mediterraneo è la culla di Abramo, è stato sempre fonte di dialoghi positivi.
«Il Mediterraneo è proprio il mare del meticciato, un mare geograficamente chiuso rispetto agli oceani, ma culturalmente sempre aperto all’incontro, al dialogo e alla reciproca inculturazione. Nondimeno vi è bisogno di narrazioni rinnovate e condivise che – a partire dall’ascolto delle radici e del presente – parlino al cuore delle persone, narrazioni in cui sia possibile riconoscersi in maniera costruttiva, pacifica e generatrice di speranza» (Papa Francesco, 2019).
In un mondo globalizzato l’interpretazione dell’attuale contesto storico del Mediterraneo deve partire non tanto dalle contese, ma dall’ascolto che parta dal basso, dai tanti popoli che vi confluiscono, dalla condivisione della vita e delle sofferenze delle persone. È necessario che ci si immedesimi negli attuali problemi di portata epocale, che investono l’umanità, occorre proporre opportunamente e realisticamente soluzioni, progetti, visioni profetiche.
Una cosa è certa. Ai venti di guerra e prevaricazione, aleggianti sul Mediterraneo, l’Unione della vecchia Europa, che si affaccia ora con particolare attenzione al bacino mediterraneo, deve opporre una politica di dialogo e di sviluppo, che conquisti i cuori degli uomini e delle donne delle due sponde. Una nuova e rinnovata politica europea, con la forza della sua unità, deve tendere ad un grande sforzo di inclusività, perché solo una tale visione può portare progresso, sviluppo, promozione e difesa della dignità umana, unica via per contrapporsi alla violenza delle guerre, guerreggiate o meno, più o meno a pezzetti. Bisogna coltivare la speranza che il Mediterraneo possa essere, ancor più oggi all’inizio del terzo millennio, faro di civiltà, di tolleranza e di spiritualità perché ne ha tutta la forza e la tradizione per esserlo.
L’Unione Europea, nell’affacciarsi nello scenario mediterraneo, deve essere propositiva di un nuovo approccio politico, che sia esempio per tutte le future generazioni. Per affrontare i problemi che ne derivano dalle contrapposizioni geopolitiche mediterranee, occorre avere una visione prospettica della politica e dell’economia, delle regole e degli interventi. Il progetto e i corposi finanziamenti della Next Generation EU perseguono infatti una trasformazione alla radice degli attuali processi sociali ed economici, un piano strategico che non può ridursi ai soli 28 Stati dell’Unione, ma devono essere il volano più ampio e profetico possibile per un nuovo e globale riformismo della Culla di Abramo. In questa nuova visione prospettica dell’egemonia dell’inclusività va inscritto il grande sforzo economico che l’EU sta producendo nei confronti della situazione economica dell’Italia, e più particolarmente, del Meridione d’Italia, che deve irradiarsi a tutta l’area del Mediterraneo, in cui l’Italia è inscritta e vive.
Ecco perché il progetto, da tempo proposto dallo SVIMEZ. di qualificare in senso logistico a valore (non strategico militare) la “Piattaforma Italia” acquista una particolare pregnanza. Significa prendere consapevolezza delle enormi potenzialità di sviluppo che il nostro Paese può attivare avviando il progetto del Southern Range, anche per lo sviluppo dei Paesi mediterranei delle due sponde, un’impresa che non significa contrapporre, ma offrire una via alternativa al “Northern Range” per il trasporto e lo scambio delle merci da e per il Centro-Nord Europa, che passano da Suez, ma che vengono anche prodotte o importate nel Bacino mediterraneo.
Un polo logistico nel sud Italia riattiverebbe la vocazione storica dei porti del meridione (Napoli, Bari, Taranto, Gioia Tauro alle quali si aggiungono Palermo e Catania se si attiva una connessione stabile della Sicilia col continente) con relative Zone Economiche Speciali, Zone Logistiche Speciali e le interconnessioni su ferro ad Alta Velocità e Capacità. Il progetto acquisterebbe anche una forte e particolare funzione di contestualizzare il Meridione d’Italia nella storia produttiva del terzo millennio. Infine, consentendo di ridurre in misura significativa i tempi e i costi del trasporto, e ancor più di limitare drasticamente l’impatto ambientale, il progetto sarebbe caratterizzato da una valenza di primaria importanza nella transizione ecologica globale.
Si verrebbe a conferire all’opzione euromediterranea della EU un tratto per molti versi inedito, ma decisivo per conseguire l’obiettivo di una sua presenza fortemente incisiva di pace e prosperità nel Mediterraneo. Questa visione lungimirante, centrata su una accorta strategia di sviluppo volta a strutturare un Southern Range, potrà aprire una Gate Way per l’ingresso Sud-Nord e Nord-Sud nell’Unione del medioceano mediterraneo e generare una concreta possibilità di alimentare nuovi flussi di valore aggiunto da mettere a disposizione di tutti i cittadini italiani ed europei e dei loro partners mediterranei ed internazionali.
È necessario che l’Europa unita e i Paesi mediterranei, come l’Italia, disegnino un’agenda “mediterranea” che consideri il Mediterraneo, centro del Vecchio Continente, luogo di dialogo e ponte geografico, storico ed umano tra l’Europa, l’Africa e l’Asia, per far germogliare sogni e speranze, per intrecciare relazioni di pace nell’alba di questo difficile terzo millennio.
Dialoghi Mediterranei, n. 54, marzo 2022
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Alfonso Barbarisi, Professore straordinario presso l’Università Telematica Pegaso – Napoli, Presidente del Comitato tecnico-scientifico Area Sanità- U. T. Pegaso e Ordinario di Chirurgia presso l’Università della Campania, Presidente nazionale Associazione Italiana Docenti Universitari -AIDU e Delegato Nazionale, European Union of Medical Specialists (UEMS-Surgery Section).
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