di Paolo Giansiracusa
Tra i pittori veneti del Rinascimento Jacopo Robusti, detto il Tintoretto [1] per via della provenienza da una famiglia di tintori di stoffe, è quello che ha compreso con maggiore convinzione l’importanza del ritratto di tre quarti. Gli esempi iconografici ed espressivi a cui ha fatto riferimento sono tutti rintracciabili nella galleria dei ritratti di Antonello da Messina, che a Venezia ebbe ripercussioni per diversi lustri, e in quella dei pittori fiamminghi attivi nella penisola tra la seconda metà del sec. XV e i primi decenni del secolo successivo.
Il ritratto di tre quarti consente all’artista di dare vitalità al personaggio raffigurato, ciò grazie alla doppia rotazione del corpo e dello sguardo. L’effetto dinamico della composizione si coglie nell’inclinazione della figura verso il lato destro e nel ritorno dello sguardo verso sinistra. In quel doppio movimento contrario (a destra il busto, a sinistra lo sguardo) è il segreto del realismo della raffigurazione che in Antonello ebbe inizio con il Ritratto d’Uomo, oggi alla National Gallery di Londra, e si sviluppò con morbidi tonalismi in molte opere pittoriche lasciate a Venezia.
In un autoritratto giovanile [2], di cui esistono due esemplari (uno su tela, l’altro su tavola), Tintoretto va oltre l’impostazione antonelliana, infatti si dispone perfettamente di profilo spingendo la spalla destra verso l’osservatore, poi ruota di tre quarti il volto e quindi fa ruotare ulteriormente lo sguardo puntando gli occhi completamente in avanti. La prospettiva del busto è resa con i rapporti tonali, quella del volto attraverso la prospettiva e la luce, gli occhi invece recuperano l’asse quasi orizzontale disposto sul piano. Nell’opera oggetto della presente analisi, individuabile come ritratto di Jacopo Sansovino [3], il busto si dispone in prospettiva come il volto, sullo stesso asse; quindi tutto ritorna all’impostazione di tre quarti. Ciò lascia supporre che sia stato eseguito alcuni anni prima dei due autoritratti che, per l’originale impostazione della spalla destra, appaiono più innovativi. Lo sguardo, con la rotazione già nota, è riportato verso la visione frontale. Gli occhi, pur mantenendo una lieve prospettiva, atta a garantire la profondità sono allineati sul piano.
Un ritratto di Jacopo Sansovino
Presso la Collezione statunitense di W. Coles Cuball (Newport, Stato di Rhode Island) è conservato un dipinto su tela di cm.100×120 raffigurante l’architetto Jacopo Sansovino. L’opera è assegnata al Tintoretto per il carattere stilistico e per la seguente iscrizione latina:
JACOBI SANSOVINI
ARCHITECTURAE ET SCOLPTURAE
ARTE CELEBERIMI
IMAGINEM PINXIT
IACOBUS TINTORETTUS
EIUS AMICISSIMUS
Fu pubblicata da Adolfo Venturi in Studi dal Vero attraverso le raccolte artistiche d’Europa, Milano 1927. Per ragioni non del tutto comprensibili l’opera è stata assegnata da alcuni al 1548, da altri ad un periodo non meglio precisato, antecedente al 1546. Se ciò fosse vero il Sansovino che appare nel ritratto dovrebbe avere circa sessanta anni. Ma non è così, infatti l’uomo del ritratto dimostra di essere almeno di dieci anni più giovane. Per tale ragione sposterei la data dell’esecuzione alla fine degli anni trenta del Cinquecento, quando già il Tintoretto si qualificava come Maestro e dipingeva in autonomia nella propria bottega del champo di San Cahssan.
Del dipinto ad olio su tela (cm. 31,5 x 42,7), nel corso dell’ultimo restauro, per tendere il supporto telare probabilmente ceduto, i restauratori hanno inspessito su un lato il telaio portando i cm.31,5 originari a 32,3. La tecnica pittorica è caratterizzata da una pennellata decisa, sicura, nella quale non si notano ripensamenti ma solo stratificazioni tese ad amalgamare il colore che volge ai rapporti tonali interamente modulati con cromie calde e vaporose. La pennellata si presenta carica di colore, la sua pastosità è utile costruire l’impianto del ritratto e a modellarne i volumi. L’impasto cromatico appare strutturato con una stesura veloce finalizzata a fondere (secondo il metodo tipico della pittura veneziana) le cromie con il pigmento ancora fresco. Il disegno è pertanto convogliato nella massa cromatica nella quale si dissolve, così da cancellare la separazione tra le campiture dipinte. Gli effetti di luce a tocchi sottili, tesi ad ottenere un effetto d’argento nell’abito, sono ottenuti ad opera compiuta, come per contrassegnare la struttura iconografica del busto. Il segno brillante genera una descrizione grafica utile a comprendere la cucitura decorativa del vestito (coincidente con la precedente imbastitura) e a costruire i piani e i volumi. Il colore scuro del fondo e dell’abito serve a determinare la focalizzazione visiva sul volto e sugli occhi in particolare. Tutto deve convergere sullo sguardo che punta l’osservatore.
L’uomo del ritratto assume in tal modo una grande forza realistica e sembra volere uscire dallo spazio iconografico. Lo sguardo deciso mette insieme il luogo pittorico della finzione con lo spazio della quotidianità. Il piano omogeneo scuro è ripreso dalla tradizione fiamminga ampiamente apprezzata a Venezia. L’impasto cromatico ricco di materia, che come già evidenziato è interamente articolato intorno ai toni caldi, caratterizza tutta la pittura di Jacopo Tintoretto (a cui il ritratto viene assegnato dal presente studio) e buona parte della pittura veneta del Cinquecento. I toni caldi e vaporosi creano un ambiente pittorico idoneo al racconto del ritratto intimo; lo sguardo sereno del personaggio lascia trasparire un rapporto di solidarietà e stima tra l’architetto e il pittore. Una cornice dorata ottocentesca chiude il telaio dell’opera. Il telaio, anch’esso non coevo al dipinto, ha il numero identificativo 112. La tela utilizzata dall’Artista è a trama fine e fitta, come quelle rilevabili in tutto l’arco del Cinquecento nei dipinti di piccole e medie dimensioni.
Allo stesso periodo assegnerei un altro ritratto del Sansovino, emerso in questi giorni da una collezione privata veneta. Si tratta del dipinto in esame nel quale l’uomo raffigurato ha le stesse caratteristiche fisiognomiche di quello della Collezione di Newport. Analizzando nei dettagli i tratti somatici dei personaggi dei due ritratti si nota che le orecchie sono identiche. Sia l’elice che la conca si somigliano, altrettanto dicasi per il lobo e il trago. Anche il naso sembra lo stesso. Si metta a confronto il setto nasale dell’uno e dell’altro; parimenti si faccia per le narici. Il volto ampio, la barba folta, la fronte larga dell’uno e dell’altro uomo dei ritratti appartengono alla stessa persona. Si tratta di Jacopo Sansovino cinquantenne, dall’aspetto vigoroso, ripreso negli anni in cui dominava la scena veneziana innanzitutto nel campo dell’architettura. Una datazione possibile potrebbe dunque essere inquadrata tra il 1539 e il 1540.
Il ritratto della collezione privata veneta è eseguito in scala 1:1, come un’impronta, così da rendere più realistica la figura. Considerate le piccole dimensioni della tela, il volto è come incastonato all’interno del limitato spazio iconografico, occupandone l’intera superficie. Nella parte inferiore un abito scuro da cerimonia occupa per intero la superficie della tela disponibile ed esce fuori dai limiti iconografici, come se la figura volesse immergersi nello spazio reale. Il piccolo risvolto della camicia bianchissima separa il volto dal colletto dell’abito segnandone la plasticità volumetrica.
Tra il ritratto conservato negli Stati Uniti e quello appartenente alla collezione privata veneta è diverso l’orientamento della figura. Nell’opera di Newport l’uomo entra nello spazio pittorico da destra, in quella veneta si inserisce provenendo da sinistra. Tuttavia, ribaltando una delle due opere e accostandola all’altra, sembrano impronte dello stesso soggetto. Il Tintoretto successivamente eseguì altri ritratti del maestro toscano, a dimostrazione della loro forte amicizia [4].
La rivelazione della luce
Nei due ritratti di Jacopo Sansovino, qui assegnati al 1539-40, l’elemento più attinente al linguaggio del Tintoretto è costituito dalla luce che colpisce con l’effetto di un bagliore l’ampia fronte e la parte mediana del volto del celebre architetto. Una fonte di luce artificiale, con direzione frontale, mette a fuoco lo sguardo e rivela la plasticità del viso e l’espressione serena. In entrambi i ritratti la luce è frontale, come ad esempio in altre opere coeve e successive raffiguranti il Gentiluomo dalla catena d’oro, Alvise Cornaro, Paolo Cornaro o Sebastiano Venier. Si tratta di un elemento distintivo teso ad accentuare la teatralità delle figure. La luce frontale apre lo scenario pittorico con immediatezza rivelando senza infingimenti i personaggi rappresentati.
Fattori espressivi ed expertise di attribuzione
Lo stile di Jacopo Tintoretto si distingue da quello di altri artisti del suo tempo per la velocità della pennellata che mette insieme segno e colore, struttura e materia. La sua tecnica esecutiva non ammette ripensamenti, semmai, come nel ritratto in esame, dopo la stesura delle campiture, l’artista accende sulle masse pittoriche la trama dei capelli e quella della barba. Il pennello si fa pettine e lascia con la sua punta leggera lievi tocchi di luce. Si direbbe una pittura costruita, basata sulla sovrapposizione di descrizioni sottili che avvolgono la plasticità del colore. Gli aspetti formali sono attinti dalla tradizione, sia quella antonelliana, solidissima a Venezia, che quella fiamminga.
Tintoretto sviluppa a Venezia una pittura internazionale, la stessa in cui è possibile individuare i primi fermenti del barocco pittorico europeo. Il colore si agita come mosso da un vento impetuoso e si deposita con un flusso inarrestabile sulle architetture, sulle figure, sul paesaggio. Le strutture compositive, agitate da prospettive impossibili, coprirono pareti e soffitti dei maggiori palazzi della città lagunare. Il valore espressivo è costituito dalla chiarezza del messaggio, dal desiderio forte di porsi davanti all’osservatore con onestà, con obiettività realistica. Tali elementi espressivi, formali, tecnici, sono tutti riscontrabili nel ritratto di Jacopo Sansovino appartenente alla collezione privata veneta. Da queste ragioni e dall’affinità con il ritratto di Newport deriva l’attribuzione al Tintoretto.
Dialoghi Mediterranei, n. 55, maggio 2022
Note
[1] – Jacopo Robusti, detto Tintoretto per via del mestiere del padre che era tintore di stoffe, nacque a Venezia alla fine del mese di settembre o agli inizi di ottobre del 1518. La data si desume dall’atto di morte: “31 maggio 1594: morto messer Jacopo Robusti detto Tintoretto de età de anni 75 e mesi 8, ammalato giorni quindese de fievre”. La notizia è riportata negli Atti della Chiesa di San Marziale ed è confermata dai Provveditori della Sanità (Carlo Bernari, Pierluigi De Vecchi, L’Opera completa del Tintoretto, Milano 1970: 83-84). La Chiesa di San Marziale, ovvero San Marcilliano (vulgo San Marzilian), è ubicata nel sestiere di Cannaregio, non distante dalla Chiesa di Santa Maria dell’Orto dove l’Artista è sepolto. La sua attività pittorica in autonomia viene svolta già verso i venti anni, infatti in un Atto di Testimonianza del 1539 (trascritto da Carlo Bernari e Pierluigi De Vecchi, frammento nell’op.cit.: 83) Tintoretto si firma “mistro Giacomo depentor nel champo di San Cahssan”, ovvero si fregia del titolo di maestro, con uno studio indipendente presso campo San Cassiano, nel sestiere di San Polo. Qui rimase per tutto l’arco della sua esistenza assumendo alcune delle commissioni più importanti conferite dalla Repubblica di Venezia.
[2] Gli autoritratti noti del Tintoretto sono diversi. Quelli giovanili, eseguiti in due esemplari similari, vengono datati intorno al 1547-48 (l’artista aveva 29/30 anni). Si tratta dell’olio su tela di cm.38×45 del Philadelphia Museum of Art, dell’olio su tavola del Victoria and Albert Museum (Londra) di cm. 45,7 x 36,8.
[3] Jacopo Tatti, detto Sansovino per la frequentazione della bottega romana di Andrea Contucci soprannominato Sansovino, nacque a Firenze il 2 luglio del 1486. Si trasferì a Venezia nel 1527 dove fu proto della Repubblica a partire dal 1529. Nella città lagunare, dove si spense il 27 novembre del 1570, svolse ai massimi livelli il ruolo di architetto e di scultore. L’amicizia con il giovane Tintoretto fu forte e immediata; lo dimostra la dedica dipinta dal pittore nel ritratto della collezione di W. Coles Cuball di Newport (USA). Si veda la nota 4.
[4] I ritratti eseguiti dal Tintoretto al Sansovino sono diversi. Oltre a quelli trattati nel presente saggio ce ne sono due eseguiti nella maturità, quando l’architetto era già molto anziano. Ritratto di Jacopo Sansovino, olio su tela di cm. 70×65, 1566, Galleria degli Uffizi, Firenze; Ritratto di Jacopo Sansovino, olio su tela di cm. 49×36, 1566, Staatliche Kunstsammlungen, Weimar. In entrambe le opere si nota un uomo canuto, ormai ottantenne. La folta barba e l’ampia fronte ci aiutano a identificare le caratteristiche del volto. Lo sguardo non è più quello deciso di un tempo, tuttavia la serenità espressiva è sempre la stessa.
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Paolo Giansiracusa, Storico dell’arte, Professore Emerito Ordinario di Storia dell’Arte nelle Accademie di Belle Arti. Già Docente di Storia dell’Arte Moderna e Contemporanea alla Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Catania. Componente dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico, Siracusa-Roma. Direttore del M.A.C.T. Polo Museale d’Arte Moderna e Contemporanea di Troina. Fondatore e Direttore della Rivista Nazionale “Quaderni del Mediterraneo”.
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